Let it... die
Joel occhieggia lo strascico di una stella cadente mentre irrompe con la sua Fat Boy nell'ampio parcheggio sterrato. Si ferma tra un pick-up e una Chevy, spegne il motore e smonta. L'insegna al neon è proprio dinanzi a lui, inchiavata sopra l'ingresso: LOOMIS'. All'interno delle due 'OO' ci sono altrettante pupille che si accendono e spengono. Joel la trova una roba senza senso, ma ha visto di peggio.
Dall'interno del locale gli arriva il suono ovattato della musica. È un punk rock scatenato. Il cantante urla con una voce sguaiata. Joel ficca la chiave della Fat Boy nella tasca dei jeans, mette piede sulla passerella ed entra. L'odore di birra e sudore lo investe, così come la voce sguaiata che esce dagli amplificatori in fondo al locale. Sembra un pezzo che suonerebbero i Ramones, ma non è Joey Ramone a cantare. E comunque si tratta di una cover, nientemeno che Let It Be. Joel si domanda per un secondo chi siano quegli sciroccati che hanno avuto l'idea di trasformare un classico dei Beatles in uno sguaiato punk rock e, quando spinge lo sguardo verso il fondo del locale, trova la risposta.
La band che si esibisce ha più piercing di un puntaspilli e tanti tatuaggi che sembra abbia avuto un frontale con un fumetto. Il cantante dimena la folta chioma e i suoi compari gli vanno dietro. Suonano bene, ma che idea del cazzo trasformare quella canzone in un punk rock. Per quanto, riflette Joel, non è che corrano il rischio di veder entrare Paul McCartney o Ringo Starr, entrambi incavolati neri per la dissacrante esibizione. Il LOOMIS' è come un'oasi nel deserto: l'unico posto fuori città dove i cowboys della zona possono affogare gli strascichi di una dura settimana.
Joel si avvicina al bancone, inforca uno sgabello e si guarda in giro. C'è poca gente. Non che di solito ci sia il pienone, ma gli pare che manchino alcune facce note, i tizi che lui chiama aficionados. Si tratta per lo più di giocatori di biliardo, tipi che indossano camicie a quadri, barbe folte e hanno pancioni che posano sul bordo del biliardo quando si apprestano a un tiro difficile.
Qualcuno gli picchietta sul polso. Joel si volta e trova Al, il barista. L'uomo si porta il pollice alle labbra. Joel capisce che gli sta domandando cosa vuole bere e che deve parlare a gesti perché la band fa troppo casino.
«Una birra!» urla Joel.
Al si sporge mentre il cantante di quello scalcagnato quartetto rock prova un acuto che si trasforma nel verso di una cornacchia moribonda.
«Birra!» urla Joel e stavolta Al annuisce.
Gliela versa e lo serve proprio mentre la band conclude.
«Già che c'eri potevi chiamare i Korn», gli dice Joel.
«Vanno avanti così da una mezz'ora buona», risponde Al, affranto. «Non li sopporto più. Hanno fatto scappare i giocatori di biliardo.»
La band attacca un altro pezzo. A Joel basta il primo giro di accordi per capire che si tratta dei Sex Pistols. Beve e prega Dio che gli Smiling Corpses – il nome è scritto sulla grancassa della batteria – non abbiano in repertorio altre cover simili alla precedente. Finisce la birra nel giro di due canzoni e gli Smiling Corpses passano a un pezzo dei Ramones che, pensa Joel, non è affatto male.
«I don't wanna be buried... in a pet cemete-eee-ry», canta il frontman.
E proprio mentre si avvia alla conclusione, l'elettricità salta. Il batterista continua per un secondo o due a martellare le pelli del suo strumento, salvo poi fermarsi.
«Dio, ti ringrazio», mormora un tizio seduto a un tavolo.
«Ci mancava pure questa», fa Al. Raggiunge Joel. «Ti spiace tenermi d'occhio la cassa mentre vado di fuori a controllare?»
