La casa del governatore

Vince è seduto in poltrona a bere una birra, quando sente bussare alla porta. Due colpi ravvicinati e pesanti. Decide di ignorarli.

«Andiamo Vince, apri 'sta cazzo di porta. So che ci sei, sento la Tv.»

Maledetta Tv.

Vince si alza sbuffando peggio di una locomotiva e va ad aprire.

«Ma non ce l'hai una casa?» chiede al tizio sulla soglia.

L'altro entra e chiude la porta. «Molto divertente. Devo parlarti.»

«È per questo che hanno inventato i telefoni», dice Vince tornando a sedersi.

«Ero di strada.»

«Come no. Prendi una sedia e sputa il rospo.»

L'altro obbedisce. Guarda la lattina che Vince stringe tra le dita e un'arsura inaspettata gli prosciuga la gola. «Offrimi una birra.»

«Sai dove le tengo», dice Vince.

Non gli piace dividere le sue scorte, ma per Mike può fare un'eccezione. Si conoscono da quando erano alti come chihuahua. A scuola si coprivano il culo a vicenda, e se c'era da fare a botte non si tiravano indietro. I bulli li evitavano come la peste.

Mike rovista nel frigo.

«Amico, qui dentro è un cimitero», dice prendendo una lattina dalla confezione inaugurata da Vince e sedendosi. «Mi sa che i cetrioli sono morti. Dovresti seppellirli e blaterare una preghiera.»

«Più tardi li butto nel cesso.»

«O l'una o l'altra.»

«Ti decidi a parlare? Mi stai fottendo il mio programma preferito.»

Mike guarda la Tv e vede il fermo immagine di quello che sembra un gigantesco piatto sospeso nel cielo. «Lo sai che sono tutte stronzate, i dischi volanti e compagnia bella?» dice all'amico.

«Non so mica. Ci sono testimoni oculari in tutto il mondo. Alcuni sono stati anche tirati su. Ti sparano una luce addosso e ti risucchiano come una formica in una cannuccia.»

«E allora com'è che non c'è uno straccio di prova?»

«Ce ne trovi a montagne, nell'Area 51.»

«Come no. E hanno pure un album di foto per i visitatori.»

«Sicuro di non aver fatto tanta strada solo per rompermi le palle?»

«Ho un lavoretto per le mani.»

«L'ultima volta che me ne hai proposto uno mi sono beccato un soggiorno tutto pagato nel penitenziario di stato.»

«La tiri fuori come un coniglio dal cappello ogni volta che puoi. Ti avrò detto che mi dispiace un miliardo di volte.»

«È che mi piace sentirtelo ripetere.»

Tre anni prima si erano messi in testa di rapinare una banca. Mike conosceva un tizio che lavorava per un'agenzia di trasporto valori. Il tizio doveva essere il loro cavallo di Troia, solo che aveva combinato un casino e gli sbirri avevano beccato Mike e Vince con le mani nella marmellata.

«Stavolta è diverso», dice Mike. «Saremo io e te. Nessun altro.»

«Così, quando ci beccheranno, potrò darti tutta la colpa.»

«Non che tu non l'abbia fatto, l'ultima volta.»

«Perché era colpa tua.»

«Ti hanno mai detto che sei un gran cagacazzi?»

«Solo due o trecento volte.»

Mike stappa la linguetta dalla lattina e beve un sorso. «Un paio di sere fa ero in un bar su Sunset Street», dice.

«Grazie per avermi invitato», risponde Vince.

«Cristo santo, sei peggio di una mogliettina con le mestruazioni. Comunque, ero lì seduto a sgargarozzarmi una birra, quando sento 'sto tizio che ciarla a ruota libera. Era ubriaco perso, e sciorinava al tipo che gli stava di fianco una storia sulla vecchia casa che sta su Flag Street, sai quale.»

«La casa del governatore?»

«Ho sentito che la chiamava così. Diceva di sapere per certo che c'è un tesoro nascosto da qualche parte, sotto la casa. Oro e argento, e chissà cos'altro.»

«Non stai per dirmi quello che penso, vero?»

«Dipende da quello che pensi, socio.»

«Vuoi fare un'escursione in quel vecchio rudere per cercare un tesoro, sulla base di una storia sentita in un bar da un tizio ubriaco fino al midollo? È questo che stai dicendo?»

«Quel tizio era della Sun Bay Historical Association.»

«E allora?»

«E allora, di uno così ci si può fidare.»

«Tu sei tutto scemo.»

Mike si muove nervosamente sulla sedia. «Non pensi valga la pena darci almeno un'occhiata?»

«Ne ho sentite tante su quella casa. Come la storia dello spettro senza testa del governatore che gira per la casa alla ricerca di uno scalpo. La storia del tesoro è solo l'ennesima stronzata, e neanche tanto più originale di quella del fantasma decapitato.»

«Io dico di farci un salto. Alla peggio avremo buttato qualche ora.»

«Preferisco starmene seduto qui a fare quello che sto facendo.»

«Potrebbe essere l'unica occasione che abbiamo per tirarci fuori da questa merda. Non so te, ma io sono stufo di fare lavori del cazzo per una paga del cazzo.»

«Sto bene così, Mike. Ho la mia birra e la mia Tv. Non mi serve altro. E poi non credo che troveremo qualcosa, a parte la polvere e i topi.»

«Hai la testa più dura del cemento», dice Mike. Si alza, finisce la birra, stritola la lattina nel pugno e la tira via. «Sta bene. Lo farò senza di te.»

«Come ti pare.»

Mike raggiunge la porta, la spalanca ed esce. Vince continua a guardare la Tv.

Un campagnolo sta raccontando di quando gli omini verdi l'hanno risucchiato a bordo della loro astronave e gli hanno infilato una sonda nel culo.

* * *

Il mattino dopo Vince è pronto per uscire. Ha un impiego come cassiere nel supermarket sulla 3a strada. Ѐ così che paga le bollette. È un po' in arretrato con l'affitto, ma provvederà entro la fine del mese. Il vecchio Layman, il padrone di casa, non è particolarmente entusiasta della situazione, ma Vince è riuscito a prendere tempo.

Apre la porta, e nel richiuderla si accorge del pezzo di carta che ci sta attaccato. Lo fissa inebetito per un intero minuto prima di comprendere che si tratta di un avviso di sfratto.

«Ma che cazzo...»

Lo stacca con foga, scende al piano di sotto e bussa alla porta di Layman. Il vecchio e burbero padrone di casa è in vestaglia quando apre. Le sue ridicole pantofole, di una misura più larga, sembrano le calzature di un clown. Non appena vede Vince diventa scuro come un temporale.

«Che cazzo significa?» abbaia Vince, schiaffandogli l'avviso di sfratto sotto il naso.

«Non hai pagato l'affitto e ti sbatto fuori di casa.»

«Avevamo un accordo.»

«Non ricordo di aver firmato niente.»

«Sei un figlio di puttana.»

«Hai due settimane. Impacchetta quelle quattro stronzate e levati dai coglioni», dice Layman e, stabilendo che non hanno altro da dirsi, chiude la porta.

«Quando schiatterai verrò a cagare sulla tua tomba!» urla Vince.

«Dovrai metterti in fila», risponde Layman dall'altra parte.

Vince appallottola il pezzo di carta e lo scaglia contro la porta. Si reca al lavoro, e la giornata passa più lenta di un bradipo impegnato in una maratona. Quando torna a casa telefona a Mike. L'amico risponde al secondo squillo.

«Ci hai ripensato, eh?» dice a Vince.

«Quella mummia di Layman mi vuole fuori di casa. Mi ha dato due settimane», risponde Vince.

«Fai sul serio?»

«Non sono in vena di scherzi, Mike.»

«Affanculo quella testa di cazzo. Quando troveremo il tesoro te la comprerai, quella merda di piccionaia. Poi ti compri una cazzo di gru con una palla demolitrice e la butti giù con quel vecchio bastardo dentro.»

«Come fai a essere sicuro che troveremo qualcosa

«Ho una buona sensazione.»

«Cos'è, hai fatto un corso per sensitivi?»

«Mentre ero in quel bar ho sentito una specie di scarica elettrica. Poi quel tizio ha iniziato a blaterare, e quando ha finito l'ho sentita di nuovo. Forse è il modo che ha la dea bendata per dire a quelli come me: 'ti sto dando una cazzo di occasione.'»

«Sei tutto matto.»

«Dammi credito, socio.»

«Non è che ho molta scelta.»

«Ci vediamo da me alle undici. Vedi di essere puntuale.»

«Zì, badrone», dice Vince prima di riattaccare.

* * *

Alle 10.55 è davanti casa di Mike. Sale in veranda e bussa. Dopo pochi secondi Mike gli apre.

«Vieni dentro», dice.

Vince lo segue in soggiorno. Il tavolo al centro della stanza è ingombro di oggetti. Ci sono un piccone, un paio di vanghe, due torce e un piede di porco disposti su di un'incerata verde vomito e infilati in piccole guaine.

«Credevo di dover prendere parte a una caccia al tesoro, ma questo sembra più l'armamentario di un profanatore di tombe.»

