30. Mission: Implausible

Traduzione fornita da @Shawnxmoon

Le mie dita tamburellavano sulle mie cosce al ritmo della musica che vibrava dolcemente nelle mie orecchie. Stavo ascoltando alla mia playlist delle colonne sonore dei film, la cosa migliore che riuscii a trovare per calmare la mia crescente claustrofobia. La canzone della Pantera Rosa era già partita tre volte con la riproduzione casuale. Ma era così adatta alla situazione che dovetti ascoltarla di nuovo quando ripartí per la quarta volta.

A questo punto avevo la testa praticamente incastrata fra le ginocchia. Mossi le gambe nello spazio che avevo. E non era tanto. Il baule odorava di polvere, pelle e vecchi libri. L'aria al suo interno era indescrivibilmente calda e soffocante, i piccoli buchi che avevo fatto sul coperchio non servivano a molto. La mia schiena piangeva per la posizione in cui ero rimasta. Fermai la musica per un momento. Guardai l'ora.

Sbuffai. Avevo passato solo un'ora in quella maledetta scatola? Bugie! Ero in quel baule da ore! Ci ero nata!

Stava diventando sempre più difficile non tirare colpí suo lato del baule per chiamare aiuto, ma non sapevo se le voci attutite fossero amichevoli o meno. Non mi avrebbe aiutato molto un attacco di panico nel bel mezzo della dogana.

Okay, sento che sta per arrivare una crisi esistenziale, mi dissi. Chi sono io? Sono Julia Samuels. Non Eve Dubroc, Julia Samuels. Ricordatelo. Sono una studentessa di psicologia e vengo dal 2017. Dove sono? Sono in un ascensore a metà fra il paradiso e l'inferno, solo che adesso mi sento più vicina al livello inferiore. In questo momento è l'anno 1977. E il ragazzo con cui vivi sembra fortemente determinato a privarmi della mia sanità mentale anche se è l'unica cosa che mi è rimasta. Come sono arrivata qui? Come sono arrivata in questa stupida scatola aspettando di essere inviata a Las Vegas? Oh sì. Per via di Freddie. Ovviamente. Come potevo dimenticarlo.

Il baule cadde da una qualche sorta di ripiano, non più di un metro e mezzo dal pavimento. Ma con la ragazza di cinquanta chili che conteneva, si rigirò e sbatté sul pavimento. Colpii la testa contro il lato del baule e a malapena mormorai un "Oof".

"Attenti!" Sentii la nervosa voce di Freddie, non molto lontana. "Ho delle cose molto delicate lì dentro."

Due uomini presero un lato ciascuno del baule e, con dei grugniti, mi sollevarono. Iniziarono a trasportarmi su una scalinata. Mi piegai ancora più verso le mie gambe, uccidendo ulteriormente la mia schiena. Altre otto ore così, voglio morire.

"Mettetela lì con noi. Sì, lì. Perfetto." Freddie sembrava tutt'altro che calmo. Magari ci avrebbe fatto scoprire prima che io ne avessi avuto la possibilità. Oh, quante NFO dovevo scrivere. Spero di ricordarmele tutte quando le registrerò nel mio diario dopo.

Qualche minuto dopo fui messa giù, uno dei due uomini chiese "Cosa c'è qui dentro? Mattoni di cemento?"

"Qualcosa più prezioso dei diamanti, mio caro." Cinguettò Freddie.

"Anche più pesante." Aggiunse l'altro. "Credo di essermi strappato un muscolo."

Risi. Inetti. Freddie mi ha caricata in spalla come se niente fosse una volta.

Iniziarono a spingere il baule sul pavimento. Qualcuno aprí una porta scorrevole e i due lavoratori mi infilarono dentro. Con altre lamentele da ciascuno dei due, Pincopanco e Pancopinco se ne andarono. Avevo sentito diverse altre voci mentre venivo trascinata -tutte inglesi, ma nessuna che riuscissi a riconoscere in quel momento. Non che mi aspettavo di conoscere qualcuno su un aereo pubblico, me l'ero semplicemente chiesta in modo assente.

