Fᴏᴜʀ.

Elias.

I mostri e i fantasmi sono reali.
Sono dentro di noi e, a volte, vincono.

Stephen King.

«Era sotto i tuoi cazzo di occhi, ti sei fatto fregare da una ragazzina! Tu cazzo, proprio tu!» Moore mi puntò il dito contro con stizza, continuando a camminare avanti e indietro in quel minuscolo ufficio se tale poteva essere definito.

Era fuori di sé, avevo dato parecchio denaro per quella merce e dopo meno di mezz'ora l'aveva ritrovata tra le fiamme con me che non sapevo se spegnere il fuoco o rincorrere come un pazzo quella dannata ragazzina, che mi aveva messo in quella situazione del cazzo.

«Voglio quella mocciosa, studente! Mi hai capito?!» Moore mi prese per il colletto della giacca, scuotendomi con tutta la forza che aveva.

Era furioso, gli occhi completamente fuori dalle orbite, la cicatrice che gli perforava il viso completamente increspata a causa dell'espressione ripiena di rabbia che lo stava consumando.

«A costo di scovare ogni buco di fogna presente in questa città del cazzo, tu la devi trovare.» ringhiò ad un soffio dal mio viso.

Lo spinsi di scatto al limite della sopportazione per quell'affronto faccia a faccia.

Mi girai senza dargli modo di replicare e uscii fuori da quell'inferno, mentre sentii dietro di me un urlo disumano susseguito da vetro che si frantumava insieme ad altri oggetti che non fui in grado di identificare.

Volevo distruggere ogni minima cosa che mi capitava sotto tiro, volevo tornare indietro, estrarre il coltello a serramanico che avevo nella tasca e procurargli un'altra cicatrice su quel volto che ha perseguitato gli ultimi anni della mia vita, volevo trovare quella dannata ragazzina, scuoterla fino a farle urlare quale cazzo di problema avesse.

Appena fuori dal capannone tirai aria a pieni polmoni ma non mi calmai, non ci riuscii, perché era successo tutto a causa mia, stava succedendo tutto a causa mia.

Sarei dovuto tornare dentro, dire a quel figlio di puttana che sapevo benissimo chi fosse quella mocciosa, che potevo portargliela immediatamente visto che conoscevo persino l'indirizzo di casa sua, potevo cazzo, Cristo, lo volevo con tutto me stesso, ma non era abbastanza, la mia rabbia non era abbastanza da consegnarla nelle mani di quel viscido pezzo di merda.

Non ne capivo la ragione, non sapevo perché diamine stessi ancora lì a nascondere una pazza squilibrata annoiata dalla vita, che aveva dato fuoco alla merce di un criminale, senza un cazzo di motivo.

Lo sai benissimo perché, hai paura di ammetterlo, hai paura che le accada lo stesso.

Strinsi i denti a quel pensiero, mentre andai a passo spedito verso la moto ma al posto di salirci iniziai a prenderla a calci, forte, consapevole che alla fine avrei fatto più danni a me stesso che a quel ammasso di ferro, ma intanto colpivo, perché volevo concentrare tutto la mia mente su altro e il dolore sembrava a portata di mano.

Voglio farmi male, voglio smetterla di pensare che potrebbe accaderle quello che è accaduto a lei, voglio disintegrarmi, strapparmi via questo senso di colpa che mi riduce a brandelli giorno per giorno, voglio un'altra vita, un altro giorno, per salvarla da quel mostro che si nascondeva sotto il suo letto.

Non ebbi il tempo di riprendermi che venni scaraventato a terra per le seconda volta quella notte, ma quando un pugno venne a contatto con la mia mascella riconobbi il gancio di Oliver, seguito da un altro e un altro ancora.

Non reagii, non tentai di parare o capovolgere la situazione, ne avevo bisogno per concentrarmi su qualcosa che non coinvolgesse la mia mente, la mia più grande condanna, il mio incubo peggiore, perché in grado di divorarmi anche da sveglio.

Perché da certi incubi non ti svegli nemmeno quando apri gli occhi, e il mio, era uno di quelli.

