⁹⁴. 𝘍𝘶𝘨𝘨𝘪𝘵𝘪𝘷𝘪

Non ci posso credere, pensò Dianne, bloccando nuovamente la porta con la cassettiera di massello. Dannato Nicholas.

I nuovi arrivati si fecero immediatamente largo nel magazzino, schivando i mobili mangiucchiati dai tarli e le pile di scartoffie che affollavano il pavimento. Nicholas aiutò la ragazza con la gamba rotta a sedersi su una poltrona sfondata, inginocchiandosi davanti a lei per osservare la ferita. La sua pelle bruna le ricordò quella di Mauryce Davis, il cui corpo era rimasto a marcire nella saletta per le Rievocazioni. Anche se a quest'ora i suoi cani in divisa lo avranno già trovato.

Dianne distolse lo sguardo, gettandolo sul ragazzino sdraiato a qualche metro da lei. Nicholas e la Pre coi capelli corti l'avevano sistemato al centro della stanza, posandogli la testa su uno straccio appallottolato. Dal momento che il suo petto continuava ad alzarsi e abbassarsi con ostinazione, doveva essere semplicemente svenuto.

Tutta quella situazione non le piaceva neanche un po'. Da quando erano scappati da Marwoleth, avevano impiegato sin troppo tempo a trovare un rifugio decente. Avevano assistito sia al secondo aumento delle cifre sui Quadranti, sia all'inizio delle sommosse. Essendo fuggitivi, avevano scartato velocemente l'idea di rimanere in strada, assieme a quella di tornare da Tobias. Con la caccia all'uomo che sarebbe seguita alla morte di Davis, rischiavano di metterlo ulteriormente in pericolo. Avevano quindi deciso di attendere che si calmassero le acque, rimanendo nascosti al sicuro in quel vecchio magazzino. Almeno sin quando Nicholas non aveva aperto la porta a quei tre.

Dianne sbuffò, irritata. La prossima volta che mi dà dell'impulsiva, gli spacco la faccia.

- Come vi chiamate? - stava chiedendo l'anziano alla ragazza dalla pelle scura, sciogliendole la garza con delicatezza. Nonostante l'avesse già rassicurata più volte di essere un medico, lei continuava a esibire uno sguardo diffidente.

Nicholas raccolse un tubo di ferro dal terreno, avvolgendolo alla bell'e meglio con uno dei veli da Levatrice di cui Dianne si era liberata. Lo accostò alla gamba ferita, verificando che fosse della stessa lunghezza.

- Non dovete preoccuparvi. Vi ho sentite parlare, là fuori. Anche noi siamo dei fuggitivi - disse, pacato. - Siamo scappati da una clinica un paio di giorni fa.

Legò la stampella raffazzonata all'arto della ragazza, cercando di non premere troppo. Dianne alzò gli occhi al cielo, esasperata dalla sua solita sincerità.

La Pre dagli occhi a mandorla si alzò in piedi, con le dita avvinghiate saldamente a quelle del ragazzo svenuto. - Anche noi siamo fuggite da una clinica - mormorò, scambiandosi un'occhiata intensa con la compagna. - Volevano costringere mio fratello a fare una RA, e così l'abbiamo portato via. I Sorveglianti ci hanno sparato addosso.

Dianne sollevò un sopracciglio, cercando sul viso della ragazza un qualche segno di menzogna. Che importa, lasciò perdere infine, indifferente. Tanto presto ci separeremo.

Nicholas non fece commenti e si sollevò, facendo schioccare le articolazioni. - Ecco fatto - disse alla ragazza ferita. - Per ora farai meglio a tenerla scoperta. Anche se non posso assicurarti nulla, purtroppo.

La Pre in piedi si accigliò, guardandolo di sbieco. - Che significa?

L'uomo si accasciò sul bracciolo della poltrona, sospirando. - Significa che, se dovesse infettarsi, potrebbe anche doverla amputare.