Ma era strano, il modo in cui mi avevano portata nella stiva dell'aereo. Era come se mi avessero trascinata nel corridoio davanti a tutti i passeggeri. Che aereo strano. Era così che funzionavano gli aerei negli anni settanta? Per qualche motivo non ci credevo molto.

Un pugno bussò leggermente contro il coperchio del baule. "Come va lì dentro?" Sussurrò Freddie.

"Freddie! Cosa stai facendo qui?"

"Controllo se stai bene." Rispose. "Come stai?"

"C'è un chiropratico a bordo?" Scherzai debolmente.

Freddie rise. "Sono un altro paio di minuti, tesoro. Te lo prometto."

"Chi vuoi prendere in giro? Sarò bloccata qui per almeno altre otto ore!"

Era quello il tempo che ci si metteva ad arrivare al JFK dall'Heathrow di Londra, dove presumevo fossimo. Secondo Freddie, ci saremmo fermati brevemente a New York per il carburante e poi saremmo andati senza fare altre soste a Las Vegas. Speravo di riuscire ad avere qualche minuto, durante la sosta, per stiracchiarmi. Non volevo vivere il resto della mia vita come un deformato pretzel umano solo perché Freddie aveva avuto un'idea divertente.

"Che cosa te lo fa pensare?"

"Me l'hai detto tu. Sció! Non dovresti essere qui in ogni caso!"

"Oh." Disse Freddie. "Ho capito cosa intendi. Ooo, se sarai sorpresa..."

"Freddie, sono troppo indolenzita per delle sorpresa, dimmi cosa sta succede-"

"Sh!" Il tip tap di un paio di scarpe col tacco si stava avvicinando a noi. Senza volerlo, Freddie mise la sua mano sopra i buchi per l'aria.

Dopo qualche secondo di silenzio, una profonda, ma meno sofisticata, voce disse qualcosa e Freddie morí dal ridere. "Sharon, tesoro, mi hai fatto spaventare a morte!"

'Sharon' rispose intelligentemente, non riuscii a capire bene che cosa avesse detto, ma la replica di Freddie fu "Oh, ma tu ne sai di più, sicuramente ne hai visto abbastanza." Lo disse in un modo che non mi tese molto difficile intendere cosa fosse la prima parte.

"Quei due pagliacci sono scesi dall'aereo, tesoro?" Chiese Freddie. "Oh bene. Puoi distrarre un momento le sign- oh, be', credo che lo stia già facendo Straker. Come non detto. Dammi un secondo, esco subito."

Aspetta, aspetta, aspetta. Viene anche Peter Straker? Ma che..?

Sentii Freddie armeggiare con la porta, poi tornò verso di me in punta di piedi. "Okay, Evie, facciamoti uscire da qua."

"Ma non hai mica pagato per due biglietti."

"Non ho pagato per nessun biglietto."

"Cosa? Come-"

"Vuoi uscire o no?"

"Sí."

"Allora basta con le domande. Dio faccio fatica a sentire i miei pensieri."

Ma ne infilai ancora un'altra. "E come facciamo con i miei documenti?"

"Tesoro, fidati di me, va bene?"

Fidarsi di TE. Che battuta, pensai. "Certo. Ora mi fai uscire se sei davvero serio?"

"In realtà no. Ero qui solo per alzare le tue aspettative. Ti ho fregata!" Si alzò in piedi ed iniziò ad allontanarsi.

"Dove stai-"

"Hai detto sció, quindi me ne sto andando. Ci vediamo fra otto ore."

Ero chiusa in un baule caldo e soffocante e Freddie, il cavaliere spensierato, stava giocando a dei giochetti -e io non avevo ancora completamente recuperato dalla sera prima. Improvvisamente non mi importò più essere scoperta. Ora ero solo arrabbiata.

"Fammi uscire caz*o!" Urlai.

"'Meglio." Cinguettó Freddie, avvicinandosi nuovamente.

Voleva solo sentirmi imprecare? Perché mai?

