L'omino venuto dalle stelle
«E piantala di guardarmi come se ci avessi il terzo occhio. Ti sto dicendo quello che ho visto, e se non ci credi non hai che da andare al vecchio cimitero che sta dietro la piantagione di Bob Daggett e vedere da te.
«Cosa? Ah, e così ci avrei il cervello scombiccherato come quello scimunito di Stanley Beck? Sta' attento a te, Henry Reynolds, perché questo vecchio ha ancora la forza di prendere a calci quel tuo culo secco. C'è una fossa larga che ci puoi seppellire trenta uomini nel camposanto, e se non l'hanno già messa a posto ce la trovi così com'è.
«Che? No, quell'affare non c'è. Sei sordo o solo mezzo scemo? Ti ho detto che l'hanno portato via quei tizi vestiti di nero. Stavo tornando indietro quando sono arrivati con quella specie di carro armato. Li ho visti saltare fuori da quel bestione di ferro, coi loro caschi coi binocoli sopra, i fucili e le tute nere. Hanno caricato quel coso e se la sono squagliata nella notte. Un lavoro pulito come non se ne vedono più.
«Come era fatto quell'affare, dici? Sembrava una palla di acciaio come quelle che si usano per buttare giù le case.
«Eh? Non lo so cosa diavolo era! Pensi che se lo sapevo stavo qua a parlare con te?
«Certo, come no, sono sicuro che se metti sul canale del notiziario ti spiegano tutto. A volte penso che tu ci hai solo mezzo cervello in quella testa. Perché pensi che sono venuti in piena notte come dei ladri? Ti dico una cosa, avvicinati. Lo so che non sei sordo, ma non voglio farmi sentire dalla cameriera.
«Quando il didietro di quella specie di carro armato si è aperto, sono usciti fuori anche dei tizi con delle tute bianche, assieme a quegli altri neri. Sembravano fantasmi e puntavano degli aggeggi contro quel coso.
«Come diavolo faccio a sapere che stavano facendo? Ma ti dico una cosa, quei tizi ci avevano in corpo una fifa del diavolo. Anche quelli vestiti di scuro sembrava che se la stavano facendo sotto, perché non smettevano un attimo di ballare attorno a quel coso mentre puntavano i loro fucili. Penso che se mi prendeva di uscire all'improvviso, quelli mi sparavano senza neanche darmi il tempo di aprire bocca, e a quest'ora ero dentro a una buca.
«Che? No, sto bene. È solo che questa storia mi ha messo addosso una fifa blu. Chi me l'ha fatto fare di andarci? Ma ho avuto un incubo, la scorsa notte, uno di quelli dove Miranda mi chiama dalla tomba, e quando mi sono svegliato sapevo che non sarei più riuscito a prendere sonno, così mi sono alzato e sono andato in cucina a farmi un bicchierino. Mentre ero seduto al buio ho guardato la finestra e ho visto una palla di fuoco che cadeva dietro il campo di Daggett. C'è stato un lampo di luce, un botto lontano e il grano s'è messo a dondolare come se c'era vento. Ho aspettato sotto il portico per vedere se anche il vecchio Daggett usciva per vedere cos'era quella roba, ma non si è accesa neanche una luce in casa sua. Ho anche pensato di andare a chiamarlo, ma poi mi è venuto in mente che se bussavo a quell'ora di notte per dirgli che avevo visto una palla di fuoco che cadeva dal cielo e si schiantava dietro il suo campo, come minimo mi prendeva per pazzo.
«Lo so, cosa credi, che anche tu pensi che sono pazzo. Lo capisco da come mi guardi. Ma lascia che ti dico una cosa: sarò anche un matusa che non riesce più ad allacciarsi le scarpe, ma non sono ancora rimbambito. Potrei mettere nel sacco te e quei furbacchioni dei tuoi compari. Ti sto dicendo che ho visto quel coso, l'ho visto proprio come ora vedo la tua brutta faccia.
«È inutile che ti scaldi tanto, non sei mica Humphrey Bogart.
