La leggenda di James Cook
Mio padre non aveva più parlato dopo l'ictus. Eppure, la notte in cui l'elettricità saltò su tutta l'isola, mormorava quella vecchia canzoncina che tanto lo divertiva.
«Yo-ho, yo-ho, la spada, il corvo, il mar...»
Seduto sulla sedia a dondolo, a due passi dal camino, la sua ombra sulla carta da parati pareva un gigante nero che oscillava. Il vento ululava scagliando manciate di pioggia sul vetro. Mamma era di sopra ad accendere candele, a ficcarle nelle bugie che aveva riesumato dal fondo di un pensile e a posizionarle in modo strategico. All'epoca dei fatti avevo tipo 8 anni e giocavo con un'auto della polizia che mi aveva regalato il mio vecchio quando ancora stava benone. Le batterie erano scariche e la sirena non funzionava. Mi restava solo di farla scorrazzare lungo il pavimento spingendola a mano. Il mio vecchio borbottò. Lasciai perdere l'auto e mi avvicinai al dondolo, posai una mano sul suo avambraccio e chiesi: «Che c'è, pa'?»
Lui si girò e aggrottò la fronte. Comparvero tante pieghe quante quelle su un foglio stropicciato a dovere. Poi disse: «Puuu!».
Nel suo linguaggio poteva significare praticamente ogni cosa, da devo andare in bagno ad abbiamo comprato i cetriolini? L'unico modo che si aveva per capirci qualcosa era l'espressione del viso e qualche gesto che ancora gli rimaneva. Quando voleva mangiare, ad esempio, indicava la cucina. E se eravamo già in cucina, indicava il frigo. Per il bagno invece dovevamo regolarci noi, perché per qualche motivo papà non ci faceva capire quando aveva bisogno di andarci. Mamma lo portava ogni volta che riteneva opportuno e difficilmente sgarrava. Ormai aveva imparato i ritmi di papà. O meglio, quelli della sua vescica e del suo intestino.
«Puuu!» ripeté papà. L'espressione del viso si indurì. Sembrava incavolato per qualche motivo. O forse preoccupato, chi poteva dirlo. Anche quando stava bene esprimeva le due cose usando il medesimo broncio, o almeno così mi raccontava mamma. Avevo tipo 3 anni quando l'ictus colpì papà e non conservo ricordi di quando stava bene.
«Vado a chiamare mamma», dissi.
Feci per voltarmi ma le sue dita mi si chiusero sul polso. La presa era salda. L'ictus aveva intaccato i centri del linguaggio ma non la sua forza. Sollevò una mano, allungò l'indice e lo puntò verso la finestra. La pioggia bombardava il vetro e il vento ululava come una strega con un cancro nel ventre.
«Piove», dissi.
Lui scosse la testa e il suo cipiglio s'inasprì. Ancora un po' e gli si sarebbe crepata la fronte.
«La luce tornerà fra poco.» dissi pensando che indicasse il buio, ma lui scosse di nuovo la testa.
I capelli bianchi e fini come spago si agitarono con lui.
«Mamma!» chiamai, ma pioggia e vento coprirono la mia voce.
«Puuu!» Papà indicò ancora la finestra.
«Vuoi che vada a vedere?» domandai piano, sperando che scuotesse ancora la testa.
Invece annuì e mi strattonò. A quel punto non avevo più scuse. Gli passai dinanzi, rubandogli per un attimo il calore del focolare. Lui mi tenne addosso i suoi occhi grigi. Mi avvicinai al vetro senza staccare lo sguardo da quello sfondo di nera tenebra ululante. Immaginavo che in quel nero uniforme si aggirassero creature pallide e cieche. Vagavano nella tempesta, in cerca di bambini da portar via.
Arrivai a un palmo dal vetro e subito mi ritrassi: una di quelle cose poteva vedermi che sbirciavo di fuori, sfondare la finestra e prendermi.
«Puuu!» strillò papà, e ravvisai una certa urgenza nel suo tono.
Mi fissava, ma era come se mi guardasse attraverso. Non so come spiegarlo.
Dovevo capire, così mi feci coraggio e incollai il naso al vetro. Un lampo squarciò il cielo e illuminò la baia per un secondo o due, e fu allora che li vidi: erano come lenzuola trasparenti portate a spasso dal vento. Svolazzavano per la baia ed erano tanti che a contarli avresti perso la testa.
