10. Incontrare La Gang
Traduzione fornita da @Shawnxmoon
Verso le sette, misi a terra le ciotole di cibo dei gatti e aspettai. Nel giro di mezzo minuto tutti e tre i gatti di Freddie arrivarono in cucina: per primo il mio nuovo migliore amico autonominato arancione, Oscar; il pigro gatto marrone scuro, Tom; e il bel tartarugato, Tiffany. Al momento non sapevo il nome di Tom, ma dato che ora che scrivo la storia sono molto più saggia di prima, posso anche dirvelo adesso.
"Oh certo," scherzai dolcemente "voi pigeons scendete dal divano solo quando è ora di mangiare. Tutto il resto del giorno dormite. L'appartamento intorno a voi potrebbe bruciare e voi continuereste a dormire anche fra la cenere. Ma qualcuno tira fuori l'apriscatole? All'assalto."
In quel momento, Oscar mi guardò e giuro che mi inviò uno starnuto dritto negli occhi.
"AAA-CHOO!" Mi sfregai il naso. "Oh Oscar. Perché trovi le mie allergie divertenti?"
Vagai nel salotto. Non avevo esplorato molto qui. Ho detto che le pareti erano di un caldo arancione scuro? No? Be' lo erano. Sulle pareti c'erano appesi dischi d'oro dove arte e cristalli non arrivavano. C'era un televisore su un lato -una piccola scatola insignificante per gli standard di oggi. Vicino c'era l'onnicomprensivo sistema audio TV. Ero tentata di vedere se ci fosse un jack per il mio telefono da qualche parte, ma la mia logica mi impedì di farlo. Proprio di fianco c'era lo stesso tipo di interfono che avevo visto in cucina e nella mia stanza (la chiamavo la mia stanza). In pratica li avevo ignorati fino a quel momento. Il ricevitore effettivo era fissato al muro in cima alle scale, completo di microfono e tastiera.
L'accesso e sussurrai "Prova? Prova?" La mia voce fece eco intorno a me.
"Ciao?" Dissi con la mia voce normale, e la parola rimbombò sulle pareti. Lo spensi prima di farmi assorbire dall'oggetto. Idee maliziose si stavano infiltrando nella mia testa -ma non idee che vi direi adesso. Non ancora.
Dentro il sistema audio trovai vinili a 33 e a 45 giri, così tanti che le mie dita pizzicavano dall'emozione. Tirai fuori uno dei suoi vinili di Aretha Franklin (e ne aveva molti) -Lady Soul, se mi ricordo bene- e lo misi sul giradischi. In breve tempo, "Chain of Fools" partí dagli altoparlanti e l'appartamento si riempì della sua magia espressiva.
"Dovrei vedere quello di cui mi ha parlato Dr.C" dissi ad alta voce. "Quelle istruzioni probabilmente non mi serviranno molto qui, dato che sono state fatte per il caro vecchio Alinsky e tutto, ma quel diario sarà un buon posto dove appuntare le mie osservazioni su Freddie, se si possono chiamare così."
Mi trascinai su dalle scale, trascinando il mio zaino. Distesa comodamente sul mio letto, posai il diario davanti a me e aprii sulla prima pagina. Lessi:
"Congratulazioni, chiunque tu sia! Sei sopravvissuto alla prima parte dell'esperimento -un esperimento che nessuno ha mai provato a fare prima. La seconda parte -riportarti indietro- potrebbe essere più complicata, ma se sei sopravvissuto alla prima parte, dovrebbe andare tutto bene.
Sei arrivato nel 1971-"
"Sbagliato." Dissi ad alta voce, interrompendomi. "È il 1977, voi pensavate che sarei finita nelle mani di Mr. Rules for Radicals. Non credo proprio! Ah ah." Continuai:
"Sei arrivato nel 1971, se i nostri calcoli sono corretti. Non andare in panico. Se segui queste semplici regole, sarai al sicuro."
In seguito c'erano i miei Tre Comandamenti (che stavo seguendo abbastanza bene, se non conti l'aver mostrato a Freddie la Reliquia) solo che erano scritti con parole diverse.
Mantieni un profilo basso, non parlare del posto da dove vieni, etc.
Dopo c'era la lista di domande che avrei dovuto fare ad Alinsky. Vi direi le domande, con o senza risposta, ma sui documenti che avevo firmato c'era scritto che domande e risposte non potevano essere divulgate. Li capivo.