«Come vuoi, basta che ti dai una calmata. E di' a quel buzzurro di Al Boymans di allungarmi un po' del Jim Beam che tiene nascosto sotto il bancone, appena lo vedi venire. Ho la gola secca.
«Allora, come stavo dicendo, ho tagliato attraverso il campo di Daggett per fare prima – e che non ti esca di bocca davanti a quel lardoso che ho messo piede nel suo campo, sarebbe capace di impallinarmi il culo –, e quando sono arrivato al camposanto ho visto quell'affare. Aveva scavato una fossa lunga almeno trenta metri e profonda dieci, e quando l'ho guardato mi sono accorto che non era sprofondato neanche per metà, ma aveva fatto volare lo stesso via un bel po' di lapidi. Una era finita poco lontano da dove stavo. Mi sono avvicinato per leggere il nome che ci stava scritto sopra. Ho avuto una fifa d'inferno che era quella di Miranda, ma mi sbagliavo.
«Che diavolo ti frega di chi era quella lapide? A volte penso che vuoi tirarmi scemo co 'ste domande cretine.
«Come? Non usare quel tono con me. Ero al mondo ancora prima che imparavi a farla all'in piedi, perciò mostrami un pizzico di rispetto. E comunque non me lo ricordo. È già tanto se riesco a ricordare che ho mangiato a colazione. E non tirare fuori la storia del vecchio rimbambito un'altra volta, perché ti mollo un pugno sul naso. La lingua non è l'unica cosa che questo vecchio sa far andare veloce.
«Dunque, dov'ero rimasto? E non guardarmi con quell'aria da scimunito, accidenti a te! Dimmi piuttosto a che punto della storia ero!
«Che? Ah già, le lapidi. Vedi che in quella testa non ci hai solo acqua sporca?
«Le aveva fatte saltare da tutte le parti. Una era volata su un albero.
«Sicuro che l'ho vista, non me lo sto mica inventando. Aveva spezzato un ramo, e non mi chiedere come ha fatto ma si era incastrata in mezzo a due più grossi.
«Porco diavolo, ho la lingua che sembra uno gnocco lesso. Dannazione ragazzo, vuoi deciderti a chiamare quel brutto muso di Boymans prima che muoio di sete? Eccolo che viene da questa parte. Fermalo, gli voglio dire due parole.
«A cuccia lì, Boymans. Dammi da bere, e non ti azzardare a rifilarmi quella porcheria che dai a questi caproni.
«Ah davvero? E che mi dici della bottiglia che tieni nascosta sotto il bancone, accanto al fucile?
«Ecco, bravo. Ora che ti ho rinfrescato la memoria, prendila e versami un bicchiere.
«Certo che ho i soldi per pagarti. Che credi, che solo perché sono vecchio ci ho le tasche bucate? E adesso smettila con questa manfrina e riempi il bicchiere.
«Alla salute.
«Ah! Va giù che è un piacere.
«Che diavolo fai? Lasciala sul bancone e va' a farti un giro.
«Come ti pare, basta che smammi. Prendine un sorso, ragazzo, è roba buona, e versane ancora un po' per me. Ne ho bisogno, se devo continuare questa storia.
«Ti ho detto che quei tizi sono venuti a prendere quella cosa piovuta dal cielo, ma non ti ho detto che prima che arrivavano sono riuscito ad avvicinarmi. C'era la luna piena, neanche una nuvola in cielo, e ho potuto vederla bene. Era grigia, ma di un grigio strano, che se ti spostavi cambiava.
«No, non era la luce della luna che gli dava quell'effetto, se no anche gli alberi e le lapidi dovevano sembrare così strani, non ti pare? Era il metallo di cui era fatta. Era fatto in modo che la luce non si rifletteva. Era come... merda, non lo so. È difficile da spiegare se non lo vedi. Ma ti dico una cosa, e te la dico una volta sola, perciò apri bene le orecchie. Quel coso era un aggeggio di un altro mondo.
