⁸⁸. 𝘌𝘤𝘭𝘪𝘴𝘴𝘪

Che lei ricordasse, l'entrata di Marwoleth era sempre stata piuttosto pacchiana. Col tempo, i rimasugli scultorei delle religioni che l'avevano attraversato si erano accumulati l'uno accanto all'altro, sino a formare un'accozzaglia disarmonica. Non andava lì dal funerale di Joseph, e, in tutta onestà, non sapeva neanche dove fosse sepolto. Suo fratello non si trovava davvero dietro a quelle quattro assi quanto non si trovava tra le nubi fittizie del paradiso del Reset.

Dianne avanzò lentamente dietro Nicholas, mantenendo la testa bassa. Non riusciva a vedere molto al di là dei veli che le coprivano il viso, e si trattenne dallo scostarseli con uno strattone rabbioso. A pochi passi da lei, lo psichiatra chiacchierava affabilmente col custode del cimitero, osservandolo da dietro gli ingombranti occhiali per la visione avanzata che Tobias aveva acquistato per lui.

Non ci avevano messo molto a scoprire dove trovare il Ministro dell'Interno, che per fortuna non si esimeva dal condividere le proprie visite ufficiali sui suoi canali istituzionali. Avevano studiato l'incursione nei minimi dettagli, nascosti e coi nervi a fior di pelle ogni qualvolta qualcuno avesse bussato alla porta dell'appartamento.

A ogni colpo, Dianne si era figurata un manipolo di Sorveglianti in procinto di catturarli, seguendo la scia di briciole che si erano lasciati dietro nella loro fuga. Gli sarebbe bastato pedinare le loro impronte, trovare l'autista che avevano tramortito o individuare i loro visi in un filmato di sorveglianza. Nicholas l'aveva rassicurata perlomeno su quell'ultimo punto, affermando come, a causa della penuria di energia elettrica, la Chiesa non potesse affatto permettersi di mantenere i circuiti delle telecamere accesi ventiquattro ore su ventiquattro.

Tuttavia, avevano convenuto che, una volta usciti dal palazzo, avrebbero dovuto comunque dissimulare i propri visi in qualche modo. L'anziano Tobias si era proposto di usare i diecimila expia incriminati per acquistar loro due paia di occhiali per la visione avanzata, che, com'era risaputo, avevano il particolare pregio di confondere i sistemi di riconoscimento facciale.

"Se con questi soldi potrò farvi avvicinare alla verità, sarò felice di contribuire", gli aveva detto, con gli occhi offuscati. "Forse in questo modo riuscirete a perdonarmi".

L'anziano aveva effettuato l'acquisto di persona, permettendo poi a Nicholas di prendere in prestito sia i suoi vestiti, che la sua carta ID. Mentre riflettevano su come poter fornire una nuova identità anche a lei, Nicholas aveva richiamato la loro attenzione, mostrandogli un comunicato sul portale ufficiale di Mauryce Davis. Annunciava la chiusura degli uffici dell'Interno per il giorno seguente, in quanto il Ministro si sarebbe assentato per compiere una Rievocazione. La fiamma negli occhi dello psichiatra si era illuminata, come Dianne le aveva visto fare ogni qualvolta avesse avuto un'idea folle ad alimentarla.

"Caro Tobias", aveva esordito, allegro. "Credo che dovrò chiederti un altro piccolo prestito".

E, anche in quel momento, nonostante la scomodità degli abiti da Levatrice Spirituale, Dianne non poté fare a meno di sorridere al pensiero dell'ennesima farsa organizzata dal suo compagno di fuga.

Quando si furono allontanati dalla torretta del custode, si spostò leggermente i veli dal viso, rabbrividendo sotto l'abbraccio pungente del clima di gennaio. Era già scoccato il 2091, e non aveva neanche avuto il tempo di accorgersene. La pagherete, si disse, trascinando le vesti tra le lapidi annerite. Mi restituirete ogni minuto che ho sprecato in quella fottuta prigione.