Restai lì, incollato al vetro per non so quanto ad aspettare non so cosa, forse un altro lampo. Un nuovo flash illuminò la baia, un volto esangue piombò verso di me e si spalmò sul vetro senza alcun rumore. Feci un salto indietro, una mano mi calò sulla spalla e cacciai un urlo che un tuono e l'ululato del vento coprirono.
«Puuu!»
«E che cazzo, papà!» urlai girandomi, e subito vidi il suo cipiglio ricomparire.
Mollai un sospiro e mi voltai a guardare la finestra. Il buio era come un sudario e la faccia pallida non c'era più, ma ancora mi pareva di vedere gli occhi ciechi e la bocca ritorta.
«Puuu! Puuuuuuuu!» insistette papà.
Continuava a puntare il dito verso la finestra.
All'inizio non capii cosa indicasse, poi mi accorsi che c'era una patina sul vetro, come se qualcuno ci avesse alitato sopra. La vidi pian piano allargarsi in una macchia che prese le sembianze di un viso: i fori degli occhi, la forma arrotondata della bocca, la fronte ampia e le froge del naso.
Un terzo flash illuminò il mondo dietro la finestra, mostrandomi una folla di volti premuti sul vetro, gli occhi ciechi che spiavano avidi e identici sorrisetti di scherno. Nei pochi momenti di luce riuscii a notare che indossavano dei cappellacci identici, dai quali spuntavano ciocche di capelli bianchi e stopposi. Un paio di spettri avevano una benda sull'occhio.
Poi i flash si esaurirono e il mondo dietro la finestra sprofondò nella tenebra uniforme. Il vento mandò un ululato e una raffica mosse il dondolo in veranda. Sentii cigolare i ferri che lo sostenevano ed ebbi l'orrenda visione di uno di quegli esseri pallidi seduto a oscillare come un bimbo su un'altalena.
Guardai papà e chiesi: «Li hai visti?»
Lui mi fissò con quel suo cipiglio, scuro come una nube carica di pioggia. Buttò un occhio alla finestra e infine si risolse a fissare il focolare e le fiamme che consumavano i legni. Pensai di andare da mia madre, che sentivo spostarsi al piano di sopra, ma poi rinunciai. Che le potevo mai dire? Che avevo visto un esercito di spettri assiepati dietro la finestra?
Mentre tornavo alla mia auto giocattolo, spaventato e stordito, mi venne in mente la storia che papà mi raccontava quando ancora riusciva ad articolare due parole in fila. Mamma non voleva che io la ascoltassi, perché non era una storia adatta a un bambino, ma papà me la raccontava lo stesso. A lui piacevano le storie di fantasmi e spaventarsi. Diceva che fortificava il carattere.
La storia cominciava più o meno così: la nostra isola, Sun Bay, era un ritrovo per gaglioffi della peggior specie. James Cook e la sua banda di pirati depredavano i mercatili e nascondevano qui il bottino. Papà diceva che a scavare nelle profondità della grotta, che sta sotto la Vedetta, avresti trovato un forziere pieno d'oro e gioielli. All'epoca ci credevo, e pensai anche di farci un salto in quella grotta. Ricordo che mi armai di tutto punto: pigliai un badile che era più alto di me, una sacca di juta e una carriola per trasportare il tesoro, ma non arrivai neanche a metà strada. Mia madre mi beccò che giravo intorno a casa spingendo la carriola e mi spedì in camera mia. La sentii poi che faceva un cazziatone a papà sul fatto che mi avesse messo in testa fantasie pericolose. Più tardi papà venne da me e mi fece promettere di lasciar perdere la caccia al tesoro, perché c'era il rischio che mi rompessi una gamba o peggio in quella caverna. Probabilmente aveva ragione, ma a me importava poco del pericolo. Sentivo forte la voglia di esplorare quella grotta. Volevo trovare il tesoro di James Cook.
