Uomini in nero

Il primo treno lo prese a Lexington, Iowa. Saltò a bordo mentre rallentava in curva. Il vagone era vuoto e dormì per quasi tutto il viaggio. Poi il treno fece una sosta e il fischio dei freni lo svegliò. Mise il naso fuori e si accorse che c'era solo aperta campagna. E mentre si domandava il perché di quella sosta – forse un semaforo rosso –, una mano lo afferrò e tirò giù dal vagone. Poi una randellata lo raggiunse al fianco. Si rotolò per terra, un fuoco che gli bruciava nel costato e, mentre cercava di rimettersi in piedi, si beccò un calcio in culo che lo sbalzò un metro più in là. La stessa mano che l'aveva tirato giù lo girò sulla schiena e si trovò di fronte una montagna d'uomo.

La montagna si chinò.

«Sai perché mi piace questo lavoro?» chiese il faccione sulla sommità della montagna. «Perché posso pestare gli stronzi come te.»

E giù un'altra randellata al costato. Non riuscì a rotolare su un fianco perché la mano lo teneva fermo.

«Se ti ribecco te la sfondo, quella testa merdosa.»

La montagna gli mollò un ultimo calcio e si congedò.

Il secondo treno lo prese a Libertyville, ancora Iowa. Stavolta ci trovò un barbone a bordo del vagone sul quale zompò. Si chiamava Butch, e che viaggiava a scrocco era una vita. Dopo che il ragazzo gli raccontò la sua disavventura, Butch disse: «Mai viaggiare da soli, ma se proprio ci sei costretto...» e si cavò di tasca un coltello a serramanico. «... meglio se ti porti dietro una polizza.» Allungò il coltello al ragazzo e, vedendolo tergiversare, aggiunse: «Non darti pensiero, posso cavarmela anche senza.»

Il ragazzo prese il coltello e fece scattare la lama. C'era una macchia scura sulla punta. Il ragazzo interrogò Butch con lo sguardo.

«Non è proprio nuovo di zecca. L'ho usato una volta sola. Il tizio che se l'è beccato in pancia voleva inchiappettarmi», disse Butch.

Il ragazzo richiuse la lama e se lo ficcò in tasca. Se ce l'avesse avuto quando quel bestione l'aveva tirato giù dal treno, le cose sarebbero andate diversamente.

Forse.

Butch tirò fuori una vecchia armonica a bocca e suonò un blues. Ci sapeva fare. E anche la voce non era male. Ruvida e calda. Il viaggio filò liscio come un ciccione unto di grasso lanciato giù per uno scivolo. Il ragazzo saltò giù che il treno entrava in Oklahoma. Da lì proseguì a piedi. Si diresse sulla statale e riuscì a rimediare un passaggio. Un camionista lo prese a bordo e lo portò fino a una stazione di servizio. Lì disse al ragazzo che era in viaggio da un secolo e mezzo, e che se non si faceva un hamburger con birra e un mega pisolino era capace di ammazzare qualcuno. Il ragazzo poteva aspettarlo nel camion.

«Troverò un altro passaggio», disse il ragazzo.

«Come ti pare», rispose l'uomo.

Così il ragazzo si avviò sulla statale.

Era quasi un'ora che camminava sotto un Sole che batteva come un fabbro monco. L'asfalto era bollente. Assorbiva il calore e glielo risputava addosso.

Pensò che avrebbe dovuto accettare l'offerta del camionista.

Pensò di tornare indietro, ma rimase un pensiero. Il cervello lo elaborò e raggiunse il punto di ebollizione. Il ragazzo crollò come un sacco di grano. Un pick-up che sopraggiungeva si fermò sul ciglio. Un vecchio smontò e lo soccorse.

«Figliolo», chiamò. Il ragazzo non rispose. «Be', non posso lasciarti qui a cuocere come un uovo al tegamino.»

Gli fece passare le mani sotto le ascelle e lo trascinò fino al pick-up sbuffando peggio di una locomotiva.

«Se ci resto secco, ti uccido», ansimò.

Adagiò il ragazzo contro la ruota anteriore destra e aprì la portiera dal lato del passeggero, lo sollevò di peso e lo sistemò sul sedile con un'elaborata e faticosa manovra. Chiuse la portiera, attese di sapere se il cuore sarebbe esploso e, quando non accadde, aggirò il muso del mezzo e montò alla guida. Innestò la prima e si immise sulla strada.

Rifletté un attimo su cosa fare. Visto che mancava poco a casa, decise che l'avrebbe portato lì per poi chiamare Harry.

Accese l'aria condizionata.

«Vedi di non schiattare», disse al ragazzo.

***

Dieci minuti dopo svoltò su una strada sterrata e arrivò in vista di casa. Norma era di fuori, a curare i fiori su un lato della graziosa abitazione. Sentì il pick-up arrivare, si alzò e si sfilò i guanti. Sorrideva. Vide che Herbert non era solo e il suo sorriso vacillò.

Herbert si fermò e smontò. Norma lo raggiunse e iniziò a gesticolare.

«L'ho trovato sulla statale», disse Herbert.

Norma si accigliò.

«Era disteso sull'asfalto come un tappeto persiano. Aiutami a portarlo dentro.»

Un braccio per uno dietro il collo, lo portarono in casa e lo mollarono sul divano.

«Chiamo Harry», disse Herbert e andò in cucina a telefonare.

Norma restò col ragazzo. Gli sfiorò il viso e lo trovò rovente. Corse in cucina, passò accanto a Herbert che spiegava al medico la situazione e prese una pezzuola da un cassetto. La bagnò sotto il getto d'acqua del rubinetto, la strizzò per bene, tornò in soggiorno e schiaffò la pezzuola sulla fronte del ragazzo. Il giovane si mosse appena e prese a mormorare. Norma lo accarezzò.

Herbert mise piede in soggiorno. «Sta arrivando», disse.

Vide la pezzuola. Norma gesticolò.

«Hai fatto bene», disse Herbert. «Con questo caldo è un miracolo che non si sia sciolto.»

Harry arrivò nel giro di dieci minuti. Parcheggiò la sua Ford accanto al pick-up, risalì i gradini fino in veranda e bussò. Norma lo accolse con un sorriso e lo fece accomodare.

«Salve, Harry», fece Herbert.