Nel magazzino calò il silenzio, sporcato dal suono del respiro mozzato delle due ragazze. La bruna si portò le mani al volto, posando il collo sul tessuto logoro della seduta. - Lo immaginavo. Pazienza.

- Ma Ann, come...

- Me la caverò - la zittì la ragazza di nome Ann, rivolgendole uno sguardo significativo. L'altra ammutolì di colpo, forse pentitasi di aver spifferato il nome della compagna con tanta leggerezza.

- Io mi chiamo Nicholas, comunque - disse l'anziano, rendendo il favore per attenuare l'atmosfera. - E lei è...

- Jo - disse Dianne, battendolo sul tempo. Non aveva di certo intenzione di rivelare il suo vero nome, non quando si era appena lasciata un omicidio alle spalle. Nonostante facesse male, usare un nome simile a quello del suo gemello le venne spontaneo come respirare.

- Io sono Yae - disse l'altra Pre, chinando il capo. - Vi ringrazio infinitamente per averci accolti.

- Nessun problema - sorrise Nicholas, stirando le mani verso l'esterno. Dianne lo vide avvicinarsi al ragazzino dai capelli corvini, voltandogli il capo con cautela per osservarne la fasciatura.

Dalla corporatura non poteva avere più di diciassette anni, rifletté. È sicuramente un LaBo. Se era vero che l'avevano salvato da una RA invasiva, allora l'ipotesi che si trattasse del co-abitante scomparso di Florian non era poi tanto remota. Tanto vale chiedere.

- E lui? - domandò, prima di pentirsene. - Qual è il nome del ragazzo?

Yae prese la parola, sfoggiando un'espressione mogia. - Si chiama Hermes.

Dianne sentì i muscoli sciogliersi di colpo. Non è Eddie. Era quello il nome del LaBo che cercava, l'unico collegamento che ancora le rimaneva con Ian. Lui, oppure il ragazzino che, a detta di Florian, Eddie aveva l'abitudine di trascinarsi sempre dietro. Un certo Ray, o Rei. Nonostante non ne ricordasse il nome preciso, perlomeno era certa non si chiamasse Hermes.

- Che cosa sta succedendo là fuori, signore? - chiese Ann, accucciando l'altra gamba sulla poltrona. - Perché le persone sono scese in strada?

Nicholas si acquattò verso il muro, facendole spazio. La luce che filtrava dall'unico lucernario della stanza rese i suoi capelli simili a un'aureola incandescente.

- C'è stata un'altra anomalia nei Quadranti - spiegò, incupito. - Questa volta il numero è aumentato di più cifre alla volta. È probabile che si tratti di un malfunzionamento, ma dubito che la gente vorrà sentir ragioni.

Le due rimasero in silenzio, raccogliendo impassibili quelle informazioni.

- Con tutti questi Sorveglianti in giro, fareste bene a rimanere qui ancora per un po'. Abbiamo del cibo, se volete. E anche qualche medicina.

L'uomo tirò fuori la sacca che avevano recuperato a casa di Tobias, e che l'anziano aveva insistito per riempirgli con più provviste del necessario. Ne estrasse un pacco di gallette pressate, assieme a delle patate disidratate e a delle stecche proteiche.

- Non è molto, ma servirà a farvi recuperare le forze - disse.

Per un po' mangiarono senza dire nulla, saggiandosi i volti a vicenda. Il silenzio assordante evidenziava ancora di più le urla dei rivoltosi, che filtravano nel magazzino attraverso la presa d'aria. L'unico che sembrava davvero a suo agio era Nicholas, che continuava a elargire sorrisi rassicuranti alle due Pre, impegnate a gettare invece qualche occhiata di soppiatto verso di lei.

Visto, Florian? Pensò Dianne, mesta. Quelli come noi hanno il Disallineamento scritto in fronte.

