𝘌𝘱𝘪𝘭𝘰𝘨𝘰 - 𝘕𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘭𝘶𝘤𝘦 𝘥𝘪 𝘈𝘯𝘵𝘢𝘳𝘦𝘴
Florian guardava Nadya correre sul prato di fronte al portico, inseguita da sin troppe persone preoccupate. A tratti gli giungevano urla paranoiche e rimproveri smozzicati, subito coperti dai risolini tenaci della bambina, indifferente a tutto quel trambusto. Eddie aveva allentato la cravatta, che ora gli penzolava pigramente dal collo come un festone zuppo di pioggia. Ian l'aveva visto snodarsela quasi subito, dichiarandola ufficialmente "un cappio al collo".
Al contrario, Hermes indossava una versione meno spiegazzata della sua solita camicia bianca, e si era lanciato all'inseguimento della bambina assieme a Eddie. Ogni tanto Ian soffermava gli occhi sulla lunga cicatrice che aveva al lato della testa, e che in tre anni era riuscita a guarire abbastanza da permettere ai suoi capelli di ricrescervi attorno. Tuttavia, il ragazzo non aveva mai considerato l'idea di farsi un innesto di pelle in quella zona, e Florian era stato d'accordo.
Tra i tavoli imbanditi e le decorazioni di carta, vide aggirarsi Elsinore e Ann, già stanche di tallonare la bambina. La ragazza bruna camminava un po' impacciata dalla sua protesi di metallo, che fuoriusciva scintillante dal suo vestito leggero.
Il caldo di quella giornata di maggio si faceva sentire, e le cibarie che avevano ingurgitato erano bastate a far desistere tutti loro da qualsiasi tipo di attività festaiola. Liese, che aveva officiato la loro cerimonia civile, aveva avuto la splendida idea di portare del rarissimo vino come regalo di nozze. Il risultato era che gli invitati ora se ne stavano persi in un mondo di bollicine, tra pensieri e conversazioni frizzanti.
Florian schiuse un sorriso alla vista di Eddie, che faceva volare la bambina in alto sotto i richiami preoccupati di Hermes. Sentì Nadya ridere di gioia, coi capelli ormai lunghi quanto quelli del padre, ma mossi e castani come quelli di Nadine. Gli occhi, invece, erano azzurri come quelli di Eddie. Era vivace e solare, e osservarla giocare era sempre uno spettacolo. L'ultima bambina al mondo. Ian sentì il suo sorriso scemare un po' alla volta, mortificato da quella semplice verità.
L'inquietudine evidentemente doveva essere trasparita dal suo sguardo, perché vide Yae, che intanto si era affacciata accanto a lui sul portico, osservarlo preoccupata.
- A che pensi? - gli chiese, con un bicchiere di vino in mano.
- A nulla in particolare - le rispose. In qualche modo gli sembrò un déjà-vu.
- Davvero?
- Davvero. È già passato.
Yae alzò un sopracciglio, dubbiosa, per poi distendere di nuovo il volto in un'espressione tranquilla. Avevano imparato da tempo a rispettarsi i silenzi a vicenda.
La ragazza indicò il giardino ricolmo di margherite. - Guarda.
Eddie stava correndo con la bambina in braccio, sporgendosi poi per posarla sulle spalle di Hermes. Nonostante le stesse tenendo saldamente la schiena, l'altro prese comunque ad agitarsi, gesticolando concitato la propria preoccupazione. Eddie si gustò la scena ridendo a crepapelle, ignorando la pioggia di insulti e minacce. Poi prese il volto di Hermes tra le mani, scoccandogli un grosso bacio sulle labbra, che l'altro ricambiò con la fronte ancora aggrottata. Nadya si sporse ad afferrare i capelli biondi di suo padre, approfittando della vicinanza dei due.
Florian sentì il petto riempirsi di calore, e si portò un indice a grattarsi il naso, imbarazzato. Anche Yae sembrò felice di quella visione, e avvicinò il bicchiere alle labbra per bere un sorso.
- Come se la stanno cavando? - gli chiese, poggiando la schiena alla ringhiera.
- Meglio del previsto - rispose lui. - Anche se credo che quella bambina abbia sin troppi genitori, adesso.
Yae annuì. - E Dianne? Che ne pensa?
Florian sospirò. - Alla fine ha accettato che rimanessimo tutti insieme. Con Nadya e i ragazzi. Anche se ormai sono degli adulti, non voglio che Eddie la cresca senza alcun aiuto. Dianne non è affatto entusiasta di avere una "marmocchia" in giro per casa, ma credo che ci abbia preso gusto. Ogni volta Hermes deve impedirle di far salire Nadya su un albero, o di farle inseguire qualche animale. Come se già non bastasse Eddie a fare danni.
Yae sorrise, scuotendo la testa. - Secondo me invece la piccola si diverte un mondo.