Dall'imperfetta oscurità in cui mi trovavo, sentii uno sferragliamento sul lato del baule mentre stava lavorando sul lucchetto. Improvvisamente il baule fu investito dalla luce. Lentamente misi le mie mani sui lati del baule. Mi alzai instabilmente, le ginocchia deboli. Freddie mi prese dai gomiti prima che potessi cadere, portandomi al letto. Ricaddi sul copriletto bianco, stiracchiandomi voluttuosamente gli arti e facendo scrocchiare il collo.

"La ragazza più carina che io abbia mai visto uscire da una scatola." Cantò Freddie.

"Grazie." Dissi girandomi sul mio stomaco.

Si avvicinò e mi massaggiò le spalle. "Non è stato così terribile vero?"

"Prova tu a piegarti lì dentro per un'ora, poi ne parliamo." Sussurrai, dimenticandomi di provare sdegno al suo tocco. Misi la faccia fra le coperte. Che mani magnifiche che aveva. Sapevano esattamente dove mi faceva ma-

Alzai la testa e feci una smorfia. Un letto nella stiva? Era anche un letto bello, un grande letto matrimoniale con una lampada accesa sui comodini da entrambi i lati. E la carta da parati colorata contro la quale era messo non mi pareva quella standard di un aereo. Mi misi a sedere.

"Questo è l'aereo?" Chiesi.

"No." Disse Freddie, la soddisfazione riscaldava la sua voce. "Questa è la stanza nell'aereo."

Prima che potessi dire qualcosa, andò rilassato verso la porta e la aprí. Rimasi a bocca aperta.

Freddie fece un sorrisetto. "Quello è l'aereo."

Scesi dal letto e barcollai fuori dalla stanza , non riuscivo a credere ai miei occhi. Stavo guardando un corridoio con la moquette che sembrava l'interno dell'Enterprise. Da un lato c'erano dei sontuosi cuscini, interrotti solo da quello che sembrava essere un piano elettrico e da un bar. Dall'altro lato, delle comode sedie che sarebbero dovute appartenere alla casa di un uomo single, una di queste occupata da Peter Straker, che stava parlando in modo provocante con una giovane donna vestita da hostess. Nell'aria riconobbi l'odore debole, ma persistente, della marijuana che si mischiava con l'odore di sigarette, una di queste nella mano del solo e unico Paul Prenter che apparve da dietro il tramezzo.

Nonostante il modo in cui mi stava guardando il Signor Little Black Rain Cloud, mi ritrovai ad essere un pochino eccitata. Freddie mise una mano sulla mia spalla e sussurrò "Sorpresa".

Mi girai verso di lui con un sorriso che cresceva sempre di più. "Come sei riuscito a trovarlo?"

"Abbastanza facilmente in realtà. Era seduto qui, sembrava abbastanza solo, aveva bisogno di un gruppo da trasportare avanti e indietro. E dato che noi siamo una grande festa, ho deciso che non potevamo accontentarci di altro."

"Andremo con questo aereo fino a Las Vegas?" La mia voce improvvisamente acuta (per fortuna la mia laringite stava guarendo) tradí la mia energia crescente.

"Ce l'abbiamo a disposizione per le prossime sessanta ore, in caso, um, dovessimo essere in ritardo ovviamente." Freddie fece l'occhiolino.

Straker mi guardò con gli occhi spalancati. "Freddie, è lei la cosa che hai intrufolato qui dentro con il baule?"

"Lei?" Esclamò 'Sharon' da una delle sedie che dava le spalle a noi. Un uomo vestito in modo strano e con dei capelli arruffati che uscivano dal suo cappello da ragazzo che consegna i giornali si alzò da essa. E io volevo svenire.

"Che sfortuna." Sbiascicó Peter. "Pensavo che fosse qualcosa di meno scandaloso come dello champagne o della coca." Rise per la sua stessa battuta.

"Non ti preoccupare tesoro." Disse 'Sharon. "Ce n'è abbastanza di entrambi."