«Herbert...» salutò il dottore. Vide il ragazzo. «È lui?»

«Altri non ce ne sono.»

Harry poggiò la borsa sul tavolino accanto al divano e si avvicinò al ragazzo. Rimosse la pezzuola, gli posò una mano in fronte, gli sollevò le palpebre, gli misurò la pressione – che era un po' bassa – e disse: «Un colpo di calore. E mica c'è da stupirsi.»

«Si crepa», disse Herbert.

«Siamo intorno ai trentacinque gradi. A proposito, Herb, come va il cuore?»

«Batte ancora. Pensa al ragazzo.»

«Sta bene ma è disidratato. La pezzuola è stata una buona idea.»

«Una pensata di Norma.»

Harry guardò Norma, che sorrise. Il medico sorrise a sua volta.

«Un'ottima pensata.» Fissò il ragazzo. «Certo che è giovane.»

«Mica ce li ha, vent'anni», disse Herbert.

«Hai già avvisato lo sceriffo?»

«Non ne ho avuto il tempo.»

«Ti conviene chiamarlo. Ho la sensazione che 'sto giovanotto non era uscito a fare due passi quando l'hai trovato.» Prese la borsa. «Tenetelo al fresco e quando si riprende fatelo bere. Piccoli sorsi, sennò sta male.»

«Grazie, Harry.»

«Non ho fatto niente.»

Herbert accompagnò Harry alla porta. Lo sentirono montare in auto e allontanarsi. Norma si prese cura del ragazzo. Bagnò spesso lo straccio per tenergli fresca la fronte. Il ragazzo si mosse poco o niente e un'ora più tardi si svegliò. Norma corse a chiamare Herbert, che aveva fatto un salto di fuori. Quando rientrarono, trovarono il ragazzo seduto. La pezzuola era sul tavolino.

«Come ti senti?» chiese Herbert.

Il ragazzo si guardò intorno. «Dove mi trovo?»

«Sei a casa nostra.»

«Come ci sono arrivato? Non mi ricordo niente.»

«Ci credo, eri più di là che di qua.»

Herbert gli raccontò tutto. Quand'ebbe finito, Norma si rivolse al ragazzo e prese a gesticolare. Il ragazzo la guardò confuso.

«Ti sta chiedendo se vuoi un bicchiere d'acqua», disse Herbert.

Il ragazzo si rivolse a Norma. «Sì... grazie.»

Norma sorrise e sparì in cucina.

«È muta», spiegò Herbert. «Molti mariti la troverebbero una benedizione, io no. Ma anche così ci facciamo delle belle chiacchierate. E vedessi che razza di litigate.»

Norma tornò con l'acqua. Il ragazzo prese il bicchiere con mani non del tutto ferme e tracannò l'acqua in un sorso.

«Ehi, vacci piano. Harry ha detto che devi trincare a piccoli sorsi.»

Il ragazzo allontanò il bicchiere. Lo stomaco gorgogliò così forte che lo sentirono pure Norma e Herbert. Il ragazzo guardò i padroni di casa con due occhi grandi come uova in camicia e Herbert – che aveva una notevole esperienza nell'interpretare sguardi – capì subito qual era il problema.

«Su per le scale, ultima porta a destra», disse.

Il ragazzo posò il bicchiere sul tavolino e schizzò di sopra. Lo sentirono correre, poi udirono i conati.

«Speriamo abbia centrato la tazza», disse Herbert.

Norma lo guardò come a dire: che ti frega, tanto sono io che pulisco.

«Vado a vedere come se la cava.»

Herbert filò di sopra, superò la camera da letto e fece capolino in bagno. Il ragazzo era seduto accanto alla tazza, la nuca poggiata alla parete color salmone.

«Tutto a posto?» chiese Herbert.

Il ragazzo si limitò a restarsene seduto, le palpebre chiuse e il petto che si gonfiava piano.

«Sai, staresti più comodo di sotto.»

«Potevi dirmelo che mi sarei sentito male», fece il ragazzo.

«Non ho fatto in tempo.» Herbert lo raggiunse. «Andiamo, ti aiuto.»

Prese un braccio del ragazzo e se lo fece passare dietro la nuca, gli cinse la vita e l'aiutò ad alzarsi. Le gambe del ragazzo tremavano.

«Almeno hai centrato il bersaglio», disse Herbert, lanciando un'occhiata veloce al fondo della tazza.

Tirò lo sciacquone e tornarono di sotto. Herbert lo aiutò a sedere sul divano e prese una sedia per sé.

«E due. Se deve andare avanti così tutto il giorno, con me che ti porto a spasso, conviene che vado in paese a comperare una carriola.»

Il ragazzo non lo udì. Aveva poggiato la testa al bracciolo del divano e quasi dormiva. Le palpebre erano socchiuse e si vedeva il bianco degli occhi. Quando si chiusero del tutto, il respiro si fece lento e regolare.

Norma gesticolò.

«Già, è partito di nuovo», disse Herbert.

Si alzò, sollevò le gambe del ragazzo e le allungò sul divano.

«Chissà che cavolo ci faceva sulla statale.» Norma gesticolò. «L'ho pensato anch'io. E se è fuggito di casa significa che non se la passava bene. Forse il suo vecchio lo riempiva di botte.»

Norma strinse i pugni. Lei e Herbert avevano un figlio che viveva in Georgia e non avevano mai allungato le mani se non per abbracciarlo o affibbiargli una pacca sulla spalla. La sola idea che qualcuno potesse usare il proprio, di figlio, come sacco per la boxe, la mandava in bestia.

Gesticolò stizzita.

«Stiamo solo facendo ipotesi. Magari è un pericoloso criminale in fuga.» Norma gesticolò. «Già, neanche a me pare il tipo.»

Il ragazzo mormorò e si girò sulla schiena. Nel muoversi, qualcosa gli cadde dalla tasca e finì a terra. Herbert lo raccolse. Se lo rigirò fra le mani, pigiò il bottoncino e una lama guizzò dall'impugnatura intarsiata. La punta aveva una macchia scura, come sangue rappreso.

Norma si coprì la bocca e sbarrò gli occhi.

«Sai cosa? Ѐ ora di fare quella telefonata allo sceriffo», disse Herbert.