- Ci puoi giurare. Vuole sempre stare con "tia Dann". Anche se da quando ho adottato Eddie legalmente, in realtà siamo sia i suoi zii, che i suoi nonni.
- Che caos - rispose lei, roteando la caviglia fasciata in un sandalo. - E adesso dove si è rintanata, "zia Dianne"?
Florian sbuffò, facendo fare un altro giro alle maniche della camicia azzurra. Le sue braccia scintillarono al sole, libere da qualsiasi tessuto, garza o polsino. - Dorme sul letto, ubriaca. La sua scorta di sopportazione delle convenzioni sociali dev'essersi esaurita per almeno altri due anni.
La ragazza rise, posando il bicchiere su una delle tavole imbandite. - Eppure, se non sbaglio è stata proprio lei a chiederti di sposarla.
Lui si sentì avvampare di colpo, ricordando i sassolini bianchi disposti sull'erba davanti al lago, uno dei loro luoghi preferiti tra quelle montagne. Dianne li aveva usati per scrivergli "vuoi sposarmi?", mettendo su uno sguardo furbo e scintillante. Quella volta lui aveva pianto tutte le sue lacrime, e avevano fatto l'amore così, sull'erba, rotolandosi tra le margherite come due adolescenti.
- Sono ancora convinto che fosse ubriaca anche allora - rispose, cercando invano di non far notare a Yae quello slideshow di follie che gli scorrevano dietro agli occhi.
La ragazza si strinse nelle spalle, gustandosi il suo imbarazzo. - Che sia un legame formalizzato o no, non ha importanza. Non ti ho mai visto così felice.
Florian sorrise, arricciando il naso. Allentò il nodo della propria cravatta blu, decidendo infine di sfilarsela. Eddie non ha tutti i torti. Sembra davvero un cappio.
Per un po' si persero a osservare i movimenti del resto degli invitati. Florian vide Elsinore avvicinarsi alle rose rosse accasciate sul fianco della baita, e che in quegli anni erano cresciute a dismisura, coprendo interamente le mura esterne. Accanto a esse stava un piccolo ceppo di legno, dipinto da Hermes su richiesta di Elsinore. Recitava: "Willas Dresner, 2070-2091. Una rosa senza spine."
- Adesso stai sicuramente pensando a qualcosa.
Florian si incanalò fuori dai propri pensieri. Fece un breve cenno col capo, indicando a Yae la figura di Elsinore, intenta a sfiorare i petali delle rose.
La ragazza sbirciò la ex-Levatrice. - Deve mancargli molto -, sospirò. - Vorrei che fossero qui a festeggiare con noi. Willas, Saryu. E anche Nadine.
Florian si irrigidì. Il ricordo del parto di sua sorella, culminato con la sua morte, era ancora troppo vivido e feroce dietro ai suoi occhi. Per settimane aveva creduto di impazzire, dilaniato dall'ironia di quella vita che gli aveva restituito Nadine solo per togliergliela un'altra volta.
- Posso farti una domanda? - disse Yae.
- Certo.
- La bambina. La vedi ancora?
Sapeva che Yae si stava riferendo alla sua allucinazione, e non alla piccola Nadya, che continuava a giocare felice di fronte a loro. Florian ingoiò un groppo d'angoscia.
- Raramente. E nonostante io l'abbia rivista nella sua versione "cresciuta", il mio cervello continua a prendermi in giro mostrandomela ancora a otto anni. Forse è perché non ho avuto il tempo di conoscere "Eve" come avrei voluto. - Strinse le dita sulla ringhiera, osservandole sbiancare al Sole. - Anzi, si può dire che tu sia stata sua sorella più di quanto io sia stato suo fratello.
- Non dire così...
- È la verità. Anche se non l'avevo mai lasciata andare del tutto, per me Nadine era comunque scomparsa da quasi vent'anni. Ed Eve era molto diversa da mia sorella, nonostante ne conservasse alcuni tratti. Amélie ne aveva fatto un involucro troppo fragile per la crudeltà di questo mondo. Ma il punto è che tu ci sei stata per lei, hai tenuto assieme i suoi pezzi. E di questo non ti ringrazierò mai abbastanza.
Florian le rivolse un sorriso gentile, che Yae ricambiò con una punta di malinconia. Vedendola corrucciarsi, si affrettò a virare il discorso, cercando di surclassare le risate degli ospiti.
- Comunque, alla fine ho chiesto a Nicholas di farmi smettere completamente con i farmaci. Non voglio più combattere le allucinazioni, né voglio illudermi che possano andar via. Suppongo di dover semplicemente imparare a conviverci.
Yae si voltò verso di lui. Un vento caldo traspirava tra le ciocche del suo caschetto, scompigliandolo.
- Su questo sono d'accordo - disse. - Anzi, a dirti la verità ci ho riflettuto sin troppo... Su tutta la questione del "conviverci".