«Chissà, magari troviamo la testa del governatore accanto al forziere coi dobloni.»

«Fantasmi senza testa e tesori nascosti... sono finito in una puntata di Scooby-Doo

«Aiutami con questa roba.»

Avvolgono tutto nell'incerata ed escono. Caricano gli attrezzi sulla Toyota scassata di Mike e partono.

Un quarto d'ora più tardi sono su Flag Street, che parcheggiano a pochi metri dalla casa del governatore. La casa ha l'aspetto di un vecchio ricurvo che non riesca a decidere se restare in piedi o crollare a terra. Mike spegne le luci di posizione ed entrambi smontano.

«Mette i brividi solo a guardarla», dice Vince.

«Avevo capito che non ci credevi a quelle stronzate sugli spettri e compagnia bella.»

«E infatti non ci credo, ma mi mette strizza lo stesso.»

Le finestre sul frontone sono occhi ciechi e polverosi che spiano la strada. Dietro un vetro ancora intatto del secondo piano le tende sono tirate. Vince le vede gonfiarsi e ritornare inerti.

«Ehi, l'hai visto?» chiede a Mike.

«Cosa?»

«Al secondo piano. Qualcosa si è mosso.»

Mike rivolge lo sguardo alla casa. «Io non vedo niente.» Guarda Vince. «Non ci starai ripensando mica?»

Vince fissa la finestra con l'intensità di un guardone che scorga la sagoma di una donna mezza nuda.

«Lascia perdere», dice alla fine.

Muove verso la casa con Mike che lo segue.

Flag Street è deserta. Sono tutti dalle parti di Wind Road, a godersi la fiera, e loro due hanno il tempo di fare un sopralluogo accurato e, nel caso, aprire qualche buco nel legno.

«Devo essere impazzito», dice Vince.

Quei quattro legni tenuti assieme con lo sputo hanno un che di minaccioso. Vince prova a dirsi che è ridicolo, che è solo una casa, e in quanto tale non può rappresentare una minaccia per nessuno, ma non riesce a convincersi.

Leva gli occhi al secondo piano. Le tende sono immobili.

Sarà stato il vento, si dice. Le vecchie case sono piene di spifferi, è risaputo.

Mike lo supera e si ferma a pochi passi dalla porta con annesso batacchio. Ha recuperato l'incerata, e ora la posa in terra.

«E adesso?» chiede Vince. «Come cazzo entriamo? Le finestre del primo piano sono sbarrate.»

Mike si cava dalla tasca un grimaldello, si inginocchia e lo inserisce nella vecchia serratura.

«Sicuro di sapere come si fa?» chiede Vince.

«Ho seguito un corso per scassinatori provetti», replica Mike.

Armeggia per qualche minuto mentre Vince si guarda intorno. D'un tratto si ode uno scatto meccanico.

«Non c'è serratura che mi resista, socio», fa Mike.

«Hai solo avuto culo.»

Vince prende l'incerata ed entrano. Mike chiude la porta smorzando la luce dei lampioni stradali.

«È più scuro che in buco di culo, qui dentro», dice Vince.

«Prendiamo le torce», fa Mike.

Vince mette a terra l'incerata e la srotola. Andando a tentoni recuperano le torce e le accendono. Mike punta il fascio di luce rivelando un vestibolo a cui fa seguito un ambiente di piccole dimensioni.

«Diamo un'occhiata», dice Mike. «Ho sempre voluto esplorare questo rudere.»

«Fai sul serio?»

«Altroché. Accontentami, socio. È il minimo che puoi fare, dal momento che ti ricoprirò di grana.»

«Vorrei che fosse vero», sospira Vince.

Le assi del pavimento gemono come vecchie baldracche a ogni passo. Infilano un corridoio, lo percorrono per intero e incontrano una scalinata malconcia. Accanto a questa si apre una stanza. Entrano facendo danzare i fasci di luce come le dita frenetiche di un cieco e illuminano un lungo tavolo con un candelabro a tre braccia nel mezzo. Le ragnatele sospese tra le candele sembrano macabri festoni. Sul fondo c'è un camino, ed è abbastanza ampio perché Vince e Mike ci stiano dentro assieme.

«Sai i festini che ci facevano, qui dentro», dice Mike.

«Scommetto che il governatore e i suoi amici succhiavano caviale dai capezzoli di una bella figa.»

«Già, e magari dopo se la scopavano a turno.»

Abbandonano la stanza e prendono le scale. Sbucano al secondo piano, dove li attende un corridoio lungo e spazioso. Vince fa danzare il fascio di luce e conta quattro porte, due sul lato sinistro e altrettante su quello destro. Mike apre una porta sulla sinistra ed entra. Vince illumina per un attimo la soglia alla sua destra. La porta è spalancata. Il fascio di luce evidenzia prima lo scheletro di un letto a baldacchino – le colonne di legno svettano fin quasi a toccare il soffitto – poi una tenda rosa sbiadito. La riconosce come quella che ha visto gonfiarsi dalla strada.

Si volta con l'intenzione di raggiungere l'amico e una luce lo acceca.

«Toglimi quella stronza dalla faccia», dice, coprendosi gli occhi col braccio.

«Questo posto è più tarlato di un gruviera», fa Mike, e punta la torcia verso il basso.

Entra nella stanza con la tenda e dà un'occhiata in giro.

«Il vecchio bastardo doveva dormire qui. Guarda che roba. Solo il letto deve costare quanto la mia auto.»

«Forse lo sopravvaluti, quel tuo bidone di merda», risponde Vince.

Mike esce e, mentre prosegue, Vince illumina un'ultima volta la tenda. Per un momento si aspetta di vederla gonfiarsi, ma non accade.

«Datti una mossa», dice Mike.

Vince apre la porta successiva e dà un'occhiata. La stanza è spoglia e piccola, e non ha nulla di interessante. Esce e raggiunge Mike nella stanza di fronte.

«Qui è tutto marcio come il tuo cervello», dice entrando, e solo allora si accorge che Mike non c'è. «Mike?»

Manda il fascio di luce a indagare. La stanza è deserta. Un asse scricchiola. Vince si volta, punta la torcia e vede lo spettro del governatore piombargli addosso. Arretra, e per la fretta inciampa nei propri piedi. La torcia gli cade e rotola via descrivendo un semicerchio di luce. Lo spettro senza testa emette un rantolo, allunga le mani e si ferma di colpo come un automa che abbia esaurito le batterie. Una risata come il verso di un cinghiale emerge dalle profondità del vuoto in cima al busto, e solo allora Vince si accorge che il fantasma è vestito come Mike.

La testa di Mike fa capolino dal colletto della camicia come quella di una talpa da un buco nel terreno. Sulle labbra spunta un sorriso tutto denti e simpatia.

«Dovresti vedere la tua faccia», dice Mike.

Vince si alza, recupera la torcia ed esce dalla stanza con Mike che gli va dietro sghignazzando.

«Andiamo, era solo uno scherzo», fa Mike mentre segue Vince al piano di sotto.

«Ne ho abbastanza di 'ste cazzate», dice Vince, raggiungendo la porta d'ingresso.

«Dove stai andando?»

«A casa.»

«Quale casa?»

Vince si ferma con una mano sulla maniglia ossidata. Le spalle si alzano e abbassano mentre sospira sconfortato. «Al diavolo», dice infine.

Mike lo raggiunge e gli posa una mano sulla spalla. «Il tizio del bar ha parlato di una stanza segreta che sta sotto la casa. Quando uno dei negri che lavoravano qui rompeva un piatto o dimenticava di lucidare l'argenteria, lo portavano di sotto e lo frustavano, poi lo lasciavano a meditare sui propri errori.»

«Dura ancora molto la lezione di storia?»

«Non molto. Un giorno uno di loro decide che ne ha pieni i coglioni e stacca la testa al padrone di casa. Quello che dobbiamo fare è trovare l'ingresso della stanza. Lì c'è quello che stiamo cercando.»

«Se lo dici tu...»

«Piano con l'entusiasmo, rischi di contagiarmi», dice Mike, e prende a cercare in giro un qualche indizio utile.

Vince lo imita, seppur con scarso entusiasmo. Quello scherzo idiota l'ha messo di cattivo umore. Più di tutto ce l'ha con sé stesso, per essersi fatto fregare con tanta facilità. E quando ha visto Mike balzare fuori dal buio gli è venuto in mente una cosa che ha notato dalla strada, quando ha visto la tenda gonfiarsi. La forma di un corpo umano si era delineata dietro il tessuto per un secondo, e lì dove avrebbe dovuto esserci la testa non c'era alcuna forma riconoscibile. La tenda era semplicemente ricaduta come una fetta di prosciutto, aderendo al busto ed evidenziando un vuoto in cima. O almeno così gli era parso.

Stai lavorando troppo di fantasia, si dice mentre continua la ricerca. È questo posto di merda.

Cerca di non pensarci mentre esamina il pavimento. Mike, poco lontano, fa lo stesso.

«Ehi, forse ci siamo.»