«Puoi sghignazzare quanto ti pare, ma tu non c'eri e non lo puoi sapere. L'ho guardato da tutti i lati e ho visto che non ci aveva giunture, neanche una vite piccola come uno spillo.
«Già, è proprio una bella domanda la tua. Non lo so come è possibile una cosa così. Mi sarebbe piaciuto prendere un sasso e tirarglielo contro per vedere che rumore faceva, ma ci avevo una paura del diavolo. Quell'aggeggio fumava che ho pensato poteva scoppiare da un momento all'altro e sciogliermi come un cubetto di ghiaccio in un microonde, e ci aveva quel modo strano di cambiare colore quando mi spostavo per guardarlo, che alternava il grigio, il viola e il verde...
«Volevo vedere te, al posto mio, se ti riusciva di non scappare come se avevi visto un morto che sbucava da sottoterra. Ma anche se mi tremavano tutti i muscoli non ce l'ho fatta ad andarmene. Volevo capire che cos'era. E levati quel sorrisetto scemo dalla faccia. Lo so che pensi che questo vecchio non può capire niente oltre al grano e al motore del suo trattore, ma se non ci provavo sentivo che potevo impazzire. L'ombra che quel coso faceva sul terreno e la fossa che aveva scavato mi dicevano che era reale, ma la mia testa non riusciva a crederci fino in fondo. La mente fa strani scherzi, specie quella di un vecchio, e a volte se ne va a zonzo come una balla di fieno spinta del vento.
«Dove te ne vai? Oh. Be', quasi quasi ti faccio compagnia. Era già da un po' che dovevo farla, ma me la tenevo perché avevo paura che quando tornavo scoprivo che te l'eri telata. Aspetta un secondo.
«Ehi, grassone! Sì, dico a te, Boymans. Vedi forse un altro ciccione, qui attorno? Non provarci nemmeno a far sparire quella bottiglia, ci siamo capiti? Okay Henry, possiamo andare.
«Dove diavolo vai? A meno che non hai qualcosa da confessare, quella non è la porta giusta. Non vedi che è il bagno delle signore? Secondo te che ce la mettono a fare quella sagoma in gonnella? A volte ci ho il dubbio che tua madre doveva essere ubriaca quando ti ha scodellato fuori. Meglio se faccio strada, o rischi di andarla a fare nello sgabuzzino delle scope. Per di qua. E vedi di muoverti, non posso tenerla tutto il giorno.
«Questo posto è uno schifo. Guarda là, c'è addirittura del sangue sullo specchio. Scommetto che se guardi nella tazza del cesso ci trovi un ricordino che sta a galla da qualcosa come un secolo. Che cazzo, quel Boymans è un maiale. E questo posto è peggio di un porcile. Al confronto una stalla è il grand hotel. Mi viene quasi voglia di denunciarlo all'ufficio di igiene.
«Ehi Henry, vieni a vedere, forse può interessarti. Una certa Mary ha lasciato il suo numero di telefono.
«Sei cieco oltre che stupido? È proprio qui, sopra l'orinale. Prendi nota, chissà che finalmente non ti fai una scopata come si deve. Con una che si firma Gola Profonda non puoi che venirtene fuori soddisfatto. Va bene va bene, mi muovo. Che fretta hai? Quel poco di cervello che ti ritrovi svanisce a mezzanotte?
«Dannazione, questa maledetta lampo si è inceppata. Non ti azzardare neanche a muoverti o giuro che ti sego le mani. Preferisco farmela addosso, piuttosto. Devo solo insistere un po' e... là! Visto? Che ti dicevo? E tu che volevi mettermi le mani fra le gambe. Se entrava qualcuno e ti trovava con le mani in pasta, finiva che andava in giro a dire che stavamo a trastullarci. E non stare lì a fissarmi come un ritardato, che mi blocchi l'ispirazione. Ecco, bravo, sistemati quei quattro peli che ci hai sul cranio mentre aspetti, ma non ti attardare troppo davanti allo specchio, che rischi di romperlo.