Stanca di essere scandagliata in quel modo, si avvicinò alla crisalide addormentata di Hermes, con la scusa di spiare fuori. La verità era che quel ragazzo smunto e coi capelli arruffati le ricordava tanto Joseph. Nonostante avesse dei tratti orientali, la somiglianza fisica era innegabile. La fasciatura che aveva sulla testa, inoltre, era identica a quella che opprimeva il cranio del suo gemello dopo le maledette sedute di Riforma Avanzata. Le stesse sedute che, infine, l'avrebbero portato a desiderare la morte.

Dianne trasse un grosso respiro, lasciando che la polvere della ventola le volteggiasse pigramente attorno. Yae si materializzò accanto a loro, inginocchiandosi per scostare qualche ciuffo dalla fronte del fratello. In men che non si dica, anche Nicholas la raggiunse, con una confezione di gallette ancora in mano.

- Ho conservato qualcosa anche per lui - mormorò, cortese. - Per quando si sveglierà.

Il viso di lei si aprì in un sorriso triste. - La ringrazio.

Yae continuò a ciondolare accanto a Hermes, incapace di allontanarsi. Quando la vide tamburellare i polpastrelli sulle sue guance pallide, Dianne dovette voltarsi dall'altro lato, ferita da quell'affetto fraterno che a lei mancava da una vita.

- Che cos'hai lì? - disse a un tratto Nicholas, spezzando quell'incantesimo di dolore. Lei si girò nuovamente verso di loro, osservando lo psichiatra fare segno a Yae di avvicinarsi.

- "Viktor Melnyck" - lesse l'uomo a bassa voce, decifrando una scritta sul dorso della sua mano. - Perché ti sei appuntata questo nome?

Yae rimase interdetta per un istante. - Lo conosce?

- È un mio collega - rispose Nicholas. - Un medico psichiatra.

La ragazza si incupì. - Uno psichiatra... Dovevo immaginarlo - mormorò, tra sé e sé. - Una mia amica ci ha indirizzate da lui. Ma, oltre al suo nome, non ci ha detto altro.

Nicholas annuì, raccogliendo quelle parole. - Capisco. Potrei chiederti chi sia questa tua amica? - provò.

Yae abbassò lo sguardo sul pavimento. - Si chiamava Saryu Kumar.

Dianne sentì il cuore mancare un battito. Saryu. Non vedeva la sua psicologa da quando era stata rapita e portata a Larkhall. Nicholas le lanciò uno sguardo fugace: in fondo, durante la loro prigionia, gli aveva parlato più volte della sua dottoressa.

Notando le loro reazioni, Yae sembrò destarsi. - La conoscete?

Lei distolse gli occhi, fingendo di osservare le grate della presa d'aria. - Sì. È la psicologa che mi hanno assegnato all'ospedale civile.

Un dubbio la assalì di colpo. - Hai detto "si chiamava".

Ann si tirò un ginocchio al petto, a disagio. - Già. Saryu non c'è più.

Dianne sentì qualcosa spaccarsi. Saryu era capitata sulla sua strada solo per caso, diversi anni prima. Eppure, da quando era stata Attenzionata, era una delle poche persone ad averla trattata con rispetto e gentilezza. Parlare con lei le aveva sempre fatto bene, per quanto spesso le loro sedute terminassero con ostinati silenzi e uscite nervose da parte sua. Quella donna dall'aria pacata l'aveva supportata e sopportata ogni singola volta, elargendole consigli e sorridendo complice quando lei le smozzicava qualche aneddoto sul suo "pianista". E adesso è morta.

Prima ancora che potesse realizzarlo, una lacrima solitaria le rigò la guancia, straripando senza permesso dai suoi occhi. La asciugò con rabbia, graffiandosi il volto con la manica. Joseph, Florian, Saryu. La lista di persone della sua vita alle quali non era riuscita a dire addio stava iniziando a diventare schifosamente lunga.

- Mi dispiace, allora. Condoglianze - disse Yae, lieve. Dianne le lanciò un'occhiata truce, innervosita dalla compassione che grondava dal suo tono.