Vince si volta, indirizza il fascio di luce ai piedi di Mike e scorge un grosso anello di metallo. Mike si china su un ginocchio, ci infila dentro le dita e tira.

«Non si smuove», grugnisce.

Vince lo raggiunge. «Che pappamolle. Fatti da parte.»

Mike fa un passo indietro. Vince si accoscia, afferra l'anello e dà uno strattone. Il pannello non si muove di un millimetro. Riprova mettendoci maggior vigore, ma ottiene l'identico risultato.

«Allora, Mister Muscolo?»

«Questa stronza non schioda.»

«Prendo il piccone», dice Mike, e raggiunge l'ingresso, dove sta l'incerata con gli attrezzi. Recupera il piccone, torna indietro e inizia a demolire.

Dandosi il cambio, e dopo quella che pare un'eternità, aprono una breccia nel legno. Quando il buco si fa abbastanza largo da poterci passare attraverso, Mike si inginocchia e ci infila dentro la testa.

«Tienimi, voglio dare un'occhiata», dice a Vince.

Vince si accoscia e gli prende le caviglie. Mike infila la testa nel buco e fa luce.

«C'è una scala, ma i gradini sembrano marci come i denti della mia bis-nonna. Dobbiamo fare attenzione.» Torna su. «Vado io per primo. Mi calo e tu mi passi le vanghe.»

«Zì, badrone», dice Vince.

Mike si infila la torcia nei calzoni, dà le spalle al buco, gattona all'indietro e adagio scivola dentro il buco. Mette piede su uno scalino e, restando aggrappato al bordo frastagliato, ne testa la resistenza.

«Sembra che tenga», giudica. «Okay, passami i ferri del mestiere.»

Vince obbedisce e Mike li lancia di sotto, dove atterrano con un tonfo che suggerisce l'assenza di pavimentazione, quindi sparisce nel buco. Vince ode i gradini gemere sotto il peso dell'amico.

«Ci sono», dice Mike.

«Arrivo», risponde Vince.

Si infila la torcia nei calzoni e imita l'amico. Quando posa il piede su un gradino e lo sente gemere come la schiena di un vecchio bacucco, si preoccupa che non regga il suo peso. Lo testa con attenzione prima di decidersi a mollare il bordo. Sfila la torcia e illumina sotto di sé. Mike aspetta ai piedi della scala, e intanto si guarda attorno con interesse. Il pavimento della stanza consiste in un quadrato di terra compatta. Le mura sono di pietra, e c'è una sfilza di anelli su di una parete, dove legavano la servitù quando dovevano punirla.

«Allora, Nostradamus, dov'è la grossa X?» chiede Vince.

«Non riesco a sintonizzarmi, qui sotto non c'è campo», risponde Mike.

«Che cazzone. Quindi che si fa? Collezioniamo buche come un cane in cerca di un osso?»

«Precisamente.»

«Che stronzata.»

«Zitto e scava», dice Mike.

Impugna la vanga e dà il buon esempio.

* * *

Più o meno nel momento in cui Mike affonda la testa triangolare della vanga nel terreno, due ragazzini risalgono Flag Street. La fiera li ha stancati. L'ottovolante era forte, e anche la ruota panoramica – dalla cui sommità si riusciva a vedere la baia –, ma alla fine gli sono venuti a noia. Stessa cosa per il baraccone del tiro al bersaglio.

«Dovremmo comprarne uno», dice Kevin.

«Vuoi comprare un baraccone del tiro al bersaglio?» fa Billy.

«Ma no, idiota. Stavo parlando di uno di quei fucili a pallini. Lo useremmo per far saltare la testa a scoiattoli e piccioni.»

Kevin non piace molto ai genitori di Billy. Sostengono che possa portarlo su una cattiva strada. Tempo fa Billy ha fatto presente a Kevin una conversazione che, almeno in teoria, sarebbe dovuta restare tra le mura domestiche, e Kevin ha risposto che, per quanto lo riguardava, i genitori di Billy potevano succhiargli l'uccello a turno.

«Non credo che i miei sarebbero d'accordo», dice Billy.

«E tu non dirglielo», risponde Kevin.

«E come faccio per i soldi?»

«Quando tua mamma è distratta le prendi il portafogli e ti fotti qualche dollaro.»

Billy abbozza un sorriso e guarda altrove. Il solo pensiero di frugare nella borsa di sua madre gli provoca forti contrazioni al basso ventre. Quello di rubarle del denaro dal borsellino, invece, lo riempie di vergogna. Vorrebbe dirlo a Kevin, ma ha la sensazione che l'amico non capirebbe, e forse lo prenderebbe persino in giro. E non vuole sentirsi chiamare fesso per l'ennesima volta.

«Che due palle», dice Kevin, ficcandosi le mani nelle tasche dei jeans sdruciti. «Facciamo un salto da McCain. Ho voglia di una birra.»

Billy si incupisce. Sa cosa Kevin ha in mente, e sa anche quale sarà il suo ruolo. Vorrebbe tirarsi indietro, come ogni volta, ma sa che non lo farà. Ha paura di Kevin. Teme che se non farà quel che l'amico vuole, l'altro potrebbe obbligarlo con le cattive.

Tempo fa Kevin lo costrinse a gettare a un cane randagio una polpetta di carne con un petardo dentro. Gli disse che qualcuno doveva ingoiare quella polpetta, e che Billy poteva scegliere se darla al cane o mangiarla lui. Billy non voleva far del male a quel bastardo tutto pelle e ossa, ma sotto la pressione di una minaccia reale aveva ceduto. Il cane si era avvicinato quatto alla polpetta, e quando il muso si era fermato a meno di un centimetro dall'inaspettato regalo, il petardo era esploso sparpagliando la carne e un pezzo del naso dell'animale. Il cane era fuggito uggiolando, e Billy si era sentito peggio di una merda spalmata sotto una suola.

Poi ci fu la volta in cui Kevin ebbe la brillante idea di far piovere pietre da un cavalcavia mentre le auto sottostanti sfrecciavano ignare. In un primo momento Billy si era rifiutato, così come era accaduto per il cane. Poi Kevin lo aveva minacciato di fargli saltare tutti i denti, e alla fine Billy aveva acconsentito. Avevano lanciato a turno senza colpire alcun mezzo di passaggio. Non ci erano andati nemmeno vicini. Billy sbagliava apposta.

Poi Kevin aveva deciso che stavano facendo la cosa in modo stronzo, e che se volevano beccare qualcosa – fosse anche solo un paraurti di striscio – dovevano far piovere un grappolo di pietre tutte assieme. Ordinò a Billy di raccogliere un bel mucchietto di munizioni e di lasciarle cadere al suo segnale. Si era voltato per osservare le auto in arrivo, e dopo aver avvistato la vittima ideale aveva detto a Billy di tenersi pronto.

Si era voltato di nuovo indietro per pochi secondi e poi aveva urlato: «Adesso!», come invasato. Le pietre erano volate giù dal cavalcavia come chicchi di grandine fuori misura, cozzando le une contro le altre e sparpagliandosi a ventaglio. Una di quelle lanciate da Billy aveva colpito in pieno il parabrezza di una Chevy. L'auto aveva sbandato evitando per un pelo un autoarticolato che arriva dalla corsia opposta, aveva riconquistato la carreggiata per un attimo, era poi uscita di strada in uno stridio di pneumatici e si era schiantata contro il guardrail. La portiera della Chevy si era aperta. Il conducente, un uomo sulla cinquantina, con una siepe di capelli che cingeva una pelata scintillante, era smontato muovendosi come un ubriaco. Le gambe faticavano a reggerlo e dava l'impressione di un bambino invecchiato precocemente. Billy l'aveva guardato barcollare fino al muso ammaccato dell'auto e crollare col culo per terra. Doveva essere sotto shock.

«Ragazzi, che legna!» aveva gracchiato Kevin, al settimo cielo, risvegliando Billy dal suo, di shock. «Ora battiamocela.»

Si erano dati alla macchia. Billy avrebbe voluto sotterrarsi in una buca profonda diverse centinaia di metri e, mentre fuggiva come un ladro di galline che avesse appena svaligiato un pollaio, aveva riflettuto che il tizio della Chevy era stato fortunato. L'auto poteva collidere con l'autoarticolato, e l'uomo finire come un tocco di carne maciullato.

Billy ripensa, suo malgrado, a certi spiacevoli episodi mentre la sagoma dell'emporio si delinea poco più avanti. Le luci sono accese, e c'è qualcuno che sta uscendo con in mano una busta di carta marrone. McCain fa le ore piccole. Spera che qualcuno di ritorno dalla fiera si ricordi che il frigo ha bisogno di essere rimpinguato.

«Sai cosa fare», dice Kevin.

Billy annuisce, un gesto impercettibile che Kevin nota a stento.

I due ragazzini entrano. McCain, in piedi dietro la cassa, li squadra come fossero stronzi muniti di gambe. Billy accenna un timido saluto mentre Kevin punta verso il reparto alcoolici. Billy lo guarda sparire dietro uno scaffale, aspetta qualche secondo e si avvicina alla cassa. McCain gli punta addosso gli occhi e il suo broncio si inasprisce. A Billy sembra un incrocio fra Scrooge e un avvoltoio.