Sentivo tutto il viso che pulsava, il sangue che fuoriusciva dal naso e dalla bocca, mentre Oliver si sollevava e mi tendeva una mano per aiutarmi ad alzare.

L'afferrai e con un slancio mi rimisi in piedi, ancora stordito.

«Ci sto prendendo gusto, sai? Non capita tutti i giorni di prendere il tuo migliore amico a pugni per farlo riprendere.» commentò divertito, ma sentivo la tensione nel suo tono di voce; non era divertente, soprattutto per lui.

«Stai meglio?» chiese, misurando bene la domanda mentre alzava la moto da terra.

Avevo il piede dolorante e a stento riuscivo a poggiarmici sopra, ma finalmente, avevo chiaro cosa avrei fatto quella notte.

«Dii a Tristan di rintracciare Wade e chiama Evan, andiamo a recuperare l'ultima pietra.» ordinai, salendo in sella e partendo senza aspettare risposta.

Stavolta però, non sarei entrato in punta di piedi e a luci spente, volevo fare fracasso, volevo lasciare il segno, perché la ragazzina doveva capire che stava giocando con il ladro sbagliato.

***

«Hai spento tutte le telecamere che si affacciano sulla casa e sul ciglio della strada?» domandai attraverso l'auricolare, mentre mi abbassavo il passamontagna, attraversavo la strada e con una mazza da baseball che ruotava nella mano destra, andai incontro al covo della scintilla.

«Affermativo, anche il sistema d'allarme è fuori uso.» mi rispose Tristan.

Evan e Oliver mi stavano dietro, e nonostante non avessi mai causato danni alle case che avevo colpito, in quel momento la situazione era ben diversa.

La ragazzina era una selvaggia, allora le avrei risposto alla stessa maniera.

Non parlavamo la stessa la lingua, per questo mi toccava entrare nella sua giungla giocando senza regole.

Sollevai la mazza e colpii la prima finestra che dava sul portico, Evan e Oliver mi seguirono a ruota e colpirono tutto ciò che si ritrovarono sotto tiro.

Feci il giro della casa, arrivando all'entrata sul retro, concentrai tutta la mia forza sulla spalla destra e buttai giù la porta, lasciando ai ragazzi il compito di spaventare la vecchia, mentre io cercavo la pietra.

Salii direttamente al piano di sopra, avevo già preso familiarità con quel posto visto che non era la prima volta che ci entravo, quindi non ci volle molto prima di ritrovarmi davanti allo stesso quadro dove si trovava la cassaforte.

C'erano basse probabilità che dopo un furto la vittima cambiasse nascondiglio, ma era più probabile che avesse cambiato semplicemente combinazione.

L'altra volta non mi ero limitato a prendere soltanto la pietra, avevo preso anche altri gioielli di valore senza toccare i mazzetti di soldi, che erano sicuramente risparmi dell'anziana.

Facendo così non avrei fatto comprendere che l'oggetto forte della rapina fosse la pietra, ma sarei passato per il classico farabutto di strada che smaniava per il suo bottino, qualsiasi esso fosse.

Sollevai il passamontagna, accesi la piccola torcia e la trattenni con i denti prima di afferrare il quadro e poggiarlo a terra.

Non era la prima volta che scassinavo una cassaforte murata, ero preparato, con l'aiuto di Tristan l'avrei aperta in un attimo.

Aveva creato un sistema in grado di captare il suono registrato dei tasti, quando il codice giusto era stato composto; il suo sistema avanzato era in grado di ricavargli una sorta di cronologia di tutti i codici composti.

Estrassi il cellulare, il filo che mi consentiva di collegarlo alla cassaforte, e smontai con il coltello uno dei tasti numerici, per far entrare a contatto il filo con la tastiera.

«Ci sei?» chiesi a Tristan, che attendeva aldilà dell'auricolare.

«Ci sono.» rispose, senza farmi attendere neanche un attimo.

Passarono vari minuti prima che vedessi i tasti che venivano cliccati da lui, illuminarsi.

La serratura scattò e lo sportello si aprii senza che io facessi niente.