Richiuse la lama, si ficcò il coltello in tasca e andò in cucina. Chiamò l'ufficio dello sceriffo dal telefono a muro. Rispose Mike Pepper.

«Mike, sono Herbert Clayton. C'è Sam?» disse Herbert.

«Lo sceriffo è uscito, signor Clayton. Vuol dire a me?»

Herbert stava pensando a come spiegare la faccenda quando Norma irruppe in cucina. Aveva la faccia tirata e gli occhi sporgenti. Gesticolò, ma quel che Herbert capì non aveva molto senso.

«Signor Clayton?» chiamò Mike all'altro capo.

Herbert mise giù e raggiunse Norma, che gli indicò il soggiorno. Herbert si affacciò. La mobilia galleggiava a un metro da terra. Il divano dove dormiva il ragazzo, la tv, i piccoli quadri alle pareti dipinti da Herbert, il tavolo e le sedie, la credenza con i ninnoli di Norma: sembravano come immersi in un liquido invisibile.

«Gesù santo...» mormorò Herbert.

La gola gli si era seccata di colpo. La mano di Norma scivolò sotto il naso di Herbert e indicò il ragazzo. Herb si accorse che mormorava nel sonno. Richiamando tutto il coraggio a disposizione – che non era poi molto –, Herbert si avvicinò al divano galleggiante.

«Ragazzo?» chiamò. Gli uscì fuori come il verso di un gattino appena nato. Buttò giù le due gocce di saliva che aveva sotto la lingua e riprovò. «Ragazzo?»

Lui continuò a dormire e a mormorare. Herbert allungò una mano con cautela, gli toccò la spalla e lo scosse. Il ragazzo smise di mormorare e la mobilia ricadde con una serie di tonfi. I quadri piovvero sul pavimento e i vetri si ruppero. I vetri della credenza vibrarono e i ninnoli di Norma si rovesciarono sugli scaffali con una mitragliata di tintinnii. Un paio di sedie si ribaltarono dopo aver toccato terra, e tavolo e divano fecero tremare il pavimento. Il ragazzo aprì gli occhi, si girò sulla schiena e si alzò a sedere. Si guardò intorno e si accorse che Herbert e Norma lo fissavano.

«Che c'è?» chiese.

Herbert mandò giù un groppo in gola che era come un gomitolo d'ovatta. «Figliolo...» iniziò, non sapendo bene dove andare a parare. «Sei mica in cura da un esorcista?» disse alla fine, e gli scappò una risatina nervosa.

Non ci aveva mai creduto a cose del genere. Credeva in Dio e credeva nel Male, inteso però come una fetta consistente della natura umana. L'idea del caprone infernale che si divertiva a saltare da un corpo all'altro non l'aveva mai convinto. Ora però gli sorse qualche dubbio.

Il ragazzo si accigliò, diede un'occhiata alla stanza in disordine e sbiancò.

«Mi dispiace...» mormorò. «Non riesco a controllarlo.»

Si coprì la faccia e pianse. Norma lo raggiunse, gli sedette accanto e gli cinse le spalle con un braccio. Il ragazzo le posò il viso sul petto e pianse più forte. Norma lo lasciò fare, accarezzandolo ogni tanto. Quando si fu calmato, Herbert prese una sedia, la sistemò di fronte al divano e si accomodò. Il ragazzo stava asciugandosi il volto.

Herbert trascinò i palmi sulle cosce e disse: «Ti va di raccontarci che ci facevi a faccia in giù sulla statale?»

E magari anche come fai a tirare su mezzo soggiorno? pensò.

Il ragazzo prese aria, mollò un respiro e attaccò a raccontare.

* * *

«Mi chiamo Dennis Graham e vengo da Flynn City, un minuscolo cacatoio nell'Iowa.»

Norma si incupì e gesticolò.

«La mia signora non gradisce le volgarità», disse Herbert.

«Mi scusi», fece Dennis, «ma non conosco un'altra parola che rende meglio l'idea, e il mio vocabolario non è molto rifornito. Non ci sono mai andato a scuola.»

«Mai?»

«Neanche un giorno. I miei avevano troppa fifa.»

«Fifa? E di che?»

«Di quello che avete visto due secondi fa.»

«In verità non lo so mica quello che ho visto.» Norma gesticolò. «Anche questo è vero.»

«Che ha detto?» chiese Dennis.

«Che se non ti lascio parlare non lo sapremo mai.»

«Non lo so come ci riesco. Penso che ci sono nato. Il primo ricordo che ho è di un libro di favole che vola per la stanza e mi cade sulle gambe. Ma penso che sono successe altre cose prima di questa, sennò non si spiega perché i miei non mi hanno mai mandato neanche in una scuola per lattanti.»

«Asilo», disse Herbert.

«Che?»

«La scuola per lattanti. Si chiama asilo.»

«Quello che è. Ricordo che mia madre entrò mentre il libro volava come una farfalla e mi pioveva sulle gambe. Cacciò un urlo come se aveva visto un diavolo uscire da sottoterra. Subito arrivò mio padre, che la spinse via e corse da me. Mi disse che non dovevo farlo, non dovevo acchiappare le cose con la mente, perché era una brutta cosa. E mentre me lo diceva mi teneva le mani sulle spalle e mi sgrullava come un caz... sì, insomma, come un pisello dopo una pisciata.»

Norma lo guardò storto.

«Ma non lo facevo apposta a prendere le cose con la mente. Mi veniva naturale come cac... come andare di corpo. Era come se c'avevo una mano lunga un chilometro che mi spuntava dalla fronte e ci potevo acchiappare tutto quello che volevo. Se ce l'avevo, perché non la dovevo usare?

«I miei genitori pensavano che quella mano lunga un chilometro dovevo tenerla a bada. Li spaventava a morte. Era una cosa che non capivano. Neanche io la capisco, ma non mi fa mica paura. Da piccolo, poi, pensavo che era una cosa normale, che tutti potevano fare quello che facevo io. Ai miei non gliel'avevo mai visto fare e dopo un po' iniziai a capire che non potevano. Non erano come me. Non mi ricordo quando l'ho capito, ma ricordo che poi mi sono sentito solo e ho iniziato a pensare che forse i miei genitori non erano gli unici che non potevano acchiappare le cose con la mente. Forse lì fuori, oltre quelle quattro mura, c'erano un milione di persone che non potevano acchiappare le cose con la mente.»