«Fiuuu! Era un secolo che la tenevo. Fatti da parte, devo lavarmi le mani.
«Perché questo dannato aggeggio che dovrebbe cacciare sapone caccia solo aria? Ora che torniamo di là gliene canto quattro a quel maiale. Muoviamoci. Ho voglia di un goccio di quel buon whiskey.
«Boymans! Quello schifo di cesso sembra la scena di un delitto. Porco d'un cane bastardo, c'è il rischio di prendersi la lebbra a toccare qualcosa.
«Brillante come uno specchio? È così che hai detto? Non fare il furbo con me, non provarci nemmeno o faccio una telefonata e ti ritrovi col bar chiuso prima che hai il tempo di tirartelo fuori dai calzoni. Ecco, bravo, offrimi da bere.
«Tranquillo, non ho intenzione di ridurti in tela di braghe. Ma ripulisci quel cesso merdoso.
«Perché mi guardi in quel modo, Henry? Sembra che mi hai appena visto alzarmi in volo. È per quello che ho detto a Boymans? Be', qualcuno doveva farlo. Quel coglione pensa di essere un padreterno. Se suo padre si preoccupava di dargli qualche calcio in culo in più, forse cresceva dritto come il campo di Daggett.
«Allora, a che punto della storia ero arrivato? Ah sì, alla parte dove quella cosa si apre come un cocomero. Ero lì che guardavo quella diavoleria venuta giù dal cielo e la vedevo fare i suoi giochi di luce, e mi domandavo se non era il caso di chiamare qualcuno. Daggett era il più vicino ma, come sai, a quello gli salta la mosca al naso come niente. Allora ho pensato di andare da Harold Robinson, che abita un po' più in là, ma che sicuro non mi accoglieva con il fucile spianato.
«Chi? Lo sceriffo Donovan? Sei serio? Quello è capace di perdersi in casa sua. Ti immagini se chiamavo lui? Per quando arrivava, quel coso era già bell'e sparito. No, era meglio chiamare qualcuno con un po' di sale in zucca, e Harold Robinson è uno che c'ha tanto sale in zucca quanto né lo sceriffo Donovan né tu o io avremo mai, lasciamelo dire.
«Stavo già per ributtarmi nel campo di Daggett ma poi sento come una specie di fischio, come quello che esce dal becco di una teiera. Mi giro e vedo che la palla di ferro mezza sepolta nel terreno ha una specie di crepa giusto al centro, solo che non è una crepa. Sembrava più come se una lama era passata nel centro e l'aveva tagliata in due. Ho pensato subito che l'urto l'aveva spaccata. Solo dopo mi è venuto in mente che quando l'avevo guardata tutta intorno non ci aveva neanche un graffio, neanche una crepa così piccola che ci poteva passare un granello di sabbia dentro, ma in quel momento ero troppo sorpreso e non mi è venuto in mente.
«Mi sono fermato con le gambe che mi tremavano e il cuore che faceva bim-bum-bam che quasi lo potevi vedere picchiare contro il petto come se voleva uscire e darsela a gambe. Volevo lanciarmi nel campo di Daggett e scappare via, ma i piedi non volevano saperne di muoversi. Da dentro la sfera è uscita una luce che era viola come le nuvole quando i raggi del sole ci sbattono sopra al tramonto, e ho pensato che stavo per morire. 'Ė finita, vecchio', mi sono detto. 'Raccomanda l'anima a Dio e cerca di non fartela nei calzoni mentre quella luce ti arrostisce'. Ma non mi ha bruciato, anche se forse sarebbe stato meglio. Almeno ora non mi verrebbe da tremare come un cucciolo quando scende la notte e la luce del sole colora le nuvole come il velluto viola dentro una bara.
«A volte mi viene da chiudere le imposte, perché se sto a guardare quei colori troppo a lungo rischio di fare quell'incubo dove Miranda mi chiama con quella voce strana, come se ci avesse la gola piena di terra. La notte scorsa ho sognato che andavo nel camposanto e la trovavo lì, in piedi davanti alla sfera che le sputa addosso quella luce viola, con il sole che tramonta in lontananza. Io le chiedo che ci fa là, come se non so che dovrebbe stare sottoterra. Lei si gira e ha la faccia che si va sciogliendo.
