3.Cosa fa QUESTO bottone?

Traduzione fornita da Shawnxmoon

“Sicuramente puoi capire perché preferiremmo che tu non dicessi nulla sull’esistenza di questo posto.” Dr.K disse casualmente. “La maggior parte degli studenti che non fanno medicina o che non sono studiosi dedicati di psicologia come te, non sanno nulla.” 

Non stavo ascoltando con attenzione. Ero troppo intrigata dalla stanza con sei lati. Da un lato, le pareti di metallo brillavano, dall’altro, c’erano degli screen LED con dei dati incomprensibili. La luce sembrava venire da ovunque e rimbalzava in ogni direzione, dando alla stanza una parenza di specchio. Le persone si mischiavano alacremente, instancabili come le api operaie, ma stavano in silenzio. Nessun chiacchiericcio emozionato, nessun ronzio di resoconti sullo stato del l’esperimento o cose del genere, nulla.

Sembrava che i computer parlassero più che le persone con tutti quei click e i battiti e i beep beep che venivano da ovunque. 

“Che posto è mai questo?” mormorai.

“Questo,” disse Dr.K “è dove la vera magia avviene.”

“Ma questa non è nemmeno una scuola di materie scientifiche, è una scuola di materie umanistiche!” 

“Ecco perché è un ottimo posto dove mettere una base segreta, no?”

Fu in quel momento che notai la grande depressione al centro del pavimento. Mi avvicinai il più possibile per vedere il pavimento che andava giù per sei metri in una forma di cono, fermandosi al centro dove c’era quello che sembrava una vecchia e cilindrica capsula spaziale di un vecchio film di fantascienza.

“Cos’è quello lì giù?” Sussurrai.

“Quello è il mostriciattolo con cui farai amicizia presto.” Disse Dr.K con orgoglio. “La chiamiamo TRDS-14K2. Per essere brevi è...”

“Non me lo dica,” lo interruppi “Tardis!” 

Il Dr.K mi fissò. “Cosa?”

“Tardis! Sa come in Doctor Who...la serie tv...lasci stare.”

“Oh okay...I’m realtà la chiamiamo T-Rod, non so perché, lo facciamo e basta.”

Guardai in alto e ci rimasi nel vedere una specie di zona di osservazione dove qualche uomini e donne con lo sguardo intenso e vestiti elegantemente erano seduti circondati da vetro, come se fossero in un acquario rettangolare. Riconobbi qualche faccia dal telegiornale.

“Chi sono?” Chiesi.

“Quelli sono alcuni dei nostri sponsor.” Rispose Dr.K. “Santo cielo sei piena di domande!”

 Oh giusto, scusami, mi sono dimenticata che devo solo essere un muto ratto da laboratorio. Mugugnai fra me e me. Dio, come vorrei essere stata più sul pezzo e essermi iscritta a quei dannati studi-quello normali, non un esperimento, non di sicuro uno da cui non ti aspetteresti che se ne andasse un supereroe.

“Ecco, faremo meglio a cominciare, a prepararti. Inizieremo fra cinque minuti, a George non piace aspettare.” Mi squadró e annuí. “Funzionerà, è una fortuna che tu abbia indosso vestiti così basici, saresti a posto ovunque tu finissi. Nessuno sospetterà.”

Guardai i miei jeans e il mio dolcevita nero. “Uhm, grazie?”

Dr.K mi condusse al tavolo, facendomi aprire lo zaino. Pensai che magari ci avrebbe frugato, prendendo un paio di cose da tenersi, ma iniziò a riempirlo di diverse cose, spiegandomi un oggetto alla volta.

“Dove andrai, non ci sarà connessione telefonica, il QI del tuo telefono crollerà di almeno 100 punti.” Disse “Per comunicare con noi usa questo.” 

Mi diede un vecchio telefono della Nokia. Era una vera e propria reliquia, con lo schermo verde monocromatico e l’inutile antenna su un lato. Questo affare doveva avere circa vent’anni. Repressi un sorriso.

Dr.K poteva leggere i miei pensieri dato che li avevi scritti in volto. “Ridi pure, amerai quella cosa dopo. L’abbiamo modificato in modo che per un certo periodo di tempo-ancora non sappiamo quanto- possiamo contattarti e possiamo tenerci al corrente della soluzione.”

“E questo,” continuò “è il tuo registro ufficiale. Tutto quello che non ci sta nell’arco di tempo in cui parliamo, lo annoterai qui. Dici di essere brava a prendere gli appunti. Vediamo quanto. Tutto quello che vedi, tutto quello che fai, tutte le persone con cui parli, finisce qui. È molto importante. Capisci?”

Annuí, chiedendomi cosa avrei trovato alla fine dell’arcobaleno. Guardai in altro verso l’acquario. 