Norma gesticolò.

Herbert disse: «Ti hanno mai portato, che so, da un dottore?»

«Con la sciolta che avevano? Era già tanto se mia madre mi faceva mettere il naso fuori della finestra. Il mio vecchio, poi, a stento mi guardava. E quando lo faceva aveva sempre due occhi come se si aspettava di vedermi girare la testa come una giostra e vomitare passato di piselli, come in quel film di quella bambina posseduta dal diavolo. Anche voi mi avete guardato allo stesso modo, prima.»

«Non sono mica cose che si vedono tutti i giorni», si giustificò Herbert.

«Fa niente, tanto ci sono abituato. Quando sono sveglio riesco a controllarmi, ma quando dormo è un'altra storia. La mano prende il controllo e fa quello che non gli lascio fare di giorno. E più continuo a tenerla a bada, più le piglia la smania di fare casino quando viene fuori.»

Norma gesticolò.

«Norma dice che è parte della tua natura, e se la contraddici ti si ritorce contro», spiegò Herbert.

«Ma che posso fare? Mica posso andare in giro a tirare su le cose come fosse una roba normale?» disse Dennis. «Mi chiamerebbero mostro e mi sa che c'avrebbero pure ragione.»

Norma gesticolò.

«Secondo Norma non sei un mostro», fece Herbert.

Dennis guardò Norma, speranzoso. «Sul serio?»

Norma sorrise e annuì.

«E mica è l'unica a pensarlo», fece Herbert.

Dennis cercò ombra di bugia negli occhi di Herbert e fu felice di non trovarla.

«Ammetto che per poco non mi sporcavo le mutande a veder il soggiorno svolazzare a un metro da terra», disse Herbert, «ma questo non basta a fare di te un mostro. Ce n'è di brutta gente, lì fuori, che ha fatto cose tremende, e non mi risulta che avete molto in comune. A parte forse...»

Tergiversò un attimo. Guardò Norma, e a Dennis parve che i due si parlassero col pensiero. Norma gesticolò. Herbert si infilò una mano in tasca e tirò fuori il coltello. Dennis si tastò le tasche.

«Ti è caduto mentre dormivi», disse Herbert.

«Me l'ha dato un tizio che ho conosciuto in treno.»

«Sei venuto fin qui in treno?»

«A-ha. Sono saltato su mentre rallentava, ma poi un sorvegliante mi ha beccato, mi ha tirato giù e mi ha riempito di botte. Ne ho preso un altro il giorno stesso e lì ho conosciuto un tizio di nome Butch. Me l'ha dato lui il coltello. Ha detto che se dovevo viaggiare da solo era meglio che mi portavo una polizza.»

«E l'hai usato?»

«No.»

Herbert fece scattare la lama e la girò per mostrare al ragazzo la macchia bruna sulla punta.

«Non è roba mia, lo giuro. Butch mi ha detto che l'ha ficcato nella pancia di uno che voleva inchiappettarselo», disse Dennis.

Norma lo guardò storto. Dennis se ne accorse e fece: «Ѐ quello che ha detto.»

Udirono lo scoppiettio di un motore. Norma si alzò e andò alla finestra. Si girò e gesticolò svelta. Herbert annuì, si voltò verso Dennis e disse sorpreso: «Ѐ lo sceriffo.»

Dennis si fece bianco. «La prego, non gli dica niente. Non ci voglio tornare in quel cacatoio.»

«Non pensi che i tuoi vogliano sapere che morte hai fatto?»

«A quei due non gliene frega un cazzo di me. Staranno facendo festa a quest'ora.»

«Non è che esageri?»

«Per niente.»

Il suono di una portiera sbattuta. Norma batté il piede sul pavimento. Herbert si voltò e lei gli fece capire che lo sceriffo stava arrivando.

«Se torno lì mi rinchiudono in cantina. Già volevano farlo, per questo sono scappato. Non voglio passare tutta la vita ficcato lì sotto, senza manco una finestra che mi fa capire se fuori è notte o giorno. Piuttosto mi ammazzo.»

Prese il bicchiere e lo schiantò a terra. I vetri esplosero in tutte le direzioni.

«Che diavolo combini?» sbottò Herbert.

Dennis recuperò un vetro lungo e appuntito e lo posò sul polso sinistro. Aveva una faccia che faceva spavento, con due occhi grandi come lune e la bocca ridotta a una fessura. A Herbert bastò un'occhiata per capire che faceva sul serio.

«Okay, ora posa quel vetro», disse. Dennis non si mosse. «Non dirò niente e neanche Norma. Vero, cara?»

Norma annuì, ansiosa. Herbert ripiegò la lama e si ficcò in tasca il coltello.

«Diremo che sei mio nipote. Vedrai che Sam ci casca.»

Qualcosa negli occhi di Dennis parve cedere. Il vetro appuntito si allontanò di un paio di tacche.

«Ma devi posare quel coso e calmarti, okay?» Passi sui gradini della veranda. «Adesso.»

Dennis abbassò il vetro. Herbert gli fece segno di gettarlo a terra e Dennis eseguì.

«Herbert, sono Sam», disse una voce oltre l'uscio.

Herbert fece un cenno a Norma e lei andò ad aprire. Dietro la zanzariera c'era un omone bello in carne, con un cappello dalla tesa larga.

«Salve, Norma», salutò Sam.

Norma gesticolò.

«Immagino significhi 'salve anche a te, Sam'.»

«Immagini bene», disse Herbert.

Norma aprì la porta a zanzariera. Sam entrò togliendosi il cappello.

«Come va, Herb?»

«Ancora respiro, anche se con questo caldo potrei non arrivare a fine giornata.»

«Che roba, eh? Da non credere.»

Si accorse del ragazzo seduto sul divano, le mani in grembo e un'aria da cane bastonato, e lo guardò per bene.

«Mio nipote Dennis», fece Herbert.

«Non sapevo che Pete aveva figliato.»

«Pensavo di avertelo detto.»

«E lui dov'è?»

«In Georgia. All'ultimo ha avuto una grana al lavoro. Manco Laura è riuscita a schiodare.»

«E il ragazzo ha fatto tutto il viaggio da solo?»

«Mica gli serve la balia. Diciotto anni ce li ha.»

