25. L'Heatwave, Parte Uno
Traduzione fornita da
Le reazioni ritardate possono essere due cose: molto utili o molto dannose. Non riesco ancora a decidere fra le due. Le considero delle fantastiche protezioni emotive, ma se succedono troppo spesso o ci mettono troppo tempo, mentre aspetti la solitudine per poterle rilasciare, le altre persone potrebbero iniziare a chiedersi se tu di partenza abbia delle emozioni. In qualsiasi modo decidiate di vedere le reazioni ritardate, ne ebbi una non appena Freddie si girò, dandomi la schiena.
Mi ha baciata, pensai. Oddio mi ha baciata. Sulle labbra. Freddie mi ha baciata sulle labbra.
Corsi in camera mia, apparentemente per mettermi i trampoli- le scarpe. Ma non appena chiusi la porta, sentii i miei arti sciogliersi come burro al sole e sentii un'onda di indolenzimento colpirmi. Di nuovo, era solo un piccolo bacio innocente, ma in quel momento, era nuova allo scambio di effusioni quindi un vero bacio era una grande cosa per me.
Con un sorrisetto sciocco, diedi colpi alla porta con la mia testa. Posai la mano sopra le labbra e risi dolcemente di me stessa. Sono felice che non mi veda così, pensai. È già brutto che io lo desideri in silenzio; se sapesse quanto cotta sono in questo momento, non me lo farebbe più scordare.
In ogni caso, andai in una pagina nuova del mio diario e scarabocchiai un'altra NFO: Freddie sa di vodka alla cannella. Lo so perché mi ha baciata. Profuma di liquirizia e sa di vodka alla cannella. Vorrei mangiarmelo tutto. La domanda è, userei una forchetta o un cucchiaino? O è un piatto che è meglio consumare con le dita?
Bel lavoro Julia, molto scientifico, pensai, non solo per essere sarcastica, ma anche per ricordarmi che il mio nome era Julia, non Eve, non importavano tutte le volte che Freddie mi aveva chiamata in quel modo.
Mi strofinai gli occhi. Questi sentimenti si creavano solo quando ero vicina a lui e si moltiplicavano per cinque con tutti i suoi gesti affettuosi. C'era una sola, sicura, maledizione che accompagnava la mia malattia che stava peggiorando: avrei dovuto abbandonarlo. Ma questo uccello non poteva volare; le mie ali erano state tagliate, ma non facevano male. E comunque, l'idea di andarmene e lasciarlo qui diventava sempre meno attraente più tempo passavo con lui. Non fraintendetemi, volevo ancora tornare a casa disperatamente. Ma quello non significava che volessi lasciare Freddie; nonostante il suo essere lunatico e suscettibile, mi era comunque molto caro. Lui è cosí...
Un pugno pesante colpí la porta. "Sei pronta?"
"Arrivo!" Grazie per questi sogni a occhi aperti, mi lamentai. Incautamente, aprii la porta, solo per essere attaccata nuovamente.
Click! BZZZZ
Freddie abbassò la sua fotocamera. "Allora andiamo, forza."
"Stiamo ancora facendo la guerra delle fotocamere?"
"Perché? Ti vuoi arrendere così presto?"
"Perché dovrei che sono in vantaggio?"
"A quanto siamo?"
"Quarantuno a tre."
"Com'è successo?"
"Tu hai bisogno della pellicola, io ho solo bisogno di sufficiente memoria." Gli dissi, impugnando il mio Android come la spada di un samurai. "Il tuo Kung Fu non è forte. Ma non posso permettermi di dimenticarlo da qualche parte oggi, quindi lo lascerò qui. Non ho servizio in ogni caso." Lo lanciai sul letto.
"Servizio."
"Servizio per il telefono. Il campo. Capisci?"
Ma ovviamente non aveva capito.
"Telefono? Puoi chiamare la gente con quella cosa?"
Sventolai la mano come faceva di solito lui. "Santo cielo, Freddie, quante domande."
"Chi puoi chiamare?"
"Adesso nessuno. Non ho più il telefono che funziona."
"Anche questo è rotto?"
"Anche?" Le mie sopracciglia si aggrottarono. "In che senso anche?"
Freddie sembrava confuso. "Hai detto rotto."
"Non è vero, ho detto che non ce l'ho più, non che è rotto."
Scosse le spalle. "Scusami cara, devo averti fraintesa."
Mi feci scura in volto. "Dio. Mi hai illusa, pensavo che magari sapessi dov'è la Reliquia- aspetta un attimo. Dimmi, onestamente, per la mia sanità mentale," lo afferrai dalle braccia "non hai rotto la Reliquia vero?"
