Capitolo 17. Fanatismo
Nella cabina regnava un silenzio teso.
Quando lo stregone varcò la porta, uno dei prigionieri pareva sprofondato in un sogno denso e sgradevole, che lo portava a muovere a scatti la testa e a gemere piano, senza sosta. La ferita aperta dalla freccia di Jake sanguinava sotto le bende, non del tutto rimarginata. Jord doveva aver fatto il minimo indispensabile per salvargli la vita, lasciandolo debole e privo delle energie sufficienti a ribellarsi.
Il secondo prigioniero teneva lo sguardo tenacemente rivolto al soffitto, in apparenza incurante del suo ingresso. Con un sorriso sicuro impresso sul volto, Daniel si chiuse la porta alle spalle e avanzò adagio fino al centro della stanza. Si prese qualche secondo per osservare il chierico ancora lucido, soffermandosi sui polsi legati alla testiera e segnati dalle corde e sul profilo del volto leggermente tumefatto. Come aveva riferito Ben, l'uomo non aveva parlato e neanche un gemito era sfuggito dalle sue labbra quando questi le aveva infrante con un pugno.
Lo stregone non aveva assistito alla scena, ma era certo che il guerriero non si fosse risparmiato. Ricordava la rabbia che era emersa in lui sulla strada per Riverwood, rammentava il fuoco che aveva infiammato il suo sguardo durante la battaglia nella bottega del mago. Era sicuro che avesse fatto il possibile per spaventarlo e il fatto che all'apparenza non avesse neanche scalfito la sua corazza lo sorprendeva e preoccupava al contempo. Chi avevano davvero davanti? Quanto era profondo il fanatismo con il quale si stavano misurando?
Con un respiro di incoraggiamento, il mezz'elfo avanzò fino a trovarsi accanto al letto del prigioniero. Afferrò uno sgabello e lo avvicinò alla testiera, per sedersi alla medesima altezza dell'uomo. Questi continuò a ignorarlo, apparentemente concentrato sul soffitto.
Daniel sospirò adagio, calandosi nella parte. «La situazione è davvero disperata» mormorò, spostando a sua volta lo sguardo verso l'alto. Parlava in tono duro e dura era la sfumatura che aveva imposto al suo viso. «Non ho modo di aiutarvi, al momento, vi siete messi troppo nei guai.»
Per un attimo, lo stregone ebbe quasi l'impressione che il prigioniero non l'avesse sentito. Questi non mosse un muscolo, quasi non sbatté le palpebre. Il viso rimase una maschera impassibile, livida e tirata. Poi lo sentì ridacchiare appena, un suono acuto e tagliente. «Divertente» rispose l'uomo, senza staccare gli occhi dal soffitto.
«Non vedo cosa ci trovi di divertente, in tutto questo» sibilò Daniel, assumendo un tono ancor più basso e irato. «Ho già rischiato abbastanza per essere qui, ho poco tempo e non intendo sprecarlo. Se tutto quello che sai fare è ridere, posso benissimo attraversare quella porta e andarmene. Sono sicuro che nessuno me ne farà una colpa, se racconto in che modo idiota vi siete fatti scoprire.»
A quelle parole, l'uomo smise di ridere. Mantenne lo sguardo distaccato, ma il mezz'elfo notò la mascella tendersi e le sopracciglia abbassarsi. Decise di andare avanti, con la medesima stizza. «Pensavo che la nostra politica fosse passare inosservati.»
Si bloccò un istante, lasciando sedimentare quelle parole nella mente del prigioniero. Stava osando, si sbilanciava sulla base delle scarse informazioni date loro da Nielman pochi giorni prima. Sperava di far breccia sul mutismo dell'uomo, ma doveva proseguire adagio o rischiava di rivelare quanto deboli fossero le sue conoscenze del culto. Deglutì e riprese a mormorare, con cautela. «Eppure, oggi non avete esitato a mostrare a tutta la nave il nostro simbolo. Una scelta stupida, ripagata come meritava.»
Il prigioniero si mosse, tirando appena le corde che gli stringevano i polsi. Continuava a non incrociare il suo sguardo, ma ora appariva chiaro che lo stesse ascoltando con grande attenzione.
Il mezz'elfo sorrise, più sicuro di sé. «Dovrei voltarmi ora e lasciarvi qui, nelle mani di quel gruppo di invasati. Dovrei evitare di mettere a repentaglio la mia missione per una tale coppia di idioti.»
«E allora perché non lo fai?» rispose il chierico, con stizza. «Pensi che creda alle tue fandonie? Pensi che mi beva il tuo tentativo?»