«Nessun problema», fa Joel.
Aggira il bancone mentre la band si lamenta dell'interruzione. Un tizio, lo stesso che ha ringraziato Dio per quell'inattesa interruzione, risponde che manderà una lettera di ringraziamento alla società elettrica per il magnifico tempismo. Al consegna all'amico una torcia, poi accende la propria e gli sussurra: «La doppietta è nel vano sotto la cassa.»
«E che devo proteggere, il caveau di una banca?» fa Joel.
«Non si sa mai», dice Al e si allontana illuminando il pavimento.
Joel accende la torcia e fa girare il fascio per il locale.
«Che cazzo succede?» urla il cantante dei Corpses.
Joel gli punta la luce in faccia e, mentre quello si scherma gli occhi con la mano, dice ai pochi avventori: «Al è andato a controllare la centralina. Un paio di minuti e risolviamo il problema.»
«Spero proprio di no», dice il tizio che ha giurato di mandare una lettera alla società elettrica.
«Se anche non lo risolve, noi vogliamo essere pagati», urla il batterista dei Corpses.
Joel gli punta in faccia il fascio di luce. «Di questo devi parlare con Al. E adesso chiudete il becco e godetevi questo po' di silenzio.»
«Amen», dice il tizio della lettera.
«Posso avere un'altra birra?» fa il tipo seduto al bancone.
Joel fa per dirgli che deve aspettare Al, ma un tonfo e un verso strozzato lo costringono a tacere. Fa girare la luce della torcia per il locale.
«L'ho sentito solo io?» chiede.
«Era come il rumore di uno che cade e si strozza», dice l'uomo seduto al bancone.
«Forse al vecchio gli è preso un colpo», fa il chitarrista dei Corpses.
Joel raggiunge la cassa, apre il registratore e conta i soldi. Richiude e annuncia agli avventori: «Vado a vedere che succede. Ho contato i soldi in cassa.»
«Quindi ci sono soldi, lì dentro?» fa il tizio della lettera. «Pensavo ci tenesse le noccioline che serve si clienti.»
Joel esce sulla passerella, svolta a destra e si dirige verso la centralina che sta sul retro. Una volta lì non trova traccia di Al, ma vede che lo spesso tubo di gomma che tiene al sicuro i cavi della centralina è squarciato e i cavi all'interno sembrano rosicchiati.
«Ma che diavolo...»
Torna indietro e si allunga un attimo verso il parcheggio. La Ford verde moccio di Al è al suo posto e Joel ne deduce che l'amico non è andato via.
«Al!» chiama.
Raggiunge l'auto e tenta la portiera. Chiusa. Sbircia attraverso i vetri facendo luce con la torcia e, ovviamente, non vede nulla che non sia nella norma.
Che ti aspettavi, di trovarlo che faceva la siesta sul sedile posteriore? si dice.
Torna indietro pensando a cosa dire e, soprattutto, fare. Entra nel locale e, fermo sulla soglia, fa danzare il fascio di luce.
«Qualcuno ha un cellulare?» chiede.
«Perché?» risponde una voce.
«Al è sparito, voglio chiamarlo per capire dove diavolo è andato.»
Il tizio che voleva mandare la lettera alla società elettrica si alza, aggira i tavoli e si avvicina a Joel. Si ficca una mano in tasca e gli offre un cellulare più vecchio di lui, che dimostra settant'anni e rotti.
«Magari gli è venuto un attacco di diarrea e sta piegato dietro un pick-up. Com'è che non hai un cellulare?»
«Ce l'ho, ma mi è morta la batteria», fa Joel.
Joel digita il numero di telefono dell'amico e avvia la chiamata.
«Squilla?» chiede il vecchio.
«Dagli un secondo», fa Joel e un attimo dopo sentono il trillo di una suoneria.
Joel abbassa allora il cellulare e fa andare il fascio di luce per la stanza. Vede che gli avventori si guardano intorno. Solo il vecchio guarda in su. Joel dirige il fascio di luce verso il soffitto, e solo allora si accorge che la musichetta della suoneria proviene dall'alto.