"Venite-" deglutii cercando di calmarmi "venite anche voi ragazzi?"

"Noi e qualcun'altro che dovrebbe essere qui a momenti." Disse Freddie. "Te l'avrei dovuto dire, cara, scusami. Però ti ho detto che sarebbe stata una festa. Non noleggi la Starship per viaggiare da solo."

La Starship. Era l'aereo che usavano i Led Zeppelin per andare in tour nella prima metà degli anni settanta, un noto centro di orgie. Mi feci un appunto mentale di non toccare le porte e le pareti senza disinfettarmi le mani subito dopo.

"Quindi quale delle ragazze di Freddie sei?" Sharon abbassò gli occhiali sul suo naso e si avvicinò.

"Questa è Eve." Canticchiò Freddie. "Eve, questo è Sharon, anche conosciuto come Elton."

Con un'espressione impassibile, tesi la mano in avanti e lasciai che la scosse su e giù. "Il tipo di Goodbye Yellow Brick Road." Dissi lentamente mentre pensavo non fangirlare. Non fangirlare. Niente autografi, non sembrare colpita, so che sei stanca, ma non perdere il controllo.

Elton sorrise facendomi vedere lo spazio fra i suoi denti frontali. "In persona."

Freddie alzó gli occhi al cielo. "Oh certo, lui lo riconosci."

"È l'unico album che so!" Mentii.

"Va bene così." Ridacchiò Elton. "Sei qui per farci divertire, signorina Eve?"

Mi tirai indietro. "Divertire? Uh-"

"Sto per spiegare tutto." Si intromise Freddie velocemente. "Ho solo bisogno che tutti prestino attenzione, sono già saliti i tuoi amici, Straker?"

Mentre stava parlando, due sconosciuti salirono a bordo con dei bagagli a mano che misero nei compartimenti sopra ai posti a sedere. "Ora ci sono tutti." Annunció Peter.

"Splendido." Disse Freddie. Mi prese per mano e mi portò al centro dell'aereo dove tutti potevano vedermi.

"Okay, care ragazze, guardate da questa parte per favore." Disse Freddie. Tutte le teste, comprese quelle delle due hostess, si girarono verso di noi.

"Vi ho detto dove stiamo andando, ma non per quale motivo." Iniziò Freddie.

"È Las Vegas, non c'è bisogno di un motivo." Mormorò Peter astutamente.

"Oh, ma ce n'è uno. È una missione."

Elton si incamminò verso il bar. "Ti sto ancora ascoltando."

Freddie continuò. "Ecco la signorina Eve Dubroc, una donzella in pericolo, e noi, bravi cavalieri della Tavola Rotonda, dobbiamo aiutarla. Il suo fidanzato, Mark Zuckerberg, la sta aspettando a Las Vegas e noi abbiamo il compito di portarla lì."

Mi morsi il labbro quando disse il nome del mio "fidanzato" cercando di non ridere. Quella era senza dubbio la parte più surreale di questo fallimento che si stava sviluppando. Sotto sotto sapevo che dal momento del decollo le cose sarebbero solamente diventate più surreali.

Continuò. "Non c'è bisogno che vi dica che è Las Vegas e che andremo a divertirci. In ogni caso, Eve non è il nostro intrattenimento, è la nostra ospite d'onore. Trattatela come tale. C'è abbastanza per divertirsi qui e dove stiamo andando."

"Va bene Freddie." Rise Peter. "A condizione che io sia il Signor Galahad."

"Caz*o Straker, lo stavo per dire io." Scherzó Elton.

Non ti preoccupare Signor Elton, sarai un vero cavaliere prima o poi. Abbi pazienza.

Tutti concordarono in un modo o nell'altro, scherzando sul loro possibile nome da cavaliere. Non potevo non essere grata a Freddie di aver chiarificato quel punto. Certo, ero su un aereo pieno di ragazzi che probabilmente erano attratti dal cromosoma Y, ma durante una festa su un aereo privato potrebbe succedere di tutto. Ti nomino Signor Lancillotto, Freddie.