«Che vuoi?» chiede McCain, spostando un attimo lo sguardo per accertarsi che l'altra merdina non stia cercando di inguattarsi qualcosa sotto la felpa.

Billy guarda l'assembramento di tabacchi alle spalle di McCain e stabilisce che è l'unico modo per distrarlo. «Un pacchetto di sigarette», dice.

«Mi sembri troppo giovane, a meno che tu non sia un nano. E so che non lo sei», dice McCain, spostando lo sguardo e allungando il collo molle e rugoso, che sembra davvero quello di un avvoltoio.

«Sono per mio padre», dice Billy.

In un altro momento McCain gli avrebbe detto di andare a cagare. Ma vista la scarsa probabilità che, con la fiera in corso, qualcuno dell'ufficio dello sceriffo sia nei paraggi, decide di sbattersene. La cassa piange, e McCain odia saperla triste.

«Che marca?» chiede a Billy, e torna a guardare un punto alle spalle del ragazzino.

«Marlboro.»

McCain si volta, scorre l'assembramento con gli occhi, prende il pacchetto e lo schiaffa sul bancone. Billy tiene lo sguardo sul pacchetto e, vedendo che l'amico tarda ad arrivare, dice: «Mi sono sbagliato, mio padre fuma quelle con un indiano sulla confezione.»

McCain gli lancia un'occhiataccia che aprirebbe un buco nel cemento, e Billy rimpicciolisce di colpo come la Alice di Carroll.

Datti una mossa! urla mentalmente all'amico.

McCain sbuffa, prende il pacchetto di Marlboro con un gesto secco e lo rimette a posto, quindi dà un'altra scorsa all'esposizione. Individua un pacchetto di American Spirit, lo prende e stizzito lo fa scivolare verso Billy.

«Fanno quattro dollari e cinquanta», dice ruotando gli occhi in giro per il locale.

La fronte si riempie di pieghe come quelle su un lenzuolo sgualcito.

«Dov'è il tuo amico?» chiede allungando il collo rugoso da avvoltoio.

Fa per allontanarsi dal bancone, si ferma e la fronte si spiana. Billy si volta e vede Kevin dirigersi verso di loro, indecifrabile come una sfinge.

«Niente Twinkies», dice a Billy.

«Ce li hai avuti sotto il naso la metà del tempo», dice McCain. «Terzo scaffale in fondo», dice, puntando l'indice rattrappito verso un punto alle spalle dei due ragazzini.

«Fa nulla, mi è passata la voglia», risponde Kevin, beccandosi un'occhiata assassina dal padrone di casa.

«Andiamocene. Questo posto puzza come il culo di un elefante», dice Kevin, abbastanza forte perché McCain lo senta.

Billy si volta e segue l'amico senza dire una parola.

«Ehi, ragazzino», gracchia McCain, e Billy si volta. «Le tue sigarette.»

«Ficcatele nel culo», dice Kevin.

Billy vede il volto di McCain aprirsi in un'espressione di stupore e subito accartocciarsi.

«Che hai detto?» chiede McCain.

«Sei sordo, oltre che coglione? Ho detto che puoi ficcarti le tue sigarette su per il culo», ripete Kevin.

«Piccolo pezzo di merda», ringhia McCain, e parte alla carica.

Aggira il bancone, e sembra una marionetta manovrata da un ubriaco mentre trotta verso i due ragazzini con intenzioni bellicose. Billy è paralizzato.

«Che cazzo fai? Quello ci asfalta il culo», dice Kevin, e strattona via l'amico.

I due mocciosi corrono via. Risalgono Flag Street con McCain che urla dietro. Quando le grida del vecchio diventano un brusio lontano, Billy e Kevin tirano il fiato. Kevin si gira e, tra un ansito e l'altro, grida: «Va' a farti fottere, vecchio coglione!»

Fa scorrere la zip della felpa e tira fuori due lattine di Budweiser.

«Ottimo lavoro», dice lanciandone una a Billy, che la prende al volo e se la rigira tra le dita.

Gli sembra di tenere in mano la prova di un reato, quasi non fosse una lattina di birra ma un coltello insanguinato. Quel particolare senso di colpa misto a vergogna torna a fargli visita.

Kevin rimuove la linguetta e prende un sorso.

«È ancora più buona quando è gratis», dice e, vedendo Billy cincischiare, aggiunge: «Se non ti andava a genio la Budweiser potevi dirmelo. Ti prendevo una Lager

Billy non se la sente di dire all'amico che non è questione di marca. Lui la birra non l'ha mai bevuta, e se il suo vecchio sapesse che ne ha toccata una goccia avrebbe problemi a sedere su qualunque superficie per un'intera settimana. Tutto quello che può fare per evitare che Kevin gli dia del fesso – o che lo costringa a brindare con lui – è aprire la lattina e imitare l'amico che intanto ci da dentro come un provetto alcolizzato.

Billy rimuove la linguetta e prende un sorso.

Sa di piscio di cane.

«Buona, eh?» chiede Kevin.

«Mh-hm», risponde Billy.

In realtà vorrebbe vomitare. Finge di prendere un altro sorso e sputa quello che ha in bocca. Deve trovare un modo per sbarazzarsi di quella schifezza che ha il sapore di uno sciroppo scaduto. Mentre pensa a un modo non si accorge che sono arrivati dalle parti di casa Hancock, che poi è un altro nome con cui chiamano la casa del governatore lì a Sun Bay. Solo quando Kevin gli dà di gomito, costringendolo ad alzare gli occhi, si rende conto che si sono spinti fin lì.

«Scommetto dieci dollari che non hai il fegato di avvicinarti e toccare la maniglia della porta», dice Kevin.

Billy decide di non assecondarlo. Spera che così l'amico lascerà cadere la cosa. Purtroppo per lui, Kevin non ne ha alcuna intenzione.

«Allora?» chiede Kevin.

Billy pensa a qualcosa, e l'unica scusa che gli viene in mente è: «Si è fatto tardi, i miei si staranno chiedendo che fine ho fatto.»

«Come no. Cacasotto.»

Billy non raccoglie. È ancora convinto che il silenzio produrrà i risultati sperati.

«Se dieci verdoni non ti solleticano posso mettere sul piatto qualcos'altro. Tipo i tuoi denti», dice Kevin.

In fondo sapeva che prima o dopo l'amico sarebbe andato a parare là, anche se sperava che non accadesse. Lo spera sempre, ma nessun dio ha ancora esaudito la sua preghiera.

«Cosa devo fare?» dice alla fine e, come tutte le volte, sente una parte di sé scivolare in basso, dentro un tunnel lungo e nero, come un paio di mutande lungo uno scivolo per il bucato.

«Vai alla porta e afferra la maniglia», dice Kevin. «Con tutte e due le mani.»

Billy si avvia come un condannato diretto alla forca, ma Kevin lo ferma prima che abbia fatto tre passi.

«Te la tengo io», dice, allungando una mano verso la lattina che Billy ha in mano.

Billy non oppone resistenza. Spera che Kevin se la faccia fuori tutta, così lui non sarà costretto a ingurgitarla a forza. Gliela lascia e si avvia.

Lancia uno sguardo a casa Hancock e un brivido gli percorre la schiena. Quell'ammasso di assi annerite e muffa e merda di topo sembra solida e cadente al tempo stesso. Non sa come spiegarlo. È come se la casa avesse un'anima, o un'essenza, o come diavolo la si voglia chiamare, e questa promanasse da ogni asse come un gas tossico. La percepisce con lo stomaco. Gli sembra di aver ingoiato serpenti vivi, e la pelle dietro la nuca è come invasa da un plotone di formiche in marcia.

Billy cerca di ignorare quelle sensazioni e abbassa gli occhi sul manto stradale. Arriva alla porta e non riesce a trattenersi dal guardare in alto. La casa incombe, e sembra protendersi su di lui come un vampiro sulla vittima di turno.

Billy fissa la porta e allunga le mani. Afferra la maniglia e, nel momento in cui serra le dita attorno al metallo usurato, qualcosa esplode da un punto imprecisato sopra di lui. Billy sobbalza, alza la testa e vede una pioggia di vetri piovergli addosso. L'istinto gli grida di schiacciarsi contro la porta, e acquattarsi sotto il vano che la contiene come una cornice contiene un quadro. Billy fa come gli dice: si china, schiaccia la fronte sul legno e si aggrappa alla maniglia, che va giù facendo scattare la serratura. Prima che se ne renda conto, si ritrova disteso nel vestibolo di casa Hancock, con una nuvola di polvere che gli aleggia intorno.

Quando la polvere si deposita, Kevin gli sta di fronte, e ha il mento che gli arriva alle ginocchia, tanto è sorpreso. Getta in strada la lattina vuota e raggiunge Billy. Non lo degna di uno sguardo né gli offre una mano, semplicemente lo aggira come fosse uno stronzo di cane.

«Porca puttana», dice guardandosi attorno. «Siamo dentro.»