Sam lo squadrò per bene. «Sembra più giovane, però.»

«Questione di geni. Guarda me, c'ho settant'anni suonati ma a guardarmi non me ne daresti manco sessanta.»

«Seh, ti piacerebbe.»

Herbert rise. «Come mai da queste parti?»

«Mike mi ha avvisato via radio che volevi parlarmi. Gli pareva importante, e siccome ero di strada ho pensato di fare un salto.»

Grazie tante, Mike, pensò Herbert.

«Qualcuno ci è entrato in casa mentre eravamo alla stazione ad aspettare il treno di Dennis», disse Herbert.

Sam si guardò intorno. Notò i quadri a faccia in giù accanto al battiscopa. Si avvicinò e ne prese uno. Un paio di schegge vetrose si staccarono dalla cornice e piovvero a terra.

«Si vede che non gli sono piaciuti», disse Herbert. «Eppure non mi parevano tanto male.»

Sam sollevò un angolo delle labbra. «Magari non era un fan degli oli.»

«Vedo che te ne intendi.»

«Il mio vecchio imbrattava tele nel tempo libero», disse Sam. Posò il quadro sul tavolo e occhieggiò la credenza coi ninnoli rovesciati. «E pare che manco i soprammobili scicchettosi gli andavano a genio.»

Raggiunse la credenza, la aprì e prese un angioletto di ceramica. Se lo rigirò fra le mani.

«Anche la mia signora impazzisce per 'sti cosi. Una volta li vede a un mercatino e per poco non se la fa nei collant.» Norma si accigliò. «Se non la trascinavo via era capace di scialacquare tutti i risparmi per il college dei ragazzi.»

Posò l'angioletto. Si voltò e adocchiò i vetri ai piedi del divano.

«Sembra che c'avevano proprio una gran voglia di sfasciarvi casa, 'sti tizi», disse.

Dennis strinse un lembo dei calzoni, si accorse che Sam lo guardava e smise.

«Ѐ solo un bicchiere», disse Herbert.

«Avete controllato se manca qualcosa? Soldi, gioielli...»

«Il nostro fondo pensione è ancora sotto il materasso. E pure i gioielli di Norma.»

Sam annuì. Si vedeva che stava pensando. Guardò Dennis, impegnato a fissarsi i piedi e a tormentarsi le mani. Norma si avvicinò, si mise fra Sam e Dennis e gesticolò.

«Dice che tutta 'sta confusione le ha fatto scordare le buone maniere e ti sta chiedendo se vuoi bere qualcosa», disse Herbert.

«Be', magari un sorso d'acqua», fece Sam. «Mica avete i cubetti di ghiaccio?»

Norma gesticolò. Herbert tradusse: «Dice che il ghiaccio non ce l'abbiamo, ma puoi soffiare sull'acqua finché non diventa fredda.»

«Te lo sei inventato.»

«Solo la seconda parte.»

«Che tipo», fece Sam.

Norma tornò con un bicchiere d'acqua. Sam lo buttò giù.

«Ci voleva. Con 'sto cazzo di caldo mi pare di andare a fuoco ogni volta che metto il becco fuori dal mio ufficio. C'abbiamo l'aria condizionata sparata a palla.» Restituì il bicchiere a Norma. «Grazie tante.»

Diede uno strattone alla cinta dei calzoni.

«Se volete sporgere denuncia, possiamo farci un salto anche ora.»

«Magari più tardi. Voglio prima sistemare 'sto casino», fece Herbert.

«Come ti pare», disse Sam.

Scoccò un'ultima occhiata a Dennis e si calcò in testa il cappello. Norma lo accompagnò alla porta, si salutarono e Sam montò in auto. Lo sentirono allontanarsi.

«Ѐ andata meglio di quanto pensassi», fece Herbert. «Me la cavo mica male come cazzaro.»

Norma lo riprese con un cipiglio.

«Scusa, cara.»

«Grazie», fece Dennis.

«Se vuoi dimostrare la tua gratitudine, prendi scopa e paletta e aiutami a tirar via un po' di vetri.»

* * *

Ripulirono il soggiorno mentre Norma metteva a posto i ninnoli nella credenza. Herbert mise via i quadri e si ripromise di fare un salto in città per prendere delle nuove cornici. Quando ebbero finito tornarono a sedersi in soggiorno e lì Herbert disse a Dennis: «Se anche Sam se l'è bevuta, basta che parla con Harry e subito scopre che l'ho preso per il naso.»

«Non voglio darvi altre grane», disse Dennis. «Se mi ridà il coltello tolgo il disturbo.»

«Il coltello te lo ridò, ma dopo che ti ho accompagnato alla stazione degli autobus.»

Norma gesticolò e schizzò su per le scale prima che Herbert potesse replicare. La sentirono camminare e fermarsi, poi udirono un sospiro di molle. Quando ridiscese aveva in mano un bel malloppo. Lo porse a Dennis. Il ragazzo strabuzzò gli occhi. Guardò prima Norma e poi Herbert come se cercasse la loro approvazione.

«Se non li arraffi tu, lo faccio io», disse Herbert.

Norma glieli sventolò sotto il naso: insomma, li prendi o no? Dennis allungò una mano, poco convinto, e Norma glieli schiaffò sul palmo. Dennis aprì i dollari a ventaglio. Erano una bella sommetta.

«Non posso... insomma, sono un fracco di soldi.»

«Prendili», fece Herbert. «Ti servono più che a noi.»

Dennis li piegò, guardò i due anziani padroni di casa come per assicurarsi che non ci avessero ripensato e se li ficcò in tasca.

«Grazie. Davvero», disse.

Norma gesticolò.

«Ottima idea, ho giusto un languorino», disse Herbert.

Norma gesticolò ancora.

«Non è vero che ho sempre fame. E comunque è segno di salute.»

Norma scosse la testa e sparì in cucina. La sentirono aprire cassetti e pensili e spostarsi in giro per la stanza.

«Prima che arrivasse Sam, mi hai detto che i tuoi volevano rinchiuderti in cantina», disse Herbert a Dennis.

«Ѐ così», fece Dennis. «L'idea ce l'ha avuta il mio vecchio. L'ho sentito da una presa d'aria nella mia stanza. Ha detto: 'Lo dobbiamo chiudere di sotto.'