«Ma che, è salito sul tetto?» dice il tizio al bancone.
Il vecchio e Joel si guardano.
«Ho visto un film dove succedeva una cosa così», fa il vecchio.
«E come finiva?» chiede Joel.
«Vuoi saperlo davvero?»
Il telefono continua a squillare, e allora Joel decide di terminare la chiamata. Passa il cellulare al vecchio e si dirige verso il fondo del locale.
«Dove te ne vai?» chiede il vecchio.
«A controllare una cosa», risponde Joel.
Si reca nella stanza accanto ai bagni e, quando esce dallo stanzino, porta con sé una scala. Il vecchio gli va incontro e gli sfila la torcia che Joel si è sistemato sotto l'ascella. Se la passa nell'altra mano e dice: «È po' umidiccia.»
«Serata afosa», risponde Joel dopo un grugnito.
«Come ha fatto Al a salire sul tetto senza la scala?»
«Ottima domanda», dice Joel.
Il vecchio gli fa strada illuminando il pavimento sino all'ingresso e poi gli apre la porta. Escono e Joel posiziona la scala contro la parete. Il vecchio gliela mantiene e, mentre sale, Joel lo sente chiedere: «Sentivi la mancanza?» Allora guarda di sotto e vede il tizio che era seduto al bancone.
«Pensavo vi servisse una mano», dice il tipo.
«Visto che ci sei, tieni un po' 'sta scala», fa il vecchio e il tipo gli dà il cambio.
Joel riprende a salire e, quando arriva a sbirciare sul tetto, vede qualcosa che per lui ha senso solo in parte. Al è disteso come una pelle d'animale. Guarda nella sua direzione, e gli occhi sono biglie opache e gonfie di terrore. Sopra di lui, accucciato come in una riproduzione vivente de l'Incubo di Johann Heinrich Füssli, c'è una creatura che gli sta aprendo la pancia con la perizia di un chirurgo. È lei la parte che per Joel non ha senso. La morte di Al, per quanto terribile, può incasellarla tra gli eventi che la vita ogni tanto ti mette davanti. La creatura, invece, è qualcosa di alieno e insensato.
Frizzato per la paura, Joel guarda quell'essere glabro che infila le unghie nel pancione di Al. La mano affonda nella carne. Joel sente la creatura grugnire e solo in quel momento si accorge che la sua statura supera quella del più alto giocatore di basket. Nonostante sia accucciata sopra il corpo di Al, è alta quasi quanto l'antenna tv piantata sul tetto.
La mano verdognola della creatura si muove dentro Al e Joel si accorge di un'altra cosa: il volto di quell'essere non ha lineamenti. Non ha gli occhi e manco le orecchie. Ci sono solo un paio di labbra, leggermente dischiuse e con una punta di lingua che fa capolino tra le fila di denti.
«Ohè, ti sei incantato?» fa il vecchio da giù.
Joel vorrebbe dirgli qualcosa, ma è troppo sconvolto. Non riesce neanche a muoversi.
La creatura estrae il fegato di Al, che gli sta tutto in una mano, e se lo porta alle labbra. La lingua si allunga e lo saggia. Poi si divide in due e in tre, come i rebbi di una forchetta. Ogni rebbio scivola sul fegato e sembra dotato di propria coscienza mentre si muove. Quando poi si ricongiungono, la creatura butta via il fegato. Lo lancia dietro di sé, manco fosse una cartaccia. Joel lo sente atterrare con uno splat! e un tonfo metallico sopra il cofano di un mezzo.
«Che è stato?» chiede il vecchio.
«Che ne so», fa il tizio che mantiene la scala.
La creatura tuffa la mano nel solco insanguinato e rimesta le interiora del povero Al, che guarda Joel come a dirgli: perché te ne stai lì impalato?
«Vado a dare un'occhiata», dice il vecchio.