"Appunta tutto; ecco perché hai il giornale," concluse "se sei abbastanza discreto fai foto con il tuo telefono. SOTTO OGNI CIRCOSTANZA NON FARE VIDEO. E in ogni momento, sii cauto. Goditi la tua esperienza, ovviamente. Ma soprattutto, devi capire che non appartieni e non apparterrai mai nel posto in cui sei stato inviato. Non ci possono essere eccezioni. Se parti devi tornare."
Questa nota lunga e ridondante era conclusa da una frase da biglietto d'auguri tipo, "Divertiti a scrivere la storia!" o simile. Il resto del diario dalla copertina rigida era composto di un centinaio di pagine a righe vuote. Sicuramente, decisi, se si erano impegnati così tanto per mandarmi in un posto, anche se era quello sbagliato, avrei fatto meglio a scribacchiare qualcosa su quello che facevo e sull'uomo con cui ero finita.
Quindi tirai fuori una penna nera e iniziai a scrivere, entrando in modalità psicologa.
Giorno Uno: arrivata a Londra, il 1 luglio 1977 a casa di Freddie Mercury. Nel suo armadio per essere precisi. Quando mi ha trovata, è stato molto gentile e mi ha lasciato dormire qui. Non so quanto a lungo durerà la sua ospitalità ma nel frattempo gli sono grata.
N.F.O. (Che stava per Notevoli Osservazioni su Freddie): Freddie è molto calmo quando qualcosa di inaspettato (tipo trovarmi nel suo armadio) succede. Ha un profondo senso di orgoglio per i Queen e la fama che ne consegue. Era più che seccato quando "non l'avevo riconosciuto".
Giorno Due: Ho preparato la colazione al mio ospite, sono andata a fare shopping. Ho comprato due magliette. Ho dato da mangiare ai suoi gatti. Whoppee doo.
N.F.O.: Deve sempre avere l'ultima parola. A quanto pare si fida molto degli sconosciuti, mi ha dato cinquecento sterline (!) e la chiave del suo appartamento e non sa nemmeno il mio vero nome. Mi chiama Eve Dubroc e pensa che io abbia degli occhi grandi. Non sono sicura sul perché.
Rilessi quello che avevo scritto e mi venne voglia di sbadigliare. Wow, come so divertirmi, pensai sarcasticamente.
Secondo l'orologio erano solo le otto meno dieci. Non avevo problemi a rinchiudermi in qualche angolo dato che sono sola quasi sempre. Ma mi sentivo sola e volevo vedere una faccia amichevole -una VERA faccia, non solo le immagini che potevo guardare sul telefono per qualche minuto. Così, naturalmente, iniziai a pensare a Freddie.
"Chissà cosa sta facendo adesso." Dissi ad alta voce.
Due secondi dopo il telefono suonò. Istintivamente scivolai giù dal letto, corsi al piano di sotto (c'era un telefono nella sua stanza, ma senza il permesso di Freddie l'avrei trattata come una zona in quarantena), e risposi.
"Residenza di Margaret Thatcher." Risposi con il tono più basso che riuscii a far uscire.
Chiara, una risata arrivò dall'altro capo del telefono. "Ciao, Eve!"
"Parlando del diavolo, ciao Freddie!" Sorrisi. "Cosa c'è?"
"Sono felice che tu ci sia ancora. Ho il primo favore da riscuotere," annunciò "potresti prendere due bottiglie di vino, quelle che vuoi, non importa, sono nella dispensa, e portarle qui a Wessex, per favore?"
"Anche dei bicchieri?"
"No, ce li abbiamo. A meno che tu non ne voglia portare uno per te."
Parlava in un modo leggermente strano. Soppressi una risatina e mi chiesi quante bottiglie di vino avessero già scolato. "Qualcos'altro?"
"Solo te stessa e il vino dolcezza."
"Okay, l'indirizzo?"
"Oh, non ti preoccupare, il mio autista sta già arrivando a prenderti. Dovrebbe essere lì in un battibaleno. Inoltre! Sei andata a fare shopping oggi, giusto? Brava ragazza. Mettiti qualcosa di nuovo e vieni a farcelo vedere. A fra poco!"
