²⁸. 𝘝𝘦𝘳𝘰 / 𝘍𝘢𝘭𝘴𝘰

– Ne mancano ancora un po'. Fai uno sforzo, per favore. –

– Va bene – rispose Florian, grattandosi il braccio al quale era collegato il macchinario.

Nicholas, il suo psichiatra, continuò a fissare le lievi oscillazioni che gli comparivano a schermo. Il poligrafo tracciava silenziosamente una serie sinuosa di curve e picchi, parlando al posto di Florian e svelando, o almeno così credeva il dottore, cosa si celasse nei recessi della sua mente.

In quanto Attenzionato, Ian era chiamato ogni settimana a partecipare a una seduta di psicoterapia individuale e a due di gruppo. Odiava le sessioni pubbliche: non riusciva a sopportare di mostrare le proprie parti più vulnerabili a degli sconosciuti. Eppure, per cinque anni le aveva affrontate senza dire una parola, spellando la propria anima e lasciando che il sale dello sguardo altrui vi si soffermasse morbosamente.

Dopo il Quadrante, tuttavia, la Chiesa aveva soppresso gli incontri collettivi degli Attenzionati. Per una volta Florian era stato grato al Regime, il quale probabilmente aveva preso quel provvedimento per evitare che le loro menti, già devianti, iniziassero a macinare insieme qualche ipotesi sull'incidente.

E così le sessioni individuali erano passate da una a due. Nonostante la maggior parte dei Disallineati non diagnosticati le disprezzassero, Florian le preferiva infinitamente di più rispetto al vedere venduti i propri sentimenti sulla pubblica piazza.

Oltre alle sessioni di terapia, il trattamento da Attenzionati prevedeva anche delle "visite a sorpresa" dei Sorveglianti, che ne controllavano le occupazioni lavorative, la produttività e persino le attività che svolgevano nel tempo libero. Era come avere un grosso occhio puntato su di sé, sempre.

Nonostante ciò, Florian evitava di infastidirsi troppo per le visite dei Sorveglianti, soprattutto quando Eddie si trovava in casa. Non voleva che il ragazzo si sentisse ulteriormente in colpa per averlo messo in quella situazione, dunque aveva imparato a fare buon viso a cattivo gioco. Così come aveva appreso da tempo come riuscire a mentire durante i test psicologici.

Ogni sessione di terapia individuale doveva terminare obbligatoriamente con una "visita" al poligrafo. Lo psichiatra gli poneva delle domande e lui doveva rispondere con la massima sincerità, lasciando che il grosso macchinario digitale, con le sue appendici adesive, registrasse le sue reazioni fisiche.

Florian aveva studiato almeno una decina di libri sulle macchine della verità, e aveva individuato alcune nozioni interessanti. "Un poligrafo non riconosce se il soggetto che parla stia mentendo a sé stesso", ricordò. Ciò significava che, nella misura in cui fosse stato capace di convincersi di qualcosa, sarebbe stato in grado di convincerne anche la macchina.

Aveva scoperto quell'"inghippo" inconsapevolmente, una delle primissime volte in cui aveva dovuto recarsi a quegli incontri obbligatori. Essendo convinto che alcuni dei meccanismi che utilizzava per sopprimere il dolore fossero realmente utili al suo stesso bene, aveva finito per negare l'evidenza, rispondendo "no" quando Nicholas gli aveva chiesto se avesse avuto degli "episodi", ultimamente.

La macchina aveva registrato la risposta come "verità" e lo psichiatra lo aveva scrutato perplesso. Il macchinario, dopotutto, era attaccato alle sue braccia scoperte.

Il dottore e la sua equipe si erano affrettati a sostituire il poligrafo, credendolo malfunzionante. A un certo livello, Florian si era sentito lusingato che lo avessero cambiato unicamente per colpa sua. Tuttavia, allo stesso tempo, aveva dovuto reinventarsi ancora più cauto e furbo nel dare le proprie risposte.

Nicholas procedette a tormentarlo con i suoi interrogativi, passandosi una penna tra i capelli canuti.