Freddie mi guardò dritto negli occhi, la mano destra alzata. "Giuro su Dio, non ho la Reliquia."
Rudy bussò alla porta, Freddie provó a girarsi per accoglierlo ma lo stavo ancora trattenendo e gli chiesi un'ultima domanda -una un po' ingiusta forse. "Non mi diresti una bugia, vero Freddie?"
"Certo che no." Disse. "Tu mentiresti a me?"
Le parole si sciolsero amaramente sulla mia lingua, ma le sputai comunque fuori.
"Mai."
Sorrise e mi abbracciò. "Come immaginavo."
Oh Santo cielo, non posso più uscirne...
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Quando arrivammo al club, l'Heatwave, come potrete immaginare, i soliti sospetti accerchiavano Freddie: Peter Straker, Paul Prenter e Rudy Barnes, il suo autista. Dato che eravamo passati a prendere Paul, come prima (Questo qua non ha un mezzo di trasporto? Ceh, dai). Non ero riuscita a spiccicare nemmeno una parola con Freddie. Più amici, vecchi o nuovi, arrivavano a circondarlo, più ero spinta verso il fondo della folla. Mi spingevano sempre più lontano dalla gemma con gli occhi scuri che circondavano, come a proteggerlo da me.
Presto iniziai a vedere uno schema: quando sei la sola ragazza in un gruppo di sette o otto ti rendi conto di queste cose in fretta. Mi sento come la Vedova Nera degli Avengers, senza le fortissime mosse da ninja -e il sex appeal, pensai. Sono la pollastra.
Tutto d'un colpo, l'Heatwave mi sembrò abbastanza sospetto, e quindi completamente forte, perché era uno di quei club la cui entrata non era ben visibile. Noi quattro uscimmo dalla Rolls Royce e Rudy cedette le chiavi al valletto, ma io non riuscivo a vedere l'insegna dell'entrata da nessuna parte. Mentre Paul e Rudy si affiancavano a Freddie, camminammo verso il lato dell'edificio. Lì, nell'ombra del vicolo, c'era un'enorme porta metallica. Sopra c'era un piccolo spioncino. Freddie bussò.
"Password?" Chiese una voce roca.
Freddie sussurrò. "Provaci ancora, Sam."
La serratura di sicurezza si aprí e la porta si spalancó. I tre uomini entrarono, con me alle loro costole. Quando il buttafuori richiuse subito la porta una volta che fui entrata, il mio stomaco si rivoltò. Le scale davanti a noi andavamo verso il basso. Affari rischiosi, pensai, cercando di non preoccuparmi. Ma l'ultima volta che avevo visitato una segreta stanza sotterranea la mia vita era cambiata completamente. Non ero del tutto sicura di cosa sarebbe successo quella sera.
Arrivammo a un'altra porta, il nostro gruppo ora era di cinque dato che Peter Straker aveva pensato che sarebbe stato carino nascondersi nell'ombra e spaventarci all'ingresso del club. Senza esitazione, entrammo nell'Heatwave.
Il ghiaccio secco si levava a ondate lungo tutta la pista affollata, le luci decorative tingevano io fumo di diversi colori al ritmo della musica. Nonostante la palla a specchi e i riflettori che pendevano dalle alte travi, il posto non era ben illuminato e non riuscivo nemmeno a distinguere le caratteristiche del volto di Rudy che era il più vicino a me. In ogni caso, volevo fare una buona impressione. Ero nervosa ma alzai il mento e feci lunghi passi, le gambe dei miei pantaloni muovevano aria ad ogni passo. Non potevo sembrare come una qualche imbarazzante groupie; stasera ero uno dei ragazzi che volevano divertirsi. Qualunque cosa significasse.
Freddie e la sua gang andarono dritto verso il bar. "La roba più costosa che hai nei bicchieri più grandi che trovi." Ordinò.
"E tu cosa vuoi, amore di Freddie?" Mi stuzzicò Peter mentre il barista versava tre disgustosamente alti bicchieri di liquore russo.
"Solo un caffè per me." Dissi al barista. "Con lo zucchero se ce l'hai, per favore."
"Questo è un club, non una sala da tè." Si lamentò.
"Io non bevo." Spiegai, come se gli fosse potuto importare qualcosa.
Quando le persone riconoscevano Freddie, facevano i salti mortali per avvicinarsi a lui. Rudy fece il suo lavoro e riuscì a fargli mantenere un po' di spazio per respirare ma non poteva fare miracoli. Si spingevano contro di lui, buttandomi prima verso il bordo, poi completamente fuori. Freddie si guardò intorno, finalmente realizzando che ero scomparsa. Scossi le spalle poi mi girai per andare in pista -amavo "I Just Want to Be Your Everything" di Andy Gibb che era la melodia che pulsava nel club in quel momento -quando qualcuno mi prese la mano.