Trattenni un sorriso mentre iniziai a rovistare, estrassi documenti, soldi, gioielli, gli stessi che avevo preso anche l'altra volta e c'erano tutti, l'unica cosa a non esserci, era la pietra.

Sbattei lo sportello con forza prima di togliermi il passamontagna del tutto.

«Non c'è.» quasi ringhiai, per farmi sentire da Tristan mentre giravo in tondo dentro quella cazzo di stanza.

«Come non c'è?»

«Non c'è, cazzo! Non c'è, l'ha spostata!» urlai, afferrando il cellulare e il filo, prima di rimettermi il passamontagna.

Afferrai la mazza da baseball e iniziai a scendere le scale di corsa.

«Elias, fermo! Non fare cazz-» non gli diedi modo di concludere che spensi totalmente l'auricolare.

Sentivo fracasso, cose che si rompevano e un urlo susseguito da dei singhiozzi, che accese un briciolo di senso di colpa nel mio essere.

Ma non potevo permettermelo, non potevo chiudere gli occhi, tornare a recuperare quella pietra era inevitabile ma le lacrime di quella donna erano le conseguenze delle scelte della selvaggia che aveva in casa.

Così iniziai a colpire tutto quello che avevo sotto tiro: foto appese al muro, vasi preziosi, la valanga di gingilli ordinatamente posati sui mobili e per finire un enorme cristalliera con piatti e bicchieri raffinati, che si trovava proprio dinanzi alla vecchia, che ormai non fiatava nemmeno.

Le lacrime sembravano essersi gelate, si erano fermate a metà viso mentre i suoi occhi vitrei erano fissi su di me.

I ragazzi erano poco lontani dalla televisione, che ormai era rovesciata a terra e quasi sicuramente fuori uso,
i divani strapazzati da tagli di coltello, le piume dei cuscini che lentamente si posavano a terra accanto a quelle già disperse sul pavimento.

Mi rigirai la mazza nella mano sinistra e poi mi avvicinai un po', per averla di fronte a poco più di un metro.

Sollevai la mazza e la vidi sobbalzare mentre mi guardava terrorizzata, ma io la stavo semplicemente usando per indicare il divano.

«Le dispiace se mi siedo?» chiesi con tono accondiscendente, e vidi crescere il panico nei suoi occhi mentre mi osservava senza osar battere le palpebre.

Hai paura di quello che potrebbe accadere se ti permettessi di chiudere un attimo gli occhi?

La vidi negare lentamente con il capo mentre deglutiva sonoramente, ed io mi accomodai divaricando le gambe con gli occhi puntati sul tavolino in vetro stranamente ancora intatto.

«Sa perché sono qui, signora Josslyn?» le chiesi chiamandola per nome, senza guardarla però.

«Non si sforzi per trovare la risposta, glielo spiego subito: lei ha qualcosa che io voglio.»

«Sa, la prima volta che sono venuto a farle visita, ero stato gentile; l'ho lasciata dormire sonni tranquilli senza arrecare nessun danno, ma poi vostra nipote o chiunque lei sia, ha deciso di rovinarmi i piani.»

«Volevo darle una seconda chance, sa? Voleva tornare nuovamente e fare il bravo, ma vede, la ragazzina a quanto pare non sa farsi gli affari propri e ha messo il naso in questioni che non la riguardano, questioni più grandi di lei.» continuai calmo, prima di alzarmi per andarle incontro.

Volle indietreggiare ma Evan che si era posizionato dietro di lei, non glielo permise.

«Da piccola non le ha insegnato che la curiosità uccide, signora Josslyn?» le chiesi quasi in un sussurro attutito dal passamontagna, che però lei sentì ugualmente visto che le stavo ad un soffio dal viso.

«Cosa volete?» singhiozzò prima di coprirsi la bocca per attutire il suono.

«Suvvia, non pianga, gli oggetti si ricomprano,» la ripresi in tono derisorio, prima di tornare serio e continuare: «le persone invece, si perdono per sempre. E lei non vuole questo, vero?» le chiesi con tono glaciale, spostandole una ciocca castana dal viso.

