4. Aw, Diamine
Traduzione fornita da @Shawnxmoon
“Che diamine è stato?” Urlai. “Dr.K?”
Nessuna risposta, anzi, nessun suono. Silenzio totale.
Andai a tentoni per trovare il pulsante rosso, la forte luce bianca si era presa in prestito la mia vista. Ma il canale di comunicazione al mio fianco non c’era più.
Ci volle un attimo per le macchie per andarsene dai miei occhi. Quando lo fecero, vidi che gli schermi erano ancora neri, T-Rod era fuori combattimento. Ero circondata dall’oscurità.
Non ero nemmeno più seduta sulla sedia. Toccai in giro, e trovai che ero inginocchiata sul pavimento e le pareti si erano avvicinate fra di loro.
“Dr.K?” La mia voce tremò. “Qualcuno?”
Le mie dita intorpidite lentamente riacquistarono il tatto. Perché i miei sensi ci mettevano così tanto a rispondere? Ero inginocchiata su un tappeto. C’erano dei tessuti appesi sopra il mio capo e lo scoprii quando provai ad alzarmi. Il mio cuore perde un battito. Da quando c’era qualcosa di morbido dentro a T-Rod? Feci scorrere le mie mani contro le pareti. Anche gli schermi erano spariti e la fredda cromatura sterile era diventata più ruvida, sembrava di toccare le pareti normali all’interno di una casa.
A nessuno in particolare sussurrai “Dove sono?”
Guardai la mia collana. Era rossa.
Oh merda.
T-Rod aveva funzionato.
Ma stavano cercando di tirarmi fuori! Hanno detto che c’erano degli errori da sistemare! Cos’era successo? E questo che sarebbe successo in caso di un malfunzionamento di T-Rod?
E più importante, dove ero?
Cercai di calmarmi prima di andare nel panico più totale. A questa velocità un crollo emotivo non era molto lontano. Okay, Julia, pensa. Pensa. Usa quel l’intelligenza di cui sei tanto orgogliosa. Ovviamente sei in un edificio tradizionale con porte tradizionali, cerca una maniglia!
“Sto diventando pazza. Giuro che sto perdendo la testa.” Mormorai cercando delle fessure a livello del pavimento. Ne trovai una e dovetti reprimere un pianto di gioia. Circa un metro più in alto trovai la maniglia di ottone. Esultai per il mio trionfo.
Qualcosa ci era spinto contro, qualcosa di pensante, come un baule. Frustrata e confusa, mi buttai con tutto il mio peso contro la porta, spalancandola e successivamente cadendo di faccia al suolo.
Mi alzai e mi guardai intorno. Ero in una stanza ben decorata, le pareti erano di un tenue verde giada. La luce nella stanza era fioca, le tende erano chiuse, un letto a baldacchino era posizionato sotto la finestra.
“Non mi piace,” Dissi ad alta voce “proprio per nulla. Dr.K fa diventare quella luce blu presto. Meglio ancora. Facciamo verde e facciamomi uscire da qui.”
Feci un passo indietro quasi inciampando nuovamente sul baule. Arrabbiata, mossi il mio piede all’indietro per tirargli un calcio.
E mezzo secondo prima che il mio piede entrasse in contatto con l’oggetto, pensai a tre cose.
Primo, non ero sola nella casa o nell’appartamento, o ovunque mi trovassi. Dal piano di sotto sentivo delle voci, voci maschili che parlavano fra di loro in un accento inglese inconfondibile. Strane voci di uomini e io una strana ragazza.
Secondo, c’era un piccolo gatto tigrato rosso seduto all’ingresso, che mi guardava con un’espressione che mi sembrava chiedere “Che pensi di fare?”
Terzo, vidi la scritta, i nomi, sul baule. La parola in sè, che iniziava con la Q, sarebbe bastata a scioccarmi se non fosse stato anche per la presenza della cresta incisa sul fronte del baule.
Cercai di fermare la collisione del mio piede contro quest’ultimo un secondo troppo tardi.
BAM!
Le voci si fermarono per un momento.
Corsi di nuovo nell’armadio. DR.K AIUTAMI!
Ma il Nokia nel mio zaino (per fortuna avevo ancora lo zaino con tutte le mie cose) rimase muto. Mi sforzai per capire le parole che gli uomini pronunciavano.
“Senti qualcosa?” disse una voce calma e bassa.
“No.” disse una voce più alta e roca. “Tu?”