«'Non c'è un altro modo?' gli fa mia madre, e dopo un attimo di silenzio lui risponde: 'No. A meno che non vogliamo toglierlo di mezzo, ma così ci possiamo trovare nei casini. E io non mi ci voglio ficcare in un guaio grosso come uno stronzo di elefante per colpa di quello stramboide.'»

«Gesù santo», mormorò Herbert.

«'Va bene, George, facciamo come vuoi tu', dice mia madre e non sento più niente per un bel pezzo. Sono rimasto con l'orecchio incollato alla presa d'aria finché il mio vecchio non ha iniziato a ronfare come un cinghiale in calore. Allora ho fatto fagotto e me la sono filata.»

Norma tornò con due piatti e altrettanti sandwich. Li porse a Herbert e Dennis, tornò un attimo in cucina a prendere il proprio e si accomodò accanto a Dennis. Mangiarono – Dennis fece sparire il suo sandwich in due bocconi – e Herbert si alzò.

«Ѐ ora di andare», disse a Dennis.

Norma anche si alzò, gesticolò un attimo e sparì in cucina. Quando tornò aveva un fazzolettone annodato a mo' di fagotto. Lo porse a Dennis e gesticolò.

«Un paio di sandwich per il viaggio», disse Herbert. «La mia signora pensa sempre a tutto. Così un po' di dollari li risparmi e ti ci compri degli stracci decenti. Quelli che hai addosso sembra che li hai fregati a un barbone morto.»

«Io... non so che dire», fece Dennis.

Aveva gli occhi lucidi mentre guardava Norma. Lei lo abbracciò e gli posò un bacio sulla fronte. Gesticolò.

«Dice di dare retta alla voce che senti dentro e mandare al diavolo quelle che vengono da fuori. O qualcosa del genere», fece Herbert. «Il senso è più o meno quello.»

Norma annuì.

«Ci proverò», disse Dennis.

Herbert gli posò una mano sulla spalla. «Leviamo le tende», disse.

Recuperò le chiavi del pick-up dal gancio accanto alla porta e uscì tallonato da Dennis. Norma li seguì e si fermò in veranda. Quando i due montarono a bordo del mezzo, sfarfallò una mano in segno di saluto. Dennis e Herbert risposero all'unisono e partirono.

Norma restò a guardare il pick-up che si allontanava lungo la strada sterrata, e quando non lo vide più tornò in casa.

* * *

Norma sentì il rumore di pneumatici che raschiavano il terriccio e pensò che Herbert ci aveva messo poco ad arrivare in città e tornare. Andò alla finestra e sbirciò di fuori. Non era Herbert. Davanti casa c'era una berlina nera. Il Sole scintillava sul tettuccio e sulla griglia cromata simile a una museruola d'acciaio. La portiera dal lato del passeggero si aprì e un tizio vestito di nero – cappello, abito, scarpe lucide e occhiali da sole – smontò, risalì i gradini e bussò alla porta. Norma aprì. La sola zanzariera la separava dall'uomo più alto e largo che avesse mai visto.

Abbozzò un sorriso.

«Dov'è il ragazzo?» chiese il tizio.

Norma fece il possibile per tenere a freno i muscoli facciali e gesticolò. L'uomo sollevò le sopracciglia.

«Che cazzo sono 'ste mosse?» chiese. Norma si toccò le labbra. «Sei muta?»

Norma annuì.

«Ci mancava», sbuffò l'uomo.

Si voltò verso l'auto e fece un gesto. La portiera dal lato del conducente si aprì e un uomo magro e slanciato smontò. Era vestito come il suo compare. Si avvicinò e fece i gradini a passo svelto.

«Vedi un po' che dice 'sta tizia, è più muta di una spigola», disse l'omone. Si rivolse a Norma. «Ripeti un po' quelle cazzo di mosse.»

Norma gesticolò. Il tizio magro tradusse: «Dice che non ha visto nessun ragazzo e poi che non dovresti dire tante parolacce.»

«Parlo come cazzo mi pare», fece l'omone.

Norma gesticolò accigliata.

«Vuole sapere chi siamo», fece il magro.

«Agenti federali», disse l'omone.

Norma mostrò loro il palmo e ci batté sopra un dito.

«Penso che voglia vedere un documento», disse il magro.

«Sai cosa? Mi stai rompendo i coglioni, vecchia babbiona», fece l'omone. Aprì la giacca e mostrò a Norma il cannone nella fondina ascellare. «E quando mi rompo i coglioni, io inizio a sparare.»

Norma arretrò di un passo. L'omone aprì la zanzariera. Norma provò a chiudere la porta di casa ma l'altro fu più svelto. Si allungò, posò una manona sul legno e spalancò la porta. Norma si trovò costretta ad arretrare.

«Sappiamo che è passato di qui e adesso tu mi dici dove sta», fece l'omone, entrando. «Ed è meglio che me lo dici subito, perché per ogni minuto che mi fai perdere ti rompo un osso. A cominciare da adesso.»

Norma arretrò fino in cucina. Pensò subito al telefono, ma come diavolo faceva a comunicare qualcosa a chi che fosse? Si disse che poteva fare il numero dello sceriffo e battere sul microfono del ricevitore un SOS in linguaggio morse, ma poi scartò l'idea. Sam e Mike conoscevano a stento la loro, di lingua.

«Sto aspettando, babbiona», disse l'omone.

Fece un passo e Norma si lanciò verso il telefono. Fece il numero dell'ufficio dello sceriffo e mollò il ricevitore, che prese a dondolare come un impiccato, poi corse ad aprire un cassetto e tirò fuori un coltellaccio che avrebbe fatto brillare gli occhi a Jack lo Squartatore.

«Ufficio dello sceriffo», rispose Mike all'altro capo della linea.

L'omone entrò in cucina e vide Norma. Li separava un tavolo.

«Che vuoi farci con quell'affare?» chiese l'omone, vedendo il coltello che Norma brandiva con entrambe le mani. «Mettilo giù, che ti fai male.»

«Pronto?»

L'omone si voltò e vide il ricevitore. Si avvicinò, lo afferrò e se lo portò all'orecchio.

«Pronto?» ripeté Mike.

«Chi cazzo sei?» chiese l'omone.

