²⁵. 𝘓𝘦𝘨𝘢𝘮𝘦

Il fuoco crepitava debolmente nel caminetto, spruzzando di tanto in tanto lapilli scintillanti sul tappeto. La luce era abbastanza da permettergli di leggere senza accendere lampade, e il calore intenso gli aveva fatto abbandonare la coperta di pile su uno dei divani da lettura.

Florian aveva il naso immerso in un tomo di oltre mille pagine, come di consueto. Se ne stava a gambe incrociate cercando di ricordare, ogni tanto, di sgranchire le articolazioni. Aveva lasciato aperta la grande finestra affianco al telescopio, e un rivolo di brezza invernale pungente gli fece alzare lo sguardo.

Il cielo si era fatto lattiginoso e compatto, come se si fossero sovrapposti diversi banchi di nebbia. Ian si aggiustò gli occhiali sul naso e si rimise a cercare la riga che aveva lasciato a metà. Fu interrotto nel suo compito da un suono grave, che tagliò in due il silenzio tranquillo che aleggiava nella sala.

Si girò verso il pianoforte, sorridendo. Dianne aveva accasciato la fronte sui tasti delle ottave più a sinistra, lasciando che quel suono drammatico esprimesse la propria sconfitta.

La donna aprì gli occhi e notò che lui la stava fissando. – Scusa – biascicò, risollevandosi. – Continua pure a leggere. –

– Non ti preoccupare – rispose Florian, lasciando il libro a pancia in giù sul pavimento.

Si avvicinò a lei, posando una mano sul nero laccato dello strumento. – Qual è il problema? –

Io – rispose Dianne. – Non riesco a "trovare" le canzoni come fai tu. È frustrante. –

Florian sospirò, e lei gli fece spazio sullo sgabello. – Vediamo –, le disse.

Qualche tempo prima, durante una delle loro conversazioni, Ian si era lasciato sfuggire di aver imparato a suonare facendo pratica in biblioteca, durante gli interminabili pomeriggi da solo. Dianne aveva subito iniziato a insistere affinché lui suonasse qualcosa, ed era rimasta stupita quando aveva visto le sue dita volteggiare sui tasti senza ausilio.

Florian le aveva spiegato di saper suonare a orecchio, e che non era assolutamente capace di leggere uno spartito. La donna aveva quindi tentato di farsi insegnare a riprodurre le melodie, ma ancora non aveva raggiunto alcun risultato.

Dianne frequentava la biblioteca da circa un mese. Dopo le sommosse, i due si erano salutati senza darsi ulteriori appuntamenti. Non si erano scambiati i numeri di telefono, e Florian non aveva idea di dove avrebbe potuto cercarla.

Per un po' si era serrato in un limbo di confusione. Da un lato si era sforzato di non costruirsi alcuna aspettativa, dall'altro si era ritrovato a indulgere sin troppo al pensiero di quella donna così interessante e viva. Eddie gli aveva suggerito sia di non idealizzarla troppo, sia di non sperare che sarebbe tornata.

E così, si era imposto di dimenticarla, sforzandosi allo stremo. Lo aveva fatto per sé stesso: sapeva da tempo che riporre le proprie speranze in qualcuno di esterno lo avrebbe solo ferito. Non aveva intenzione di far calare la propria corazza a trentasette anni suonati, e per giunta per una donna con la quale aveva passato meno di due giorni.

Due settimane dopo il Quadrante aveva sentito bussare al portone della biblioteca. Era corso ad aprire, contento di accogliere il primo utente di quella giornata solitaria. Si era trovato di fronte una donna avvolta in uno sciarpone, con i voluminosi capelli zuppi di pioggia.

– Hai intenzione di farmi entrare? – gli aveva chiesto, risvegliandolo dalla sua espressione inebetita.

Nell'istante stesso in cui aveva sentito il proprio cuore accelerare i battiti, Florian aveva compreso di non dover cercare ulteriormente di cementare l'entrata del baratro: ci era già caduto dentro da un pezzo.

Inizialmente Dianne si presentava in biblioteca un paio di volte alla settimana, sedendosi sul tappeto di fronte al fuoco per leggere. Ogni tanto si scambiavano qualche parola, girandosi attorno circospetti, in una danza di sguardi e silenzi. Il peso di quello che si erano detti quella sera addensava l'aria tra loro, così come il ricordo delle loro mani unite.

Lentamente, una parola alla volta, iniziarono a ricordare, a ipotizzare, a suonare, a stendersi a pancia in su per fissare le costellazioni dipinte, assecondando l'incapacità di Florian di osservare quelle vere. Ian ci mise qualche giorno ad accorgersi che persino le visioni di sua sorella Nadine, che gli si affacciavano alla mente soprattutto al lavoro, sembravano essere svanite nel nulla. Tanto faceva la presenza di lei.