Scosse il capo freneticamente ed io annuii soddisfatto.

«Allora facciamo così, lei mi da quello che voglio ed io vado via senza arrecare danni più gravi, va bene?» chiesi gentile, come se stessi parlando ad una bambina, ma le leggevo negli occhi la consapevolezza di quanto fosse fasullo il mio atteggiamento accondiscendente.

È rabbia repressa signora, fa bene ad avere paura, la gentilezza è un'arma a doppio taglio quando a possederla è un pazzo vendicativo.

«E cosa vuoi, santo cielo?! Non ho niente di valore, a parte gioielli! Vuoi i soldi? Dimmi quanto vuoi e lasciateci in pace!» alzò la voce, in preda al panico.

Lei sapeva, sapeva dell'esistenza di quella pietra e da dove provenisse.

«Voglio la pietra, una delle dieci che sembra trovarsi in casa sua.» affermai, lasciandola senza fiato.

«Non so di che pietra stai parlando, andatevene via o chiamo la polizia.»

«Va bene, la chiami. Ragazzi che dite se né approfittiamo anche noi per dire agli agenti che una della dieci pietre, cimeli ritrovati nell'oceano circa quarant'anni fa che tutt'oggi non sono mai stati ritrovati, si trova nella casa di questa innocente signora?» domandai con sarcasmo, spostando lo sguardo da Oliver a Evan.

Tesi il braccio verso Oliver che non perse tempo e mi passò il cellulare, che a mia volta tesi alla signora che mi guardò incredula e terrorizzata allo stesso tempo.

«Avanti, chiami.»

Lei abbassò con lentezza lo sguardo, osservò il telefono allungo ma non si azzardò ad afferrarlo.

Girò il viso dall'altra parte dandomi tutte le conferme che cercavo ed io senza perderla d'occhio, ridiedi il cellulare ad Oliver.

«La pietra.» ordinai, allontanandomi e la vidi tirare aria a pieni polmoni come se fino a quel momento avesse fatto fatica a respirare.

«Io non... non posso.» avete il coraggio di dire, una volta che le diedi le spalle.

Mi fermai di colpo, rimasi immobile per un tempo indefinito prima di rompere con un colpo secco il tavolino in vetro che purtroppo o per fortuna era rimasto intatto.

Poi mi voltai e la vidi che stringeva ancora le palpebre per l'impatto.

«Non può, eh?» le chiesi, avvicinandomi a lei con due falcate.

«E se le dicessi, che la ragazzina che vive con lei ha una taglia sulla testa da parte di un criminale?» le chiesi, attirando così la sua attenzione tanto che spalancò gli occhi e mi guardò inorridita.

«E indovini un po' chi è la taglia?» rincasai la dose, tanto da farla scoppiare in lacrime.

Mi sentii vuoto dinanzi alle sue lacrime, perché erano simili a quelle che avevo versato io ma non uguali, perché io non avevo avuto nessuno che mi avvisasse, non avevo avuto nessuno che venisse ad avvertirmi dell'atrocità che stava per divorarmi.

Nessuno mi aveva salvato dal senso di colpa, nessuno mi aveva salvato dal toccare a mani nude il dolore di qualcuno che amavo.

Nessuno mi aveva salvato dalla sua morte.

Tu sei ancora in tempo vecchia, non è troppo tardi, puoi salvarla, non assaporerai il dolore della perdita, non ti farai divorare dal senso di colpa, non dovrai dare fuoco a niente per far scomparire i ricordi che ti consumeranno notte per notte ad occhi aperti, perché lei sarà ancora viva, finché ci sarò io, quella ragazzina selvaggia non morirà.

Solo che nella vita ci sono diversi tipi di morte, ed io ne avevo riscontrato uno ben diverso: quello dove per scappare dal dolore che ti distrugge da vivo, per salvarti scegli la disperazione, quella che ti taglia il fiato fino a prosciugarti, portandoti alla salvezza eterna, e lei, aveva scelto questo, aveva scelto la morte, perché la vita era stata troppo crudele.

Perché lui era stato troppo crudele, ed io, non avevo avuto tempo.

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