«Chi sei tu. Io sono il vicesceriffo Pepper.»

«Salve Pepper, io sono zio Paperone.»

«Lo sa che a fare scherzi telefonici alla polizia ci si può beccare una denuncia?»

«Grazie della dritta, Pepper. Ora vai a farti fottere», disse l'omone e mise giù. Guardò Norma. «Ci hai provato, ti è andata male. Adesso dimmi dov'è il ragazzo.»

Norma non si mosse.

«Come vuoi.»

L'omone estrasse il revolver con un movimento fluido e sparò senza prendere la mira. Il botto fu assordante nella piccola cucina. Norma accusò un colpo alla spalla che la spinse all'indietro. Urtò il bordo del lavandino col culo e mollò il coltello. Si guardò la spalla. C'era un buco nella maglia. I bordi erano anneriti.

«Bel colpo», disse il magro.

Era sulla soglia della cucina, poggiato allo stipite, le mani ficcate in tasca e le caviglie incrociate.

«Visto che roba? Ѐ entrato, ha scavato una cazzo di galleria ed è uscito», fece l'omone. «Nemmeno una goccia di sangue.»

Norma provò a muovere la spalla e sentì un dolore atroce. Se avesse potuto urlare l'avrebbero sentita fino all'inferno. Mosse le labbra che tremarono con violenza.

«Ehi, sta' a vedere che adesso parla», disse l'omone e rise.

Il magro non batté ciglio. L'omone rinfoderò l'arma e si avvicinò a Norma, che neanche provò a scappare.

«Sei pronta a parlare?» chiese.

Norma sollevò il mento. Era così grosso... Gli ricordava il suo vecchio. Anche lui era grosso. E aveva la stessa faccia di pietra.

«Dimmi dove sta quello stronzetto.»

Norma serrò le labbra.

«Mi sa che non l'hai convinta», disse il magro.

La mano dell'omone scattò rapida e si chiuse sulla spalla di Norma. Il pollice grosso come un wurstel si infilò nel buco aperto dal proiettile. Norma urlò in silenzio.

«Fa male?» chiese l'omone e inclinò la testa di lato come un cane che provi a sentire meglio.

Norma gesticolò col braccio sano.

«Che cazzo sta dicendo?» chiese l'omone al suo compare.

«Il nostro amico se l'è filata. Avrà sentito la puzza», fece il magro.

«E dove cazzo è andato?»

Spinse il pollice nella ferita. Norma provò a sottrarsi ma l'omone la tenne lì finché lei non riprese a gesticolare.

«Dice che deve prendere un pullman», fece il magro.

«La stazione dei pullman», disse l'omone.

Si tolse gli occhiali e Norma si ritrovò a fissare due iridi nere cerchiate da altrettanti anelli dorati.

«Se mi hai cacciato mezza balla», disse l'omone, «torno qui e ti faccio fuori.»

Gli anelli e le iridi s'incendiarono. Gli occhi dell'omone divennero carboni ardenti. Norma si sentì risucchiare. L'omone mollò la presa e Norma arretrò in fretta. Lui indossò gli occhiali, aggirò il tavolo e raggiunse il magro.

«Andiamo», disse.

«Le ossa non gliele rompi?» chiese il magro.

«Mi sono divertito a sufficienza.»

Uscirono e montarono in auto. Il magro fece manovra e imboccò il sentiero sterrato.

«Quel figlio di puttana ci sta facendo sudare», disse il magro.

«Tu aspetta che gli metto le mani addosso e vedrai chi è che suda», fece l'omone.

«Secondo te come fa a schermare la traccia?»

«Cazzo ne so.»

«Certo che così è un casino.»

«E piantala di frignare. Finché ci sono io non va da nessuna parte. Può nascondersi per un po' ma alla fine lo ribecco sempre.»

«E adesso lo senti?»

«È vicino. Continua dritto. E datti una mossa.»

Il magro accelerò.

* * *

Herbert superò un cartello stradale che indicava le miglia mancanti alla città. Dennis era silenzioso. Non apriva bocca da quando erano partiti. Herbert non provò ad attaccare bottone. Gli chiese solo dove pensava di andare. Dennis rispose che non lo sapeva e la cosa finì lì.

Avevano percorso poche miglia quando Dennis si irrigidì come un palo e prese a fissare lo specchietto laterale.

Herbert se ne accorse e chiese: «Tutto okay?»

Dennis non rispose.

«Figliolo?»

«Mi hanno trovato», mormorò Dennis.

Herbert buttò un occhio allo specchietto retrovisore e vide una berlina nera che si avvicinava a grande velocità.

«I tuoi genitori?»

«Peggio», fece Dennis. Si voltò a guardare Herbert. «Mi dispiace. Non volevo coinvolgervi.»

«Figliolo, che diavolo sta succedendo? E chi c'è in quella berlina?»

«Vi ho mentito. Non sono scappato di casa.»

Herbert gli scoccò un'occhiata e tornò a guardare la strada.

«I miei ci sono riusciti a rinchiudermi. Mi hanno drogato e sbattuto in cantina, con un anello di ferro alla caviglia e una catena fissata al pavimento. Mangiavo e bevevo da una ciotola. Venivano una volta al giorno, la riempivano, poi mi rincoglionivano con la droga così che non potevo usare il mio potere per liberarmi e se ne andavano. Non so quanto ci sono rimasto, là sotto, ma un giorno la porta si è aperta e sono entrati due tizi vestiti di nero. Uno mi ha tolto la catena e mi ha detto di seguirlo.»

Si voltò a dare un'occhiata alla berlina. Era vicina.

«Di sopra c'erano i miei e sembravano sollevati. Mi hanno guardato e, quando ho chiesto spiegazioni, uno di quei tizi mi ha afferrato e trascinato fuori. Ho provato a reagire e mi ha dato una botta in testa. Sono svenuto e quando mi sono risvegliato ero sul sedile posteriore di un'auto.

«'Il pupo è sveglio', sento. Mi giro e vedo 'sto tizio enorme e vestito di nero, occhiali e tutto. 'Picchi come uno che c'ha i monconi al posto delle braccia', dice.