Il tono di voce incredulo è qualcosa che Billy non ha mai udito. A quanto pare Kevin è capace di provare sentimenti che non siano imparentati con l'odio o la discriminazione razziale.

«Che diavolo è stato?» chiede Billy.

Non gli piace usare lo stesso linguaggio di Kevin, ma la rabbia ha preso il sopravvento.

«Che diavolo è stato, cosa?» risponde Kevin.

«Quello schianto.»

«Ah, quello. Ho lanciato la tua birra contro una finestra. Ha fatto un bel buco.»

Billy sta rialzandosi, ma al sentire Kevin si blocca. «Sei stato tu?»

Kevin non risponde, non lo guarda nemmeno. «Dobbiamo esplorare questo posto», dice invece.

Billy vorrebbe fargli notare che non si riesce a vedere a un palmo di naso, neanche a lasciare la porta d'ingresso aperta. La luce esterna dei lampioni e quella della luna sospesa nel cielo non riescono a perforare l'oscurità del vestibolo, e il fatto che le finestre del primo piano siano murate non favorisce di certo la cosa. Decide però di restare in silenzio, ed è la scelta più saggia, dato il caratteraccio dell'amico. Basta poco perché Kevin decida di mettere in pratica la minaccia di poco prima, e Billy non vuole solleticare quel particolare nervo.

«Certo che è più buio che dentro una fica», dice Kevin.

Billy si alza, si scrolla la polvere di dosso e si maledice per aver accettato l'invito dell'amico ad andare alla fiera.

«Ho sentito che al secondo piano si aggira un fantasma decapitato», dice Kevin.

Billy avverte uno spiacevole tremito. Una mano invisibile gli ha appena carezzato la nuca. Si volta di scatto, ma bisognerebbe essere un gatto per vedere qualcosa in quel buio.

«Sarebbe una figata se riuscissimo a vederlo», dice Kevin.

Billy non condivide l'entusiasmo dell'amico. Sebbene non sia sicuro dell'esistenza dei fantasmi, non vuole approfondire l'argomento. O meglio, non vorrebbe. Sa già che dovrà farlo, perché quando Kevin si mette in testa una cosa, dissuaderlo è un'impresa impossibile. Sarebbe più semplice infilzare un atomo.

Kevin si addentra nelle profondità di quel nero uniforme. Billy lo sente mentre si sposta facendo gemere le assi del pavimento.

«Possiamo usare le pareti come guida», dice Kevin. «Ne ho appena trovata una.»

Billy è stupito che l'amico abbia partorito una buona idea. A quanto pare ha un filo di materia cerebrale in quella testa bacata.

«Chiudi quella cazzo di porta e raggiungimi», ordina Kevin.

Billy esegue senza fiatare. «Dove sei?» chiede poi.

Il buio ha ripreso possesso dell'intero vestibolo, e sembra denso come pece. Gli pare quasi di poterne saggiare la consistenza allungando la mano.

«Segui la mia voce», dice Kevin.

Billy si muove, le braccia tese davanti a sé e il passo incerto di uno zombie.

«Continua a parlare», dice Billy.

«Sicuro. Ci sei quasi.»

Billy avanza senza avere idea di dove stia andando e inciampa in qualcosa. Prima che se ne renda conto va lungo disteso per la seconda volta in pochi minuti e impatta il pavimento con i gomiti. La scarica di dolore che risale le braccia e va a morire nelle spalle è qualcosa che Billy si augura di non dover riprovare mai più. Grugnisce come un facocero in calore, e solo con un tremendo sforzo di volontà riesce a soffocare le grida che gli risalgono dalla gola e tentano di esplodere come lava da un camino vulcanico.

Una risata soffocata lo coglie di sorpresa.

«Stasera vai giù peggio di un pugile ubriaco», dice Kevin.

Ora la sua voce proviene da tutt'altra direzione, Billy ne è certo. Non ci mette molto a capire che l'amico gli ha teso uno dei suoi tiri mancini. La rabbia prende per un attimo il sopravvento, salvo poi evaporare come una goccia d'acqua in una padella rovente. Se anche avesse il fegato di ingaggiare un corpo a corpo con Kevin, sa che finirebbe col culo per terra nel giro di due secondi. L'amico è più grosso di lui, un lottatore di sumo in miniatura.

«Deve essere colpa dell'alcool. Un piscialletto come te non lo regge.»

Come se tu fossi un uomo fatto e finito, pensa Billy, ma si guarda bene dal parlare.

Si rimette in piedi e, continuando a camminare, trova una parete. Tastandola, i due mocciosi infilano il corridoio e raggiungono le scale. È una fortuna che si siano incamminati su quel lato del vestibolo. Avessero rasentato la parete opposta, sarebbero incappati nel buco che Vince e Mike avevano aperto e, poco ma sicuro, sarebbero volati di sotto rompendosi l'osso del collo.

Giungono al secondo piano e scoprono che lì la visibilità migliora. Dalle finestre entra la luce dei lampioni, che si innalzano fin quasi ad altezza dei vetri, e quella della luna.

«Chissà qual è la stanza del governatore», dice Kevin.

Cammina davanti a Billy. È lui il capo, e lo sottolinea in tutti i modi possibili, ogni volta che gli è possibile.

«Ho sentito che se ti becca in giro a curiosare ti strappa la testa come a una bambola di pezza.»

Billy cerca di ignorare quel che dice l'amico. Kevin sta cercando di mettergli paura, e magari ha in programma di fargli uno scherzo. Gli mette la giusta strizza con quei suoi racconti da quattro soldi, e al momento giusto... buh!, un bello spavento per Billy, risate a scrosci e una dose di insulti gratuiti tanto per gradire.

Non lasciarglielo fare.

La voce sembra giungere da una distanza siderale. Billy serra i pugni. Una rabbia primitiva gli si insinua come nebbia nel cervello, e per un attimo desidera che il fantasma esista davvero e che prenda di mira Kevin. L'immagine della testa di Kevin che rotola per il corridoio gli si para davanti dinanzi agli occhi. Per quanto sia un pensiero poco cristiano, non gli dispiacerebbe assistere a un simile spettacolo.

Scaccia dalla mente quella macabra scena. Indugiare in quel tipo di fantasie lo fa sentire troppo simile all'amico. Si concentra su pensieri di tutt'altro tenore, e i pugni si aprono come boccioli che fioriscano.

«Questo è molto meglio di quel merdoso tiro al bersaglio o di quella cagata panoramica», dice Kevin.

Billy non capisce cosa l'amico ci trovi di tanto entusiasmante in quattro legni tarlati e tenuti su con lo sputo, né perché ci tenga tanto a stanare il fantasma del governatore. Se le storie sono vere – e Billy prega in cuor suo che non lo siano – finirebbero entrambi come le mogli di Barbablù.

«Ehi, stronzo figlio di puttana, vieni fuori. Cos'è, sei senza palle oltre che senza testa?» urla Kevin mentre avanza lungo il corridoio.

Billy lo segue, e quando passa accanto alla stanza con le tende color salmone andato a male avverte dei tonfi ovattati, come se qualcuno camminasse. Prova a sforzare tutti i decimi di vista che possiede ma non riesce a vedere nulla oltre a una cappa nera, compatta come una parete di roccia.

I tonfi si allontanano, si fermano e accade qualcosa di inaspettato. Nella stanza fa capolino un lama di luce lunare, pallida come la pelle di un elfo. E c'è qualcosa che si muove in fondo, nei pressi della finestra. Billy vede il lembo penzolante di un tendaggio pesante sollevarsi con lentezza che pare deliberata. Si volta per assicurarsi che Kevin sia ancora davanti a lui, e di fatto è così. Non è l'ennesimo scherzo dell'amico.

Torna a guardare la stanza. La tenda continua a sollevarsi, pigra come un'ala che si stia riavendo da una lunga convalescenza. Billy cerca invano di individuare la mano che la solleva.

«Allora? Non ho tutta la notte», sta gridando Kevin, che intanto ha quasi raggiunto il fondo del corridoio.

Billy vorrebbe dirgli di chiudere il becco, di non continuare a stuzzicare il cane da guardia che abita quelle mura, ma non riesce ad aprire bocca. È paralizzato da quello che accade nella stanza del governatore.

Una sagoma evanescente va delineandosi sotto la lama di luce lunare. Billy vede dapprima i contorni di un busto con annesse braccia, poi una vita longilinea, infine gambe e piedi. E c'è qualcosa di insolito negli abiti che si profilano sulla sagoma evanescente. Se avesse un vocabolario più ampio di quello che i suoi dodici anni gli permettono, penserebbe che siano anacronistici. Le scarpe con la fibbia, il panciotto, le calze tirate sin quasi al ginocchio... sono talmente antiquati da indurre Billy a pensare di aver fatto un salto in un'altra epoca. Nota che dal colletto della camicia fa capolino un collo mozzato. Sembra un manichino fantasma che indossi abiti fuori moda da un pezzo.