Si poggiò il volto tra le mani, puntellando i gomiti sul corrimano.
- L'ho fatto pensando alle parole che Saryu ti aveva scritto su quel biglietto: "un giorno torneremo interi". Per un po' ho pensato di essere d'accordo con lei, e di dover solo attendere il momento in cui mi sarei guardata allo specchio senza spaventarmi delle mie crepe. Ma poi ho capito come il fulcro non fosse affatto "tornare interi", quanto accettare di essere rotti. Convivere col dolore, strattonandoci nell'esistenza con la consapevolezza di non dover affatto cancellare quello che siamo.
Florian sussurrò. - Disallineati.
- Disallineati - confermò lei.
La vide indicare le cicatrici sulle sue braccia, come a voler sottolineare le proprie parole. Ian contrasse le dita in un grumo, posandole sotto un flebile raggio di luce.
- Ci sto provando. Sto imparando... A volermi un po' più di bene - gettò fuori, prima di pentirsene. - Anche se i giorni in cui non riesco a guardarle sono ancora troppi. Però, una volta un uomo mi disse che sognava un mondo in cui le persone potessero andare in giro con le braccia scoperte. Diciamo che glielo dovevo.
Yae chinò il capo, pensierosa. - Un mondo di cocci e di cicatrici -, mormorò. - E che mi dici delle cicatrici di Dianne?
Florian sorrise. - Le sue sono un po' meno visibili.
Sciolse il sorriso in un'espressione triste, che era certo non sarebbe sfuggita a Yae. Tuttavia, l'attenzione della ragazza fu catturata da un punto oltre il parapetto.
- A proposito -, gli disse, puntando l'indice, - guarda un po' chi è uscito dal letargo.
Dianne aveva lo sguardo piantato sull'erba tagliata di fresco, ed era ricomparsa nel loro campo visivo solo per accucciarsi in disparte rispetto alla folla degli invitati. Un bicchiere di vino, già vuoto, volteggiava pigramente tra le sue dita, accompagnando i movimenti delle persone attorno a lei, intente a chiacchierare con i visi sfocati dall'ebbrezza.
Florian non ci mise molto a scorgere il disagio che le premeva addosso. Lo sbirciò nei suoi occhi, che tremolavano come il calore sull'asfalto, ma soprattutto nel modo in cui le sue spalle se ne stavano accartocciate su loro stesse, comprimendo il suo corpo in una linea sottile. Si rivolse contro un barlume di colpevolezza: non avrebbe dovuto lasciarsi distrarre dagli infiniti convenevoli imposti allo sposo.
- Va' da lei - disse Yae, intuendo i suoi pensieri. Lui la ringraziò a mezza voce, prima di imboccare le scalette di legno.
Si avvicinò di soppiatto, scansando i corpi e le risate che affollavano il giardino. Anche in quella veste stanca e avvilita, Dianne conservava una bellezza feroce che aveva sempre il potere di torcerlo verso di lei. Una bellezza che sua moglie (e quanto era strano, adesso, chiamarla così) spesso nascondeva sotto fronti aggrottate ed espressioni sprezzanti, ma che lui era riuscito a cavarle via a furia di baci e sorrisi, come intagliando una figura nel legno grezzo.
Una volta che la ebbe raggiunta, si accostò al divano di vimini, abbassandosi sino a spiare il suo viso imbronciato.
- Ehi - cantilenò, circospetto come di fronte a una volpe selvatica. Dianne alzò gli occhi su di lui.
- Stanca?
Lei distolse lo sguardo. - Sì - proruppe. - Non credo di poter più essere di compagnia.
Disse quella frase con cautela, come se la stesse trattenendo da un po'. Tuttavia, comprendere il suo stato d'animo gli risultò più semplice del previsto: pur senza soffrire di disturbo antisociale della personalità, anche lui non riusciva più a tollerare quei brindisi entusiasti, quei risolini alticci e quelle attenzioni asfissianti. Le rivolse un sorriso indulgente, che lei tuttavia non raccolse.
- Allora non farlo - rispose. Si avvicinò a lei, sfiorandole un ginocchio con le dita. - Che ne diresti di scappare via? - continuò. - Potremmo andare al lago. Solo io e te.
Dianne inarcò le sopracciglia. - Al lago? Adesso?
- Perché no. Usciremo dal retro, non se ne accorgerà nessuno. Dirò a Yae di coprirci.
Lei lo scrutò con attenzione, ancora indecisa se cedere o meno. - E gli ospiti?
Ian sollevò le spalle. - Se la caveranno anche senza di noi.