«Scusami Henry, ma ho bisogno di altre due dita di whiskey. Me le verseresti? Grazie, sei un bravo ragazzo. Forse un po' debole quassù in cima, ma di buon cuore.
«Quella luce non mi ha bruciato. A dire la verità non ha fatto niente se non mandare nell'aria raggi sottili come punte di matite, che hanno iniziato a disegnare. Ho visto la forma di un omino alto come un nanetto da giardino che si formava. Pian piano sono comparsi gli occhi, il naso e la bocca, ma non erano come quelli che abbiamo noi. Dove doveva starci il naso ci stavano due piccoli buchi, talmente stretti che non ci potevi infilare uno spillo. Sembravano disegnati sulla faccia. La pelle era grigia, ma in certi punti sfumava in un verde che mandava riflessi brillanti sotto la luce della luna. Gli occhi...
«Qui devi versare un po' più di due dita se vuoi che vado avanti. Non essere avaro, fai il pieno e aspetta che lo butto giù.
«Così va meglio. No, basta così per ora. Forse quando finisco me ne scolo dell'altro, ma grazie, anche se lo so che non lo fai per me ma per sentire come va a finire la storia.
«Li ho sognati quegli occhi, piantati sulla faccia di Miranda mentre si gira verso di me e mi sorride con quella bocca che si scioglie. Erano neri come petrolio e più li guardavo, più mi chiedevo se quell'omino ci aveva un'anima o se dentro era tutto vuoto e nero come i suoi occhietti. Mi ha guardato mentre la luce viola dietro di lui la piantava di disegnare nell'aria e il taglio nella sfera si richiudeva e, giuro su Dio, mi ha parlato, ma senza muovere quel taglio sottile che ci aveva al posto della bocca.
«Dalla tua faccia capisco che stai aspettando di sentire il resto, e penso che ormai sono andato troppo avanti per fermarmi, vero? Ma fammi dire che se non hai creduto a una parola di quello che ti ho detto fino a ora, è difficile che credi a quello che ti sto per dire.
«Quando l'ho guardato negli occhi ho sentito i suoi pensieri. Era come se venivano dal mio cervello, come se ero io a pensare quelle cose, ma sapevo che era lui che me li cacciava dentro. Ho visto il posto che è casa sua, un posto che è come un deserto ma che sotto nasconde tante gallerie e tanti affari come quello che è venuto giù dal cielo tutto sparato come una palla di cannone. Li ho visti come se stavo facendo un sogno vivido e il sangue mi è diventato ghiaccio, perché ce n'erano tanti che a contarli perdevi la ragione, e alcuni erano molto più grandi di quello che si è schiantato nel camposanto. Stavano sospesi per aria come se ci avevano un filo che li manteneva, ma non era così. Quelle diavolerie volano anche quando stanno ferme, perché loro hanno scoperto il modo di farla in barba alle leggi di gravità. Quegli affari che usano per andarsene a zonzo fra le stelle sparano radiazioni che ti bruciano la pelle e ti mandano in fumo i capelli, e per volare sfruttano i campi magnetici presenti in tutto l'universo.
«Vedo dalla tua faccia che ti stai chiedendo come so queste cose. Le so perché le sapeva lui. Quando mi è entrato in testa, per un momento quello che sapeva lui è diventato quello che sapevo io e viceversa, anche se quello che so io ce lo puoi scrivere su un'unghia e avere ancora abbastanza spazio per metterci il Padre Nostro, mentre per quello che sapeva lui forse non bastava tutta la carta del mondo. Qualcosa mi è rimasto, come puoi vedere, anche se è confuso come un sogno. Penso che tempo un altro giorno e non ricordo più niente di quello che mi ha sparato nella testa. Merito dei settanta e passa anni che ci ho. Se ci avevo la tua età, Henry, probabile che facevo prima a spararmi un colpo in testa. Quel deserto che mi ha fatto vedere e che era casa sua stava sotto un cielo di un nero come se qualcuno ci aveva passato sopra una mano di vernice per farlo ancora più scuro. Non ho mai avuto una fifa come quella che mi è presa quando ho visto quel cielo pieno di quelle patacche brillanti, grosse come la luna, che pareva dovevano cadermi in testa da un momento all'altro.