– Come hai fatto a convincerlo a farmi passare senza ID? – chiese allo psichiatra, a mezza voce. Sorpassarono un gruppo di Levatrici inginocchiate in preghiera, senza che si accorgessero di loro.

– Gli ho detto che il Ministro non desiderava che il tuo nome comparisse nei registri – rispose lui, camminando a fatica.

– Sei pazzo – mormorò, allibita. – Chi ti dice che abbia richiesto qualcuno di particolare, per la sua Rievocazione?

Nicholas le lanciò uno sguardo obliquo, continuando a procedere verso la zona indicatagli dal custode.

– Quando per anni contrasti la Chiesa del Giudizio dall'interno, impari a conoscere molte cose dei suoi burattini – disse, indurendo la mascella. – Per esempio, la debolezza della loro carne. E che anche se la prostituzione è illegale, le Rievocazioni non lo sono.

Lei ebbe giusto il tempo di contrarre il viso in un'espressione schifata, che vide i passi di Nicholas arrestarsi davanti ai suoi.

– Siamo arrivati – annunciò, guardingo. Di fronte a loro stava una casetta bassa, con un vialetto di pietrisco a circondarla come una lingua di serpente.

– Davis è qui dentro.

***

I cunicoli per risalire in superficie sembravano essersi fatti più striminziti rispetto all'ultima volta. Florian li percorse col fiato bloccato tra la trachea e lo stomaco, non avrebbe saputo dire se per l'umidità o per l'apprensione.

Nonostante le accese proteste da parte dei molti LaBo, Krassner alla fine aveva optato per attuare un'operazione ristretta, sia per coordinare meglio i soldati, sia per evitare troppe perdite. Dal momento che avrebbe fatto parte di quella squadra scelta, Ian si era allenato duramente presso il poligono, tallonato dai rimproveri smozzicati di Seth e dai consigli garbati di Yae. Data la sua scarsa propensione a maneggiare le armi da fuoco, era certo che, se in ballo non ci fosse stato anche il salvataggio di Eddie, il Leader non gli avrebbe mai permesso di prendere parte al golpe. Tuttavia, non era l'unico civile a far parte della squadra: anche Liese si era battuta per andare con loro, nonostante la disapprovazione di Krassner e di Ann. L'anziana però era stata irremovibile, e aveva ribadito che avrebbe voluto vedere la disfatta di Karl Abramizde coi propri occhi.

Krassner, Elsinore, Willas, Yae, Ann, Liese e un'altra mezza dozzina di soldati lo precedevano, camminando impettiti nelle loro divise mimetiche. Anche a lui, seppur riluttante, ne avevano data una. Poteva sentirla premergli addosso, soffocandolo come una cappa di piombo. Oltre a essa, gli avevano fornito una pistola d'ordinanza, la cui presenza nella fondina gli faceva solo l'effetto di una spina nel fianco.

Illuminate dal bagliore delle torce, riuscì a scorgere le mani di Yae e di Ann avvinghiate l'una all'altra, con le dita sbiancate come ossi di seppia. Che lui sapesse, era la prima volta da quasi vent'anni che Ann tornava nel cuore caotico della capitale. Quel pensiero gli strinse il cuore, intorpidendo di colpo la sua andatura.

Quando mossero il primo passo nel grembo della zona B, il chiarore del giorno gli accarezzò il viso un raggio alla volta, ricacciando con forza ogni suo dubbio nell'inchiostro del cunicolo, ormai rimpicciolitosi alle sue spalle. Florian strizzò gli occhi, aggiustandosi meglio la montatura sul naso. Aveva dimenticato quanto gli mancasse la luce del Sole.

Si radunarono attorno all'entrata, formando un piccolo drappello disomogeneo. Fu contento di essere finito nella squadra che sarebbe fuoriuscita in quell'area: perlomeno da lì avrebbe potuto rivedere l'edificio della biblioteca, anche se per poco tempo.