– Va bene, allora. Partiamo con la prima delle tue domande "preferite". Sei pronto? –

– Certo – rispose al dottore, non senza un certo fastidio, che sicuramente la macchina stava registrando.

– Numero uno. Hai avuto delle visioni di Nadine in questi giorni? –

– No – rispose Florian. Vero, pensò. "Vero", registrò il macchinario.

Nicholas osservò lo schermo di fronte a lui. La linea verde frastagliata, che sfilava silenziosamente, si rifletté nelle sue iridi castane, dandogli un'aria leggermente ultraterrena.

– Ottimo. Seconda domanda: ti piace il tuo lavoro? –

– Sì. – Vero. "Vero", disse anche il poligrafo.

– Terza domanda. Hai problemi con la Chiesa del Giudizio? –

– No. – Falso. "Vero".

Florian riusciva da sempre ad aggirare la domanda forzandosi a interpretarla come un "hai commesso reati?". Nelle intenzioni di Nicholas l'interrogativo era di certo più generico, volto a indagare un'eventuale mancanza di aderenza ai dettami del Regime.

– Benissimo. Penultima domanda. –

"Hai avuto degli "episodi"?" si disse Florian in mente. Ormai conosceva la successione a memoria.

– Hai avuto degli "episodi"? – gli chiese Nicholas.

– No. – Vero. "Vero". Per una volta non aveva dovuto mentire.

Nicholas gli scoccò un'occhiata dubbiosa, ma come al solito si affidò al macchinario.

– Ultima domanda. Sei felice? –

– Sì. – Vero. "Vero".

Nicholas batté le mani e si alzò dalla sua sedia. – Visto? Non ci voleva poi molto. –

– Sarà – rispose Florian.

Alzò uno sguardo vuoto sul suo psichiatra. Aveva quasi sessant'anni, e degli occhi acquosi velati dalla cataratta. Si soffermò a osservare le sue mani, che sembravano segnate da anni di lotta impari contro il tempo.

Nonostante tutto, Nicholas riusciva ad andargli a genio quel poco che bastava per riuscire a sopportare quelle sessioni. Non gli aveva mai prescritto nessuna medicina invasiva, e gli aveva firmato l'autorizzazione che gli permetteva di acquistare più stecche Joy di quelle consentite dal Regime. Non che Florian ne fumasse molte, ultimamente.

– Posso andare, adesso? – chiese al medico, alzandosi dalla poltrona di ecopelle preposta alle sedute.

Florian adocchiò il proprio cappotto di panno, adagiato su un appendiabiti in fondo alla stanza. Lo studio era stato arredato con semplicità e perizia. Diverse piante finte ne punteggiavano il pavimento, e alle pareti facevano capolino immagini astratte del cervello umano e una serie di attestati incorniciati. Le luci tenui e le tende color pastello avrebbero dovuto contribuire a far sentire il paziente a proprio agio, ma lui non era mai riuscito a rilassarsi del tutto all'interno di quella stanza.

– Un'ultima cosa – gli disse il medico. Florian si chiese come mai lo stesse trattenendo. Sapeva che dopo la batteria di domande "preferite" il tempo era sempre pressoché esaurito.

Si risiedette sulla poltrona, obbedendo. Srotolò le maniche del maglione sulle braccia, dopo che le appendici del macchinario vi erano state applicate sopra un po' di gel. Storse il naso, percependo il freddo della soluzione, ma si sentì leggermente sollevato all'idea di coprirsi.

Nicholas si sedette a sua volta di fronte a lui, raccogliendo il blocchetto olografico dalla propria scrivania. La penna touch volteggiava tra le sue dita, mentre scriveva qualcosa nascondendolo alla vista di Florian.

– Allora. Ho notato che stai iniziando a rispondere con sincerità all'ultima domanda – gli disse.

Ian lo guardò circospetto, chiedendosi dove fosse il tranello.

– Rispondo sempre con sincerità. –

Il dottore lo fissò in tralice, sembrando più stanco di quello che desse a vedere.