Riattaccai il telefono. Strano, non mi sentivo euforica o imbarazzata quando parlavo con lui. Ho sempre immaginato che lo sarei stata, con la persona di Freddie così presente nella mia testa. Magari facendo finta che Freddie fosse semplicemente uno qualsiasi stavo imbrogliando anche una parte del mio subconscio. Ah, il potere della mente. Ma comunque!
Scelsi a caso un Cabernet e un Pinot Noir. Non mi ricordo la marca o il paese, ma erano stati bottigliati entrambi negli anni '40. Me lo ricordo perché mi aveva fatto scuotere la testa; non c'è modo di capire il costo di quel vino, ma c'erano almeno due dozzine di bottiglie che non erano più giovani.
Fra la maglietta bianca e quella rossa scelsi la rossa. La infilai dalla testa e scoprí un po' troppo tardi che la maglietta, che sembrava abbastanza casta al Market, era di due taglie più piccola. Abbracciava- no stringeva in tutti i posti sbagliati, sicuramente alcuni dei posti che vorrei coprire in presenza di quattro giovani rockstar (mi fidavo di John di più però non potevo rischiare). La scollatura a v sembrava molto tirata e si poteva vedere il mio ombelico.
Dalla porta della stanza, Oscar mi guardava con i suoi grandi occhi felini. Si leccó i baffi.
"Oh sta zitto." Dissi. "Non posso farci nulla su come fa sembrare il mio davanti. Ma devo farci qualcosa, è troppo volgare."
E lo feci. In un battibaleno, mi legai il dolcevita nero intorno ai fianchi, creando una specie di fascia. Non c'era tempo di fare altri cambiamenti; l'autista di Freddie arrivò troppo in fretta. Un ultimo tocco di rossetto, per buona misura, e con il vino in mano aprii la porta.
E quasi urlai quando vidi la ben vestita colonna di forza alta più di due metri che mi aspettava fuori dalla porta.
"Signorina Eve?" L'uomo chiese.
"In persona." Risposi, riprendendomi.
La sua voce non era fra le più amabili.
"Sono Rudy, l'autista di Freddie."
Solo in questo mondo surreale mi permisi di seguire questa montagna d'uomo dentro la luccicante Rolls Royce argentata. Londra era più bella, se è possibile, al tramonto che a mezzogiorno, e non potevo nemmeno apprezzarla. Lui mi rendeva troppo nervosa.
"Fa anche da guardia del corpo per Freddie?" Chiesi.
"Quando è necessario?" Rispose Rudy.
"È mai stato necessario?"
"Sì."
Penso che queste furono le uniche parole che disse durante il viaggio di venticinque minuti.
Non ho bisogno di dire che ero molto felice quando vidi l'edificio della vecchia chiesa dove ora c'era lo studio di Wessex. Mi arrampicai fuori dall'auto e sistemai la dolce-fascia. Dalle mura della chiesa fuggivano il pensante rumore della batteria e l'inconfondibile pianto della chitarra di Brian.
"Aspetterò qui." Mi informò Rudy, al che risposi che non avrebbe aspettato a lungo.
Camminai sul marciapiede, sentendomi un po' ridicola con quei vestiti. Cosa ne avrebbero pensato i ragazzi dei Queen? Che stilista che ero. Tuttavia, alzai il mento nello stesso modo in cui un testardo e altezzoso Freddie avrebbe fatto, e aprii la porta spingendola, sentendo tutta la fiducia in me stessa di una vera regina.
"Chi sei?" domandò l'ostile receptionist.
Interiormente, feci un passo indietro, stavo per spiegare quando si aprì un'altra porta e spuntò una testa di folti capelli scuri.
"Eccoti!" Esclamò Freddie con le braccia tese. "E hai portato il vino. Perfetto!"
"Come desidera, Padrone." Dissi, facendo l'inchino. "Qualche altro compito che vorreste che portassi a termine?"
"Non stasera. Questo andrà più che bene!" disse.
"Ottimo! Ora tornerò all'appartamen-"
"Oh no, non ancora! Vieni dentro, i ragazzi non vedono l'ora di incontrarti."
"Hai detto alla tua band di me?" Feci un passo indietro.
"Perché no? Se una ragazza si presenta a casa tua senza preannunciarsi, lo ignori?"
"Be', sinceramente non lo so, non ho mai-"
"Esatto. Forza!"