Come previsto, le strade erano spoglie e prive di traffico. La città sembrava ancora immersa in un sonno senza sogni, e, che lui sapesse, oltre alla biblioteca lì non c'erano molti altri luoghi di interesse. Si accucciarono nell'ombra di un vicolo, attendendo il lasciapassare del Leader. Vedere Krassner in giro allo scoperto gli risultò tanto straniante, quanto naturale.

– Il furgone arriverà tra poco – disse l'uomo, mantenendo un tono basso. Carezzò lievemente la testa di Elsinore, ricevendo in cambio un sorriso nervoso.

Florian si acquattò sul muro gonfio d'umidità, accanto a Willas.

– Ci siamo – sussurrò, più a se stesso che a lui. Senza volerlo, passò le dita sulla fondina della pistola, saggiandone la consistenza. Il ragazzo lo osservò di sottecchi, fiutando la sua agitazione.

– Non devi usarla per forza, Ian – sussurrò, cauto. – Lascia fare ai LaBo. È da una vita che si preparano a questo.

– Lo so – rispose lui, amaro. Il pensiero che quei ragazzini fossero stati cresciuti con la promessa del sangue non lo allettava particolarmente, seppur loro stessi non percepissero la viscosità di quella condanna.

– Guarda – disse Willas, indicando un punto lontano sulla carreggiata. – Eccolo là.

Il furgone traballò lentamente verso di loro, spezzando la quiete della mattinata col suo lieve fruscio elettrico. Era completamente nero, e Ian provò un guizzo d'inquietudine nel constatare come fosse uno dei mezzi utilizzati dai Sorveglianti per far sparire i Disallineati.

Salirono senza tante cerimonie, stretti l'uno all'altro come i petali di una rosa. Nonostante quell'affiatamento non fosse affatto necessario, sapevano che in quel modo si sarebbero dati forza. Sentì il metallo duro della panca affondargli nelle ossa, e gettò il più possibile lo sguardo fuori dal finestrino per distrarsi.

Arrivarono in prossimità del Laboratorio venti minuti più tardi. Altri due furgoni si erano accodati al loro, formando un'oscura processione che imbrattò di nero la facciata posteriore del palazzo. Ian scoccò un'occhiata a Yae, vedendola annuire gravemente. È qui.

Krassner scese per primo. Stettero per qualche minuto in attesa di un suo riscontro, che tuttavia non tardò ad arrivare.

– Brutte notizie – esordì, facendo capolino dal posto del passeggero. – Ci sono almeno una decina di Sorveglianti armati all'esterno dell'edificio. Devono far parte della scorta personale del Presidente.

Florian guardò i visi attorno al suo, registrandone l'impassibilità. Scorse uno sguardo malinconico inquinare gli occhi di Willas, e decise di rivolgersi personalmente al Leader.

– Che significa? – chiese, incupito.

Krassner incurvò le labbra all'ingiù, mettendo su un'espressione decisa.

– Significa che qualcuno dovrà morire.

***

– Avanti. Uccidimi, Nadine.

Eddie sentì la punta del ferro grattargli sulla gola, senza tuttavia riuscire a penetrare nella sua pelle. Nonostante la Zona Oscura avesse preso il sopravvento su di lei, la ragazza non si decideva ancora a compiere la mossa decisiva, forse spaventata dalla semplice visione di quell'oggetto nelle sue mani. Eddie si chiese quale caleidoscopio di ricordi le avesse messo in moto, e si morse ancora una volta l'interno della guancia al pensiero di aver dovuto tirare il grilletto delle sue debolezze per attuare il proprio piano.

– Eve, tesoro. Non vorrai davvero fargli del male – disse Iris, ancora incollata al vetro a doppia faccia. – Non vuoi bene a Edin? Non vuoi parlare ancora con lui?

Eddie si gustò il tono scivoloso della dottoressa, sentendo una risata gorgogliargli nel profondo del petto. Gli sembrò quasi di percepire l'odore inebriante della sua paura, accompagnato dall'armonioso fragore del suo puzzle che andava in mille pezzi.

