Capitolo 2. Il fiore in boccio
Nel cuore di Anvy, a un passo dal tempio di Fharlanghn e subito accanto al profumato panificio di Roverl Marn e figli, sorgeva una modesta locanda in pietra bianca a due piani, il cui ingresso a pergolato, in primavera, si arricchiva della fioritura dei glicini violetti e del verdeggiante splendore dell'edera robusta.
Isadora Elerman, una delle due proprietarie, era nota in città per lo spiccato pollice verde, grazie al quale la locanda e i suoi ospiti godevano stagionalmente dei prodotti del piccolo orto sul retro nonché, ovviamente, del piacere delle cascate di fiori lilla, sotto le quali venivano spesso allestite le tavolate per i clienti e per gli amici dei dintorni.
La locanda del Fiore in boccio godeva di una discreta fama, che doveva in maniera equa alle doti da coltivatrice di Isadora e a quelle da cuoca di Margherita, sua cugina nonché socia da oltre dieci anni. Col tempo, le due donne avevano dimostrato all'intera città di non necessitare della presenza di un marito per scendere in affari, e si erano pian piano conquistate l'affetto e la stima dei commercianti vicini, nonché un flusso costante e del tutto soddisfacente di viaggiatori di passaggio ad Anvy. Chi giungeva in città in cerca di un posto dove sostare comodamente, infatti, veniva ormai indirizzato in maniera spontanea verso la piccola locanda in centro, nella quale però non sempre era possibile trovargli un posto.
Così, da buone e corrette vicine, se non riuscivano a procurare una stanza per il nuovo arrivato, le due donne lo dirigevano verso una delle locande concorrenti, quella che più ritenevano adatta al visitatore, e queste solitamente ricambiavano con piacere il favore facendo altrettanto, nei pochissimi casi in cui capitava ad altre locande di terminare le camere a disposizione prima di loro.
In ogni caso, quel mattino assolato il nuovo arrivato ebbe fortuna e, giunto ad Anvy e indirizzato al Fiore in boccio da uno dei commercianti al mercato, riuscì a prendere possesso dell'ultima camera disponibile, liberata giusto da qualche ora da un viaggiatore in partenza verso Riverwood e accuratamente ripulita e arieggiata dalla piccola Enelide, nipote appena dodicenne di Margherita e fedele ed entusiasta tuttofare della locanda.
Sistemati i suoi modesti averi nella cassettiera accanto al letto, Dad si avvicinò alla finestrella aperta e decorata dai gerani sul davanzale e lasciò che lo sguardo vagasse sulla piazza sottostante, sulla quale si affacciavano piccole botteghe e capeggiavano banchetti profumati. Con un sorriso soddisfatto, il nano osservò qualche secondo il viavai dei visitatori, poi un borbottio sommesso e familiare gli rammentò che l'ora di pranzo si stava avvicinando e che, dopo aver camminato per l'intera mattina fin lì, era giunto il momento perfetto per saggiare la tanto rinomata cucina di Margherita Elerman.
Scese dunque al piano di sotto, e venne accolto dal rumoreggiare caotico degli avventori del locale e dall'intenso odore di soffritto che si spandeva dalle cucine; una rapida occhiata gli fu sufficiente per constatare che non vi fossero tavoli liberi, così si avvicinò a una sedia vuota accanto a un altro cliente, che già affogava la fame in un piatto ricolmo di zuppa di pesce, e gli si rivolse, con estrema cortesia:
«Salve, buon uomo. È un problema se condividiamo il pasto, quest'oggi?»
L'altro, che dall'aspetto tarchiato e trasandato pareva essere un lavoratore dei campi, o un operaio del porto, lo degnò a malapena di un'occhiata e di un grugnito, per poi continuare a sorbire con gusto ciò che aveva nel piatto.
Il nano lo prese come un segno positivo e si accomodò al suo fianco, passandosi la mano sulla folta barba, per sistemarla. «Vi ringrazio, ho una discreta fame, e devo dire che ciò che state assaporando pare proprio un piatto prelibato. Penso proprio che chiederò se è possibile averne una porzione a mia volta.»
Ottenne in risposta un altro grugnito, che questa volta il nano interpretò come un incentivo a fermare la giovane Enelide, che passava in quel momento accanto al tavolo. «Potreste portarmi un piatto di zuppa di pesce, mia cara?» chiese, quando lei gli si accostò.
La cameriera annuì, con un sorriso. «Certamente. Gradisce qualcosa da bere, per accompagnare?»
«Be', una zuppa con un odore così invitante merita senz'altro una birra che ne esalti il sapore. E sono assai curioso di scoprire quale miscela sia d'uso qui in città, sapete, è la prima volta che mi fermo ad Anvy.»
Lei allargò il sorriso. «Abbiamo una birra delicata, aromatizzata con il miele di Esterea, o una più ruvida e amara, ad alto contenuto di luppoli e malto.»
«Interessante. Sarei tentato di provare il gusto amaro dei luppoli concentrati...»
«Molto bene, allora gliela faccio portare.»
«...ma al tempo stesso la miscela al miele è qualcosa che non ho mai avuto realmente modo di assaggiare, quindi la scelta si fa notevolmente complicata» continuò Dad, assorto e all'apparenza inconsapevole dei movimenti della giovane, che già si avviava verso le cucine. Lei lo udì di sfuggita, e capendo che l'ordinazione non era ancora completa, fece dietro-front e si avvicinò nuovamente al tavolo.