Per quello, e per molto altro, le rivolse un ringraziamento silenzioso anche nel momento presente.

– Hai provato a cantare la melodia? – le chiese.

Dianne sbuffò. – Ti prego. Lo sai che ho una voce tremenda. –

– A me piace – si fece sfuggire lui. Cercò di fare il vago e si aggiustò un po' meglio sul sedile, scostandosi dal punto in cui le loro gambe si sfioravano.

– Comunque sarebbe un buon esercizio. Basta avere un po' di pazienza. –

– Non so di cosa tu stia parlando – disse lei, sorridendo leggermente. Florian sogghignò: sapeva che quella virtù le mancava del tutto.

Dianne decise di alzarsi, attirata dal cielo bianco visibile dalla grande finestra. Si sporse leggermente verso l'esterno, allungando una mano nel vuoto.

– Sta nevicando! – disse girandosi verso Ian, contenta come una bambina. Lui si alzò a sua volta, avvicinandosi per osservare i fiocchi di neve cadere silenziosi e dipingere la strada di bianco. Solo quella stessa mattina era uscito con una semplice camicia e dei pantaloni di cotone, ma ormai si era rassegnato a quegli sbalzi di temperatura, che tempo prima lo esasperavano.

– Sarà difficile riuscire a tornare per cena ­–, le disse.

– Allora non farlo – rispose lei. – Potremmo cenare da qualche parte. –

Florian provò un lieve formicolio nello stomaco. – Intendi insieme? –

– No, separati – disse Dianne, roteando gli occhi.

Lui si sentì tremendamente stupido, e si costrinse a calmarsi.

– Ma certo, perché no – fu tutto quello che riuscì a risponderle.

Dianne lo guardò scuotendo la testa, e a lui parve di notare un piccolo guizzo divertito in fondo ai suoi occhi chiari.

***

– Un tavolo per due, per favore – disse Florian al cameriere, che lo fissò strabuzzando gli occhi più volte. Sembrava essere un po' più grande di Eddie, d'altronde non avrebbe potuto essere altrimenti, dato il mestiere usurante. Li fece accomodare a un minuscolo tavolo in fondo alla sala.

La pizzeria che avevano scelto si trovava appena fuori dalla zona B, in una casetta incastrata tra due grattacieli malmessi. L'interno era abbastanza spoglio, e Florian notò un vecchio androide-cameriere in disuso accasciato in un angolo. Sul suo volto siliconato era ancora congelato uno sguardo cordiale.

– Hai visto come ci ha guardati quello? – disse Dianne, sedendosi sulla claudicante sedia di legno. Florian prese posto a sua volta, accendendo il menu olografico. "No stampante 3D - veri pomodori di serra!" lesse sullo schermo, a caratteri cubitali. Ci credette poco.

– Sarà stato per le mie cicatrici, come al solito – le rispose.

Fece scorrere ancora la lista di pietanze con lievi movimenti delle dita, leggendo altre scritte come "liofilizzato" o "diluito è saporito".

– Io invece credo che abbia capito che siamo Attenzionati. Te l'ho detto che si nota. –

Florian alzò le spalle, dubbioso. Ordinarono le proprie pizze, e furono serviti quasi subito. Quando il ragazzo si avvicinò nuovamente al tavolo, Ian notò che aveva mantenuto il suo sguardo stupefatto. Dianne si sporse a guardarlo in tralice, iniziando intanto a mangiare la pizza con le mani. Lui decise di imitarla, lasciando le posate che aveva preso automaticamente. Dianne notò divertita quel cambiamento, e parve abbandonare la propria irritazione.

– Allora... Da quant'è che non uscivi con una donna? – gli chiese, con la bocca piena.

Florian portò una mano ad arricciarsi i capelli, ormai abbastanza lunghi da poterli legare in un codino, come faceva a vent'anni. Cercò di trattenersi dal chiederle se quella cena fosse diventata un appuntamento.

– Sei, sette anni. –

Dianne sgranò gli occhi. – Pensavo fossero molti di più. –

– Grazie tante – le rispose, fingendosi risentito.

Lei alzò le mani per scusarsi, rischiando di sporcarsi il maglione di sugo. – Senza offesa. –

– Figurati – la rassicurò. – Non sono chissà quanto attraente, o avvicinabile. –

– Ti sbagli – disse lei, puntandogli contro il trancio di pizza molle. – Sei bello, e poi sei interessante e intelligente. A me piacciono le persone intelligenti, anche se vorrei non lo fossero più di me. –

Ian cercò di farsi scivolare addosso quelle parole senza arrossire. Sei bello. Lei sembrò non farci caso.