Tanto per fare qualcosa, si mosse lungo la stanza, andandosi ad accasciare su uno stuolo di scatoloni appiattiti. Tirò un lungo sospiro, cercando di ignorare gli occhi puntati su di lei.

- Yae - esordì, incrociando le braccia, - Saryu ha detto qualcosa prima di morire?

- Sì - rispose la ragazza. - Mi ha aiutata a trovare Hermes, e subito dopo mi ha dato il nome di Viktor. Credo intendesse mandarci in un luogo sicuro, per permetterci di far riprendere mio fratello in tranquillità.

Dianne annuì, pensierosa. Sempre così altruista.

- Signor Nicholas - disse Ann, richiamando la loro attenzione. - Lei saprebbe dirci dove trovare quest'uomo?

Nicholas si corrucciò, rispondendole con un tono ovattato. - Non saprei. Non ho contatti con Viktor da un bel po', ormai. Anche lui faceva parte del comitato dei Neuropsichiatri, ma non ha mai rigettato apertamente le linee guida della Regime. In questo è stato più furbo di me - disse, mettendo su un sorriso colpevole. - Negli ultimi mesi, però, ci sono state sin troppe purghe da parte della Chiesa. Potrebbe anche essere stato denunciato, o arrestato come dissidente.

Yae si strinse nelle spalle, tremolando. - Quindi non possiamo fare nulla per rintracciarlo?

- Qualcosa si può fare - disse l'anziano. - Controllare direttamente a casa sua. Posso darvi il suo indirizzo, se volete.

- Sul... Sul serio? - chiese Yae, incredula.

- Certo. Abita nella zona C, isolato 2. Da qui impiegherete circa mezz'ora di cammino. Anche se tu faresti bene ad andare prima in ospedale, se non vuoi perdere la gamba - concluse Nicholas, puntando un dito contro la ragazza ferita.

Ann sospirò leggermente, assestandosi meglio la stampella. - Impossibile. Là fuori c'è un inferno, e io sono una fuggitiva. E poi, anche se non lo fossi, non potrei comunque accedere al pronto soccorso - confessò. - Ormai non esiste più alcuna ID a nome mio.

- Com'è possibile? - chiese Nicholas, perplesso. - Anche tu sei stata... "Cancellata" da loro? Dalla Chiesa?

La ragazza sorrise malinconica. - Più o meno. Diciamo pure che mi sono cancellata da sola.

Dianne la fissò in tralice. - Parla chiaro - intimò. - Noi l'abbiamo fatto, con voi.

Ann sembrò pensarci su un istante, e si consultò con Yae a suon di occhiate traverse. Dopodiché, ricominciò a parlare, afflosciata come una bambola di pezza.

- Mio padre è il Ministro dell'Interno. Mauryce Davis.

Il mondo si fermò. Dianne sentì la testa scoppiarle, colpita da una miriade di esplosioni biancastre. Le parole del Ministro le risuonarono nel petto, riducendole il cuore a brandelli: "lasciami vivere, ho una figlia". Era sicura che, se non fosse già stata seduta sul pavimento, si sarebbe accasciata miseramente a terra.

Le due parvero interpretare quella reazione come un semplice timore del Regime. Dopo qualche istante di smarrimento, Ann proseguì il proprio racconto.

- Non lo vedo da quando avevo sei anni. È stata mia nonna a portare me e mia madre via da lui - disse. - Abbiamo vissuto insieme da fuggiasche, sin quando mia madre non è stata uccisa.

Lei ascoltò attentamente, rimanendo in silenzio. Nicholas, al contrario, si schiarì la voce per parlare.

- Che cos'è successo con tuo padre? - osò. - Perché siete fuggite?

- Divergenze d'opinioni. Il bastardo aveva l'abitudine di picchiare mia madre, e a quanto pare voleva vendermi come sposa a un qualche balordo della Chiesa del Giudizio.

Dianne si riscosse dal proprio torpore, assimilando quelle parole al vetriolo. Vide Nicholas stringersi le mani in un grumo, evitando di rivolgere il viso verso di lei.