“E infine,” concluse Dr.K “il tuo biglietto di ritorno.”

Sollevò la sua mano. Fra le sue dita pendeva una collana e alla sua fine si agganciava uno strano pendente della dimensione di una monetine da 25 centesimi. C’era un bottone su un lato, uno sottile, in modo che non sembrasse il parente lontano di uno strumento per le emergenze mediche. Nel wafer bianco, una piccola luce LED emetteva una sbiadita luce gialla. Me lo mise attorno al collo e mi disse di non toglierlo per qualsiasi motivo.

“Vedi questo colore?” disse Dr.K. “Significa che non è attivo. Rimarrà così finché non te ne andrai. Quando è verde significa che siamo collegati al tuo segnale e possiamo riportarti indietro. Quando la luce è blu, sappiamo dove sei e possiamo parlare al telefono qui, ma non c’è nulla che ci possiamo fare. Rosso significa che sei fuori dal segnale e dalla nostra vista.”

“Verde significa vai, blu parla e rosso sono da sola, abbastanza chiaro. Per quanto tempo starò- uh, lí fuori?” Non avevo ancora la più pallida idea di cosa sarebbe successo.

“Non tanto.” Mi assicuró Dr.K. “Almeno un’ora. Al massimo due. Nel quaderno che ti ho dato ci sono le istruzioni specifiche da seguire una volta che sarai lì. Se i miei calcoli sono corretti non dovrai andare tanto lontana.” 

Ciò nonostante, tirai fuori il mio telefono per inviare un messaggio alla mia famiglia in caso si preoccupassero. Ma il segnale non poteva arrivare a quella profonditá nel suolo; il messaggio non partiva ogni volta che provavo a mandarlo. Avrei dovuto aspettare fino alla fine di tutto questo, immaginai.

All’improvviso un auto parlante si accesse con uno stridio. Tutte le attività nella stanza si fermarono. La voce di Dr.C (che era andato nell’acquario - immagino che fosse il cerimoniere di questo esperimento) crepitò attraverso il sistema audio. “Allora, dovremmo iniziare, questa ragazza deve essere a Dallas per cena.”

Aspettò mentre ridacchiavamo educatamente prima di continuare. “I sistemi sono operativi, squadra?” 

“Operativi e funzionanti, signore.” Rispose qualcuno.

“Perfetto,” disse Dr.K “apriamola.”

Qualcuno fece qualche tap su un touch screen. Il silenzio era tale da poter sentire il rumore delle sue dita contro il pannello. Il mio corpo si irrigidì. Dr.K mi diede una pacca sulla spalla e mi fece un sorriso da Sarai-Fantastica. E T-Rod sibiló in basso mentre il suo tetto a cupola si spalancava. 

Chiunque avesse progettato questa bestia non convenzionale era stato premuroso abbastanza da mettere una rampa di scale. Quando la macchina si aprì completamente, Dr.K fece gesto che era arrivata l’ora. Non potevo nemmeno iniziare a descrivere quanto fossi nervosa. Non riuscivo a muovermi, i miei piedi paralizzati da e-se e da forse mentre fissavo giù la capsula verso lo sconosciuto. 

“La stiamo aspettando signorina Samules.” diceva dall’alto Dr.C con voce convincente.

Solo una cosa poteva farmi muovere. Quindi la feci. Era ridicolo, ma era l’unico modo.

Iniziai a fischiettare Killer Queen.

Il determinato ritmo da marcia, la melodia che ti faceva camminare con disinvoltura, 

la forte voce che avevo in testa, mi fecero riprendere. Chiuso i miei occhi, lasciando continuare la musica. Mi misi lo zaino sulle spalle. Andai giù.

Quando la canzone finí ero già comodamente seduta nella dura sedia sul fondo. Strinsi le mani insieme, aspettando.

Caro Dio, ti prego fammi uscire da qua in unico pezzo, pregai. 

Qualcuno accese un interruttore o una cosa del genere; le pareti del cilindro iniziarono a chiudersi intorno a me. Tutto sembrava così lontano, così in alto rispetto al buco in cui ero intrappolata. L’ultima cosa che vidi fu la faccia di Dr.K che mi osservava dall’alto, il buco diventava sempre più piccolo fino a che rimase solo un piccolo bagliore di luce e poi nulla se non gli schermi e le scale che erano dentro la capsula stessa.

“Capsula in sicurezza.” crepitò una voce.

C’era un altoparlante dentro con me.

“Okay, facciamolo. Incrociamo le dita.” Disse qualcun altro. 

“Tutto a posto lì, Julia?” chiamò Dr.K. “Premi il pulsante rosso sulla console davanti a te se hai qualcos’altro da dire.”

La mia mano paralitica fece come le era stato detto. “Sono apposto.” squittii. Il che non era vero. Volevo vomitare.