Billy non riesce a staccargli gli occhi di dosso. Una voce gli dice di girare i tacchi e correre finché i polmoni non gli diventano due fornaci ardenti, ma Billy non può mettere in pratica l'utile consiglio. Agita una mano per richiamare l'attenzione dell'amico, perché la bocca si muove ma nessun suono viene fuori, ma Kevin è impegnato in turpiloqui da osteria

(«Andiamo, testa di cazzo fritta in salsa di sborra, sono qui che ti aspetto. Fottuto ciucciacazzi, finocchio rottinculo...»)

e non può accorgersi che qualcosa di inconsueto sta avvenendo poco lontano da lui.

E più si lancia in nuovi e fantasiosi improperi, più il fantasma sembra acquisire solidità, come se la rabbia di Kevin lo rinvigorisse. Billy si accorge che i vestiti vanno acquistando una tridimensionalità sempre più definita, e il pallore spettrale va svanendo, sostituito dalla concretezza di un corpo in carne e ossa. Sembra di vedere il capitano Kirk che si materializza sulla plancia dell'Enterprise.

Teletrasportami, Scotty, pensa Billy, totalmente nel pallone.

Prende ad arretrare, ma non è cosciente dei movimenti che fa. Una sorta di pilota automatico è entrato in funzione e ha preso il controllo del suo corpo, e Billy arretra fino a che le chiappe non incontrano la parete alle sue spalle.

«Basta», mormora, talmente sottovoce che fatica egli stesso a udirsi.

Si inumidisce le labbra aride, spinge giù il gomitolo che ha in gola e riprova.

«Smettila», dice, abbastanza forte perché l'amico lo senta e gli porga la dovuta attenzione.

«Che ti si è sciolto?» chiede Kevin.

«Smettila», ripete Billy. «Smetti di insultarlo.»

«Ma di che cazzo stai parlando?» fa Kevin, e raggiunge l'amico.

Gli si piazza davanti, le spalle rivolte al governatore.

«Qualcuno sta per farsela sotto», dice e fiuta l'aria come un segugio. «È puzza di merda quella che sento?»

Billy non lo ascolta.

«Si può sapere che cazzo stai guardando?» chiede Kevin, voltandosi.

Fa a tempo a vedere lo spettro che ultima la sua trasposizione. Poi la tenda ricade e la stanza piomba nel buio. Kevin e Billy sono impietriti, due nani da giardino.

«Q-quello...» balbetta Kevin. «L'hai... l'hai visto anche tu?»

Non ha tempo di aggiungere altro. Una folata solleva per un istante la tenda, la luce filtra e Billy vede il governatore scagliarsi su di loro come una furia. Anche Kevin lo vede, e le urla che gli esplodono dalla gola ne sono la prova. Billy non l'ha mai visto neanche sussultare, e ora lo sente frignare come una femminuccia. Ma non ha tempo per gioire. Il governatore oltrepassa la soglia fluttuando, afferra Kevin per la gola e lo solleva. I piedi di Kevin prendono ad agitarsi come pesci presi all'amo. Billy lo sente gorgogliare mentre tenta di liberarsi, picchiando i pugni sul braccio che lo solleva. Tentativo peraltro inutile, perché la presa del governatore è più salda che mai, ora che la trasposizione è completa.

Billy sente un crack!, il suono che farebbe un ramoscello frantumato da una suola, e Kevin smette di agitarsi. Le braccia ricadono come marionette senza fili, i piedi smettono di ballare.

Gli ha spezzato il collo.

Gli giunge come una comunicazione radio più che come un pensiero.

Ora la prenderà. Prenderà la sua testa.

Il governatore indietreggia in quel suo modo fluttuante e inalbera il corpo di Kevin come un macabro trofeo. Oltrepassa la soglia della stanza e svanisce nella fitta tenebra. Billy non riesce a vedere nulla, ma sente perfettamente. E i rumori che gli giungono all'orecchio sciolgono la paralisi.

Si stacca dalla parete e corre via. Fa le scale di corsa, incespica e capitombola nel buio. La mitragliata di tonfi, incluso lo schianto finale, si odono in tutta la casa. Quando tocca terra è privo di conoscenza. Un braccio è piegato in modo innaturale, e un bozzo come una collinetta per lillipuziani sporge al centro della fronte.

Ed è in quel momento che Vince tira fuori la testa dal buco nel pavimento.

* * *

È da quando hanno sentito i passi e le voci che se ne stanno buoni e zitti. Non hanno idea di cosa stia accadendo di sopra, ma sanno di non essere più soli. A giudicare dalle voci, deve trattarsi di ragazzini. Sono in due, ma potrebbero essere di più. Le voci dei marmocchi si somigliano tutte. Per colpa loro hanno dovuto interrompere i lavori di scavo.

Poi c'erano state le grida al secondo piano, e infine quella serie di schianti.

«Al diavolo, io do un'occhiata», dice Vince.

Accende la torcia, sale i gradini in punta di piedi e mette il naso fuori dal buco. Agita il fascio di luce per il vestibolo ma non nota niente di insolito.

«Allora?» domanda Mike, dabbasso.

«Un cazzo di niente. E non sento neanche niente.»

«Si sarà stancato di bestemmiare in cinese, o qualunque altra cosa stava facendo.»

Vince sta per informare Mike delle sue intenzioni di uscire a controllare, quando sente che qualcuno sta armeggiando con la maniglia dell'ingresso. Subito ritira la testa e sussurra a Mike: «Qualcuno deve aver spedito un po' inviti.»

«Che vuoi dire?»

«Voglio dire chiudi il becco e non muovere un muscolo. Abbiamo visite.»

«Ancora?»

«Già, ancora. Cristo, sarà una lunga notte del cazzo.»

* * *

Frank Tillson è un medium di professione. Ha il suo piccolo giro, lì a Sun Bay. Niente di eclatante, per lo più vecchie carampane che vorrebbero essere rassicurate sul fatto che un'altra vita le attenda dopo la morte e vedove senza figli, parenti o amici con cui parlare, che per non impazzire vanno da lui. E Frank è ben lieto di metterle in contatto col marito, l'amica o chicchessia, purché sgancino un po' di quattrini. Niente di eclatante anche stavolta, ma abbastanza perché, sommando i vari compensi, possa vivere dignitosamente. Non è una gran vita, e se ci si aggiunge che Frank Tillson è uno dei pochi eletti a poter davvero parlare con i morti, e che lì a Sun Bay lo trattano tutti, o quasi, come lo scemo del villaggio, il quadro è completo e niente affatto roseo.

Sono stanco di questa merda, si dice mentre torna a casa.

Era alla fiera, ma è stato costretto a tagliare la corda quando Doug Foreman e i suoi stronzi amici hanno deciso che era più divertente sparare a lui anziché alle lattine del baraccone del tiro al bersaglio.

Non contenti poi di averlo impallinato, l'avevano seguito tra adulti e bambini e venditori di palloncini e di zucchero filato, canzonandolo allegramente con adagi che dovevano aver imparato dai loro padri ancor più stronzi, che a loro volta dovevano averli appressi da genitori stronzi, e così via fino alle radici di quell'albero genealogico di stronzi fatti e finiti che erano gli avi di Doug Foreman e dei suoi compari.

Alla fine era intervenuto il vicesceriffo Craig Davidson – forse avvisato da qualche genitore che non voleva esporre le orecchie dei propri figlioli a certe sconcerie – e aveva persino chiesto a Frank se intendesse sporgere denuncia per l'episodio dell'impallinazione. Frank aveva detto che non voleva, e l'aveva fatto perché sapeva che se avesse agito diversamente avrebbe attirato su di sé le ire degli stronzi genitori di Doug Foreman e combriccola, e così la cosa era finita lì.

Solo che Frank non ha digerito la faccenda, né il modo sornione in cui certi astanti lo guardavano mentre batteva in ritirata. Persino Davidson sorrideva mentre rimproverava Doug Foreman e i suoi amici, come se sotto sotto la faccenda lo divertisse.

Frank ruota la chiave nella toppa e apre la porta di casa. Accende le luci e va in cucina. Da lì scende in cantina, che ha trasformato in laboratorio. Cerca la cordicella che pende dal soffitto e la tira. La lampadina alle quale è collegata si illumina come un piccolo sole. Più in là c'è un ripiano di legno ingombro di componenti elettronici e un aggeggio che somiglia a una videocamera, ma che è in realtà qualcosa di assai più complesso. Frank lo ha battezzato Cerca Anime.

Ci sta lavorando da un po', ed è praticamente pronto, solo che non ha ancora trovato il coraggio di testarlo. Ha pensato nei giorni scorsi di fare una capatina al cimitero, che gli pare il posto più indicato, ma il pensiero che qualcuno lo scorga ad aggirarsi tra le lapidi come un cameraman sulla scena di un disastro aereo gli ha messo addosso una strizza tale da farlo desistere. Adesso quella strizza gli è passata, drenata via da Doug Foreman e compagni. Al suo posto vibra una rabbia che è come un diapason in continuo movimento, e che diffonde cupe vibrazioni nei muscoli, nelle ossa e nel cervello.