– Sarò anche aiutato da un macchinario, ma so ancora riconoscere quando qualcuno sta mentendo. –

Florian sentì un leggero groppo in gola, e non disse nulla.

– Vorrei che seguissi il mio ragionamento. Credo che tu sia sempre riuscito a replicare affermativamente, senza che la macchina ti sbugiardasse, per via della tua personale idea di "felicità". –

A quel punto continuò ad ascoltarlo più incuriosito che turbato.

– Finora hai risposto sempre "sì" avendo in mente un concetto di felicità che corrispondeva a quello di "tranquillità". La tua vita, con il lavoro in biblioteca e il tempo passato con Eddie, era velata da questa "tranquillità". Anche gli episodi di Disallineamento, con le tue visioni o altro, riuscivi a riassorbirli all'interno di questo concetto, come se nella tua esistenza scorresse comunque un fiume di "pace" che ti raccontavi quotidianamente, e che quindi ti convinceva. Mi segui? –

Florian annuì, anche se non fu certo di aver afferrato tutto.

– Bene. Dunque la tua verità e quella del macchinario corrispondevano. Se ti avessi posto la domanda specifica se tu fossi stato "felice" come lo intende il Regime, e cioè "provando una contentezza continua dal profondo dell'animo", cosa mi avresti risposto? –

Florian ci pensò su un attimo, cercando di scovare l'inghippo. Tuttavia, qualcosa nello sguardo tranquillo del medico gli trasmise fiducia. Per una volta decise di rilassarsi, parlando con franchezza.

– In quel caso avrei risposto che non ero felice – disse.

– E perché no? –

Ian sospirò. Non adorava quel modo di tirargli fuori le ovvietà. – Perché non mi sentivo "contento dal profondo dell'animo" – rispose riluttante.

– Esattamente. – Nicholas sembrò soddisfatto.

– Quella è una domanda che la Chiesa ci ha imposto di fare a tutti gli Attenzionati, nonostante fosse stata bocciata dal comitato scientifico dei Neuropsichiatri. Personalmente, la trovo un po' sciocca. Ognuno di noi tende a crearsi un proprio concetto di felicità, che può differire di molto sia da quello altrui, sia da quello che un organismo governativo decide di rendere "ufficiale". –

Ian sgranò leggermente gli occhi. Gli sembrò che Nicholas si stesse esponendo sin troppo. Di norma avrebbe dovuto considerare il Regime infallibile, senza esprimere alcun tipo di dubbio. A un tratto iniziò irrazionalmente a temere per l'incolumità del proprio medico.

Nicholas, tuttavia, continuò il discorso senza curarsi di rettificare le proprie parole.

– Dunque, lasciando da parte le considerazioni personali, posso comunque valutare il tuo "sì" di questa sessione come il primo vero "sì", perché si allinea alla definizione "ufficiale" di felicità, e non alla tua. E sai il perché. –

Florian non rispose, iniziando ad agitarsi leggermente sulla poltrona.

– Te lo dico io, allora. La tua percezione è cambiata perché hai trovato qualcosa che riesce a renderti felice dal profondo. –

– E cosa? – rispose Florian, cercando di fare il vago. Si accorse di essere stato piuttosto spavaldo, e in questo si chiese se non stesse iniziando a somigliare a Dianne. A quel pensiero non poté fare a meno di sorridere.

Nicholas notò la sua espressione e gli rispose con un ghigno malizioso, forse il primo che gli avesse mai visto fare.

– Più che "cosa", fossi in te mi chiederei "chi" –, disse.

Ian abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzato. A quanto pareva, la sua spavalderia era durata il tempo di una domanda.

Lo psichiatra lo guardò di sottecchi, continuando a scribacchiare sul suo blocchetto olografico.

– Devo però farti un appunto. Tu tendi a sollevare attorno a te delle spesse mura, e permetti a pochissime persone di scavalcarle. Ogni volta che succede, inizi a uscire da te stesso, "svuotando" tempo, energie e sentimenti nelle persone alle quali hai deciso di donarti. –

Nicholas si interruppe, aspettando che quelle parole facessero presa su di lui. Florian sapeva che aveva perfettamente ragione. Tuttavia, si sentì comunque come se quell'uomo lo stesse dissezionando, esponendo i suoi organi sul freddo tavolo di una sala operatoria.