Joel riesce a staccare gli occhi da quel macabro spettacolo e, lentamente, guarda in basso. Vede il vecchio allontanarsi verso il parcheggio e vorrebbe dirgli forse qualcosa, ma le parole gli muoiono sulla lingua.
«Allora?» dice il tizio che mantiene la scala. «Che hai trovato?»
Joel gli lancia un'occhiata sconvolta, poi torna a guardare cosa accade sul tetto. Volta la testa e se lo ritrova davanti: un volto alieno, verdognolo e senza lineamenti. Ha solo una larga mezza luna, come una ferita su un impasto vergine, dalla quale emergono denti come pietre tombali e una lingua biforcuta. I rebbi simili a piccoli serpenti gli si infilano nel naso, giusto un secondo, e Joel urla per quell'inaspettata e intima violazione.
«Che cacchio...» fa il tizio dabbasso, e da lì in poi accade tutto velocemente.
Joel si tira indietro, molla schiaffoni all'aria e infine afferra la scala, trascinandosela dietro. Il tizio che gliela mantiene non può fare molto, salvo spostarsi per non finire schiacciato. Joel resta in equilibrio per un secondo, come un trampoliere circense, poi la forza di gravità vince e lo trascina giù. Mentre cade riesce a saltare, rotola nella polvere con una serie di grugniti e resta a terra, dolorante.
Il vecchio torna indietro di corsa, allertato dal casino.
«Che diavolo succede?» dice, e vede Joel disteso nella polvere.
«Ha perso l'equilibrio», fa l'altro tizio.
«E tu che tenevi la scala a che cavolo pensavi?»
«Mi ha preso di sorpresa.»
Il vecchio gli sfarfalla in faccia una mano e corre da Joel. Gli si accoscia vicino mentre gli avventori all'interno del LOOMIS' escono a vedere. Gli Smiling Corpses arrivano per primi, vedono Joel e il vecchio ma non hanno il tempo di aprire bocca. La creatura balza su di loro dall'alto e col suo peso schiaccia il cantante, fracassandogli la cassa toracica. Il suono di ossa sfondate è tremendo e i membri della band riescono a bagnarsi i pantaloni prima che la creatura si metta dritta, oscurandoli con la sua mole, e con una zampata felina faccia partire via mezza faccia al chitarrista. Il ragazzo crolla in ginocchio mentre un occhio salta via dall'orbita e resta a penzolare come un tizio avvezzo al bungee jumping. Poi la creatura apre l'enorme bocca e la chiude sulla testa del moribondo, sgranocchiandola come fosse una caramella.
I clienti del LOOMIS' e i Corpses sopravvissuti sono paralizzati. Non si muovono mentre la creatura sgranocchia le ossa del cranio e neanche quando stacca le labbra dal collo del chitarrista che, ora decapitato, crolla sulla passerella con un tonfo secco. Quello che li smuove è la voce del vecchio, che sbotta: «Che cazzo è quel coso?»
Allora si voltano e corrono via, spintonandosi gli uni con gli altri, inciampando e rialzandosi. I più svelti rientrano nel locale e serrano l'ingresso, lasciando fuori i ritardatari che tirano pugni e calci alla porta, bestemmiano e poi implorano quelli dentro di lasciarli entrare. A nulla valgono minacce e preghiere. La creatura si muove con una rapidità sovrannaturale, aggira l'angolo e piomba sugli sventurati. Joel, il vecchio e l'altro tizio non vedono cosa accade, ma sentono benissimo. Le urla strazianti salgono in cielo come una supplica accorata.
Joel prova a rialzarsi ma ha battuto la testa e, quando fa leva sui gomiti, il mondo comincia a inclinarsi. Si rimette giù mentre il vecchio vede spuntare da un angolo del LOOMIS' una mano che artiglia il legno e di colpo scivola giù, toccando terra e lasciandosi dietro una scia insanguinata.