"Allora credo che siamo pronti a partire, eh, ragazze?" Freddie si girò verso le hostess.

Sorrisero in modo provocante e fecero l'occhiolino. "Quando lo siete voi." se la tirò quella più formosa. Alzammo i pollici all'insù e loro andarono ad avvisare il pilota.

"Hey, aspetta. Dov'è Rudy?" Chiesi.

In quel momento un interfono si accese facendo del rumore e una rauca voce familiare disse "Salve, questo è il vostro pilota, Rudy Barnes, che parla, allacciatevi le cinture. Decolliamo fra cinque minuti."

"Rudy farà volare sta cosa?" Sussultai.

"È un bravo tuttofare, vero? Siamo fortunati ad averlo. Aveva un'espressione buffissima quando gli ho detto di volere questo aereo. Hanno cercato di convincermi a non prenderlo. Che sciocchi."

Il quel momento i motori si accesero rumorosamente. Qualche secondo dopo le ruote iniziarono a ruotare mentre la Starship si avvicinava alla pista di decollo. Andammo tutti verso la parte anteriore dell'aereo dove rimanevano ancora dei sedili da aereo e ci allacciammo le cinture. Freddie si sedette di fianco a me, piantandomi un bacio sulla guancia mentre li faceva.

Improvvisamente pensai ad una battuta molto squallida. Dovevo dirla. Meditai ad alta voce "È un peccato che Mary non sia venuta."

Freddie corrucciò le sopracciglia. "Perché?"

"Perché così avremmo potuto affermare che Peter, Paul e Mary sono partiti davvero su un jet."

Freddie chiuse gli occhi e gettó la testa all'indietro ridendo. "Oh, era pessima."

"Lo so." La mia faccia diventò rossa pomodoro, risi comprendimi il volto con le mani. Mi stavo emozionando troppo. "La nostra missione, dovessimo accettarl-"

"Penso che ora abbiamo preso l'impegno, tesoro." Disse Freddie.

Ma io continuai. "-a è di intrufolare illegalmente una ragazza nella città del peccato attraversando l'Atlantico e tornare indietro con una finta licenza di matrimonio."

Uno degli strani uomini seduti davanti a noi, che più avanti avrei scoperto essere John (Un altro John! Troppi John inglesi!) Holmes, sorrise. "Che cosa potrebbe andare storto?"

Avevo un'idea. Tirai fuori lo Specchio Magico di nuovo e cercai LA canzone.

"Cosa stai facendo?" Chiese Freddie.

"Non è ancora ufficiale. Ne abbiamo bisogno."

Guardai dietro di me e vidi Elton John che sorseggiava altezzosamente un cocktail e Peter e Paul, dall'altro lato del corridoio, che ridevano per qualcosa. Dovevamo iniziare il decollo prima che potessi fare partire la canzone. Solo durante il decollo.

Dopo qualche minuto l'aereo iniziò a prendere velocità sulla pista. Era arrivato il momento.

Tutti iniziarono a ridere, l'unico che penso di chiedere da dove venisse la musica fu Paul. "Ma che caz*o è?" Si lamentò.

Ma io stavo guardando fuori dal finestrino, osservavo come Heathrow stesse scorrendo di fianco a me, non ascoltando nulla se non la musica. Feci un urletto, ero stracontenta e completamente impreparata per ciò che sarebbe successo. In poco, la Starship si staccò dal terreno e iniziammo a inclinarsi in aria.

"Facciamolo!" Urlai. Ottenni qualche grido eccitato in risposta.

"Mi farai mai vedere come funziona quella cosa?" Mi sussurrò Freddie nell'orecchio.

"Non ancora." Canticchiai. "Ho altre sessanta ore per pensarci."

"Ovviamente." Mormorò Freddie, un piccolo sorriso che gli piegava gli angoli della bocca all'insù.

L'aeroporto diventava sempre più piccolo mentre ci sollevavamo nell'atmosfera. Così iniziò un'altra avventura da sconvolgere la vita.

Quindi iniziò la Mission Implausibile.

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