Vuole dimostrare a quegli stronzi, e a tutti quelli che a Sun Bay lo prendono per il culo, che lui, Frank Tillson, non vende merda spacciandola per cioccolata. E il Cerca Anime lo aiuterà.

Lo imbraccia come fosse un fucile, lo porta di sopra e lo poggia sul tavolo della cucina con un grugnito. Quell'affare pesa quanto la donna cannone, e non può essere diversamente, vista la quantità di componenti elettronici che contiene. Ha persino la visione notturna. L'unico vero problema sono le batterie. Il Cerca Anime succhia energia come una puttana un cazzo. L'ha messo in funzione una sola volta, in cantina, e dopo una mezz'ora scarsa la batteria nuova di zecca che aveva comprato per l'occasione era morta stecchita. Si era reso conto che se voleva mettere in atto un'escursione notturna aveva bisogno di una scorta, e così aveva provveduto a rifornirsi.

Frank apre un cassetto della cucina a 'L' e tira fuori le grosse batterie. Ne conta dieci e le posa accanto al Cerca Anime, poi richiude il cassetto. Dovrebbero bastare. Gli garantiranno circa cinque ore di autonomia. Non che abbia intenzione di fermarsi tanto a lungo, ma è meglio essere previdenti.

Va di sopra a recuperare il borsone da palestra che conserva nell'armadio, torna di sotto e ci ficca dentro il Cerca Anime e le batterie. Richiude, lo mette in spalla ed esce di casa. Si avvia a piedi lungo la Main Street e svolta su Flag Street. Deve percorrerla per intero prima di arrivare al bivio con Boat Street, alla fine della quale si trova il camposanto.

Quando arriva in vista di casa Hancock, solleva il mento per un secondo e coglie un movimento al secondo piano. La tenda si sta gonfiando come un polmone che prenda aria, e qualcosa preme contro il tessuto scolorito. Frank scorge una sagoma che va delineandosi come un'impronta su un impasto molle, ma non ha tempo di osservare come il fenomeno evolva, perché una serie di tonfi lo costringe a distogliere l'attenzione. Aguzza l'udito e fissa lo sguardo sulla porta d'ingresso. Provengono dall'interno della casa. I tonfi progrediscono, si ode uno schianto e poi più nulla.

Frank non si muove. Dopo qualche secondo, solleva gli occhi al secondo piano. La tenda è immobile.

Si avvicina a casa Hancock e posa un orecchio sul legno della porta. Resta fermo ad ascoltare per un intero minuto, ma a parte il ronzio del silenzio nessun suono gli giunge dall'altra parte. Ma qualcosa ha sentito, e non erano certo i fuochi artificiali che segnano la chiusura della fiera. Tenta la maniglia e la porta si apre. Frank la la molla come se fosse rovente e l'ingresso si spalanca con un gemito sinistro. La luce della luna e quella dei lampioni stradali si spinge fino a un paio di metri oltre soglia, poi il buio la taglia fuori.

Frank posa in terra il borsone, lo apre e tira fuori il Cerca Anime. Apre lo scomparto posteriore e ci fa scivolare dentro una batteria. Preme un bottoncino sul davanti, sotto quello che è un obiettivo ad alta risoluzione, e una serie di led si accendono sul fianco del Cerca Anime. Tira in fuori un piccolo monitor che ha sottratto a una videocamera portatile che aveva in casa, e vede in alto a destra il simbolo di una batteria verde. L'obiettivo prova a mettere a fuoco quel pizzico di pavimento visibile, e dopo un paio di tentativi si assesta su una precisa risoluzione. Frank pigia un pulsante sotto un led ancora spento. Il monitor si riempie di un alone verde, e la restante parte del vestibolo diventa visibile.

Frank solleva il Cerca Anime e dà un'occhiata.

Di fronte a sé si apre un corridoio stretto, e in fondo a questo c'è qualcosa. Gli servono un paio di secondi per capire che si tratta di un essere umano. È disteso come un tappeto persiano. Deve essere il responsabile del gran casino che ha sentito.

«Ehi, tutto okay?» urla Frank, mentre entra e si avvicina a piccoli passi, senza distogliere gli occhi dal monitor.

Si chiede se stia guardando un essere umano in carne e ossa o solo un residuo ectoplasmatico di quello che era stato un essere umano, poi ricorda di non aver ancora attivato la speciale vista del Cerca Anime e sente parte della tensione sciogliersi come la punta di un ghiacciolo investita da una fiamma. Sta guardando un tizio in carne e ossa.

Si avvicina e si accorge che si tratta di un ragazzino. Frank si accoscia per inquadrargli il volto e lo riconosce. Ѐ Billy Conway. I Conway sono tra i pochi a non guardarlo come fosse uno stronzo uscito dal culo di un babbuino, e Billy gli ha sempre dato l'impressione di un ragazzino a posto. Che ci fa lì dentro? E che diavolo gli è capitato?

Frank sta pensando di andare a chiamare aiuto, quando sente un gemito di legni alle sue spalle. Si volta e inquadra un uomo armato di vanga. Ha solo il tempo di udire: «Che nottata del cazzo», poi la testa triangolare della vanga lo colpisce.

Frank stramazza accanto a Billy. Il Cerca Anime lo segue, ma l'impatto non lo danneggia. A parte scheggiarsi, non risente della botta.

Un cono di luce appare alle spalle di Vince e lo investe. Sulla parete poco più in là compare la sagoma che sembra ritagliata da un foglio nero. Mike si avvicina, dà un'occhiata all'uomo che Vince ha mandato al tappeto e commenta: «Che legna.»

L'uomo ha un livido sulla tempia.

«Dritta sulla cotenna. Ma come hai fatto a imbroccare la mira?»

Vince indica con la testa della vanga il Cerca Anime. «Quell'affare ha più luci di una fiera di paese. Anche un cieco l'avrebbe visto.»

«Ma che diavolo è? Sembra una di quelle grosse videocamere che usano in Tv.»

«Già, ma non ne ho mai vista una con tante luci. Sembra un cazzo di mostro di Frankenstein.»

Mike dirige il cono di luce sul ragazzino svenuto.

«Quello ha fatto tutto da solo», dice Vince, quasi a giustificarsi. «Deve essere lui che abbiamo sentito, prima.»

«Secondo te che gli è successo?»

«A giudicare dal casino e dal braccio piegato come la schiena di una contorsionista, deve aver fatto un volo dal secondo piano.»

Mike indirizza il fascio di luce sul bernoccolo in corrispondenza della tempia. «Una cosa è certa, domani si sveglierà con un bel mal di testa.»

«Mai quanto questo qui», dice Vince, accennando all'ultimo arrivato.

Mike mette a terra la torcia e si china a raccogliere il Cerca Anime. Lo afferra a due mani e lo solleva con una certa difficoltà.

«Cristo, pesa come uno stronzo di elefante.»

Lo tiene come fosse un pupo in fasce. Se lo sistema meglio tra le mani e guarda il piccolo monitor. Un alone verde cinge il mondo che l'obiettivo inquadra.

«Ha la visione notturna», dice Mike. «Possiamo usarla per scovare il marmocchio che si nasconde di sopra.»

«È iniziata come una caccia al tesoro ma a quanto pare continuerà come un nascondino. Se avessi cinque anni me la farei sotto per l'emozione. E una volta che lo troviamo? Lo mettiamo KO come ho fatto con questo qui?»

«E perché no?»

«Andiamo Mike, sono stufo di queste stronzate. Battiamocela.»

«Prima dobbiamo trovare il tesoro.»

«Non c'è nessun cazzo di tesoro. Vuoi ficcartelo in quella testa piena di merda?»

Una serie di tonfi dal secondo piano.

«Sentito?» chiede Vince.

«È quello stronzetto. Andiamo a stanarlo.»

Imbracciando il Cerca Anime, Mike scavalca il tizio svenuto e il ragazzino e si avvia di sopra.

«Long John Silver, stai dimenticando la torcia», dice Vince.

«Prendila tu.»

«Fanculo», sospira Vince, e recupera la torcia.

La usa per farsi luce mentre segue l'amico su per le scale.

«Ci siamo, spegni la torcia», dice Mike.

Vince esegue e si porta accanto all'amico. La luce del monitor si riflette sul viso di Mike creando un piccolo cono luminoso che traccia l'abbozzo di un volto dai lineamenti duri. I led sono come tanti canditi luminosi.

«Con questa fiera ambulante che ci portiamo appresso, di sicuro lo cogliamo di sorpresa», fa Vince.

«Zitto, sento qualcosa», dice Mike.

Mike aguzza l'udito e alla fine lo sente. È un suono languido, molle come la pancia di un grassone. Mike punta un dito verso la stanza del governatore. «Viene da lì», dice.

Con il Cerca Anime spianato si ferma sulla soglia e punta l'obiettivo. Vince è al suo fianco e sta guardando il piccolo monitor. Come l'amico, ha la sensazione che quello che vede sia uno scherzo molto ben architettato.