- Perciò... Tu lo odii? - chiese, impassibile.

- Non saprei. Ho avuto paura di lui per tanto tempo... Ma odiarlo significherebbe solo fare del male a me stessa - rispose Ann. - Per lui nutro solo pietà e indifferenza. Quello dell'odio è un peso che non voglio più portare addosso.

Nicholas si aprì in un luccichio incuriosito. - Sembri parlare per esperienza.

- È così - rispose lei, incurvando le sue labbra carnose. - L'ultimo uomo che ho odiato è riuscito a farmi cambiare idea. Mi ha fatto capire che il confronto è fondamentale, per riuscire a comprendersi.

- Parole sagge - assentì l'anziano. - Dev'essere stato un confronto faticoso, se ti ha fatto realizzare una cosa del genere.

- Molto faticoso - sbuffò Ann. - Metterlo K.O. è stata un'impresa.

Yae si lasciò sfuggire una risata sommessa, mentre Nicholas si esibì in uno sguardo sinceramente confuso. Suo malgrado, Dianne si sentì rincuorata. Un omicidio rimaneva un omicidio, ma perlomeno la figlia di Mauryce Davis non lo avrebbe pianto, e la sua vita non aveva nulla a che fare con quella del padre.

A un tratto, le sovvenne l'idea che Nicholas potesse aver spinto Ann a parlare solo per dimostrare qualcosa a lei. Come a volerlo confermare, l'anziano le si avvicinò di soppiatto, stringendole la spalla con fare paterno. Lei gli rispose con un'occhiata sospettosa, salvo poi farsi scappare un sorriso colmo di gratitudine.

Dannata volpe. Non volevi che mi sentissi in colpa, eh?

Prima che potesse avere il tempo di sussurrargli un qualche rimprovero, fu distratta dall'espressione perplessa di Yae, che si accostò alla presa d'aria con fare circospetto.

- Ascoltate - disse, portandosi un dito alle labbra.

Loro obbedirono, richiamati dal suo volto concentrato. Dianne si avvicinò a lei, appiattendo i capelli corti sull'intonaco scrostato.

- Ma non si sente nulla - rispose.

- Esatto - confermò Yae. - Le urla si sono fermate.

Si scrutarono tutti a vicenda, ciondolando nervosamente sul posto. Dianne prese la parola, calamitando ogni sguardo verso di sé.

- Dovremmo andare a controllare - esordì, esternando il pensiero comune.

Ann si agitò sulla poltrona, cercando di ottenere una reazione dalla sua gamba inanimata. Dopo qualche secondo lasciò perdere, emettendo uno sbuffo frustrato.

- Jo ha ragione. Uno di noi deve uscire a vedere - ribatté. Dianne impiegò qualche istante a realizzare che stesse parlando di lei.

Yae si sollevò dal pavimento, tormentandosi le mani. - Ma non possiamo. Siamo tutti ricercati, qui dentro.

Ann e Nicholas non risposero, a disagio. Dianne scattò in piedi, scuotendo un po' di polvere dai jeans troppo larghi appartenuti al figlio di Tobias.

- Andrò io - annunciò, già rivolta verso la cassettiera di massello che bloccava l'entrata. Le due ragazze si scambiarono un cenno, mentre lei troncava sul nascere le proteste di Nicholas con un'occhiata minacciosa. L'anziano borbottò un verso esasperato, prima di spostarsi a darle una mano per liberare la porta.

- Una volta compresa la situazione, vi darò il via libera. Nicholas e Yae terranno la porta aperta per me, e Ann rimarrà a fare la guardia a Hermes - disse, fissandoli uno per volta. - Va bene?

L'anziano si portò una mano alla fronte, imitando un saluto militare. - Sissignora -, rise.

Lei sgusciò velocemente all'esterno, soffocando un insulto sardonico nei confronti dello psichiatra. Una volta chiusasi la porta di metallo alle spalle, sentì immediatamente il cattivo odore del vicolo aggrapparsi alle sue narici. Dribblò un paio di stracci ammucchiati per terra, graffiandosi una guancia per spiare oltre la parete infestata dai murales.

