Stufato per cena

«Non è che muore asfissiato?» chiese Joel.

«Naaa, gli ho fatto i buchi per l'aria», rispose Tom.

Joel si voltò. «Hai bucato il portabagagli?»

«Guarda la strada.»

Joel puntò gli occhi sul manto stradale. Le luci della Ford lo scorrevano come dita frettolose sul fianco di una bella pupa.

«Hai fatto dei buchi nel portabagagli?» ripeté.

«Eh.»

«Che cazzo ti dice quel poco di cervello che hai?»

«E che dovevo fare?»

«Chiedermelo, tanto per cominciare.»

«Se muore non ci pagano.»

«Questo lo so.»

«E allora piantala di rompere.»

«Non è mia la macchina, lo sai, è di mia sorella.»

«Vedrai che neanche se ne accorge», disse Tom.

Fece il sedile indietro, inclinò lo schienale, mise le mani dietro la testa, si tolse le scarpe e allungò i piedi sul cruscotto.

«Leva quelle luride fette», fece Joel.

«Mi sto rilassando.»

Joel allungò una mano e gli tirò giù i piedi, che atterrarono con un tonfo sul tappetino pieno di briciole.

«Dovresti imparare a rilassarti, uomo», fece Tom.

«Rilassarmi? Con un marmocchio nel bagagliaio?»

Tom allungò di nuovo i piedi sul cruscotto impolverato. «Tua sorella l'ha mai portato a lavare 'sto bidone di merda?»

«Ti ho detto di levare quei piedi dal cruscotto.»

«Che fastidio ti danno?»

«Se incrociamo gli sbirri...»

«Che mi fanno? Una multa perché non ho tagliato le unghie?»

«Gli sbirri di qua sono parecchio suscettibili. Dobbiamo tenere un profilo basso.»

«E basso lo tengo, guarda.» Tom inclinò lo schienale fino al limite consentito e girò il viso di lato, verso Joel che guidava. «Vedi? Il profilo sta basso, sono i piedi che stanno alti.»

Joel scosse la testa ma sotto sotto sorrideva. «Che razza di idiota.»

«Ma un idiota affascinante.»

«Seh.»

«Ammettilo, sono un tipo da copertina. Come quelli che schiaffano sulle riviste per femmine arrapate.»

«Non leggo certe robe, sai com'è...»

«Devi chiedere a tua sorella, allora, sono sicuro che le legge.»

«Mia sorella è sposata.»

«Embè? Una sposata non si arrapa?»

«Voglio dire che non ha bisogno delle riviste, ha il marito.»

«Quello mica è un marito, è un kebab con le gambe.»

«Ha un problema ghiandolare.»

«Bella scusa. È la stessa che usa quando non gli si drizza l'uccello?»

«Sarai mica geloso?»

«Di quella mortadella?»

«Almeno lui c'ha una passera sempre a portata di mano, mentre tu ti devi sbattere come un negro per rimediarne una.» Tom fece per ribattere ma Joel lo anticipò. «Una che non devi pagare.»

Tom chiuse il becco e non parlò per un po'. Poi disse: «Secondo te che ci vogliono fare col ragazzino?»

«Non lo so e non mi frega un cazzo, mi basta che paga bene.»

«E hai sentito come parlava quel grassone?»

«Sembrava uscito da un film in bianco e nero. E pure quella specie di maggiordomo mica era tanto normale.»

«Nel senso?»

«Vuoi dire che non l'hai notato?»

«Che dovevo notare?»

«I denti. Ce ne ha tanti che può darteli di resto se non ha spicci.»

«Non ci ho fatto caso.»

«A che cazzo pensavi?»

«A tua sorella.»

Joel staccò la destra dal volante e mollò un pugno sul braccio di Tom.

«Picchi come mia nonna», disse Tom massaggiandosi il braccio.

«Se nomini ancora mia sorella, ti metto col ragazzino.»

«Di sicuro è più simpatico. E picchia pure più forte.»

«Testa di cazzo», mormorò Joel a denti stretti.

Le luci della Ford illuminarono un cartello con su scritto CYPRESS CREEK. Lo superarono e, dopo poco, il paesaggio scarno cedette presto il passo a una distesa di alberi disseminati ai bordi della strada.

«Ci siamo quasi», fece Tom.

«Finalmente.»

«Stanco?»

«Come un toro che ha montato un gregge di vacche.»

«Mandria.»

«Che?»

«Le pecore vanno a gregge, le vacche a mandrie.»

«Gregge, mandrie: sono cotto come una bistecca, okay?»

«Se vuoi guido io.»

