Capitolo 22. La Tempesta
La tempesta li raggiunse poco dopo e si infranse, feroce, contro la roccia alle loro spalle. Il colpo fu così potente che la parete tremò, e polvere e terriccio iniziarono a cadere sopra di loro, come fine pioggia sporca. La roccia scisse la tempesta in due lame, che attraversarono rapide i loro fianchi. Dalla loro posizione rannicchiata ne poterono solo udire gli ululati atroci, e percepire l'influsso malevolo. Ma intorno a loro, la sabbia prese a turbinare incontrollata, preda di quel delirio ventoso, e presto furono costretti a puntellare con le schiene le pareti instabili del rifugio, per impedire che la terra rotolasse sopra di loro e li sommergesse tutti quanti.
La vista, già ostacolata dal buio profondo di quella notte senza luna, si fece sfocata, annebbiata dalla polvere che si innalzava da ogni lato. Il fischio del vento, tagliente, invase la loro percezione, lasciandoli sordi, storditi e indifesi.
Per la prima volta da che viaggiavano insieme provarono paura, atavica e inspiegabile. La sensazione di essere troppo poco, troppo piccoli davanti alla vastità e alla forza della natura. Nessuna magia era abbastanza, nessun'arma avrebbe potuto scalfire quel nemico invisibile.
Potevano solo stare rannicchiati nella fossa e attendere, le schiene addossate al muro di roccia, ammassati l'uno sull'altro in cerca di riparo. Sudavano, per il contatto con la terra ancora tiepida e con i corpi caldi dei compagni. E tremavano, per le scosse del vento e per la terra e la roccia che vibravano intorno a loro. Non riuscivano a vedersi, ma il contatto era sufficiente a dar loro la certezza di essere insieme, di resistere fianco a fianco, nonostante tutto.
Kate si avvicinò a Eco in cerca di conforto, e lui le passò una mano attorno alla vita e lasciò che si accoccolasse al suo fianco. Quel piccolo gesto le trasmise una pace che non provava da tempo, ma non alleviò del tutto la paura che montava a ondate, seguendo il flusso della tempesta.
D'un tratto, però, sopra l'ululato del vento e il raschiare della terra, la voce di Jord si levò, bassa e pacata, chiara nonostante il delirio intorno a loro. Il chierico prese a intonare una nenia dolce, in una lingua che Kate non era in grado di capire ma che riuscì comunque a penetrare il guscio del suo timore, e a scioglierlo come neve al sole:
«Ardaíonn an ghrian tar éis na stoirme. Ardaíonn an ghrian go te daoine a fhanann. Coinnigh ar, mo thaistealaí maith, Pelor uaireadóirí thar do chroí...*»
Il canto andò avanti a lungo e, pian piano, saturò il piccolo ambiente di un'atmosfera rassicurante. Quelle parole, infuse di preghiera, formarono una barriera spirituale contro la minaccia della tempesta, proteggendo il rifugio e i suoi abitanti finché la forza del vento scemò e rimase solo la sabbia, a turbinare e danzare intorno a loro.
L'eco della tempesta si fece sempre più flebile e più il pericolo si allontanava, più una sensazione di stanchezza scendeva tra loro; figlia del respiro del deserto, fu ben presto impossibile da combattere e riuscì ad abbassare ogni loro difesa, facendoli crollare, ad uno ad uno, preda delle spire del sonno.
La sabbia che ancora si muoveva intorno a loro si depositò sui corpi addormentati e quando anche le schiene cedettero, ghermite dalla stanchezza, le pareti del rifugio franarono un poco, sommergendo in buona parte i loro corpi. In qualche modo, però, la preghiera cantata da Jord rimase tra loro, a vegliare sul loro riposo e a impedire che venissero soffocati dalla sabbia.
Dormirono diverse ore, e anche se il canto continuava a riecheggiare nelle loro menti, la sua magia non riuscì comunque a impedire agli incubi di insinuarsi, furtivi, tra le crepe della loro coscienza. Ombre di antiche magie, spettri di battaglie sconosciute e sanguinose tinsero i loro sogni, resi più vividi dall'eco del vento che si perdeva in lontananza.
Nel silenzio del deserto tornato immoto, si girarono e rigirarono, sudati e tormentati. Finché un suono nuovo e misterioso si insinuò tenacemente nei loro sogni, diradandoli.
Ben fu il primo ad aprire gli occhi e ad accorgersi di essere ancora al buio, avvolto da un calore soffocante. Con la testa che pulsava, si guardò intorno e realizzò di trovarsi sotto un leggero strato di terra, che premeva appena sul corpo e si insinuava nei vestiti.