"Ah ah, no, grazie. Sono impegnati, lo posso sentire. E tu," aggiunsi "probabilmente devi tornare dentro a confabulare con loro."
Freddie incrociò le braccia. "Esageri, tesoro. Ogni ragazza salterebbe a prendere questa opportunità di avvicinarsi a noi così tanto. Forse è perché non ci hai visto sul palco. O-"
"Hey Fred, chiudi la porta!" Si sentì una voce londinese- una che non riconoscevo. Freddie agí velocemente; mi prese dalle bottiglie di vino e mi trascinò nella sala di controllo prima che potessi capire cosa stava succedendo, chiudendo la porta dietro di noi.
"Losco." Mormorai. Freddie mi ignorò e passò una delle bottiglie a un tecnico del suono perché le potesse aprire. Qualcos'altro da aggiungere alla lista delle N.F.O: non si apre da solo le bottiglie di vino.
"Cosa ne pensi?" disse il batterista, appoggiando le bacchette.
"La riproveremo dopo, venite dentro e sentire." Disse Freddie all'interfono.
Freddie si girò a guardarmi. "L'hai comprata oggi?"
"Sí," dissi "me ne sto pentendo ora."
"È solo un po' stretta, tutto qui. Domani fammi vedere cos'altro hai preso!"
"Se sono ancora qui."
"Oh, giusto. Potrei ancora denunciarti, grazie per avermelo ricordato."
"Di nulla. Comunque non ho molto altro da mostrarti. Ho comprato questa e una maglietta bianca."
Sbatté le palpebre. "Solo?"
Fu in quel momento che gli altri entrarono nella stanza di controllo. "Questa canzone sta diventato fo*tutamente lenta," Roger si lamentò, tirando fuori una sigaretta, "Brian, la rallentiamo ogni volta di più e non l'ho scritta così. Non dev-"
Si zittí una volta che i suoi occhi assonnati mi guardarono. Guardò Freddie. "È lei la Eve di cui ci parli tanto?"
Mi costrinsi a non reagire, se non conoscevo Freddie non potevo riconoscere nessun'altro.
"Sei il tipo con le sneakers." Dissi, troppo brillantemente. Quando le sue sopracciglia si arricciarono, non capendomi, spiegai "Era l'unica cosa che vedevo da sotto il letto. Avevi delle sneakers."
"Quindi ti ricordi la mia voce." disse con un sorrisetto gentile, la sigaretta fra i suoi bei denti bianchi. In effetti Roger era molto bello, ma non riuscivo a prenderlo sul serio con quella voce stridula.
"La tua è difficile da ricordare." Dissi ambiguamente prima di realizzare come potrebbe suonare. Mi prese la mano, quindi mi convinsi che l'aveva capito esattamente in quel modo.
"Piacere di conoscerti, Eve." Cinguettò, piegandosi sulla mia mano- probabilmente per baciarla.
"Quello è Roger." Freddie lo interruppe velocemente. "Colpisce la batteria o roba simile."
"Suono la batteria." Roger lo corresse e mi lasciò libera per accendere la sigaretta. Non mi dava fastidio. Mi offrì una sigaretta, ma scossi la testa.
"È lo stesso." disse Freddie. "Quello lì è Brian."
Brian stava riempiendo il suo bicchiere di vino; mi salutò con la mano e poi fece un grugnito di indifferenza.
"Tipo con gli zoccoli," dissi "Brian, capito."
John era ancora a girare nella stanza dello studio. Dopo un momento, mise giù il suo basso e si aggiunse agli altri. I suoi occhi piccoli occhi finirono su di me e si spalancarono.
"Presumo che tu conosca Deaks." Disse Roger.
"Sono John," disse, tendendo la mano "John Deacon."
"Oh sì, siamo famiglia praticamente." Risposi. "Scusa se ti ho risposto male ieri. Ero -distratta."
Fece un sorriso timido e scrolló le spalle. Fu in quel momento che capí che quel ragazzo sarebbe diventato il mio migliore amico. John aveva quel tipo di faccia che ti fa venire voglia di raccontargli tutta la tua vita perché sai che sarebbe abbastanza educato da ascoltare tutto. E in quel momento fremevo di spiegargli la mia ragione per essere qua, perché almeno avrebbe fatto finta di credermi.
"Vino?" Un bicchiere pieno si infilò nella mia vista periferica.
"No, grazie, non bevo." Risposi.