«E te lo fai uscire adesso che siamo quasi arrivati?»

«Dici sempre che a guidare ti rilassi.»

Joel grugnì e lasciò cadere la conversazione. Dopo poche miglia udirono un lamento ovattato, poi un tonfo.

«Che cazzo è?» fece Tom.

«Quello stronzetto s'è svegliato», disse Joel.

«Pensavo che il sonnifero durava di più.»

«Quanto gliene hai dato?»

«Un quarto.»

«Idiota! T'avevo detto metà!»

«Datti una calmata, ormai siamo quasi arrivati. Non ci può succedere più nien...»

L'ululato delle sirene li colse di sorpresa. Tom sobbalzò. Joel spalancò gli occhi e li fissò nello specchietto retrovisore.

«Cazzo, CAZZO!» sbottò Joel.

Le luci blu riempivano la notte mentre due fari abbaglianti si avvicinavano a grande velocità.

«Che facciamo?» chiese Tom.

Joel affondò il piede sull'acceleratore. La Ford acquistò velocità, ma l'auto che li inseguiva era più rapida. Li sorpassò in due secondi e si affiancò. Nell'abitacolo c'era uno sceriffo con cappello a tesa larga che si sbracciava. Joel abbassò il finestrino, pigliò la pistola che teneva poggiata tra le cosce e sparò due colpi senza stare troppo a pensarci. Il vetro della volante esplose e l'auto sbandò oltre il ciglio, andandosi a schiantare contro un albero. Joel accelerò ancora.

«L'hai ammazzato?» chiese Tom.

«Non lo so, ma so chi ammazzerò appena ci fermiamo.»

«Chi?»

«Te, razza di coglione!»

Tom non replicò. Joel aveva l'espressione di un demonio, respirava come se avesse corso una maratona e aveva gli occhi fuori dalle orbite. Da quel punto di vista somigliava molto a quel negro ciccione che gli aveva commissionato il lavoro. Pure lui c'aveva gli occhi fuori dalle orbite. Tom osservò il petto dell'amico che s'alzava e abbassava in rapidi cicli. Le dita erano strette intorno al volante. Gli occhi andavano dalla strada allo specchietto. Solo dopo un paio di miglia Joel tornò a respirare normalmente. Nessuna luce blu piroettante nello specchietto. Niente fari che s'avvicinavano. Pure il marmocchio s'era calmato. Non udivano lamenti o rumori di sorta dal bagagliaio. Joel continuò a spingere la Ford oltre i limiti di velocità consentiti. Ormai non aveva più importanza.

Giunsero in prossimità di una biforcazione e Joel prese a destra. Continuò per un pezzo e cercò di ricordare la svolta. Doveva esserci... Eccolo. Vide il ponte che passava sul fiumiciattolo. Oltre quello, la baita del negro dagli occhi spiritati. Joel parcheggiò e smontò rapido. Tom lo imitò. Aggirarono l'auto e si incontrarono dinanzi al bagagliaio. Joel vide i buchi sulla carrozzeria e fulminò l'amico con un'occhiataccia. Se non avesse lasciato la pistola in auto, forse l'avrebbe sparato seduta stante. Aprirono il bagagliaio. Il marmocchio era legato come un salame e c'aveva un bavaglio in bocca. Come li vide prese ad agitarsi. Mugugni incomprensibili gli uscivano di bocca. Gli occhi erano grandi e spaventati.

«Piglialo per le gambe», disse Joel e Tom obbedì.

Lo tirarono fuori e lo misero a terra. Joel si drizzò e, nel guardare oltre la spalla di Tom, vide una faccia scura come carbone. La faccia sorrise, mostrando denti di porcellana.

«Era ora.» Tom sobbalzò e si voltò. Vide il sorriso di porcellana e fece due passi indietro. «Il signor Dramè attende.»

Si voltò e camminò verso la baita. Le falde del frac che indossava gli svolazzavano dietro al culo, sollevate dal vento.

«Ma quanti denti ha, quello?» mormorò Tom.

«Abbastanza da fare polpettine di me e di te», disse Joel.

Sollevarono il ragazzino, che si agitò come un pesce preso all'amo.

«Se non ti dai una calmata, ti riempio di botte», fece Joel.

«Il negro ha detto di non maltrattarlo», disse Tom.

Joel lanciò un'occhiataccia all'amico. Le froge del naso si allargarono e il respiro cambiò. Era di nuovo furioso.

«Portiamolo dentro», disse in tono piatto.