– E comunque ti ho battuto – disse. – Saranno dieci anni che non lego con nessuno. –

– Come mai così tanto? – le chiese, sorvolando su quell'espressione enigmatica.

Dianne sembrò rabbuiarsi. – Non sono brava a stringere legami. Consumo le persone troppo in fretta, annoiandomi di loro a cicli continui, soprattutto se sono troppo diverse da me. A volte arrivo a odiarle. –

Stette in silenzio per un po', e Florian comprese che stava aspettando una risposta.

– A me non è mai capitato di odiare qualche partner... Al massimo, di sentirmi incompreso – rispose, tanto per dirle qualcosa.

– Per esempio? –

Florian sospirò. Era sempre così: lo prendeva in contropiede, usando dei brevi pretesti come esche, per poi cercare di portare qualcosa a galla dentro di lui.

– Ti ho già parlato di Amélie, vero? –

Dianne annuì, e Florian fu contento che non se ne fosse dimenticata, sollevandolo dal doloroso compito di rammentare la sua morte.

– Eravamo entrambi attivisti pro-Estinzione. Anche se avevamo solo vent'anni, mi piaceva. Era una persona brillante, interessante, volenterosa. Amavamo gli stessi libri, la stessa musica, gli stessi film. Passavamo bei momenti insieme, ma presto capii che era priva di empatia, e questo la rese estranea ai miei occhi. Era una persona fredda, e fingeva benevolenza per ottenere ciò che voleva. –

Ian si soffermò a riflettere su come la principale differenza tra Amélie e Dianne stesse proprio nella mancanza di maschere da parte di quest'ultima. Quando ti disprezza, stai pur certo che lo saprai.

Guardò la donna che aveva di fronte, chiedendosi se stesse intuendo quanto fosse faticoso per lui quel discorso. Aveva impiegato anni di tormentate riflessioni per riuscire a rivalutare la figura di Amélie, senza cedere alla paura di insultare la sua memoria.

– Il punto è che sentivo sempre uno "scarto" quando ero con lei. Mi adeguavo ai suoi atteggiamenti, e a casa mi guardavo allo specchio senza riconoscermi. E così è stato anche in seguito all'Espiazione. Sono uscito con qualcuna, ma ho continuato a percepire ogni volta un qualche "pezzetto" sbagliato che mi portava a ritrarmi, sino a quando non ho creduto di essere sbagliato io, che non mi accontentavo mai. –

Florian a quel punto pensò di aver parlato sin troppo. Si zittì, scrutando l'espressione enigmatica sul viso di Dianne. Le pizze giacevano di fronte a loro, raffreddandosi irrimediabilmente.

– Perché dovresti accontentarti? – gli disse lei, risvegliandosi. – In questa società tutti credono che, aspettando la fine dell'umanità, legarsi a qualcuno di mediocre sia preferibile alla solitudine. Cazzate. –

Dianne riagguantò la sua fetta di pizza.

– Stavo con una persona del genere, prima dell'Espiazione – disse, masticando. – Uno che desiderava semplicemente non stare da solo. Procreatore convinto. Diceva che senza figli la vita gli sembrava un semplice "passare il tempo" sino alla morte. Ma non è sempre stato così? –

Florian non seppe come rispondere a quella domanda. – E tu, ovviamente, non volevi figli – disse invece.

– No. E bisognava sbrigarsi, con l'Espiazione alle porte. Solo che quando lui scoprì che non avevo intenzione di dargli un figlio, mi lasciò. Per lui non ero una persona, ma solo un mezzo. –

Ian ammirò l'espressione fiera di lei, pensando a quanto fosse diversa da quelle donne che dopo l'Espiazione si erano sentite svalorizzate perché impossibilitate a generare una nuova vita. Ricordò gli orrori contro le madri dei LaBo, spesso uccise da altre donne invidiose delle loro gravidanze. Sapeva che Hania, la madre di Eddie, era morta proprio in quel modo.

– Mi dispiace – si trovò a dirle, non sapendo cosa aggiungere.

Dianne sogghignò. – Ormai è passato. E un'umanità che non ha un futuro probabilmente non ha neanche un passato. Potrebbe valere anche per noi. Potremmo dimenticare tutto e andare avanti. –

– Magari fosse così semplice – le rispose.

– Intanto oggi ti ho trascinato fuori, e ci stiamo godendo questa orribile pizza – disse lei. Dianne fece sventolare il proprio trancio fino a lanciarsi del sugo sul jeans, imprecando a mezza voce.