“Pensavo di aver sentito qualcosa, come un tonfo. Veniva da sopra.”
“Saranno i nervi, caro.” disse una terza voce elegante- una che mi fece rabbrividire fino alle ossa.
“Ora so di essere pazza.” Cercai di dirmi, ma ero indebolita dalla confusione e dalla fame (è vero, se vado per troppo senza mangiare divento frastornata e completamente stupida, e troppo di solito per me sono quattro ore- ed erano passate dieci ora da colazione), e paralizzata dalla paura. Dio, non poteva essere vero.
In quel momento il punto rosso sul mio petto divenne blu. Quasi svenni dal sollievo. Goffamente, cercai La Reliquia, e effettivamente stava suonando.
Bip-bip-bip-bip BEEP bip-bip-bip BEEP bip BEEP-
Spinsi il pulsante verde sul telefono (facendo terminare presto una povera versione di “In the air of the night”- non sto scherzando) e ansimai “Dr.K?”
Non ero mai stata più felice di sentire qualcosa quando la sua voce lenta e tremolante mi rispose. “Julia! Stai bene!”
“Sì, oh sì” sussurrai “Dove sono?”
“Dovresti saperlo, a quanto pare ti sei spedita lì da sola.” Rispose. “Dove sei è il primo luglio 1977 verso le 11 di sera, ora di Londra.”
La mia bocca si secco. “Intende dire...?”
“Congratulazioni Julia Samuels, sei il primo umano a viaggiare nel tempo.” annunciò.
Dr.C non mi lasció il tempo di digerire la notizia. “Ma non sei finita dove volevamo, quindi hai un po’ rovinato tutto.”
“Come? Ma eravate voi a gestire tutto!”
“Qualcosa è andato storto e in qualche modo sei entrata in controllo.” spiegò. “Stavo usando il telefono?”
“Non lo farò mai più finché sono in vita. Ora vi prego, tiratemi fuori da qui.”
“Ciò spiega tutto. Segnali incrociati.”
“Ancora una volta, mi dispiace. Ora portatemi indietro.”
“Non possiamo adesso.”
“Perché no? Stiamo parlando! Agganciatevi al mio segnale.”
“Stai uscendo dal segnale, Julia.” Pianse Dr.K che effettivamente suonava come se si stesse allontanando. Disse qualcos’altro ma non riuscì a capirlo.
La porta dell’armadio si aprì e un giovane uomo mi fissó.
Scattai. “Ti dispiace?”
Rimase lì un secondo, poi come era venuto se ne andò e io mi rigirai verso il telefono. “Cos’è che ha detto?”
“Portar...casa ancora...T-Rod...problema...”
“Cosa dovrei fare?”
“Nasconditi...prenditi cura di te finc-“
Poi La Reliquia morí e mi disse che erano passati 60 secondi di chiamata. Nasconditi. Okay. Potevo farlo. Facile.
Però avevo già fatto saltare la mia copertura.
Il giovane uomo mi aveva vista! Che idiota ero stata! Non c’erano dubbio sulla presenza di un intruso ora, me!
Ascoltai senza fiatare, cercando di ignorare il gatto che ora era seduto in cima al baule fissandomi dall’entrata dell’armadio (Sciò! Gli dissi, sapendo l’effetto che i peli di gatto avevano su di me.)
La voce alta parlò. “Cos’è successo, John? Sembra che tu abbia visto un morto.”
Il giovane uomo rispose con un’acuta voce nasale. “No, non proprio.”
“Non proprio, eh?” Quella spaventosa terza voce di nuovo. “Che cos’hai visto?”
Un sospiro. “Ah niente, solo che non mi aspettavo di vederla, tutto qui. Mi ha preso di sorpresa.”
“Sì, Tiff lo fa spesso, salta fuori dal nulla, scusami. Ho un gatto acrobata.”
“No, no, non il gatto. La ragazza.”
“La ragazza?”
“C’è una ragazza nel tuo armadio di sopra.”
Oddio, ero morta. Morta e sepolta.
Ci fu una lunga pausa da parte della terza voce. “Cosa?”
“C’è una ragazza di sopra. Non lo sapevi?”
Un’altra lunga pausa. Poi un frastuono improvviso quando i quattro uomini corsero su per le scale nella mia direzione. Agio velocemente. Mi infilai sotto il letto in cinque secondi, diventando completamente invisibile alla vista degli uomini avevano appena messo piede nella stanza.