«Spero che questa trappola che ci ho dentro la testa me le fa dimenticare in fretta, come mi ha fatto dimenticare tante altre cose, compreso il volto di Miranda. Quello vero, non quello degli incubi.
«Mentre guardavo quel cielo ho sentito un rumore che pareva un raglio. Ho girato la testa e ho visto che nella terra si apriva una buca tonda, e poi uno di quelle palle d'acciaio è sbucata fuori come il muso di una talpa. È uscita per metà e si è fermata. Poi ho sentito un suono basso che somigliava al motore lontano di un aereo. È cresciuto piano e all'improvviso quel coso è schizzato via come se lo aveva sparato fuori un cannone. Poi sono entrato nella nave spaziale. Ho viaggiato con lui, Henry, ci credi? Sono stato i suoi occhi mentre guardava le stelle che se ne stanno lassù come diamanti sul velluto nero di un gioielliere. Ho attraversato tempeste di sassi grossi come questo bar e anche più grandi, evitandoli veloce come un insetto che evita la mano che prova a spiaccicarlo. Ho visto la Terra come te la fanno vedere alla tele quando va in onda uno di quei programmi sullo spazio. L'ho vista venirmi contro e diventare sempre più grande, ma ero io, o meglio era lui e quella sua nave spaziale che gli andavano contro. Ho bucato le nuvole e sono venuto giù più veloce di un proiettile. I continenti sono diventati città in un batter d'occhio, e alla fine stavo precipitando verso il camposanto, mentre gli strani macchinari che stavano dentro la nave facevano andare le loro luci colorate a tutto spiano.
«Ed è stato in quel momento che mi sono svegliato come da un sogno. Mi sono guardato attorno come se non sapevo cosa ci facevo lì, pensando per un secondo che avevo camminato nel sonno e avevo sognato tutto, ma quando l'ho visto davanti a me, lui e quella palla di ferro, ho capito che non era stato un sogno.
«C'era però qualcosa di diverso nell'omino, anche se non ho capito subito che cosa. Poi mi sono accorto che la pelle non ci aveva più quei riflessi brillanti di prima. Anche gli occhi erano cambiati, e di quello me ne sono accorto appena li ho guardati. Erano diventati bianchi.
«Che cosa gli era successo? Lo sapevo che non eri buono a far girare veloce gli ingranaggi che ci hai in testa, Henry, ma pensavo che almeno questa la capivi da te senza bisogno che ti aiutavo.
«Stava morendo. Penso che era rimasto ferito nello schianto. O forse aveva semplicemente esaurito il suo tempo come succede a tutti, e probabile che moriva lo stesso anche se non usciva da quell'affare.
«È caduto lungo disteso mentre provava a spararmi nel cervello un altro di quei sogni a occhi aperti. Dopo che è crollato a terra sono rimasto lì a guardare lui e quella sua nave spaziale per un'eternità. Quando gli sono andato vicino e ho visto che ci aveva gli occhi chiusi e la bocca aperta, là ho capito che era morto. Mi ha fatto tanta pena e a pensare che era solo mentre moriva, lontano da casa, mi è venuto da versare una lacrima.
«Come? Scusa, la mia mente se n'è andata a spasso per un momento. Perché è uscito dalla nave? È questo che mi hai chiesto? Penso che lo ha fatto per lo stesso motivo che spinge un vecchio come me, o uno non più tanto giovane come te, a mettere su famiglia. Non voleva morire solo come un cane. E prima di morire ha provato a parlare con questo vecchio.