Papà diceva che, dopo aver messo al sicuro il bottino, Cook e la sua ciurma si davano ai festeggiamenti. I loro banchetti potevano durare giorni. Accendevano fuochi e ci arrostivano la carne, trincavano litri di whisky e cantavano adagi da osteria. Poi ripartivano alla ricerca di un'altra nave da depredare. Continuarono così per un pezzo, finché non si trovarono nel mezzo di una grossa tempesta. Avevano depredato un grosso mercantile e non erano molto distanti da Sun Bay, ma quella che infuriava passò alla storia come la peggiore tempesta del nostro secolo, e segnò la fine di Cook e della sua ciurma.
Un'onda alta come una montagna rovesciò la Leul Mărilor, il veliero pirata più imponente che si fosse mai visto, e la ridusse in tanti stuzzicadenti. Papà diceva che sul fondo dell'oceano, a tipo una ventina di miglia dalla costa, c'è ancora il relitto della nave di Cook e, forse, parte del bottino. E che ogni volta che si scatena una nuova tempesta, le anime di Cook e della sua ciurma tornano dal regno dei morti e puoi vederle strisciare sui tetti o aggirarsi nel cimitero sul promontorio, dove sta anche la chiesa metodista.
Un tuono mi fece sussultare. Mentre riprendevo in mano la macchina della polizia e la facevo scivolare sul pavimento con poco entusiasmo, pensai che, anche se volavano anziché strisciare, i fantasmi della storia di papà erano gli stessi che avevo visto io. E la conferma erano i cappelli e la benda sugli occhi. Benda che, seconda papà, anche Cook indossava. Il suo pappagallo gli aveva strappato via un occhio durante una notte di bagordi. Cook era ubriaco fradicio e si era messo in testa di farlo arrosto, ma il pappagallo aveva idee diverse in merito. O almeno era così che papà me la raccontava.
Mi rimisi a giocare e provai a fare come se niente fosse, ma non riuscivo a distrarre la mente. Mi voltai un attimo verso la finestra. Del volto fantasma, apparso sul vetro in precedenza, rimaneva solo il ricordo. Iniziavo a dubitare di averlo veduto davvero, quando udii papà canticchiare.
«Yo-ho, yo-ho, la spada, il corvo, il mar...»
Mollai la macchinina e fissai la sedia a dondolo. La zazzera grigia sulla nuca di papà oscillava avanti e indietro assecondando il movimento della sedia. Mamma gli tagliava i capelli una volta al mese, ma papà non le permetteva di sforbiciare granché. Gli piacevano folti, i capelli, e se mamma si spingeva oltre l'ordinaria amministrazione, lui cominciava a fare i capricci.
«Yo-ho, yo-ho, la spada, il corvo e il mar...»
Aveva la voce un poco incrinata.
«Pirati, corsari, gran bucanieri...»
«Papà?» chiamai, e subito mi pentii di quel che avevo fatto.
Smise di canticchiare e mi parve che la sua ombra si muovesse.
«Nella profondità della grotta che la Vedetta sorveglia, sotto la grossa pietra che sembra un cuore... è lì che devi cercare.» disse.
Il flash di un lampo balenò nella stanza, ma non ebbi tempo di guardare verso la finestra: papà si stava alzando dal dondolo accompagnato da uno scricchiolio sommesso di legni. Cominciò a passeggiare dinanzi al camino, fiero e sicuro. Non deambulava diritto da quando aveva avuto l'ictus.
«Ho solcato più mari e arrembato più navi di chiunque altro.» disse papà. «Accumulato bottini che neanche ti immagini... la mia vita è stata tutta un passeggio sulla passerella, con gli squali di sotto pronti ad azzannarmi le chiappe.»
La voce con cui parlava non era la sua. Ne sono sicuro ora come lo ero allora. Papà ce l'aveva profonda come quella di un tenore. Chi parlava usando lui come tramite ce l'aveva sottile e acuta.
«Ma non sono mai caduto di sotto. Riuscivo sempre a fermarmi sul ciglio e a restarci in equilibrio. E ci sono rimasto più a lungo di chiunque altro.»
Raggiunse la parete che separava il soggiorno dalla cucina, girò i tacchi con un movimento fluido e tornò verso il dondolo.
«Poi arriva una cazzo di tempesta e spezza in due la mia nave, la mia ciurma e i sogni di gloria.»