Scosse il capo, confuso, mentre lo strano suono che lo aveva svegliato proseguiva poco oltre lo strato di sabbia. Infine si mosse, scostando la terra e aprendo un passaggio verso l'alto. Il sole lo accolse in tutto il suo accecante splendore e Ben fu costretto a chiudere gli occhi, ancora troppo abituati al buio della fossa.
Quando li riaprì, il suono era ripreso, basso e costante, alla sua sinistra: rumore di terra smossa, grattata con rabbia e vigore. Era sempre più vicino e quando ruotò il capo, una sagoma scura riempì la sua visuale, cancellando ogni traccia di sonno rimasta.
Si levò di scattò, la mano già in procinto di estrarre lo spadone e i muscoli tesi, pronti a fronteggiare il nemico. Il suo movimento riportò alla realtà anche i compagni, che si mossero adagio sotto la sabbia. Non avendo il tempo di sincerarsi delle loro condizioni, Ben si mise in guardia tra loro e la minaccia, lo spadone teso davanti a al viso.
La confusione della sua mente si attenuò, permettendogli di analizzare con lucidità i suoi nemici. Tre paia di occhi neri e acquosi incrociarono i suoi. Sormontavano altrettanti lucidi carapaci, dai quali spuntavano chele affilate e frementi. Prima di mettersi in posizione, le aveva intraviste scavare nella sabbia, a pochi centimetri dai corpi dei compagni. Le tre creature stavano cercando di arrivare a loro, realizzò il guerriero, notando come avevano circondato l'unico lato aperto del loro rifugio. Con grande probabilità, volevano farli diventare il loro pranzo.
Si mosse adagio davanti ai tre, prendendosi del tempo per studiarne l'aspetto; quelli non si mossero, come se stessero facendo altrettanto.
Forse si stavano chiedendo se e quanto fosse commestibile.
Bene, pensò, muovendosi sicuro in lenti cerchi via via più larghi. Non ha senso attendere oltre. «Siamo sotto attacco!» urlò, infrangendo quell'equilibrio precario, e poi scattò in avanti, verso il più vicino dei tre. Scartò al lato per evitare una chela che tentava di ghermirlo e questa si infranse sul terreno, aprendogli un percorso fino alle fauci del suo nemico. La creatura uno scorpione, uno di quelli che Ben aveva avuto modo di incrociare durante i pattugliamenti nelle praterie. Ma questo era più grosso e, se possibile, molto più disgustoso. Evitò di guardare quegli occhi inquietanti e vibrò invece lo spadone direttamente sotto le chele, l'unica parte che apparisse priva della protezione del carapace. La lama si insinuò nella carne con uno schiocco, strappando un sibilo di dolore alla creatura. Ma non riuscì a farla andare a fondo, perché qualcosa di rigido all'interno del corpo la ostacolò. La estrasse con furia, pronto a vibrare un nuovo fendente, quando la voce di Spock lo raggiunse.
«Ben, attenzione al pungiglione!» gridò il druido e lui fece appena in tempo a scorgere un'ombra calare dall'alto prima di dover saltare di lato, in tempo per evitare una propaggine appuntita che calava lì dove era stato fino a un istante prima.
Il balzo gli diede modo di guardarsi intorno e di constatare, con sollievo, che i compagni si erano svegliati e avevano ingaggiato le altre due creature, proteggendogli le spalle. Riportò l'attenzione sul suo nemico, che ora perdeva un liquido verdastro da sotto la mascella appuntita. Con rinnovata tenacia, Ben rafforzò la presa sullo spadone, mosse un passo all'indietro e poi caricò, intercettando la chela del mostro con la lama e deflettendola verso il lato. Questa volta però il suo nemico reagì mulinando l'altra chela, e Ben fu costretto a ruotare per intercettare l'appendice. La lama fendette l'aria con precisione e troncò di netto il guscio di cui era rivestita la chela, asportandola in buona parte.
Lo scorpione sibilò di dolore e prese a muoversi forsennatamente sulle otto lunghe zampe, costringendolo a retrocedere per evitare i colpi feroci dall'unica chela rimasta. Nel farlo, incespicò e quasi cadde, riuscendo a rimanere in piedi per un soffio ma perdendo per un momento la concentrazione. Il nemico non si lasciò scappare l'occasione e vibrò la tenaglia verso di lui, accompagnata dal pungiglione. Ben scansò la prima con lo spadone, ma il secondo corse dritto sul suo braccio e lui ruotò, un secondo troppo tardi.