– Una frase – urlò, pietrificandola sul posto. – È bastata una frase per distruggerla. Per distruggere tutti i tuoi anni di lavoro – disse, senza staccare gli occhi da lei. Eve stava ancora con le braccia serrate attorno al suo collo, immobile ma tenace.

– Non m'importa di morire, Amélie – continuò. – Ma, prima di farlo, voglio che osservi attentamente ciò che hai davanti. Voglio che voi schifosi bastardi osserviate gli animali che ci avete fatti diventare.

Gettò un'occhiata anche ad Abramizde, che sembrava essersi irrigidito al pari di Iris, seppur si ostinasse a mantenere ancora un certo contegno.

– Evie – disse una voce femminile al di là del vetro, carezzandoli entrambi con la sua gentilezza. Suo malgrado, Eddie realizzò che si trattava di Saryu. – Evie, ti prego. Non farlo.

Lui cercò di scacciarsi il tono dolce della psicologa dalla testa, gettando di nuovo il viso sugli altri. Non poteva fermarsi a metà strada. Non poteva permettersi di vacillare proprio in quel momento.

Non ti immischiare, Saryu, si disse. Non è te che voglio.

– Finiscila, Edin – tuonò il Presidente. – Sappiamo entrambi che Eve non ha la forza di ucciderti. Inoltre, l'abbiamo educata in modo da temere e disprezzare ogni spargimento di sangue. Se pensi di riuscire a farla franca, ti sbagli di grosso.

– È lei che si sbaglia di grosso, Presidente – sibilò lui, riallineandosi quel poco che bastava a sostenere quella conversazione. Le vene del collo gli pulsavano, straripanti ostilità. Si sentiva un fiume in piena privo di argini, un lupo affamato davanti alla carcassa di un cervo.

– Non gliel'ha detto, dottoressa? – chiese, tagliente. – Non gli ha detto che Eve ha ricordato il suo vero nome, e l'ha scritto con il sangue?

Abramizde si lasciò sorprendere in un'espressione confusa, ed Eddie si sentì ridere come fosse stato fuori dal suo corpo, fuori dalla sua mente. Forte di quella reazione, continuò il proprio discorso.

– Siete dei poveri illusi. Nessun cane bastonato odia il sangue, quando deve azzannare il proprio padrone.

Fece un sorriso mesto, lasciando che la sua follia si sporcasse di amarezza. – Io sono l'unico che le abbia voluto abbastanza bene da comprenderla. L'unico che abbia decifrato quelle figure sfocate che aveva creato nella sua mente, pur di riuscire a evadere da questa stanza. E adesso vedrete quanto l'aver ignorato la sua fragilità vi si ritorcerà contro.

Sentì la gola seccarsi, come se di colpo avesse esaurito tutta l'acredine accumulata sino a quel momento. Si cullò in quella sensazione per un istante, sfibrato.

Siamo all'ultimo atto, pensò. Mancano solo le battute finali.

– Addio – sussurrò, cercando di apparire il più convincente possibile. Tanto per rincarare la dose, posò la mano su quella di Eve, avvicinandola di qualche altro centimetro alla sua giugulare.

– È stato un piacere, Amélie. Questo è per mio padre, e per il ragazzo che amo.

Si interruppe all'improvviso, stupito dalle proprie stesse parole. Non avrebbe voluto che gli uscissero fuori in quel modo, eppure una parte di lui sapeva che non avrebbe potuto dare delle definizioni migliori di Florian e di Rein.

Non ebbe il tempo di spostare lo sguardo negli occhi vuoti di Eve, che vide una figura guizzare via oltre il vetro, per poi precipitarsi fuori dalla porta. Sentì il dottor Jonas richiamarla a gran voce, ma senza successo: Iris era già corsa via per raggiungerli. Proprio come aveva previsto.

Eddie sogghignò, pronto a strappare via l'arma dalle mani di Eve per piantarla nella gola pallida della dottoressa Svart.

Non sarò solo io ad affondare, pensò. Sarà l'intera nave.

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