Lo pigliarono di peso e cercarono di non farlo cadere mentre quello si agitava. Giunsero sulla veranda della baita. Il negro in frac gli tenne aperta la porta e disse: «Lasciatelo qui, a lui ci penso io.» Joel e Tom mollarono il piccolo stronzetto ed entrarono.

«Il signor Dramè è nel suo studio. Conoscete la strada.»

Si allontanarono verso la scala. Joel si voltò un attimo e vide il negro sollevare il marmocchio e caricarselo in spalla senza apparente sforzo, riuscendo a tenerlo fermo nonostante quello si agitasse. Lo vide chiudere la porta e allontanarsi con un aplomb invidiabile, passo lento e cadenzato e schiena dritta.

Joel e Tom salirono al piano di sopra. Lo studio del negro grasso era lì. Bussarono alla porta e udirono una voce cavernosa rispondere: «Avanti.»

Entrarono. Il negro era seduto in poltrona, ritto come un palo ed enorme come Jabba de Hutt. Li invitò a farsi avanti con un gesto. Non si alzò.

«È andato tutto bene?» chiese.

«Uno sbirro...» cominciò Tom, ma Joel lo tacciò colpendogli il braccio con il dorso della mano.

«Tutto a norma, ci ha solo guardato storto», disse Joel.

Il negro ciccione li squadrò con quegli occhi strabuzzanti, poi indicò con un cenno della mano aperta la scrivania di legno lucido. «Il vostro compenso.»

Joel recuperò i soldi: una mazzetta di banconote tenute da un elastico. Le contò. Il negro ciccione attese con un accenno di sorrisino sul volto ampio. Joel si ficcò in saccoccia la mazzetta.

«Stammi bene, eh.»

Fece un cenno a Tom e si avviarono verso la porta. Sulla soglia, Tom si voltò un attimo per chiedere: «Che ci vuol fare col marmocchio?»

«Lo stufato», disse il negro e mise in mostra una fila di denti bianchi ed enormi come blocchi di pietra.

Tom sentì le labbra deformarsi nella parodia grottesca di un sorriso. La smorfia che gli uscì fece allargare il sorriso da cannibale del negro.

«Tom», chiamò Joel e Tom lasciò lo studio.

Scesero dabbasso e trovarono ad attenderli il negro in frac. «Andate via?»

«Già», fece Joel.

Joel fece raggiungere la porta ma il negro in frac gli si parò davanti.

«Il signor Dramè gradirebbe avervi a cena.»

«Levati dalle palle», fece Joel e gli posò una mano sulla spalla per spostarlo.

Il negro in frac scattò come un gatto e gliela afferrò, gli torse il braccio dietro la schiena, gli mollò una bottarella sull'incavo dietro il ginocchio e lo atterrò.

«Il signor Dramè insiste.»

«Fanculo... Tom! Aiutami!»

Tom fece un passo avanti. «Se si avvicina gli rompo il braccio», disse il maggiordomo.

Per dimostrare che faceva sul serio esercitò una pressione sull'articolazione. Joel urlò e pianse dal dolore.

«Un passo indietro, prego.»

Tom arretrò e urtò qualcosa. Si voltò e vide il negro ciccione, le mani incrociate dietro la schiena e il pancione che minacciava di far saltare i bottoni dorati del doppiopetto. Guardò Tom e si leccò le labbra: «Credo che la cottura al sangue sia la più adeguata per un uomo della sua corporatura. L'altro, invece...» Si sporse oltre la spalla di Tom per guardare il maggiordomo: «Cosa ritieni sia più opportuno, Jerome?»

«Posso farlo affumicato.»

Gli occhi del grassone si illuminarono. «Eccellente.»

«Ma che cazzo blaterate?» fece Joel.

«Silenzio, prego», disse il maggiordomo. «Il signor Dramè sta parlando.»

Con la mano libera afferrò i capelli di Joel, gli sollevò la testa e gli sbatté con forza la faccia sul pavimento: una, due, tre volte. Tom si voltò e vide il maggiordomo che riduceva la faccia di Joel a una massa sanguinolenta. Una volta finito, si alzò e si sistemò il vestito macchiato da schizzi di sangue come se niente fosse. Tom fissò il volto mezzo spappolato di Joel con una nausea montante, poi avvertì la presenza di due mani grandi e forti ai lati della testa. Una mossa rapida, uno schiocco secco e Tom si afflosciò a terra come una bambola di stracci, il collo spezzato.

«Prima di metterti ai fornelli, ti spiacerebbe far sparire l'auto di questi galantuomini?» chiese Dramè.

«Me ne occupo subito», disse il maggiordomo.

Girò i tacchi e uscì nella notte afosa.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top