Un sorriso sbarazzino sbocciò tra le labbra di sua moglie, riempiendole le guance rese già rosee dal vino. Florian si beò di quella visione per qualche istante, prima di porgerle una mano per aiutarla a sollevarsi. Anche lei indossava un pantalone, ma Liese aveva insistito per fornirle dei veli da mettere attorno al viso, che Dianne si era strappata via dieci minuti dopo averli indossati. Adesso le ricadevano pigri sulle spalle, come una chioma sbilenca che nessuno aveva avuto voglia di pettinare.
Destreggiandosi tra i cespugli di fiori, sgusciarono insieme verso la cucina, dopo aver dato disposizioni a Yae per non farsi venire a cercare da nessuno. Dianne le mormorò dei brevi ringraziamenti e Florian le mollò un abbraccio, che la ragazza si prese a mezz'aria, sorridendo del loro brio.
Percorsero il boschetto scolorito dal tramonto come una coppia di spiriti silvani, facendo volare via i tacchi e i mocassini tra le margherite gialle. Si ritrovarono a correre a piedi nudi verso la spiaggetta, e anche i veli cuciti insieme da Liese finirono incagliati nell'erba bassa, in un grumo di brina e future macchie di polline.
Dianne trascinò Florian sulla riva del lago, immergendosi. Quello specchio ceruleo era uno dei tanti segreti custoditi da quelle montagne, regalato dal Caso alla loro variopinta famiglia. Ogni tanto qualche giunco ne fendeva la superficie, disturbandone la calma. I festeggiamenti del matrimonio sembravano lontani anni luce, ormai.
Florian si arrestò di fronte alla distesa trasparente, col fiato corto. I colori tenui del crepuscolo gli trafissero gli occhi, e sentì le onde dolciastre accarezzargli le caviglie, circondandole col proprio abbraccio. Dianne si mise a ciondolare accanto a lui, e Ian poté vedere il disco del Sole avviarsi al tramonto nei suoi occhi ancora prima che nel cielo. Portò una mano ad accarezzarle il viso, sentendolo caldo e liscio sotto al suo tocco.
- Grazie - disse lei a un tratto, raccogliendo le sue carezze.
- Mi sembravi un po' in difficoltà - ammise lui. Lei gli posò la testa sulla spalla, accucciandosi per ripararsi dalla corrente.
- Lo ero. Non mi sono ancora abituata a tutta questa gente... O forse non voglio abituarmici.
Ian smise di accarezzarla per un istante. - Non devi abituartici per forza. Me lo disse una persona saggia, una volta: "non devi fare mai nulla che tu non voglia."
Dianne sollevò lo sguardo su di lui, forse riconoscendo le parole che gli aveva rivolto ormai tre anni prima. Sembravano provenire da una vita passata.
La vide scollarsi dal proprio immobilismo e muovere qualche passo dentro il lago, lasciando delle impronte profonde nell'argilla. La luce morente contrastava con la sua figura, incendiando le ciocche ai lati della sua chioma scarmigliata.
- Lo sai - iniziò, - a volte mi sembra di essere ancora quella Disallineata che si era rifugiata in una biblioteca con uno sconosciuto. Come se tutto questo fosse solo un folle sogno che qualcuno ha intessuto per noi. Niente prigionieri, niente esperimenti. Niente incubi.
Ian vide le sue spalle incurvarsi, ma decise di non avvicinarsi. Quelle ondate di dolore erano solo sue, e sapeva che non gli avrebbe permesso di sorreggerla mentre la attraversavano.
- Però - continuò, - alla fine non importa. Perché siamo comunque riusciti ad arrivare fin qui.
Florian le sorrise, socchiudendo gli occhi per via del Sole accecante. Spalancò le braccia, facendole segno di avvicinarsi.
- Anch'io faccio ancora un po' di fatica - sussurrò, a un palmo dal suo viso. - Soprattutto a credere che tu esista per davvero.
Lei si staccò dall'abbraccio, arricciando il naso. Sentì le sue mani afferrargli la nuca, e le sue dita infiltrarsi tra i suoi ricci spazzati dal vento. Le loro labbra si cercarono, e quelle di Dianne sapevano di fiori, di vento, di vita. Avrebbe voluto imprimersele addosso per sempre.
- Adesso ti sembro abbastanza reale? - gli chiese.
Lui arrossì leggermente. - Sì. Direi di sì.
- Bene. Perché altrimenti avrei dovuto calcare la mano - disse lei, con un sorriso furbo.
Ian sentì le guance avvampare ancora di più, ma decise comunque di stuzzicarla. - Ora che ci penso, credo di non esserne ancora tanto convinto.
Dianne rise, lasciando che quel suono cristallino si riverberasse sui flutti che le cingevano i polpacci. Sfiorò il pelo dell'acqua con le dita, sollevando qualche schizzo verso di lui.
- Quand'è che sei diventato così malizioso?
Lui si produsse in un breve inchino, inzuppandosi i vestiti. - Ho imparato dalla migliore.