Si girò verso la finestra, a guardare la notte o forse solo a riflettere. Una serie di lampi illuminò il cielo e io vidi chiaramente il riflesso di qualcuno che non era papà nel vetro. Aveva una barba lunga e folta, una benda sull'occhio destro e un cappellaccio con su una banda fatta di tanti piccoli teschi. Una cicatrice gli solcava la guancia sotto l'occhio. Negli attimi in cui la sua immagine si stagliò nel vetro, mi accorsi anche dell'espressione pensosa che aveva.
«E non posso neppure riposare in pace. C'è qualcosa che mi tiene ancorato a questo mondo.» Si dondolò sui talloni. «Tu ci credi alle maledizioni?»
Attese una qualche risposta, ma io ero troppo sconvolto. Avevo paura anche solo a respirare un po' più forte.
«Io no, mai creduto a 'ste stronzate. So di certi schiavi che raccolgono unghie e capelli e ci riempiono la pancia di una bambolina di pezza, che poi infilzano con due o tre spilloni. E quando la infilzano, il tizio a cui appartengono le unghie e i capelli sta male come un cane. Ma secondo me pure questa è una stronzata.» Voltò un po' la testa e mi guardò da sopra la spalla sinistra. «Tu che dici?»
Ancora una volta non risposi. Ero terrorizzato.
«Il tuo vecchio ci crede a 'ste cose. Sento i suoi pensieri. Crede ai fantasmi e alle maledizioni, ma non è che ci crede convinto. Nel profondo lo sa che sono fantasie... quasi tutte.» Tornò a guardare il buio oltre il vetro. «Li hai visti gli spettri? Tornano ogni volta che c'è una burrasca.»
Si chinò sul vetro e ci alitò sopra formando una grossa macchia opaca. Poi sollevò il mignolo, ce lo posò sopra e cominciò a disegnare. Tracciò linee che curvavano come la schiena di un serpente e infine una grossa X, che racchiuse in un cuore storto.
«Tu vuoi trovare il mio tesoro», disse. «Questa è la mappa. La grossa X è il punto dove scavare, nelle profondità della grotta, proprio sotto il testone di pietra che chiamano Sentinella. Il tuo vecchio ti ha raccontato la storia. Ti servirà una ciurma di muscoli per spostare la pietra a forma di cuore.»
Ritirò la mano e se la portò a una spanna dal petto. Vidi che muoveva le dita, ma non capii cosa stesse facendo finché la luce di un lampo non illuminò la stanza, regalandomi nel vetro l'immagine di un pirata dall'aria pensosa che si lisciava la lunga barba fantasma.
«Puoi spendertelo tutto in whisky e donne, se ti va, ma poi tornerò a trovarti ogni volta che una burrasca lambisce la costa. Se invece lo prendi e lo getti in mare, lì dove riposa il relitto della Leul Mărilor, non tornerò più a disturbarti e porterò con me la mia ciurma. Allora, cosa rispondi?»
Non risposi nulla e lui si voltò del tutto per guardarmi.
«La tempesta non durerà in eterno.» Gli occhi di papà scintillarono come gemme preziose. «Ci aiuterai a trovare la pace eterna, o preferisci che lo spettro di James Cook ti faccia visita nelle notti di burrasca, quando tutto è tenebra e il vento ulula come una bagascia in calore?»
La prospettiva di rivivere ancora e ancora quell'incubo mi sciolse la lingua e balbettai: «S-sì!»
«Sì, cosa? Getterai il mio tesoro nelle profondità del mare, dove riposa la Leul Mărilor?»
«S-sì!»
Papà annuì soddisfatto.
«La Sentinella ti indicherà il punto. Disseppellisci il forziere e tienilo da conto. Che nessuno lo tocchi o guai a te.» Gli occhi scintillarono di nuovo. «Recati sul promontorio e attendi che il sole sieda sulla linea dell'orizzonte. Avrai pochi secondi.»
Il mondo di fuori si accese di colpo e vidi una folla di spettri assiepata dietro il vetro della finestra: la ciurma di James Cook al completo. I loro occhi erano come palline da golf.
Papà attese che la serie di lampi si esaurisse e tornò a sedersi sul dondolo. Non parlò più e non si mosse. Io restai a fissargli la nuca per non so quanto.
Mamma mise piede nella stanza, disse: «Che tempaccio da lupi», e io ritrovai un pizzico di spirito.
«Ho parlato con Meadow Carson, poco fa» continuò. «Hanno ripristinato la linea telefonica, quindi a momenti...»