Ma non c’era bisogno che loro lo sapessero. 

“Grazie ancora, Dr.K,” sussurrai “sicuramente non mi aspettavo questo da oggi.”

Da lí in poi iniziai a sentire una valanga di annunci.

“Iniziare l’installazione delle coordinate.”

“Luogo di arrivo sicuro.” 

“Aggiustamenti cronologici completati.”

Chiusi i miei occhi. Il ronzio che prima avevo ignorato di istinto ora iniziava a diventare sempre più forte. Stava per succedere. E io non aveva nessuna idea su dove stessi andando, o su chi ci sarebbe stato ad accogliermi, o se tutto questo fosse un elaborato scherzo elegante che mi stavano facendo.

Poi, l’ultimo comando.

“Dr. Cristopher, esegua.”

Aprii gli occhi. Gli schermi brillavano ancora con i loro numeri e i segni incomprensibili. Guardai la mia collana. La luce era gialla.

Mossi la mano verso il bottone, il mio cuore non più in gola. “Ha funzionato?” 

E poi, gli interlocutori iniziarono un chiacchiericcio deluso.

“È ancora qui.” 

“Stai dicendo che non ha funzionato come dov-“

“Ora, siate comprensivi, questo è il primo esperimento uman-“

“Forse dovremmo provare di nuovo.”

“No, no, l’abbiamo terrorizzata abbastanza.” Era Dr.K, che Dio lo benedica. “Lasciamola andare a casa. Forza, dobbiamo fare degli aggiustamenti.”

Non tutti erano propensi all’idea ma mentre passavano i minuti e io ero seduta sul trono di quella macchina induci claustrofobia, riusciva a convincere sempre di più le persone importanti che avrebbero dovuto rimandare e sistemare un errore che non si aspettavano.

“Okay, Julia. Ti faremo andare.” Annunciò tristemente Dr.C. “Alzate di nuovo la cupola.” 

Feci un respiro di sollievo. Per nessun motivo particolare, sentii la necessità di tirare fuori il mio telefono. “Riceverò comunque i venti crediti, giusto?”

“Certamente.” Disse Dr.K. 

Tutto ciò aveva premuto troppo sui miei nervi. Dovevo vedere un volto familiare. Aprii Google e scrissi il nome della mia ossessione nella barra di ricerca. 

All’improvviso tutti gli schermi diventarono neri. Sussultai, presa alla sprovvista. Poi quello direttamente davanti a me si accesse con la schermata identica a quella del mio telefono. 

Mi accigliai, strizzai gli occhi, ma non era un’allucinazione. C’era la barra di ricerca di Google, dove vi erano le parole “Freddie Mercury”. Uno alla volta, tutti gli altri schermi si riaccesero ma dicevano tutti cose diverse.

Sopra e intorno a me, sentivo delle voci preoccupati che dicevano qualcosa al riguardo dello sportello che era incastrato, ma non stavo ascoltando. Uno schermo diceva “Luogo”, l’altro “Data.” 

Forte, pensai fra me e me. Riproduzione dello schermo. Divertenti le piccole connessioni Bluetooth. ORA c’è un segnale. Che strano.

“Perché il computer non risponde?” esclamò qualcuno da fuori.

Data e luogo. Devono essere filtri per le ricerche su internet. 

Quindi in luogo, per divertimento, misi il suo indirizzo di casa. Magari c’erano delle foto che non avevo visto, ma non era probabile, sorrisi.

“Qualcosa sta cambiando nelle coordinate!” Il rumore delle voci aumentò. “Che sta succedendo?” 

Data? Tipo cosa? La data della foto? Ohh. Dilemma. Molte sue foto belle, ma c’erano comunque foto che mi avrebbero disturbata profondamente.

Cliccai la freccia  per vedere le ultime ricerche e vidi la data 3 febbraio 1971. Non mi ricordavo di averla mai cercata, ma mio fratello aveva un modo di entrare nel mio telefono e cercare le cose più strane. Freddie era carino nel 1971, ma avevo un’idea migliore.

1977, sì. Il suo momento d’oro.

Trent’anni e stupendo. 

Prima che la fame gli avesse completamente consumato l’anima (o così pensavo.). Quando scriveva ancora nelle canzoni. Non c’era tempo migliore di questo. 

Quindi, scrissi nella barra “1 Luglio 1977”. Il giorno lo scelsi per nessun motivo, forse perché 71 era nella mia mente. 

Chissà cosa stava facendo Freddie quel giorno, pensai. 

“Sta succedendo qualcosa, spegnete tutto!”

Premetti Invio.

Poi la stanza si illuminò, come se un milione di fotocamere scattassero una foto del mio volto allo stesso momento.

E la capsula diventò nera. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top