Il silenzio si protrae per qualche secondo, poi risuonano tonfi possenti e cadenzati. Joel capisce che la creatura sta provando a sfondare la porta del LOOMIS' e decide che quello è il momento per squagliarsi.
«Ce l'avete un mezzo?» chiede.
«Che?» fa il vecchio, visibilmente sconvolto.
«Un'auto. Ce l'avete?»
«Io sono venuto con Al. Però Dan ha un pick-up.» Si rivolge al tizio che manteneva la scala. «Dan», ma quell'altro non lo sente.
È impegnato a fissare la mano con aria imbambolata.
Il vecchio lo raggiunge mentre i tonfi aumentano di intensità e il crepitare del legno lo informa che la porta sta per cedere, gli si piazza davanti e gli molla un ceffone. Dan sbatte le palpebre e finalmente sembra vederlo.
«Prendi quel tuo bidone di merda e portalo qui.»
E in quel momento la porta cede con uno schianto e le urla di quelli all'interno del LOOMIS' si sparpagliano per il locale.
«Muovi il culo!» urla il vecchio e Dan schizza via di corsa.
Aggira il locale mentre alle urla si aggiunge il rumore di vetri infranti, legni sfasciati e persino un concerto di ciaf! che Joel identifica come quello dei piatti della batteria degli Smiling Corpses. All'orgia di suoni si unisce il ruggito di un motore. Il pick-up di Dan gira l'angolo. I fari illuminano il vecchio e Joel mentre Dan inchioda sollevando una nuvola di polvere.
«Leviamo le chiappe», dice il vecchio e prova a sollevare Joel senza successo.
Fa allora un cenno a Dan, che smonta e gli dà una mano. Un braccio per parte, si caricano Joel in spalla e lo aiutano a montare sul pick-up. Dan innesta la prima e parte a razzo con uno stridio di gomme che copre per un momento la mattanza del LOOMIS'. Solo quando vede il locale allontanarsi nello specchietto retrovisore si decide a chiedere: «Che diavolo era quel...?»
Non sa bene come chiamarlo. Non ha mai visto nulla di simile, salvo che al cinema o in tv. Ma quelli erano film, robe che non potevano nuocerti. Quel coso, invece, era reale e ti mangiava la testa in un boccone.
«Svolta qui», dice il vecchio.
«Più avanti c'è...»
«Lo so, ma conosco una scorciatoia che ci fa risparmiare tempo.»
Dan svolta e si inoltra lungo la strada sterrata che taglia in due i boschi.
«Secondo voi da dove viene?» chiede il vecchio d'un tratto.
«Dallo spazio», dice Dan, sicuro.
A Joel viene in mente per un attimo la stella cadente che ha visto mentre entrava nel parcheggio, quando ancora credeva di poter passare una serata rilassante, e all'improvviso pensa: non era una stella. Era il mezzo di quell'essere. Mentre fa quest'associazione, i fari del pick-up inquadrano qualcosa fermo nel mezzo della carreggiata e Dan è costretto a inchiodare per non sbatterci contro.
«Cristo santissimo...» mormora il vecchio.
Quello che i fari illuminano è una specie di scarafaggio metallico, dotato di piccole ali ripiegate su se stesse. Il metallo riluce di sfumature lattiginose che reagiscono alla luce degli abbaglianti, cambiando tinta, tornando a quella iniziale e ricominciando daccapo, in un ciclo che sembra pressoché infinito.
«Ma che cos'è?» mormora il vecchio con voce tremante.
«Il suo mezzo», dice Joel.
Lo scarafaggio metallico occupa tutta la strada. Nel cadere ha scavato un solco alle sue spalle, lungo diverse centinaia di metri. Sul davanti ha un alloggiamento scoperto. La copertura che lo proteggeva è saltata via durante lo schianto. I tre sopravvissuti vedono quella che somiglia a una seduta, con diverse sporgenze acuminate sull'ipotetico schienale, come se chi ci si sedeva volesse infliggersi dolore.