Il viale era deserto. Nei punti dove aveva visto i Sorveglianti e i manifestanti caricarsi a vicenda, ora sostavano solamente piccoli mulinelli di sporcizia, trascinati dal vento in pigre spirali. Le vetrate dei negozi spiccavano opache e tenebrose, e le porte divelte di una clinica a un centinaio di metri dal rifugio fendevano aguzze quello sfondo innaturalmente inerte.

Dianne camminò sino al centro della strada, inebetita. Il vento gonfiò la sua corona di ricci castani, infiltrandosi negli anfratti dei suoi vestiti troppo ampi. Gettò lo sguardo da ogni lato, cercando un rumore, un odore, un minimo segno di vita. E poi li vide.

I rivoltosi stavano in fondo alla strada, stretti e incollati gli uni contro gli altri. Sembravano osservare immobili un punto sopra di loro. Dianne strizzò gli occhi, cercando di aguzzare la vista. Scandagliò ancora la folla, rimanendo sorpresa quando notò alcuni Sorveglianti confusi assieme al resto delle teste incantate verso l'alto. Nessuno parve accorgersi di lei.

Senza che potesse avere il tempo di chiedersi alcunché, un ronzio sommesso annunciò l'inizio di una comunicazione unificata da parte della Chiesa del Giudizio. Attaccato alla facciata di un palazzo, un enorme schermo iniziò a rianimarsi, riempiendosi di glitch colorati. Infine mostrò un'immagine leggermente sgranata, registrata in formato 4:3. Solo che non si trattava del logo della Chiesa del Giudizio, né dell'affilato e odioso viso di Karl Abramizde. Il video sullo schermo mostrava il volto allungato di uno sconosciuto, impegnato ad assestare per bene una telecamera.

In men che non si dica, Dianne schizzò di nuovo all'interno del vicolo, schivando agilmente la spazzatura per bussare contro il metallo della porta. Senza proferir parola, tirò via Nicholas dall'interno del magazzino, trascinandolo oltre l'intercapedine. Con la coda dell'occhio, vide Yae fare la stessa cosa, sporgendosi cautamente a spiare l'uomo sullo schermo.

- Ci siamo? Sì, ci siamo - annunciò lo sconosciuto, sedendosi dietro una scrivania sbeccata e ingombra di cartacce. Incrociò saldamente le mani davanti a sé, mettendo su un sorriso rassicurante.

- Buongiorno. O forse buon pomeriggio, chi lo sa. Questa è una comunicazione che farà il giro del mondo, quindi mi scuso in anticipo per l'eventuale differita con la quale la riceveranno coloro che si trovano in Unione Latina, o nella Confederazione del Nord. Ho deciso di trasmettere questo messaggio in Inglese Standard, dato che si tratta della lingua più parlata tra voi due miliardi di esseri umani. Oppure, volendo essere onesti, perché non sono un grande traduttore.

L'uomo si passò una mano sul capo, spettinando i suoi capelli castani. A occhio e croce, non poteva avere più di una cinquantina d'anni. Dianne lo osservò rimettersi in posizione, senza staccargli gli occhi di dosso.

- Come molti di voi avranno intuito, io sono Oliver Krassner. Lavoro da circa vent'anni per proteggere coloro che il regime dittatoriale chiamato "Chiesa del Giudizio" ha deciso di far sparire dalla propria vista. Nel tempo, ho raccolto attorno a me migliaia di reietti, creando quello che probabilmente conoscete come "Lethe", l'Oblio. Un luogo che quei reietti hanno imparato a chiamare casa.

Yae emise un verso strozzato, e si sedette contro il muro a gambe incrociate. Lei non ci fece troppo caso, e proseguì ad ascoltare.