Mi girai di scatto per vedere Freddie. Si era fatto strada fra la folla per poter farmi ritornare al bar, e ora aveva un braccio intorno alla mia vita.
Sorrise. "E tu dove vai?"
"Come?"
"DOVE STAI ANDANDO?"
"A ballare!"
"Posso venire anche io?"
Questo me lo chiese quando tre persone, quasi contemporaneamente, iniziarono a tirarlo indietro. "Hai le mani occupate!"
"È un no?"
"A me pare di sì." Disse Paul che si toccava le tasche come in cerca delle chiavi.
"Forza tesoro, non é la Mercurena ma va bene comunque." Mi fece l'occhiolino.
Paul protestò "Pensavo che volessi provare un po' di-"
"Dopo caro! Siamo appena arrivati. Controlla i nostri drink, va bene?" Canticchió Freddie per poi darmi un bacio sulla guancia. "Andiamo?"
Con queste parole, lasciai che mi conducesse nella pista nebbiosa. Non sapevo nemmeno una cosa su come si ballasse la disco -come si ballasse veramente, non la sua sciocca parodia che tutti sanno fare - il che divenne ovvio troppo presto. Freddie non era John Travolta ma era cinquantamila volte meglio di me, e mi mostrò cosa fare. Almeno potevo confondermi fra la gente.
Lentamente la voce vivace di Gibb si sciolse in una dolce canzone degli ABBA. Prima ancora che potessi dire qualcosa sull'uscire dalla pista, Freddie sussurrò. "Ancora una."
"E Paul?"
"Paul è un cogl*one."
Ridemmo e io annuii. "Sí, lo è, grazie." Ballammo la nostra seconda -e ultima (per quello che mi ricordo)- danza della serata.
"I wanna know/ What's the name of the game?" Stava chiedendo dagli altoparlanti la signora Lyngstand mentre lui metteva le braccia intorno a me e premeva la sua guancia contro la mia. Lasciai che le mie dita giocassero con la frangia di capelli neri appena sopra il suo colletto. Non l'avevo mai toccato così intimamente prima d'ora. E per quanto piccolo potesse sembrare quel gesto, era elettrico.
Sentii il mio corpo rilassarsi mentre ballavamo, come se mi stessi sciogliendo fra le sue braccia. Non ero sicura se fosse la mia immaginazione o meno, ma giuro che dopo circa un minuto lo sentii mordicchiare il mio lobo. Chiusi gli occhi, cercando, e fallendo, di sopprimere le nuove emozioni che stavano nascendo nel mio petto.
Freddie aveva ragione, niente poteva essere messo a confronto con quel momento imbarazzante, ma, guardando indietro, anche surreale, nel suo appartamento. Ma muovermi con lui in quella fumosa stanza calda, sentendo il suo corpo elastico che ondeggiava e sfiorava il mio mentre innumerevoli paia di occhi (fra cui quelli di Paul) mi fissavano con invidia -in quei due minuti speciali della mia vita- mi faceva non voler più essere da nessun'altra parte.
Quanto vorrei aver ricambiato il bacio prima, pensai. Vorrei poterglielo dire. È così tremendo -e fantastico e divino- perché non lo bacio ora?
Non appena decisi di farlo, una mano marrone si impose sulla spalla di Freddie e lui si girò. Peter Straker aveva al suo fianco un ragazzo che doveva assolutamente presentare a Freddie, era Jack, uno dei suoi migliori amici, avevano lavorato insieme in un episodio di Centre Play un anno prima, era completamente innamorato del carisma e della presenza scenica di Freddie, e prima che potessi accorgermene, avevo perso il mio compagno di ballo.
Sentendomi come un pezzo masticato e rimasticato di cicca, vagai via dalla pista. Ora avevo bisogno di quel caffè. Ancor prima di raggiungere il bar si riaccese il mio scetticismo. Be', é stato dolce da parte sua, pensai. Ha ballato con me per togliersi subito il problema e poter dire che aveva ballato con me stasera. Salvare le cose divertenti per ultime. Uomo intelligente. Gli interessano i bambini.
Paul mi guardò tornare indietro e vedendo che ero senza Freddie iniziò a scrutare il club in cerca degli scompigliati capelli neri.
"É con Straker." Dissi. "Probabilmente Rudy sta già-"
"Okay." Mormorò Paul. Mise le mani in tasca e si allontanò dal bar senza nemmeno dire un "grazie". Ero sola ora. Oh be', è stato bello fin quando è durato.
CONTINUA NELLA PARTE DUE >>>>>
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