Ian poteva sentire il suo corpo bruciargli addosso, e prima ancora che si arrischiasse a chiederglielo, lei lo aveva già trascinato a riva, con uno scintillio burrascoso negli occhi. Si sdraiarono sul bagnasciuga, scoprendosi un velo alla volta. Le stampò dei baci confusi sull'addome, scendendo sempre di più, e lasciando che gli artigliasse i ricci con le dita. Sentì la sabbia infilarsi ovunque, e i loro respiri affamati farsi dissonanti. Quando la percepì sussultare contro di sé, sollevò il viso in un sorriso complice, prima di sentirsi ribaltare sul terreno e trovarsela premuta addosso. Le cinse dolcemente la schiena scoperta, e i suoi capelli morbidi scesero a solleticargli il viso, simili alle cime di un salice. Si adeguò al suo ritmo, guardando la sua figura oscurare il cielo avaro di stelle, diventando lei stessa una supernova, pronta a esplodergli nel petto. Infine tremò contro di lei, tirandola a sé con un goffo abbraccio. Dianne rise e si adagiò su di lui, sussurrandogli poi qualcosa a mezza voce. Gli accarezzò le cicatrici delle braccia con la punta delle dita, un segno dopo l'altro. Quel gesto quasi casuale ebbe il potere di riempirgli gli occhi di lacrime, e sperò invano che lei non lo notasse.
Quando anche l'ultimo spicchio di Sole smise di illuminare la valle, Florian lanciò un'occhiata al vecchio orologio di Yae, che aveva dimenticato così tante volte di ridarle da aver finito per farselo regalare.
Dovremmo rientrare - disse, a malincuore. - Sta iniziando a fare freddo, e siamo fradici. E poi, ormai gli invitati staranno per andare via. Dovremmo almeno salutarli.
- Potremmo lasciar fare ai nostri testimoni - rispose Dianne, riabbottonandosi la camicia. - Yae, Nick e i ragazzi sapranno scusarci a dovere.
- Bel tentativo - disse lui, - ma questa volta tocca davvero a noi. Anzi, credo che Yae ci abbia coperti anche troppo. E poi, Nicholas domani dovrà andare con Klaus all'Ambasciata per quei problemi in Unione Latina, quindi...
- Ho capito, ho capito - disse Dianne, parandogli le mani davanti. - Responsabilità e stronzate varie. Ricevuto.
Florian accolse i suoi sbuffi con un sorriso, cercando di rincuorarla un po'. - Comunque, non devi preoccuparti. La festa ormai sarà bella che finita, quindi niente conversazioni noiose o musica da ballo per te.
Dianne si lisciò il colletto, raccogliendovi i capelli attorno. - In realtà, c'è ancora una canzone che vorrei sentire, prima della fine.
- E quale sarebbe? - chiese, dubbioso.
Lei ghignò. - La canzone che mi devi.
Florian si sentì traballare sul posto, preso alla sprovvista. - Come fai a saperlo?
- Ho le mie fonti - disse lei. La vide frugare nella tasca interna della camicia, tirandone fuori un foglio spiegazzato.
Lui osservò il pezzo di carta, riconoscendo la lettera ingiallita che aveva battuto a macchina molto tempo prima, e che non aveva mai avuto il tempo di ultimare.
- Dove... Dove l'hai trovata? - le chiese, imbarazzato.
- Yae - rispose lei, assaporando la sua confusione. - Mi disse di averla scovata in una vecchia giacca di Willas, nel Lethe.
Florian si soffermò brevemente a pensare a Willas, e a quella volta in cui gli aveva insegnato i primi gesti in linguaggio dei segni, nella speranza che riuscisse a parlare con Elsinore. Sentì i propri occhi appannarsi, e piantò lo sguardo su Dianne, con la chioma folta ancora smossa dal vento.
- Yae decise di darmela senza dirti nulla, e me la lesse in un momento non tanto bello per me.
La vide pasticciare un po' con le dita, contraendosi nell'espressione vulnerabile che ogni tanto scorgeva ancora durante le loro nottate insonni.
Le scostò una ciocca di capelli dal viso, cauto. - Di che momento stiamo parlando?
Lei lo accarezzò a sua volta, tamburellando sulle ustioni. - Uno in cui mi sembrava di non essere abbastanza per te.
Senza dargli il tempo di ribattere, continuò a parlare. - Yae mi disse che non avrei dovuto affatto temere di starti accanto. Che riuscivo a farti del bene anche solo sottoforma di idea, quando quei due bastardi mi avevano cancellata dalla tua esistenza. E che alla fine non avevi creduto davvero alla loro farsa.
- È così - annuì. - Anche se la mia era più una speranza, che una convinzione.
Dianne sorrise, accogliendolo quando si sporse a prenderle le mani. Le infagottò tra le proprie, lasciando che il loro calore si trasmettesse ai rametti congelati delle sue dita.