Due nastri di energia luminosa lo superarono e si infransero sugli occhi della creatura, rendendo impreciso il suo attacco e mandando il pungiglione a infrangersi sulla sabbia. Un secondo dopo, due frecce fischiarono accanto a Ben e penetrarono il corpo spesso dello scorpione, abbattendolo definitivamente.
Solo allora, quando anche l'ultimo gemito della creatura si spense, con il respiro che ancora faticava a regolarsi Ben si guardò intorno e realizzò che gli altri due nemici giacevano morti ai lati del campo e che i compagni, tutti vivi e pressoché illesi, stavano ripulendo le lame e recuperando l'equipaggiamento dalla sabbia.
Sorrise di sollievo e annuì a Jake, che dietro di lui abbassava l'arco e faceva un cenno con il capo. «Grazie di averci svegliati» gli disse il ranger, poi si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. «Come stai? Sei ferito?»
«No» sospirò il guerriero, abbassandosi sulle ginocchia e sentendo la testa riprendere a pulsare in modo doloroso. «Ma non capisco come abbiamo fatto ad addormentarci così» continuò, la voce carica di rammarico e fastidio.
Qualche passo al suo fianco annunciò l'avvicinarsi del druido. «Non cruciarti» disse Spock, osservando con freddezza i corpi dei loro avversari. «Non è stato un sonno naturale. È stata la tempesta, in qualche modo, anche se non so ancora come.»
«E questi?» La voce di Daniel arrivava da qualche parte dietro di lui, ma Ben evitò di girarsi, preferendo concentrarsi sul respirare adagio e con regolarità. «Avevo capito che il deserto fosse pressoché disabitato» continuò lo stregone.
Spock si limitò a scrollare il capo. «A quanto pare mi sbagliavo.»
«Fratelli, ma non ne incontreremo altri di quei cosi, vero?» si aggiunse CJ, trotterellando per arrivare da loro. Aveva l'armatura sporca di melma verdastra, Ben lo vedeva chiaramente dalla sua posizione abbassata, ma il sorriso perenne non si era incrinato neppure di un millimetro. «Anche perché CJ non ha intenzione di diventare uno spuntino per scarafaggi giganti a breve!»
«Non lo so» ammise il druido. «Quello che è certo, è che abbiamo perso una preziosa giornata di cammino. Non possiamo procedere ora, con questo sole rischiate solo di farvi del male.»
Daniel si mosse e li raggiunse. «Rischiate? E tu?» domandò, con voce leggermente seccata.
«Io sono protetto» rispose Spock, senza precisare oltre. «Tanto vale rifugiarci di nuovo dietro la roccia e attendere il tramonto. Possiamo usare l'altro lato, sarà protetto dal sole.»
«Conosco qualche leggenda per trascorrere il tempo» si inserì Dad e Ben sospirò.
Leggende. Sembrava che quel nano non avesse altro da offrire.
Sentendo di aver ripreso fiato a sufficienza, si alzò e spostò lo sguardo verso i nuovi membri della loro strampalata compagnia e suo malgrado si trovò a sorridere. Eco e Kate erano impegnati a dissotterrare l'equipaggiamento e Dad li aiutava, rivolgendosi di tanto in tanto a lui e agli altri ancora in piedi, con la barba sporca di sabbia e terriccio.
Nonostante tutto, quei tre ci stavano provando davvero, ad essere utili. «Va bene, e leggenda sia» rispose, annuendo alla volta di Dad. «Ma fa' almeno che sia incredibile.»
*** *** ***
*Quella che canta Jord, è la prima strofa di una canzone tradizionale di Ileyn, la sua città di origine nonché capitale di Irvania.
Per anni considerata preghiera sacra al culto di Pelor, si è pian piano diffusa anche tra i popolani, divenendo una vera e propria ballata, cantata nelle taverne e nei ristori agli incroci delle vie maestre. Viene tutt'ora cantata in elfico, perché si dice sia stato un elfo a comporla, anche se nessuno si ricorda il suo nome.
Quella che leggete qui sotto è una delle traduzioni in comune che circolano per Irvania:
«Sorge il sole dopo la tempesta. Sorge, a riscaldare chi resta. Tieni duro, mio buon viaggiatore, Pelor sorveglia il tuo cuore.»
«Se la paura ha preso il tuo cuore, ricorda che Pelor è il tuo protettore. Nessuna minaccia potrà mai averti, i campi del sole saran per te sempre aperti.»
«Dormi sereno figlio del sole, dormi nel tuo campo di viole. Domani la tempesta sarà diradata, e il sole brillerà ancora sulla vallata.»
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