Nella stanza c'è un tizio senza testa, chino sul corpo di un bambino. Indossa vestiti di un'altra epoca. Un'epoca in cui era facile credere a cose come quella a cui Vince e Mike stanno assistendo. Le sue mani lavorano con lentezza e dedizione, e c'è qualcosa di implacabile in quei movimenti, una ferocia che non ha nulla di umano, e che costringe Vince ad arretrare come aveva fatto Billy prima di lui.

«Che cazzo...» blatera Mike.

Il governatore serra le dita sui capelli di Kevin mentre le dita dell'altra mano affondano nel collo del cadavere, lacerando brani di carne e scavando come il muso di un cane. Il sangue ruscella come un fiume in piena e affluisce in una pozzanghera di modeste dimensioni sotto il collo ridotto a pezzi come la vela di una nave fantasma.

Il governatore smette di scavare. La mano che stringe i capelli dà uno strattone deciso, e la testa viene via portandosi appresso brani di pelle. Il governatore la tiene sollevata per i capelli, come a volerla mostrare alla telecamera. Il volto di Kevin è una maschera di dolore. La lingua pende da un angolo della bocca, gli occhi guardano in su come se chiedessero aiuto a Dio.

Nonostante il truculento spettacolo, Mike non riesce a staccare gli occhi dal piccolo monitor. Sta assistendo a qualcosa che credeva impossibile. Se Frank Tillson fosse lì, registrerebbe l'intera scena e otterrebbe le prove di cui ha bisogno, e senza neanche dover attivare la seconda vista del Cerca Anime.

Il governatore si alza, afferra la testa con entrambe le mani e se la piazza sul collo. Quasi fosse un tappo di sughero da ficcare nel collo di una bottiglia, inizia a esercitare una frizione che non dovrebbe sortire effetti, ma che davanti allo sguardo attonito di Mike produce un grottesco risultato. Quando le braccia ricadono lungo i fianchi, la testa di Kevin è fissata al collo del governatore.

Mike è terrorizzato. Se non avesse assistito a tutta la scena, penserebbe di avere di fronte un mezzo sciroccato con indosso un costume di Halloween. Per un momento cerca di illudersi che è così, e quasi ci riesce, ma la testa è troppo sproporzionata rispetto al corpo, e Mike non sa più che pensare.

Il governatore avanza a passi lenti e studiati. Mike lo vede dal monitor, Vince può solo sentire il rintocco dei tacchi sul legno e i gemiti del pavimento. Si ferma a pochi centimetri dall'obiettivo, offrendo un primo piano della fibbia della cintura. Solo allora Mike solleva lo sguardo e si avvede della sagoma che riempie la soglia. Non riesce a parlare. L'unica cosa che riesce a fare è aprire e chiudere la bocca come un pesce in una boccia di vetro.

Il governatore fa scattare un braccio, e un attimo dopo Mike è più alto di qualche centimetro e i suoi piedi scalciano l'aria. Il Cerca Anime gli casca di mano. Nell'impatto col pavimento lo scomparto retrostante si apre e la batteria scivola fuori. I led e lo schermo si oscurano.

«Vince...» mugola Mike. «Aiutami...»

Vince è pietrificato. L'unica cosa che riesce a muovere è un dito tremante, che pigia l'interruttore sull'impugnatura della torcia. Il fascio di luce illumina il governatore. Tiene Mike sollevato con l'ausilio di un'unica mano, senza sforzo, e la sua piccola testa vibra appena. La lingua penzoloni si agita come un pesce a corto di ossigeno, gli occhi si arrovesciano a mostrare il bianco, salvo poi tornare a centrarsi nelle orbite. Vince si ritrova a fissare due iridi di un verde innaturale, che sembrano intinte nel plutonio. Se avesse conosciuto Kevin quand'era ancora in vita, avrebbe saputo che il piccolo bulletto aveva occhi di un marrone come la merda. Quei due fanali che lo fissano con odio feroce non appartengono a lui. Sono del governatore. Sta prendendo possesso della piccola testa.

Vince si accorge con orrore crescente che il viso di Kevin sta mutando in qualcosa di grottesco. La pelle si riempie di rughe, i capelli ingrigiscono sulle tempie. Il naso muta la sua forma, e da patata schiacciata si allunga per incurvarsi come il becco di un volatile. Le ciglia sottili si infoltiscono e assumo la stessa tonalità grigiastra delle tempie.

Il governatore tira in dentro la lingua e mostra i denti, una chiostra compatta alla quale Kevin ha attentato più volte con dolciumi d'ogni genere. Lo smalto sta perdendo vividezza. Il bianco muta gradualmente in un giallo che ha la tonalità di una pergamena secolare. I denti aumentano di volume e la bocca si gonfia. La mascella si allarga e si allunga, assumendo una forma squadrata. Le guance si infossano.

Nel breve tempo che occorre al volto per consolidarsi nella sua nuova forma, il fascio di luce trema come un dito artritico. Vince si accorge appena del sentore di umido tra le gambe. È da quando ha sostituito i pannolini col vasetto che non se la fa più sotto, ma di fronte a uno spettacolo tanto orrendo non riesce proprio a serrare i rubinetti.

La testa ha le stesse dimensioni di quella di Kevin, ma i lineamenti del viso sono di un'altra persona. Se il tizio della Sun Bay Historical Association fosse presente, ravviserebbe subito un'inquietante somiglianza tra quel viso e un ritratto a mezzo busto del governatore conservato nel piccolo museo su Hill Street, e probabilmente se la farebbe sotto come Vince.

Il governatore sorride come un vecchio pazzo, poi fissa Mike e si fa pensoso. Qualcosa sembra incuriosirlo, o forse interessarlo. È difficile da stabilire. Poi torna a guardare Vince, e una sordida luce gli brilla negli occhi alienati. Le dita attorno al collo di Mike si serrano con l'intensità del morso di una tagliola. Mike scalcia più forte e si ferma. Le braccia ricadono. Le punte dei piedi indicano il pavimento. Il governatore lo lascia andare e Mike ricade come un tocco molle di carne. Gli occhi da alienato si spostano su Vince.

«Voglio la tua testa», mormora con voce lugubre.

Vince molla la vanga e fugge. Fa le scale di corsa, la luce della torcia che sobbalza impazzita. Mette piede al piano di sotto, con un balzo supera Billy e Frank e attraversa il vestibolo facendosi arrivare i talloni dietro le orecchie. Sbuca fuori dalla casa come un topo in fuga da un incendio e guadagna il centro della strada. Solo allora si volta.

Casa Hancock sembra una mostruosa creatura rigurgitata dall'inferno. Le due finestre sul frontone hanno l'aspetto di occhi ciechi, l'ingresso spalancato somiglia a una bocca pronta a ingurgitare qualunque cosa le capiti a tiro. Mentre Vince la guarda e sente la pelle ritirarsi come se volesse staccarsi dalle ossa e fuggire via, un'ombra emerge dalla bocca rettangolare della casa.

Il governatore appare come un incubo, guarda Vince e si porta l'indice alle labbra come ad ammonirlo al silenzio. Ha un cupo cipiglio che gli deforma il viso, e le labbra sono una mezzaluna con gli angoli che puntano in basso. Vince sa già che non dimenticherà quell'espressione da patriarca finché campa. E se riuscirà ancora a dormire per più di due ore filate, sognerà quel volto inumano che lo fissa.

Il governatore si defila e l'oscurità lo ingoia. La porta si richiude con un cigolio.

Vince va col culo per terra. Ha bisogno di un attimo per scaricare la tensione e il terrore. Prova a formulare un pensiero coerente, ma il cervello sembra fuori uso. Allora ripercorre tutto ciò che è accaduto da quando ha messo piede nella casa fino a quando ne è uscito, e le immagini si ammassano come panni sporchi in una cesta. Resta col culo per terra per un quarto d'ora. Forse di più. L'unica cosa di cui è cosciente è che di colpo il cervello riprende a dare segni di vita come un macchinario fermo da tempo e rimesso in funzione, e si sofferma su alcuni particolari.

In casa ci sono quattro persone. Due sono stecchite, altrettante hanno un bozzo in testa grande come mezza palla da tennis, e una di queste l'ha persino visto in faccia, anche se solo per un attimo e da un piccolo monitor con la visione notturna. Inoltre, ci sono le sue impronte sulla vanga che ha lasciato dentro, e chissà dove altro in giro per casa.

E quando il tuo nome e la tua brutta faccia spunteranno dall'archivio degli schedati, chi credi che incolperanno per quei due cadaveri? lo interroga una voce.

Vince si alza con una nuova consapevolezza. Pensa velocemente e gli viene in mente un tizio che gli deve un favore e che ha una bagnarola attraccata alla baia. Gli chiederà di portarlo via da Sun Bay, l'isola dove è nato e cresciuto, e una volta sulla terra ferma farà perdere le proprie tracce. Non sa per quanto tempo riuscirà a sfuggire al lungo braccio della legge, ma allo stato attuale quella non rappresenta una priorità per lui. Ciò di cui ha bisogno al momento è mettere quante più miglia possibili tra sé, quella casa e il mostro che la abita.

Vince si incammina verso il molo.

Alle sue spalle, nella pancia del mostro di legno, il governatore fa scempio degli intrusi rimasti.

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