- Tu sei più che "abbastanza" per me. Sei la persona che ho scelto, e che amo.
Posò la fronte contro quella di sua moglie, scorgendo delle nuove pennellate di rosso dipingerle le guance, anche se non per colpa del vino.
- E io sono ancora la persona che ha scritto quella lettera. In ogni singola parola.
Lei si strinse a lui, comprimendosi sulle loro mani intrecciate. - Bugiardo - sussurrò. - Lo sai che qualcosa è cambiato.
- Che adesso so che non sei una mia allucinazione schizofrenica?
- No - rispose lei, roteando gli occhi. - Parlo del telescopio. Ti ho visto, l'altra sera; sei stato un bel po' dietro la lente. Non hai più quella fobia dello Spazio?
Ian stiracchiò le braccia. - Un passo alla volta -, rispose. - Per ora non ci riesco per più di mezzo minuto. Praticamente una stella alla volta.
Dianne annuì. - E com'era Antares?
Florian sorrise della propria prevedibilità, e anche pensando a quell'astro che, a suo tempo, gli aveva fatto scoprire la piccolezza dell'essere umano, ma che gli aveva anche permesso di ritrovare la stella più preziosa del proprio cielo.
- Bellissima - rispose, spostando lo sguardo su di lei.
Dianne non colse nulla, o finse di non farlo. - Me lo ricordo ancora, quel discorso in biblioteca. Mi sembrasti molto interessante... E anche molto depresso.
- La mia carta segreta per conquistarti.
- Deficiente - ridacchiò. - Comunque, ci pensai su parecchio. A come le persone e tutte le loro tragedie ti sembrassero piccole, e a quanto quella prospettiva ti rendesse facile accettare le violenze del Regime. - Fece una pausa, cercando le parole giuste.
- All'inizio credevo di essere d'accordo con te, ma poi, riflettendoci, ho cambiato idea. E ho capito che proprio la consapevolezza di essere il "pulviscolo dell'Universo" non mi avrebbe mai fatto abbassare la testa. Perché anche se le nostre vite sembrano insignificanti, sono comunque l'unica cosa che ci appartiene davvero.
Florian si staccò da lei, guardandola meglio. Il buio della notte si era già insinuato nel blu dei suoi occhi, rendendoli un cupo fondo d'oceano. Dianne sembrò inseguire la scia di un pensiero.
- In biblioteca usasti una frase... Dicesti di sentirti schiacciato "nell'ombra di Antares". Ma, se ci pensi, le nostre vite andrebbero avanti lo stesso anche se invece di scurirci, ci illuminasse.
Lui attese un istante, cullandosi in quelle parole. - Nella luce di Antares.
- Sì - gli rispose, soddisfatta. - Non c'è bisogno di essere grandi, per essere qualcosa.
Florian le passò le dita sul volto, in contemplazione. - Stai parlando del senso della vita.
- Quella per me non ha mai avuto senso -, sbuffò lei.
- Non saprei - gli uscì, prima di poterci riflettere. - Personalmente, non sono mai riuscito a incollarmi addosso il senso che le davano gli altri. Le divinità, la famiglia, il lavoro... Prima o poi tutte queste cose perdono di significato, deperiscono.
Dianne lo guardò incuriosita, e lui si sforzò di proseguire, imbarazzato.
- Una volta Liese disse una frase: "ogni scalata è composta da singoli passi". Credo che si possa riferire anche ai dettagli, a quelle piccole cose che si accumulano strato dopo strato, riempiendo di senso la nostra quotidianità. Il sorriso di Nadya, gli abbracci di Eddie, i disegni di Hermes. E poi questo lago, queste montagne. Le nuvole che si espandono veloci nel cielo, come latte versato nel caffè. Il tuo cuore che batte contro il mio.
Ian sentì quelle parole invaderlo come un fiume in piena, e schiarì la voce per rallentarle. Si trovò a sussurrare un'ultima, piccola frase, scacciandosela via dalla gola in un graffio.
- Vivere una goccia di presente alla volta. È questo il senso che vorrei darle.
Stettero entrambi in silenzio per un po', lasciando che il vento gli appiccicasse addosso i vestiti fradici. Florian sentì le proprie parole perdersi nella pesante oscurità della montagna, che ormai aveva iniziato a inglobarli con la sua cappa di stelle.
- Per la cronaca, queste cose ti fanno sembrare ancora interessante -, esordì Dianne. - E ancora un po' depresso.
Florian sbuffò una risata, rilassandosi. - Faceva parte del pacchetto, quando mi hai sposato.
- Vorrà dire che chiederò un rimborso - disse lei, sogghignando. Alzò uno sguardo soffice su di lui, e Ian sentì l'esistenza riscriverglisi addosso, come il Sole riscriveva paziente ogni piega del mattino.
- Ho freddo, pianista. Stringimi.