Nello sguardo del mezz'elfo passò un'ombra di irritazione. La sfruttò, indurendo il volto e il tono della voce. «Puoi non credermi, non mi interessa ciò che pensi. Sono venuto perché condividiamo un ideale, ma questo è tutto, non vi devo nulla. Se non vuoi farti aiutare, la mia coscienza resta comunque pulita.» Si alzò, mostrando con chiarezza l'intenzione di andarsene. L'altro non diede alcun segno e il mezz'elfo fu costretto a guardarsi rapidamente intorno, in cerca di un altro aggancio. L'occhio gli cadde sul prigioniero addormentato, i cui movimenti incontrollati avevano appena scostato le bende e riaperto la ferita. «Ho già visto ferite come quella. Se il loro chierico non la risana al più presto, al tuo amico non resta molto.» Lo disse con fermezza, facendo trasparire una leggera empatia per il prigioniero ferito. «Tu ancora non li conosci, ma io so come ragionano e so che vi lascerebbero volentieri morire dissanguati in questa stanza. Posso provare a intercedere per lui, perché non merita una fine tanto miserabile. Ma questo è tutto.»
Voltò la schiena all'uomo, facendo per andarsene. In tasca, percepiva il simbolo del dio del fuoco premere contro la pelle. Lo aveva portato pensando di sfruttarlo, ma ancora non aveva trovato modo di usarlo senza risultare sospetto.
«Aspetta» grugnì il prigioniero e lui si lasciò sfuggire un sorriso. Dunque era rimasto un briciolo di umanità, in quell'invasato; sufficiente a fargli temere per la sorte del compagno, almeno. Si voltò nuovamente per ascoltarlo, tramutando la soddisfazione in un'espressione di stizza. «Mettiamo che ti creda, che sei davvero uno di noi e ti sei infiltrato in quel gruppo. Qual è la tua missione?» continuò l'uomo, in tono più conciliante.
Lo stregone indurì lo sguardo. «Non mi è permesso rivelarla come tu non puoi rivelarmi la vostra. Ti basti sapere che viaggio con persone pericolose, che vanno sorvegliate.»
«Persone pericolose, eh?» sospirò il prigioniero, spostando finalmente gli occhi su di lui. Rossi, trasudanti debolezza e stanchezza. «Non stento a crederlo.»
Daniel gli si fece nuovamente vicino, senza prendere però posto sulla sedia. Lasciò scivolare distrattamente una mano nella tasca, percependo il metallo freddo del simbolo. Non lo estrasse, ma lasciò che la forma si intuisse sotto la stoffa. Vide che al chierico quel dettaglio non sfuggì. «È possibile che ora la vostra prigioniera venga liberata. In quanto a voi, cercherò di aiutarvi ma non garantisco nulla. La mia posizione, al momento, è delicata» continuò, guardandolo dall'alto.
L'uomo storse le labbra. «Comprendo. Per quanto riguarda la ragazza, non devi temere. C'è chi l'aspetta dall'altra parte. Non riuscirà a posare il piede nei territori di Stormville senza che si venga a sapere. Non può andare da nessuna parte, il suo destino è segnato in ogni caso. Come hai visto, c'è chi la vuole tanto quanto noi e non possiamo permetterci di perderla.»
«Capisco» mormorò Daniel, fingendosi lieto per quella rivelazione. In realtà, la mente era già proiettata verso ciò che quelle parole avrebbero significato per loro: un'altra battaglia, un altro scontro a bordo della nave, forse con avversari ancor più forti dei precedenti.
«Ti suggerisco di abbandonare la tua missione il prima possibile» continuò il chierico, muovendosi leggermente in cerca di una posizione meno scomoda. «La nave è sorvegliata, sanno dove si trova e la seguiranno lungo il percorso. Non faranno sconti, se mantieni la tua copertura rischi la morte. La ragazza è troppo preziosa per andare perduta.»
«Rischierò. Anche la mia missione è preziosa, forse più della mia stessa vita. Se c'è una possibilità che questo gruppo se la cavi, io andrò con loro.» Lo disse con sguardo cupo e voce bassa, cercando di trasmettere con le parole e soprattutto con l'espressione del viso tutto il fanatismo che aveva letto in loro fin lì.
Riuscì, perché l'uomo annuì. «Bene, allora. Ti consiglio di prepararti. La battaglia sarà tutt'altro che facile. Forse ci vedremo dall'altra parte, o forse no. In ogni caso, lunga vita al fuoco.»
Soddisfatto, Daniel annuì. «Lunga vita al fuoco, fratello.»
Poi lasciò la stanza, senza voltarsi indietro, con la testa affollata di pensieri e la bruciante sensazione che, di lì a poco, le cose si sarebbero messe davvero male.
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