Il nano proseguiva. «Certo, considerato che il miele viene niente meno che dai campi di Esterea, deve avere delle note fruttate davvero imperdibili, motivo per cui sarei ancora più propenso a dare un'opportunità alla formulazione più dolce. Sì, è decisamente la scelta migliore.»
La giovane cameriera sorrise ancora, convinta che il cliente avesse terminato. «Bene, allora...» mormorò, ma l'altro riprese, riservandole un'espressione concentrata ed esaltata al contempo.
«Lo sa che le voci sull'intensità e sulla dolcezza del miele prodotto ad Esterea sono giunte fino all'altro capo di Irvania? Pensi che c'è chi è disposto a giurare che non esista miele più denso e raffinato...»
Il sorriso della giovane cameriera si incrinò di qualche millimetro, ma il nano parve non notare neanche quello.
«Se pensa inoltre al portento che costituisce un miele creato con un numero incalcolabile di varietà di fiori, nel quale diverse note paiono fondersi e armonizzarsi in modo così spontaneo e sublime...»
Dal vicino di tavolo del nano giunse un grugnito, questa volta marcato, e sofferente. Dad si interruppe, incuriosito, e la cameriera colse al volo quell'occasione. «Perfetto, allora le porto subito la birra e la zuppa» disse Enelide, mentre lasciava il tavolo in tutta fretta.
Anche quel particolare parve sfuggire al nano, che ora fissava interessato il suo compagno di tavolata. «Ne deduco che stiate gradendo la vostra zuppa» osservò, notando il piatto mezzo vuoto tra le braccia dell'altro. L'uomo tracannò il residuo di birra rimasto nel suo boccale, affatto disposto a scambiare alcun convenevole.
Dad però non fece caso neanche a quello. «Certo che è proprio una splendida mattinata, non trovate?» continuò, spostando per un momento lo sguardo dalla sala gremita alla grande finestra, aperta sulla piazza e su uno spicchio di cielo terso. «Vivete in città o siete un viaggiatore? Perché nel primo caso, sareste davvero fortunato a risiedere in una località tanto piacevole, mentre nel secondo...»
Realizzando che un ennesimo grugnito non sarebbe stato sufficiente, l'uomo sbatté il boccale sul tavolo e si decise a emettere suoni più complessi. «Taci, nano» fu l'ardito fraseggio che scelse.
Dad però non si scompose, neanche quando l'altro tornò ad assaltare la zuppa e a ignorarlo. «Oh, be', non è decisamente il modo più elegante di aprire una dissertazione, devo riconoscerlo. E a tal proposito, non mi sono neanche ancora presentato...» Allungò la mano all'uomo, la cui mascella iniziava a tendersi vistosamente. «Il mio nome è Dad. Con chi ho il piacere di conversare?»
«Con l'ultima persona della tua vita, se non la smetti di blaterare.»
Questa volta, fu la mascella del nano a tendersi, di appena qualche millimetro. «Era una minaccia? Suonava proprio come una minaccia, e deduco che discorrere non sia proprio il suo forte.»
L'uomo non parve affatto offeso da quella constatazione. «In compenso, suonarle ai nani irritanti è proprio il mio forte. Vuoi una dimostrazione?» chiese pacato, rivolgendogli uno sguardo che, negli intenti, doveva mettere definitivamente fine alla conversazione.
Riuscì, però, solo a far scrollare il capo a Dad. «No, la ringrazio, ma non mi pare affatto il caso. Sono appena arrivato in città, e una rissa non è decisamente il modo migliore per farsi conoscere.»
L'uomo rise, in modo assai sgradevole. «E chi ha parlato di una rissa? Non ce ne sarebbe nessuna. Ti manderei al tappeto dopo il primo pugno.»
«Su questo mi permetto di dissentire.»
«Ma perché non taci?» gemette nuovamente l'altro. «Devo davvero suonartele, è così?»
Dad sospirò. «Senta, buon uomo. Capisco il suo bisogno di stare in silenzio, ma non può pretendere che nessuno le rivolga la parola in una sala...»
«Adesso basta.» L'uomo si sollevò dalla sedia di scatto, proprio mentre la giovane cameriera arrivava al tavolo con l'ordinazione di Dad. Lui la squadrò, ruvidamente. «Portali pure via Enelide, il nano ha da fare.»
«Ma veramente, io...» provò Dad, che non aveva alcuna intenzione di farsi coinvolgere in una rissa, soprattutto non in una taverna così piacevole.
«Anzi, visto che ci sei, fai una cosa» continuò il suo vicino, rivolto alla ragazza. «Chiedi a Margherita di mettere tutto nel mortaio e di ridurlo in poltiglia. Il nano ne avrà bisogno, quando avrà perso tutti i denti.»
La cameriera li guardò entrambi, sembrò notare le piccole vene in evidenza sul collo dell'uomo e scelse di ritirarsi con i piatti, non prima però di aver precisato: «Per cortesia, risolvete i vostri problemi fuori di qui.»
«Non ci sarà bisogno...» cominciò Dad, ma l'altro fece per afferrarlo per la modesta camicia che portava addosso. Lui si scansò in tempo, alzandosi a sua volta. «Non mi pare il caso...»
«Avanti nano, hai le palle? E allora dimostralo. Vieni fuori e risolviamo questa faccenda una volta per tutte» intimò l'uomo, corrugando le vistose sopracciglia e fissandolo con cattiveria.
Dad sospirò. Rumorosamente. «Siete certo che non ci sia altro modo?»
Ma l'altro si era già avviato verso la porta.
Con un altro sospiro, e un pensiero rivolto alla prelibata zuppa di pesce e alla birra che lo attendevano, il nano seguì l'uomo fuori dalla locanda.
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