Lui non se lo fece ripetere due volte, e la attirò a sé con l'intero corpo scosso da brevi formicolii. Le posò un bacio delicato sulla fronte, assaporando il suo calore.
Sin quando lo vorrai, rispose. Ma non disse nulla.
***
Il giardino era ancora più luminoso di come l'avevano lasciato, schiarito dalle lanterne di carta che oscillavano leggere nella brezza. La loro presenza era stata un'idea dei LaBo del Lethe, che si erano fatti in quattro per decorare l'intera baita a proprie spese. Nonostante l'evento centrale fosse un matrimonio, in qualche modo quella serata era diventata una festa di tutti, una celebrazione delle loro caotiche vite, legate assieme da dei sottili fili di sutura.
Florian conosceva ogni solco e ogni grinza di tutti quei visi, che adesso si stavano aprendo in sorrisi maliziosi vedendo lui e Dianne rientrare fradici dalla loro scappatella. Si fecero largo in fretta, cercando invano di sgusciare di nuovo dentro casa. Qualcuno accennò persino un applauso, e Ian non fu sorpreso di scoprire che quel qualcuno fosse Eddie.
Suo figlio aveva legato i capelli in uno chignon ordinato, che la piccola Nadya, abbracciata al suo collo, continuava a sfaldare una ciocca dorata alla volta. Hermes, accanto a loro, osservava divertito la scena. La sua camicia spiegazzata e i suoi capelli scompigliati lo facevano sembrare un pulcino arruffato, nonostante la sua cicatrice biancastra narrasse tutta un'altra storia.
- Credevamo vi foste "persi" nei boschi - esordì Hermes, lanciando uno sguardo d'intesa a Eddie. Nadya sporse le braccia verso di lui, e il ragazzo le schioccò un grosso bacio sulla guancia.
Anche Yae, Ann, Elsi, Seth e Jay si avvicinarono a loro, un piccolo drappello di occhi curiosi e sorrisi smozzicati. Florian riconobbe addosso a Jay un vecchio vestito di Elsinore, e riconobbe anche lo sguardo che ogni tanto Seth le riservava di soppiatto.
- Di che state parlando? - chiese Dev, che si aggiunse al gruppo con un volto rubizzo e gioviale. Florian sospirò ancora una volta pensando ai fiumi di vino che Liese aveva imbucato alla festa.
- Di nulla - riprese Hermes, ridacchiando. - Ma se questi boschi potessero parlare...
Dianne gli strinse la cravatta, trascinandolo verso il basso. - Se questi boschi potessero parlare, sarei l'ultima persona a doversene preoccupare, imbecille.
Un coro di risa accolse quella frase, accompagnando le guance paonazze di Eddie e di Hermes, che borbottarono qualcosa a mezza voce. Florian rise a sua volta, felice. Dianne e i ragazzi passavano spesso il tempo a stuzzicarsi, e lui non avrebbe potuto chiedere di meglio.
- Ti prego, mamma - si intromise Eddie, sarcastico. Sapeva quanto Dianne odiasse quell'appellativo.
- Non provocarmi - rispose lei, incrociando le braccia. Ian sentì qualcosa sciogliersi in lui; sua moglie non riusciva neanche a fingere di non adorare quel ragazzo.
- Altrimenti? - rispose Hermes, piazzandosi in mezzo a loro.
- Altrimenti il tuo fidanzatino non vedrà alcun dolce.
Eddie posò la testa sulla spalla di Hermes, che lo eguagliava in altezza. - Peccato che non ce ne sia rimasto neanche uno, mamma. Li ho finiti tutti durante la tua evasione.
- Tu cosa? - Il volto di Dianne si contrasse in una maschera di pietra, pronta a suonarle di santa ragione al figlio adottivo. Florian sentì solo Hermes ridacchiare un "bambini, per favore", prima che la piccola Nadya li distraesse coi suoi movimenti.
La videro gettarsi a peso morto tra le braccia di Elsinore, che per fortuna la afferrò prontamente. "I tuffi", li chiamava Eddie. Adorava passare dalle braccia di suo padre a quelle di Hermes, e poi a quelle di chiunque si trovasse nel circondario. Quella sua innata fiducia negli esseri umani era incredibile da osservare, un fiore sbocciato dalle pietre, alleviante quanto straziante.
Ian vide Eddie passare tranquillo la bambina a Elsinore, posizionandola meglio per non farla cadere. I suoi atteggiamenti sicuri e pacati avevano ancora il potere di stupirlo, anche dopo tre anni. Era un Last Born genitore, adesso, il primo e l'ultimo della sua generazione. Tre parole che già da sole costituivano un ossimoro.
- Comunque - alzò la voce Dianne, facendosi udire dal piccolo gruppo, - siamo tornati per un motivo. Quindi vi sarei grata se ci faceste arrivare al pianoforte.