«Torniamo indietro», dice Joel. Si rivolge poi a Dan. «Fai inversione.»
Dan ha bisogno di più tentativi. Mani e gambe gli tremano troppo. Quando finalmente innesta la retromarcia, qualcosa atterra sul pianale del pick-up, scuotendo il mezzo e mettendone a dura prova le sospensioni. I tre non hanno il tempo di capire cosa sia atterrato che il vetro alle loro spalle esplode e una mano afferra il vecchio per la nuca, trascinandolo di peso sul pianale attraverso la nuova apertura. Tenendolo sollevato, la creatura lo saggia con la lingua triforcuta e forse non trova la preda di suo gradimento, perché le spezza il collo con una mossa rapida per poi gettare il corpo in strada.
Con una mossa elastica salta giù dal pianale, scardina la portiera del pick-up e tira fuori Joel, che ha il tempo di sentire la viscida consistenza della lingua che gli spennella il viso. La creatura gli affonda una mano in pancia e Joel la sente rimestargli le viscere e tirare fuori qualcosa. Poi tutto diventa grigio e nero. La creatura lo molla e si ficca in bocca il fegato che ha estratto. Lo assapora, lo butta giù e sembra gradire, ma non le basta. Nonostante la mattanza del LOOMIS' e quell'ultimo pasto, ha ancora fame. Ha dovuto scartare qualche fegato. Alcuni non erano sani.
Si volta e vede Dan smontare in tutta fretta dal pick-up e darsi alla fuga. Lo sente ansimare mentre muove quelle cosce flaccide e cerca di farsi arrivare i talloni dietro le orecchie. Gli concede un cospicuo vantaggio e poi si lancia all'inseguimento. Lo raggiunge in pochi secondi, gli salta sulla schiena e, prima che Dan tocchi terra, affonda le unghie nella camicia e nella carne sottostante, lacerandole con furia insensata.
Dan urla e la creatura gli schiaccia il viso sul terriccio secco. Poi affonda una mano nel fianco ed estrae quello che le interessa davvero. Dan borbotta qualcosa. Sono le sue ultime parole: una preghiera pietosa e inutile. La creatura lo ignora mentre Dan crepa e dà una leccata al fegato. Dan l'ha trattato bene, e il sapore glielo conferma. Lo butta giù senza quasi masticarlo. Poi si alza e, lasciandosi alle spalle il corpo martoriato, raggiunge la navicella che sembra uno scarafaggio. Ficca la testa nell'alloggiamento e vede che dalle punte della seduta gocciolano residui dei nutrienti che l'hanno tenuta in vita durante il lungo viaggio. Li accoglie sulla lingua. Non sono male, ma preferisce quelle sacche carnose degli umani. Assaggiata la prima, ne è diventata subito dipendente, e ormai non riuscirebbe più a farne a meno.
Allunga una mano verso quella che sembra la nicchia più piccola del mondo e che accoglie i comandi della nave-scarafaggio. Avvicina il dito al piccolo foro e sente la puntura del minuscolo ago. Attende che abbia prelevato la quantità di sangue necessaria e si tira indietro, allontanandosi di qualche passo. La nave-scarafaggio prende di colpo vita. Le luci intorno alla seduta si accendono e pulsano. La nave si solleva dal solco, silenziosa come uno spettro, e ondeggia a mezz'aria. Poi schizza in su come un proiettile e senza spostare un filo d'aria.
La creatura la guarda andar via e pensa al da farsi. Mentre attende che la nave porti sul suo pianeta il campione di sangue contenente la memoria genetica di quegli ultimi avvenimenti, deve trovare un posto dove stare. I boschi lì intorno gli sembrano l'ambiente adatto. Può metter su un nido, portarci le sue vittime e sezionarle con la dovuta calma.
Mentre si inoltra nei boschi, camminando sotto una luna gonfia e itterica, si chiede quanto ci metteranno i suoi fratelli e sorelle ad arrivare.
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