Le luci nella stanza si accesero e io sobbalzai.
«Voilà», disse mamma. «Ho acceso tutte quelle candele inutilmente.» Si rivolse a me dicendo: «Fai il favore, valle a spegnere.»
Mi alzai su gambe non proprio sicure e andai di sopra. Mentre salivo le scale, mi accorsi che l'intensità del vento scemava poco a poco. Smise di ululare quando spensi l'ultima candela. Stessa cosa per la pioggia, che mitragliò l'isola ancora per un'oretta o poco più.
Mamma, che era di sotto, mi chiamò e io la raggiunsi. Era accanto a papà e lo osservava.
«Ci credi che si è addormentato? Di fuori va tutto a scatafascio e lui si fa un pisolino. Roba da matti», mi disse. «Lo sai che il porticciolo è andato in pezzi? Me l'ha detto Meadow. Dice che ha visto l'onda che l'ha spazzato via, ed era alta come il promon... Ma che hai?»
Mi accorsi che mi fissava.
«Tesoro, tutto bene?»
«Sì», dissi, non troppo convinto.
«La tempesta ti ha spaventato?»
«Un po'.» Non sapevo cos'altro dire.
«Ha spaventato un po' tutti, credo. Mai vista una come questa.»
Indicò la finestra e la piccola mappa disegnata sopra da papà. «Quello cos'è?»
«Una mappa.»
Mamma si accigliò. «C'entra per caso quella tua caccia al tesoro? Ne abbiamo parlato tante volte e ti ho detto che...»
«È pericoloso, lo so», feci io. «Era solo per passare il tempo.»
Lei mi soppesò con il suo solito sguardo tagliente e parve convincersi, anche se non del tutto.
«Voglio fidarmi», disse. «Ti va di mangiare qualcosa?»
Le risposi che non avevo fame e volevo solo andare a letto. Mi guardò come fanno le mamme quando sono preoccupate, con quell'aria di chi pensa a un milione di modi per risolverti un milione di problemi, e mi lasciò andare. Più tardi mise a letto papà. Li sentii salire e mi affacciai sulla soglia della mia stanza. Papà mi guardò ed esclamò: «Puuuuu.»
«Cambia ritornello», gli disse mamma e mi rivolse un sorriso stanco che mi fece tanta tenerezza.
Quella sera faticai ad addormentarmi. Ero teso. Temevo che se fossi uscito in corridoio per andare in bagno, mi sarei ritrovato davanti papà, dritto e fiero come un fusto, che mi misurava con occhi scintillanti come diamanti, ma non accadde. Né quella notte, né le seguenti. Papà era tornato quello di sempre. Deambulava un po' inclinato a sinistra e parlava in quella sua lingua stramba.
Ci furono altre tempeste. Non feroci come quella che distrusse il porticciolo, ma vigorose abbastanza da costringerci in casa. Il fantasma di James Cook tornò. E ogni volta io correvo a chiudermi in camera mia, serrando la porta e nascondendomi nell'armadio. Mamma era convinta che avessi paura dei tuoni e, quando raggiunsi quell'età in cui si smette di avere paura, arrivò a pensare che avessi qualcosa che non andava. Io glielo lasciai pensare, perché la verità era più assurda della bugia. Fu una liberazione lasciare l'isola e trasferirmi sulla terraferma.
Se sono di nuovo qui è per il funerale di mia madre. Stento a credere che se ne sia andata prima di papà. Era più giovane e in salute di lui. Il reverendo Hart ha detto nella sua elegia che Dio chiama a sé quelli che sono pronti. Non so se mamma fosse pronta, ma so che non avrebbe voluto che io restassi a badare a papà tutto da solo.
Mi sono preso una pausa dal college. Ho detto al mio compagno di stanza che è una cosa momentanea, il tempo di sistemare le cose. Ho parlato con la signora Watson. Si è offerta di badare a papà per un po', mentre io risolvo le ultime robe sulla terraferma e mi preparo a tornare nella casa dove sono cresciuto. Mi troverò un lavoro qui sull'isola. Potrei vedere se l'ufficio dello sceriffo ha bisogno di forze fresche. Le alternative sono il garzone o il pescatore, e non è che mi attirino granché.