– Voglio ricordarti di rimanere ben presente a te stesso. Le altre persone devono fungere da "grimaldello" per aiutare la tua felicità, e non devono esserne la fonte diretta. Se lo fossero, la loro mancanza improvvisa ti causerebbe grossi danni. Di certo la presenza di Dianne è un ottimo balsamo per la tua anima, ma ricorda sempre che gli altri devono arricchirti, non definirti. Per vivere bene col prossimo devi innanzitutto vivere bene con te stesso: un albero dal tronco avvizzito non può dare buoni frutti. Lo capisci questo? –

– Credo di sì – rispose Florian, perdendosi a riflettere su quelle parole.

– Ottimo. Allora posso considerare terminata questa sessione. –

Ian fece per alzarsi, ancora leggermente interdetto. Prese il proprio cappotto dall'appendiabiti, posandoselo addosso come in un sogno.

– Florian, voglio che tu sappia che, se continuerai così, farò una richiesta per toglierti dallo status di Attenzionato. Non sembri aver più bisogno di questo monitoraggio eccessivo. Ovviamente mi prenderò io la responsabilità del provvedimento. –

Ian non seppe assolutamente cosa dirgli, e rimase immobile. Per un momento ebbe l'infantile istinto di correre ad abbracciare il proprio medico.

Guardò l'uomo come se lo stesse osservando davvero per la prima volta. L'idea di essere circondato solo da persone dalle quali doversi guardare, ormai radicata in lui da decenni, gli aveva fatto smettere di riconoscere i volti "amici", quando li incontrava.

– Lo farà? – gli uscì, con una voce leggermente spezzata.

Nicholas sembrò sorridere di quel suo stupore. – Sì – disse. – Che tu tenga agli altri ormai l'ho appurato da tempo; ora devi dimostrarmi che tieni a te stesso. Non voglio altri "episodi". Promettimelo. –

Florian ammutolì per qualche istante.

– Lo prometto – disse infine.

– Bene. Accetta la felicità, quando arriva. Accetta di poterla meritare. –

Stettero entrambi un momento senza parlare. Ian sentì il peso di quelle parole schiacciarlo sul pavimento, e cercò di rimanere a galla il tempo necessario a metabolizzarle.

– Vai da lei? – gli chiese Nicholas, spezzando il silenzio.

– Più tardi – rispose lui. – Adesso devo passare a prendere Eddie e Rein alla pista di atletica. –

– Capisco. Anche lui ha trovato quel "qualcosa"? – disse il medico. La sua espressione era ancora placida, come un cielo terso ai primi colori del mattino.

Florian ci rifletté un momento. Non l'aveva mai vista in quei termini.

– Non saprei. Posso solo dire che Eddie mi sembra molto felice. –

Lo psichiatra sorrise. – Allora fatevi forza a vicenda. Ora va', e ricorda la tua promessa. –

Florian non se lo fece dire due volte e si affrettò a stringergli la mano, uscendo dallo studio.

Una volta che si fu chiuso la porta alle spalle, fu colpito dalla consapevolezza dolceamara di stare guarendo. Al semplice pensiero di quelle due parole sentì un'ondata di calore riempirgli il petto, e dovette trattenersi dal correre giù per le scale, euforico. Nadine, forse sto guarendo, si ripeté come in un sogno.

Florian aprì il portone del palazzo verso l'esterno, scendendo sul marciapiede bagnato dalla pioggia. L'aria gelida di quel pomeriggio di dicembre non gli sembrò poi neanche tanto fredda.

Alzò il viso sotto il leggero scrosciare delle gocce, evitando di aprire l'ombrello ad aria compressa. Le stille d'acqua gli bagnarono la fronte, il naso, le cicatrici, le labbra. Si lasciò silenziosamente baciare dalla pioggia, sentendosi un'anima nuova in un involucro vecchio.

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