- Se state guardando questo video, vuol dire che i miei soldati sono riusciti a infiltrarsi all'interno del quartier generale della Chiesa, e che il Presidente Karl Abramizde si trova nelle mie mani. Anzi, conoscendomi, probabilmente a quest'ora potrebbe essere già morto. - Krassner fece una pausa, schioccandosi le nocche. - Be', buon per voi. Oppure, nel caso la vostra incrollabile fede vi stesse già facendo ribollire di rabbia, vi chiedo solo una possibilità. Lasciate che vi confidi qualche segreto.

Il volto di Krassner si dissolse, e sullo schermo iniziarono a comparire ologrammi su ologrammi di documenti ufficiali, zoomati una porzione alla volta. Su ognuno di essi si stagliavano nitidi sia il nome in calce di Abramizde, sia il logo stilizzato della Chiesa. La schermata tornò velocemente sul viso del ribelle, ora contratto in un'espressione indecifrabile.

- Questi sono solo alcuni dei documenti che la Chiesa del Giudizio ha deciso di tenervi nascosti in questi anni. Non preoccupatevi: i miei collaboratori stanno già lavorando per diffonderli sulla rete, cosicché voi possiate consultarli liberamente. Comunque, in sostanza, raccontano molte cose interessanti sul vostro amato Presidente. Per esempio, del suo progetto di effettuare un "reset" sull'umanità intera.

Dianne sentì qualche esclamazione provenire dal mucchio di persone in lontananza. Krassner si interruppe un istante, come se avesse previsto una reazione del genere.

- Esatto, un reset, un paradiso vuoto. Ma non si sarebbe mai spinto a sporcarsi le mani personalmente, no. Dopo l'esperienza delle sommosse post-Espiazione, il buon Presidente comprese che la carota è meglio del bastone, se si vuole governare a lungo. E così, oltre a togliervi la possibilità di procreare, decise di accelerare l'azzeramento iniziando con l'eliminare coloro meno in grado di difendersi: gli anziani e i Disallineati.

Krassner si incupì, offuscando i suoi occhi color autunno. - Per i primi creò un morbo ad hoc, che sono sicuro conosciate sin troppo bene. Attraverso vaccini, controlli e cure di routine, condannò tutti gli individui sopra i sessant'anni - esclusi gli oligarchi della Chiesa, ovviamente - a infettarsi col morbo di Met, portandoli alla morte entro un decennio. In questo modo sarebbe parso un processo naturale e inevitabile, e voi vi sareste affidati alle Conclusioni senza remore. I Disallineati, invece, preferì spaventarli e opprimerli, trasformando in amebe prive di memoria gli "irrecuperabili" che sarebbero emersi tra loro. Al momento queste persone lavorano in strutture nascoste, private di ogni diritto e lasciate solo con l'intelletto necessario a spingere un bottone o due, in modo da contribuire al sacro tessuto produttivo del Regime.

Dianne sentì un brivido risalirle nello stomaco, ricordando alcuni dei volti vuoti che aveva visto nella clinica di Larkhall, così come le notti insonni passate a chiedersi quando sarebbe giunto il suo turno di perdere ogni ricordo e ogni speranza.

- Ma forse queste cose le sapevate già. O, perlomeno, potevate immaginarle. Quindi, almeno in questo caso, ritengo che le immagini possano parlare più delle parole.

Krassner scomparve nuovamente dallo schermo, lasciando spazio al viso rugoso di un anziano. Aveva dei capelli color neve raccolti in una coda laterale, ed esibiva un sorriso pacifico. Le rughe sul suo viso raccontavano quasi un secolo di esistenza, ma su di lui non vi era alcuna traccia delle piaghe del morbo.

- Mi chiamo David, e ho ottantadue anni. Non sono ammalato di morbo di Met.

La schermata cambiò, e questa volta toccò a una donna minuscola e nervosa, infagottata in un hijab.

- Mi chiamo Mariyam, e ho novant'anni. Non ho il morbo di Met.

Piccoli filmati iniziarono a susseguirsi, ognuno con un volto, una storia, un sorriso diverso.