"Davvero?" Freddie sembrava sorpreso.
"Sì. Non lo tocco mai. Mi fa venire il sonno, il vino."
"Che peccato."
"Non bevi, non fumi." Disse Roger pensieroso. "Poi ci dirai che sei anche vergine."
Qualcuno rise. Sorrisi, ora a disagio e non poco imbarazzata. "Comunque, uhm, sono solo venuta a portarvi il vino, è stato un piacere incontrarvi, vi lascerò tornare al lavoro."
John annuí, qualcosa di strano nella sua faccia, uno sguardo che era tutto ma felice. Sembrava che cercasse di dirmi qualcosa.
"Ti accompagnerò fuori, tesoro." offrí Freddie. Mi prese la mano, portò fuori mentre urlavo i miei saluti, due dei quali ottennero una risposta. Appena prima che la porta si chiudesse, sentii la voce discreta di Roger esclamare "Dio! Avete visto che gran bel cul-"
La mia mente completò quello che ero stata abbastanza fortunata da perdermi. Ora rimpiango DAVVERO di essermi messa questo, sbuffai interiormente.
Quando eravamo alla porta di ingresso, Freddie mi prese in disparte. "Mi sono perso qualcosa o hai spese cinquecento sterline su due di queste?" Passò un dito sotto la manica della mia maglietta per enfasi.
"No."
"Quanto hai speso?"
"Dieci sterline!" feci un sorrisetto, orgogliosa del mio accento inglese. Dio, sono così americana che non è nemmeno divertente.
"Okay, dieci sterline. Che altro hai comprato?"
"Tutto qui, davvero. Ho comprato il pranzo mentre ero fuori, e pagato il taxi. E in tutto sono...venti, sì, venti sterline, moneta più moneta meno. Grazie mille per- oh sì. Ecco il resto."
Gli diedi quattrocentottanta sterline.
Gli ci volle un minuto a trovare le parole. "Da che mondo vieni?"
"Non dirmi che pensavi che avrei comprato tutto un nuovo guardaroba! Potrei non esserci più domani." È secondo Dr.K, sarebbe andata esattamente così.
Freddie si strofinò gli occhi. "Ho deciso. Devo sistemarti."
"Cosa?" Non suonava bene.
"Ovviamente hai bisogno che qualcuno ti tenga la mano ovunque tu vada e che ti aiuti a pensare, quindi domani, dopo la mia intervista, tu ed io prenderemo questi-" sollevò i soldi in aria "e li spenderemo tutti su vero vestiti, non queste magliette da plebei. Cose vere."
"Sei serio?"
"Più serio di così non si può, mia cara Eve. Non puoi essere scozzese ogni minuto della tua vita. Quella è una vita ben sprecata."
"Stavo solo cercando di essere rispettosa. E sono scozzese solo per metà, grazie."
"Qual è l'altra metà?" Freddie si distraeva facilmente.
"Italiana. Mia madre viene dalla Toscana."
Agitando le sue braccia in aria, esclamò nella sua voce teatrale "Quindi sii italiana. Rendi tua madre orgogliosa! Sei con me, vivi un po'!"
Senza successo cercai di trattenere una risata. "Penso che tu non sia completamente lucido, devo andare, a domani."
"Dirò a Rudy di passarti a prendere all'una e mezza domani, dovrei aver già finito di parlare con il vecchio rompiscatole. Non deludermi!" Prima che potessi ribattere, aggiunse "Consideriamolo il tuo favore per il giorno."
Okay, ora dovevo dire di sí. Annuii, anche se l'idea di andare di nuovo a fare compere pazze non mi ispirava. Ma un favore è un favore, e io ero praticamente vincolata a essere la sua serva.
"Perfetto. Ti vedrò verso le due." Con ciò, si piegò in avanti e mi disse un bacio sulla fronte.
"Felici incisioni!" Dissi, rifiutandomi di reagire al bacio e scivolai fuori dalla porta. Scommetto che lo fa con tutti.
Mentre entravo nella macchina, e iniziavamo a tornare indietro nello stesso silenzio di tomba, non riuscivo a non notare le dita dei miei piedi che si contorcevano. Sempre più curiosa.
Ho solo bisogno di dormire. Mi dissi. Ne avrò bisogno domani.
Ma non sapevo quanto ne avrei avuto bisogno.
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