Florian si gustò la scena con un sorrisino, sentendosi improvvisamente leggero.

***

L'auto di Ian era parcheggiata con le quattro frecce accese, che illuminavano di un rosso tenue la neve posata sul marciapiede. La caserma di fronte alla quale abitava Dianne se ne stava buia e minacciosa dall'altro lato della strada. Florian non poté fare a meno di sentire una leggera ansia mordergli lo stomaco, e si guardò attorno sopprimendo la voglia di fuggire via.

Dianne, al contrario, sembrava perfettamente a proprio agio. Appena scesa dall'auto, si avvicinò furtivamente a lui, con una mano dietro la schiena.

Florian non ebbe il tempo di chiederle cosa stesse combinando, che fu colpito in pieno volto da una palla di neve. Sentì i propri occhiali traballare, e in sottofondo la risata di Dianne risuonare cristallina nella notte. Si pulì il viso alla bell'e meglio, sorridendole.

– Ma quanti anni hai? –

– Due meno di te – rispose lei, preparando un'altra palla di neve.

– Sicura che non siano "due" e basta? – le disse, abbassandosi a sua volta per raccogliere un mucchietto bianco dal marciapiede.

Si fecero una decina di lanci, ridendo e nascondendosi dietro le auto parcheggiate. A un tratto, Florian notò accendersi una luce all'interno di una delle case circostanti, e posò per terra l'ultima palla senza lanciarla.

– Stiamo facendo troppo chiasso –, le disse.

Sentì di avere il fiatone, e guardò una Dianne stremata a sua volta, con le guance arrossate dalle risate. Nei suoi capelli vaporosi si erano nascosti piccoli fiocchi di neve, che scintillavano alla luce dei lampioni. Rimase a fissarla per un tempo interminabile, estasiato. Maledizione, pensò.

Dianne si guardò attorno a sua volta. – Sì, dai, non voglio problemi coi vicini. Allora ci salutiamo? –

– Per oggi sì. –

– Va bene. –

Florian allungò il braccio per la loro consueta stretta di mano. Dianne però la prese di scatto, e con una forza inaspettata lo attirò a sé, incastonandosi nel suo cappotto come una gemma. I suoi capelli gli solleticarono il mento, e le loro mani fredde si strinsero in un grumo di dita, schiacciate e protette dai loro corpi.

Lui rimase immobile. Poi, come guidato da un sapere ancestrale, chiuse gli occhi, e in parte anche la mente. Strinse attorno a lei l'altro braccio, prendendo ad accarezzarle i capelli. Non gli importò che le sue mani fossero tozze, rigide e spaccate dal freddo. Le mosse comunque, scoprendole più delicate di quanto ricordasse.

Scese ad accarezzarle il viso, sentendolo bruciare sotto i propri polpastrelli ruvidi, sentendosi bruciare lui stesso, come se scintille di fuoco gli si dipanassero dalla punta delle dita.

Lei si rianimò accogliendo le sue carezze, e fece la stessa cosa con la propria mano rimasta libera, provocandogli piccoli brividi sul retro della nuca. Gli percorse la mascella, disegnandola coi propri movimenti, saggiando ogni centimetro della sua barba, del suo naso, delle sue labbra. Ridandogli vita un po' per volta, alla cieca, beandosi di ogni tremolio che la pelle di lui le restituiva al tatto.

Stettero in quel modo, senza chiedersi quanto tempo stesse passando. Le altre mani, ancora nascoste in una stretta, sembrarono pulsare come un cuore fra loro.

Ian riaprì gli occhi, e si sentì irradiato da un calore che non credeva di poter ancora provare. Percepì i suoi occhi appannarsi, e si morse la lingua per evitare di piangere. Da quanto tempo non mi sentivo così?

Dopo qualche minuto si staccarono, e vide gli occhi di lei lucidi allo stesso modo. Le loro dita si separarono, così come le loro strade per quella sera.

Quando la vide sparire dietro il portone di casa sua, rimase per qualche minuto a fissarsi le mani, respirando col fiato condensato nell'abitacolo dell'auto. Florian si sentì galleggiare in uno strano torpore. Si scorse di sfuggita nello specchietto, e incontrò lo sguardo meno vuoto che avesse visto da vent'anni a quella parte.

Si osservò un'ultima volta, sorridendosi malinconico. Poi posò la fronte sul volante, sentendo il proprio viso bagnarsi di lacrime.



Angolino

Ma quanto sono venute bene queste immagini? Piango. Grazie alla AI di Bing

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