Per quanto riguarda invece il tesoro di James Cook, non l'ho mai dissotterrato. All'epoca esplorai la grotta sotto la Vedetta, ma la pietra a forma di cuore era enorme e pesante proprio come aveva detto Cook, e non avrei mai potuto spostarla da solo. Provai a coinvolgere i miei amici dell'epoca: Matt Faber, Jim Carver, Billy Ollander e Peter Ross, ma anche così non eravamo abbastanza forti da spostare quel masso. Senza contare che Ollander si slogò una caviglia mentre tornavamo indietro, e sua madre piantò un casino tale che costrinse lo sceriffo a transennare la zona per togliersela di torno, e divenne impossibile tornarci. Lo dissi a Cook, ma non volle sentire ragioni. Si incavolò e i suoi occhi rovesciarono lampi. Quella volta pensai che volesse uccidermi.
La Vedetta mostra davvero un punto nel mare, ma non so se è quello dove riposa il relitto della Leul Mărilor. La luce del tramonto si intrufola in un'intercapedine sulla nuca del testone di pietra, esce dai buchi degli occhi e si infrange in mare. Il fenomeno dura pochi secondi, ma sono sicuro che un pescatore esperto potrebbe calcolare la distanza in maniera approssimativa e portarmici. Chissà quanti forzieri carichi di gioielli e dobloni d'oro riposano sul fondo dell'oceano.
Adesso papà è nella stanza accanto. L'ho lasciato che sonnecchiava sul dondolo. Phil Baker mi ha avvisato che questa notte tirerà un bel vento e verrà giù che Dio la manda. Dice che se lo sente nelle ossa e mi sa che ha ragione. Quando sono uscito a chiudere le imposte ho annusato un pungente odore di ozono, di quelli che precedono una mareggiata coi fiocchi.
Senza dubbio rivedrò Cook. E stavolta non scapperò a nascondermi. Lo affronterò e gli dirò che quello che pretende da me è impossibile. Non ho nessuno che mi aiuti a spostare la pietra a forma di cuore. E poi sono l'unico a credere alla storia del tesoro in tutta l'isola. A parte papà, certo, che sarebbe forse il solo disposto a darmi ret...
Un attimo: e se mi aiutasse lui? Quando James Cook possiede il suo corpo, papà diventa forte come un toro. L'ho visto sollevare il dondolo, una volta che era arrabbiato, e scagliarlo contro una parete senza neanche un mugugno. Forse in due possiamo scalzare la pietra usando una leva o qualche stratagemma.
Questa sera, quando Cook si farà vivo, gli sottoporrò la mia idea.
Non vedo perché dovrebbe rifiutare.
* * *
Dal Report di Sun Bay
La tempesta dello scorso mattino ha messo in ginocchio l'isola. L'ultima di tale portata fu nel 1997 e distrusse il porticciolo che con fatica i nostri concittadini hanno poi ricostruito. Il servizio meteorologico non sa spiegare le ragioni dell'improvvisa bufera. L'ultimo bollettino indicava una mareggiata di piccola entità e invece abbiamo assistito a una tempesta di dimensioni più che ragguardevoli che, oltre a distruggere di nuovo il porticciolo, ha danneggiato la linea elettrica. Quasi tutti i pescherecci ormeggiati al molo sono sul fondo del mare, e il traghetto che doveva riportare gli isolani a casa si è rovesciato a una ventina di miglia dalla costa. Il numero di morti e feriti è al momento sconosciuto.
Verso le 10:30 è apparso un enorme veliero. Molti a Sun Bay hanno visto i tre alberi e la prua con una testa di leone intagliato solcare il mare. L'imbarcazione ha attraversato la tempesta indenne per circa dieci minuti, salvo poi svanire di colpo e senza lasciare traccia. Diversi isolani hanno assistito allo strano fenomeno e non sanno spiegarselo.
Alla stessa ora in cui si verificava il fenomeno ottico, il cadavere di John Croydon veniva ritrovato nei pressi della grotta della Sentinella. Con lui c'erano suo padre, Jim Croydon, e un vecchio forziere. Pare che una frana, la stessa che ha poi seppellito l'ingresso della grotta, abbia travolto John Croydon mentre questi si aggirava lì intorno per motivi ancora da appurare. John Croydon aveva 34 anni ed era tornato sull'isola per badare a suo padre, colpito da un ictus...
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