«'Ma vaffanculo', fa il tizio alla guida e il bestione ride. Poi si toglie gli occhiali e vedo che ha due anelli di fuoco al posto degli occhi. Mi guarda e non so che è successo ma quando ho sbattuto le palpebre ero in una stanza bianca, legato a una sedia fissata a terra con dei bulloni, degli aghi nelle braccia e una specie di ventose appiccicate alla testa. Sono riuscito a filarmela solo perché...»

La berlina accelerò di colpo, invase l'altra corsia e si affiancò al pick-up. Il finestrino era giù. Herbert vide un volto di pietra che lo fissava. L'omone ghignò e i suoi occhi si incendiarono.

«Non lo guardi!» urlò Dennis, ma era già tardi.

Herbert si sentì risucchiare e i muscoli di braccia e gambe si afflosciarono. Perse il controllo del mezzo, che lambì il ciglio della strada. Gli pneumatici sollevarono una nuvola di polvere. Dennis afferrò il volante e riportò il pick-up in carreggiata.

«Ѐ finita, testa di cazzo», disse l'omone. «Parcheggia il culo.»

«Fottiti!» rispose Dennis.

Fece passare una gamba sopra il cambio, mise il piede su quello di Herbert e affondò sull'acceleratore. Il pick-up fece un balzo in avanti e si pigliò un po' di vantaggio, ma la berlina recuperò subito.

«Hai la testa più dura di uno stronzo al Sole», fece l'omone.

Tirò fuori il revolver e armò il cane. Lo starnazzo di un'oca gigante lo costrinse a guardare la strada. Il magro sterzò per evitare un camion che sopraggiungeva dal senso di marcia opposto. La berlina uscì di strada e perse terreno. Herbert si riebbe.

«Che diavolo...» mormorò.

Vide il ragazzo tutto proteso dal suo lato, il piede schiacciato sul proprio.

«Che cacchio è successo?»

Dennis gli lanciò un'occhiata e tornò a guardare la strada. «Ѐ quel tizio. Le avevo detto di non guardarlo.»

Herbert riprese in mano il volante, ancora un po' scosso, e Dennis tornò dal suo lato. Si girò a guardare. La berlina si era rimessa in strada e riguadagnava terreno.

«Questo pezzo di ferraglia non va più veloce?» fece Dennis.

«Ѐ già tanto se va», rispose Herbert, che premeva con tanta forza sull'acceleratore da sentire male ai calli. «Chi diavolo sono quei tizi?»

«Chi sono non lo so. Forse lavorano per il governo.»

«E da te che vogliono?»

«Capire come faccio ad acchiappare le cose con la mente.»

La berlina si riportò al fianco del pick-up.

«Vecchia mummia!» chiamò l'omone.

«Non lo guardi», disse Dennis.

«Non ci penso nemmeno», fece Herbert, e rabbrividì al ricordo di quello che gli era successo quando aveva fissato gli anelli di fuoco: si era ritrovato a precipitare in un nulla più nero di un buco di culo.

«Eddài, non fare il timido», lo canzonò l'omone. «Fatti dare una sbirciatina.»

Rise. Herbert pensò che era così che avrebbe riso un rospo se avesse potuto.

La berlina superò il pick-up, si prese un bel vantaggio, inchiodò al centro della strada e si posizionò di traverso con una sgommata. L'omone smontò e i suoi occhi presero a bruciare. Dennis guardò altrove. Herbert non fece in tempo. I cerchi di fuoco lo risucchiarono. I muscoli di gambe e braccia si ammosciarono e il pick-up rallentò.

«Che sta facendo?» disse Dennis.

Si accorse che gli occhi di Herbert erano vuoti come biglie e capì. Si sporse e afferrò il volante, allungò la gamba e pestò il piede sull'acceleratore. Il pick-up riprese velocità. Dennis lo tenne dritto e continuò ad accelerare.

«Mi sa che vuole metterti sotto», disse il magro.

«Mi sa che avrà una brutta sorpresa», fece l'omone.

«Vedi di non ammazzarlo.»

«Chiudi quella fogna.»

Il pick-up piombava sull'omone. Dennis sollevò appena lo sguardo per assicurarsi che il muso del mezzo puntasse nella giusta direzione e per poco non incrociò gli occhi dell'omone. Fece a tempo ad abbassare i suoi e affondò il piede sul pedale. L'omone aprì la bocca. La mandibola schioccò, piombò giù come un pezzo di gomma sciolto e il mento sfiorò il manto stradale. La gola dell'omone prese a contrarsi in maniera convulsa e da quella caverna dentata uscirono degli omini grigi, calvi e nudi, che si riversarono in strada e corsero verso il pick-up. Erano tanti che a contarli avresti perso mezza giornata. Si spintonavano come fossero in ritardo all'appuntamento della vita e quando uno cadeva, quelli dietro lo calpestavano e continuavano a correre. Andarono incontro al mezzo, che li spiaccicò come tanti scarafaggi. I piccoli mostriciattoli esplosero. Fluidi corporei e interiora si sparsero sulla carreggiata. Le ruote del pick-up slittarono su tutta quella merda, il mezzo uscì di strada e prese in pieno un palo del telefono.

La bocca dell'omone ritornò alle sue dimensioni originarie. I mostriciattoli che l'avevano sfangata corsero via. L'omone tirò fuori il revolver e li fece esplodere come fuochi d'artificio. Un paio riuscirono a fuggire e si inoltrarono in un campo di granturco. Poco male. Sarebbero schiattati nel giro di mezza giornata e il caldo avrebbe accelerato la decomposizione dei loro corpi come già accadeva per la pozzanghera di viscere sulla strada, che fumava come le ceneri di un falò. Tempo un'ora e sarebbe rimasto solo un leggero alone.

L'omone raggiunse il pick-up mentre il suo compare accostava sul ciglio della strada. Aggirò il muso accartocciato nel mezzo e aprì la portiera dal lato del passeggero. Dennis era finito su Herbert e aveva un bernoccolo in fronte. Herbert aveva il naso frantumato e gocciolante sangue. Entrambi erano nel mondo dei sogni. L'omone tirò fuori Dennis e se lo caricò in spalla. Raggiunse la berlina, aprì la portiera posteriore, lo scaricò sul sedile ed entrò.

«Andiamo», disse al suo compare.

«Come è messo?» chiese il magro.

«Ha un paio di graffi. Muovi il culo.»

Il magro innestò la prima e partì.

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