L'occhio esterno
Per questo capitolo il vostro conduttore Pippo Bergamon così da lasciare spazio per fare quattro chiacchiere di tecnica di scrittura e avventura e mistero che magari possono intrigare gli scrittori del wattpad (come anche annoiarli tantissimo). In futuro speriamo che anche il nostro conduttore preferito torni a raccontarci di questa o quell'opera che l'ha colpito, assieme alla sua bizzarra regia.
C'è una cosa che accomuna paradossalmente gli scrittori di fantascienza con gli scrittori di romanzo storico. Entrambi, in un modo o nell'altro, hanno nell'ambientazione una colonna portante della loro storia eppure condividono un problema non da poco: tutte le volte che il loro lettore alza gli occhi dalle pagine quello che ha intorno ha poco o niente a che fare con quello che stava leggendo.
Lo so, lo so, non devo venire io a parlarvi di world building, di documentazione, della costruzione di uno scenario coerente e di come è importante arricchire tutto con dei dettagli che possano permettere al lettore di vivere meglio il vostro mondo, crederci e di conseguenza seguire nel modo giusto le vicende che decidete di ambientarvi. Questi sono concetti base, ognuno di questi concetti presuppone un lavoro enorme, ma elencarli è un po' un'ovvietà.
Mettiamo che però abbiate tutto questo e abbiate svolto tutti i compiti del caso alla perfezione, rimane ancora uno scoglio, forse il più complicato da superare: come fate a raccontare al lettore il vostro mondo? Dove e come infilare le parole giuste per farlo se nel frattempo siete anche impegnati a portare avanti la storia?
La prima tentazione che avrete sarà di essere didascalici e cominciare, a crudo, a snocciolare nozioni al vostro lettore. «Gallia est omnia divisa in partes tres.» Ma anche il più subdolo «Adesso fermiamoci un momento che vi copincollo la pagina di Wikipedia sulla corte francese del 1750, così capite bene perché tizio non dovrebbe innamorarsi di caio.» fino all'Enciclopedia Galattica Asimoviana che, a inizio capitoli, si presentava con tanto di virgolette con dei paragrafi che raccontavano concetti della società che poi sarebbero serviti per capire la storia.
E' l'espediente più facile, a volte è necessario. Quando il vostro personaggio è un meccanico che ripara motori spaziali e questi motori fanno cose bizzarre quando lui stringe i bulloni difficile non mettere come premessa una bella spiegazione tecnica su cosa diavolo sia capace di fare un motore spaziale. A volte è l'unico modo di uscirne. Ma se vi siete mai trovati a rileggere uno dei vostri temi della terza superiore e avete rivisto in quelli lo scolaro unicamente ansioso di dire alla professoressa che ha studiato la lezione e vuole un bel voto, sapete perfettamente che un lettore, per provare piacere ha bisogno di qualcos'altro.
Solo che i personaggi non collaborano. Questa è una cosa che dovrete accettare, prima o poi. I personaggi non sono affatto stupiti che degli androidi camminino accanto a loro mentre vanno in ufficio, visto che li vedono tutti i giorni. Non hanno bisogno di ripetere a menadito tutti i riti necessari la mattina per accedere al tempio di Artemide, visto che è la loro routine, loro nemmeno si accorgono di quanto la loro vita sia interessante, come voi, per certo, nemmeno sapreste dire cosa ha di tanto speciale il vostro smartphone.
Il vostro mondo è lì, tutto intorno ai vostri personaggi, fluisce intorno alla storia e sembra che l'unico a cui interessi sia lo scrittore, lasciato desolatamente solo, con il lettore, dall'altra parte, che gli picchietta sulla spalla e gli chiede «ok, dove mi vuoi portare?»
Potete anche dirgli di arrangiarsi. Molti libri lo fanno. In epoche più rudi, in cui si chiedeva più spesso che il lettore ci mettesse del suo per capire, l'autore se ne fregava di spiegarti cosa succedeva, dovevi arrivarci te. «William alzò il livello dello sgaud nella camera Anteran, una follia. Sarah lo guardò chiedendosi se il wersheli-bau fosse già stato infranto, a quel punto.»Ma certamente.
In mezzo a tutte queste soluzioni c'è un bellissimo trucco che ovviamente non dovreste usare sistematicamente, ma che una volta appreso riconoscerete in molte delle cose che leggete e guardate: il cosiddetto occhio esterno. Il personaggio che, come il lettore, trova tutto quello che vede intorno a sé come incredibile e quindi non può fare a meno di parlarne, di rifletterci su, di esplorarlo. L'occhio esterno non è necessariamente qualcuno in cui si debba immedesimare il lettore, è più una specie di condotto attraverso cui far scorrere l'informazione.
Uno degli occhi esterni più famosi della televisione, per esempio, è considerato lo Spock di Star Trek (parlando della serie originale). Unico alieno su un'astronave di umani è abbastanza facile per lui evidenziare il comportamento dei suoi compagni di viaggio e quindi esprimere un giudizio su di loro, veicolando le idee del creatore della serie e raccontandoci la sua idea di società evoluta del ventiquattresimo secolo.
L'Ismaele di Melville è un marinaio di lungo corso, che però all'inizio di Moby Dick si imbarca per la prima volta su una baleniera. Come narratore non mancherà di sottolineare tutti gli usi e i costumi relativi a questo tipo di vita marinara che per lui è mondo nuovo. Sarà così entusiasta di apprendere che forse sarò persino un po' eccessivo nel dettagliare come funziona la caccia ai cetacei (non so se l'avete letto, Moby Dick. Se l'avete letto saprete come me come tirare una lenza tra dieci uomini su un guscio di noce. E probabilmente vi chiederete, ogni tanto, cosa farvene, di questa conoscenza).
Come vedete lo shift non deve essere necessariamente drastico. Se volete scrivere un libro di letteratura storica non dovete necessariamente cacciarci dentro a pedate un viaggiatore del tempo. Se avete proprio a cuore la descrizione della corte del 1700 in Francia potreste far arrivare il vostro protagonista dalla provincia o farlo tornare dopo un lungo viaggio. Se non potete fare a meno di seguire gli androidi che sono in giro con voi in metropolitana, magari potreste avere un personaggio che la metropolitana non l'ha presa mai oppure il suo essere esterno è solo un atteggiamento. Insomma, è vero che ormai gli androidi in metropolitana sono una cosa normale, ma a lui danno fastidio, cerca sempre di schivarli e quindi deve stare bene attento a quelli che incrocia.
Poi potreste essere efficienti come l'industria degli anime giapponese, che si è inventata un genere, quello degli isekai, che letteralmente si sintetizza in «personaggio che piomba in un universo diverso dal suo e ne diventa l'eroe», pratica usata in modo così sfacciato che è quasi barare.
Quello che mi piace di questo discorso è che è un discorso capovolto rispetto a quelli che ci facciamo nella nostra testa quando pensiamo a cosa scrivere. Di solito vediamo i nostri personaggi come qualcosa che è oggetto di ciò che raccontiamo. Dobbiamo accettare invece che i nostri personaggi sono il motore di ciò che raccontiamo e che la loro voce è spesso più importante nella nostra, sono narratori assieme a noi e quindi devono essere scelti anche per collaborare al meglio in questo senso.
Volete sapere qualcosa sul mondo che avete costruito? Dovete chiederlo ai vostri personaggi. Dovete sperare che abbiano voglia di dirvelo.
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