- Mi chiamo Klaus, sono nato nel 2020 e non sono ammalato.

- Mi chiamo Samuel e ho settantaquattro anni.

- Mi chiamo Martha e sono nata nel 2014.

- Mi chiamo Liese e sono del 1997.

La parata di volti sconosciuti si interruppe, tornando al volto mite di Oliver Krassner. L'uomo sospirò, riprendendo le redini del proprio discorso.

- Queste persone sono riuscite a fuggire prima di essere infettate. Da allora vivono come reiette qui nel Lethe, insieme a tutti i Disallineati che siamo riusciti a salvare. Gli abbiamo offerto asilo, assieme alle cure e all'assistenza di cui avevano bisogno. Ma, soprattutto, gli abbiamo dato la libertà di essere loro stesse.

Nicholas le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla. Dianne la percepì leggera sulla propria pelle, senza riuscire a focalizzarsi su altro che non fossero i nuovi volti che comparvero a schermo. Persone di ogni sesso, etnia, forma, età. Persone variopinte e sfumate, ognuna impegnata a proferire il proprio nome e la propria diagnosi. C'era Gabriella, che soffriva di disturbo dissociativo dell'identità. Lawrence, che aveva la sindrome di Tourette. Frances, un'anziana ammalata di schizofrenia. Damien, un ragazzo bipolare e magro come un chiodo. Le vite degli altri si susseguirono senza sosta, sin quando il video tornò sulla scrivania di Krassner, ora a braccia scoperte. Sulla sua pelle si stagliavano nette due cicatrici verticali, una per braccio. L'uomo terminò di arrotolarsi la camicia color panna, e si rivolse nuovamente alla telecamera.

- Mi chiamo Oliver e ho provato a togliermi la vita -, disse.

Quelle parole aleggiarono per un po' nel viale silenzioso, riecheggiando sulle facciate dei palazzi. Dianne le seguì, perdendosi in esse. Ormai non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quanto avevano iniziato ad ascoltare.

- Bene, signori. Direi che siamo giunti al termine di questo viaggio. Eppure, prima di chiudere, vorrei rispondere alla domanda che probabilmente molti di voi si staranno ponendo. Ossia: cosa ci guadagna la Chiesa del Giudizio?

L'uomo allargò le braccia, rendendo ancora più visibili i suoi segni biancastri. - Ebbene, ecco l'ultimo segreto che vi dirò oggi. Karl Abramizde non voleva fare solo terra bruciata attorno a sé: aveva anche il suo piano di riserva. Un ragazzo e una ragazza fertili, educati alle leggi del Regime e nascosti agli occhi del mondo; anche a quelli dei Quadranti. Per chi cerca ancora la verità sulla cifra in più di ottobre, la troverete nei loro volti.

Altri documenti affollarono nuovamente lo schermo, questa volta riportanti la dicitura "Progetto Stanza Bianca" in sovrimpressione. Incastonato tra le scritte, Dianne riuscì a scorgere il volto fugace di una ragazza dai lunghi capelli. Quando l'inquadratura tornò su Krassner, l'uomo si era già avvicinato alla telecamera.

- E con questo, direi che abbiamo finito. Qualunque cosa accadrà adesso, voglio che sappiate che sono con voi. Arrabbiatevi, indignatevi. Io vi attenderò alla fine della strada. Sino ad allora, buona fortuna.

Il filmato si bloccò di colpo, estinguendosi in una scintilla dorata. La mano di Nicholas le stringeva ancora la spalla, simile a una tenaglia di ferro. Dianne posò le proprie dita su quelle dello psichiatra, congelato in un'espressione terrorizzata. Lontano, i boati della folla ripresero a scoppiare, lacerando quella calma surreale ed effimera.

Yae sollevò il viso verso di loro, rigato da due lacrime nervose scure di fuliggine. Dianne vide le sue labbra schiudersi in un sussurro, che giunse affranto alla sua mente ovattata.

- Sta iniziando.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top