“Lì dentro.” Disse John (non Deacon, mi rifiuto di considerare la possibilità che si trattasse di John Deacon) con calma, come se fosse dando le previsioni del tempo.
Un paio di scarpe bianche si fecero strada sul tappeto e si fermarono davanti all'armadio aperto. Il loro proprietario spinse qualche vestito. Due altre paia di piedi -uno con gli zoccoli di legno, l’altro con delle sneakers- lo seguirono nella stanza.
“Non c’è nessuno qui Deacy.” disse la terza voce come se fosse una cantilena.
Chiusi i miei occhi. Deacy? Davvero? Non stava accadendo realmente. Fatta eccezione che stava succedendo.
“Di cosa stavi parlando?” chiese il Signor Zoccoli.
“John, qui, ha visto un miraggio, credo.” Rispose la voce.
“Non so, forse.” Ammise John. “Ma nessun miraggio mi ha mai guardato e detto “Ti dispiace?” prima di oggi.”
“C’è una prima volta per tutto.” Lo prese in giro la voce alta.
Stavo trattenendo il respiro. In parte era per non farmi sentire, in parte perché il gatto rosso si era infilato sotto il letto e si era posizionato proprio vicino alla mia faccia. Questa è la cosa migliore dei gatti. Sanno che vi è allergico e gli rendono la vita miserabile avvicinandosi abbastanza da fargli piangere gli occhi e prurire la gola. Così come stava facendo ora.
“Sciò, sció!” gli feci segno con le labbra, ma tutto quello che fece fu miagolare. Gli uomini, tuttavia, sembrarono non notarlo e se ne andarono, ridendo di John. L’ultimo paio di scarpe a svanire furono quelle bianche; rimasero silenziosamente a guardare il letto per qualche minuto prima di tornare al piano di sotto danzando lentamente.
Feci un respiro profondo. Per un pelo.
Ascoltai di nuovo, corrucciandomi quando decisero di concludere la serata e tornare a casa. “Ne discuteremo domani a Wessex.” dussero prima di uscire dalla porta. Ora c’erano solo tre voci. E ora due, John e il tipo elegante.
“Scusami per prima.” Stava dicendo John. “Ho visto qualcuno, ho sentito qualcuno parlare, non so.”
“Non preoccuparti caro.” Rispose. “A volte la mente ci gioca brutti scherzi. Dio, mi succede tutte le volte. Non sei pazzo, non preoccuparti. Io invece? Quella è tutt’altra storia. Saluta Veronica da parte mia.”
“Okay, a domani.”
“Buonanotte John.”
La porta si chiuse.
Il mondo era silenzioso, troppo silenzioso. E il gatto mi stava ancora osservando.
E in questo istante di decisivo silenzio, quando anche solo un piede che cade sul tappeto si poteva sentire da ogni parte dell’appartamento, starnutí a metà prima di trattenermi.
Ma inizialmente sembrò non importare.
Ecco che arrivavano i passi. Andavano su, su, su e su. Il mio cuore batteva a mille nelle mie orecchie. Avevo troppa fame per avere paura e ero troppo stanca per urlare. Stavo solo aspettando che lui facesse una mossa. Un piede picchiettava contro il pavimento impazientemente.
“Forza vieni fuori tesoro. So che ci sei.” cantò.
Non mi mossi, la gola mi pizzicava da morire, ma rimasi nascosta.
“John stesso ti ha vista, pensi di poterti nascondere da me?” disse beffardamente.
“Ti troverò, sí ti troverò. Faresti prima a farti vedere!”
Al comando del suo papà, il gatto uscí fuori da sotto il letto tornando alla luce e strusciandosi contro le sue gambe.
“Non tu Oscar, il fantasma!” rise. “Ho vissuto qui per un anno senza sapere che il posto fosse infestato.”
Aveva una risata che partiva senza troppi sforzi. Stava solo scherzando, ridendo fra sè e sè. Non credeva che ci fosse qualcuno qui, sicuramente non qualcuno nascosto. In qualche modo mi rilassai, ma non riuscivo comunque a muovermi. E se scoprisse che il fantasma era sotto il suo letto?
“Ma ciao! Cosa c’è in questa borsa?” Si piegò in avanti verso l’armadio, prendendo il mio zaino. “Diamo un’occhi-“
“NON LO TOCCARE!” urlai prima di potermi fermare.
Si giró. “Ma che caz*o?”
“Scusa” mi corressi “non lo toccare, per favore.”
Con un’unica mossa agile si inginocchiò e alzo il copriletto.
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