Gli occhi di Elsinore si illuminarono, mentre Nadya giocherellava con le sue ciocche ondulate.
- Suonerai per noi? - chiese a Florian, mimando le parole in labiale. Nonostante molti di loro avessero ormai imparato il linguaggio dei segni, Elsinore parlava in quel modo sempre più spesso, sforzandosi di mostrare al mondo la lingua che Karl Abramizde le aveva fatto recidere. Cicatrici alla luce del Sole.
- A quanto pare - rispose Ian, ormai arresosi a quella prospettiva. - Sembra che qualcuno qui abbia parlato un po' troppo.
Yae gli restituì uno sguardo colpevole, che si attenuò nell'istante in cui notò il ringraziamento che aveva iniziato a riempirgli gli occhi. La verità era che non vedeva l'ora di suonare quella canzone.
Senza neanche dargli un istante per asciugarsi, li trascinarono all'interno della baita, accompagnandoli col proprio chiacchiericcio concitato. Ian si sentì sospingere da molte mani e sorrisi, ma li lasciò fare, senza preoccuparsi. Quel momento era anche per loro.
Altre facce fecero capolino nella stanza, assiepandosi dietro di lui e lungo le pareti, spiriti curiosi venuti ad assistere a quell'ultimo, piccolo miracolo. Gli sposi ancora umidi di acqua di lago si accostarono al pianoforte, ed Eddie ne aprì il coperchio con aria soddisfatta, e con l'affetto per loro a traboccargli dallo sguardo.
Florian si sedette sul sedile, sfiorando i tasti con i polpastrelli. Prima che potesse iniziare, sentì le mani di Dianne scivolargli lungo le braccia, saggiando ancora una volta le sue cicatrici. Lo fece con lentezza, percorrendone i rilievi come a volerli scolpire. Nascosta dalla coltre dei loro capelli scarmigliati, avvicinò le labbra al suo orecchio, soffiandovi dentro un paio di parole. Qualcosa che assomigliava a una promessa. Qualcosa che assomigliava alla vita stessa.
Iniziò a suonare senza neanche deciderlo, senza neanche farci troppo caso. Esistevano solo le sue dita che volteggiavano leggere, le parole della canzone che si dispiegavano una dopo l'altra sui tasti bianchi e neri, facendoli fremere sotto al suo tocco. Le mani della persona che amava ancora posate sulle sue spalle, leggere come batuffoli di polline, tenaci come foglie d'edera.
Lentamente, la canzone mutò, si torse su se stessa, crebbe in qualcos'altro. Sfociò in melodie nuove e sconosciute, che si saldarono alle precedenti in una continuità ipnotica, cristallina come rugiada. Florian vide quelle note impadronirsi di lui, vide le proprie mani venire suonate da esse. La storia della sua vita, fatta melodia. Dapprima fiacca, trascinata, ripetitiva, poi improvvisamente drammatica, spinta verso un crescendo di emozioni e note accavallate. Infine, la calma piatta di un lago sfiorato dalle prime luci dell'alba. Il respiro sollevato di un mondo che aveva trattenuto il fiato troppo a lungo.
Spinse l'indice sull'ultimo sol, stremato. Sembrava essere passata un'eternità da quando aveva iniziato a suonare "Lovesong" dei Cure. Non era più neanche tanto sicuro di essere partito da quella.
Tutt'intorno, visi ammutoliti dallo stupore e lacrime incastonate dentro sguardi acquosi. Eddie gli comparve accanto, una penna e un foglio pentagrammato in mano. I suoi occhi avevano un che di lucido, e fu il solo dettaglio in grado di riportarlo alla realtà.
- Dovresti scriverla, papà - disse, semplicemente.
Perché lui l'aveva fatto, alla fine. Aveva imparato a leggere la musica, in quei tre anni di cocci raccolti. Non adorava particolarmente gli spartiti, ma per la prima volta, forse, gli sarebbero tornati utili. Avrebbe scritto la prima frase della sua storia, seppur racchiusa tra cinque righe e non una. L'avrebbe incisa una nota alla volta, sbilenca e strattonata e feroce, come lo era stata la sua esistenza.
Ma la bellezza, lo sapeva, si intreccia sempre con il dolore.
Con le dita di Dianne a sfiorarlo e il foglio schiacciato sui tasti, Florian disegnò una linea.
-
Lo sai perché le ultime parole di Antares sono "Florian disegnò una linea"? Perché, a differenza del capitolo 43, questa volta non è riferito all'autolesionismo, ma al fatto che abbia imparato a leggere e scrivere la musica, ed Eddie gli chiede di mettere per iscritto quel pezzo che ha improvvisato.
Così la "linea" diventa quella della creazione e non quella della distruzione, e il cerchio può chiudersi.
E lui può guarire, e forse un po' anch'io.
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