«Mentre me ne stavo là, sotto la luna, con l'ombra di quella nave spaziale che oscurava il corpo dell'omino, ho sentito che non lo potevo lasciare così, come uno stronzo di cane in mezzo alla strada. Che se ero io al suo posto volevo che mi davano una sepoltura. Così ho fatto retromarcia, mi sono rituffato nel grano e via di corsa fino a casa. Sono arrivato che ci avevo il fiatone, ma mi sono fermato giusto il tempo di ricordare dove avevo messo la vanga dall'ultima volta che l'avevo usata. Ho pensato che poteva stare nella stalla e sono andato a vedere. Non ero convinto che la trovavo perché a volte capita che sono sicuro che una cosa sta in un posto, ma quando vado a vedere quasi sempre non c'è, ma stavolta era proprio là. L'ho presa e mi sono tuffato nel campo di Daggett, buttando per aria il mais e, che resti fra noi, mi è piaciuto un sacco, perché pensavo alla faccia di quel brontolone quando la mattina dopo lo trovava in quello stato, come se qualcuno aveva fatto andare una falce in lungo e in largo. Ero sicuro che appena vedeva il disastro prendeva il fucile e piombava in città a cercare chi gliel'aveva combinata, senza sapere che gli bastava venire alla fattoria accanto alla sua.
«Quando sono arrivato al camposanto ho avuto paura che se prendevo a scavare senza prima riprendere fiato, facile che al posto mio la fossa per l'omino ce la scavava il becchino la mattina dopo, e ne faceva una anche per me. Così ho piantato la vanga nel terreno e mi ci sono appoggiato ad aspettare qualche minuto, il tempo che questo vecchio motorino che c'ho nel petto la smetteva di scalpitare come un toro imbizzarrito.
«Quando ha rallentato ho tirato fuori la vanga e mi sono incamminato in fondo, nella parte di camposanto che sta vicino a Wood Road. Mentre camminavo mi sono fermato un attimo per prendere uno dei rami sottili che una lapide aveva spezzato quando quell'affare l'aveva fatta volare sull'albero, così che dopo che seppellivo l'omino potevo segnare la tomba. Ho trovato un posto che mi è sembrato buono. Il terreno era morbido, facile da spalare anche per un vecchio come me, così ho cominciato.
«A stare lì, con la luna che disegnava le ombre tutt'intorno, mi sentivo come uno di quegli scombiccherati di cervello che vanno a far buche nei cimiteri per rubare cadaveri. Mi è venuto da ricordare il giorno del funerale di Miranda, quando hanno calato la sua cassa nella buca. Ė l'unica cosa che ricordo di quel giorno.
«Mentre scavavo vedevo la mia ombra alta due metri che scavava con me, e ho pensato che anche lei aveva il suo bel daffare quella notte. È strano quello che ti passa per la testa in certi momenti. Adesso mi viene da pensare che, dopo tutto quello che ho visto, è già tanto se non sono uscito fuori di zucca.
«Non so quanto ci ho messo a scavare quella fossa, ma quando ho guardato la mia ombra mi sono accorto che non era più alta come prima. Ho lasciato la vanga nella buca e sono tornato indietro. Mi preoccupava dover trasportare il corpo dell'omino, ma mi sono detto che se ripigliavo fiato come avevo fatto prima, forse ce la facevo. In fondo non era molto più grande di un bambino di tre o quattro anni.
«Mentre tornavo indietro mi sono fermato un secondo davanti alla lapide di Miranda. Mi sono inginocchiato e ho letto il nome sulla pietra. Ci ho passato sopra le dita, e per un momento mi è sembrato di ricordare il suo viso, il modo che ci aveva di tirare in fuori il labbro quando era imbronciata e come si legava certe volte i capelli. Ė durato solo un secondo, ma è stato il secondo più felice dal giorno che è morta.
«Passami un fazzoletto, vuoi? Devo togliermi un po' di polvere dagli occhi. Grazie. Sei un bravo ragazzo, Henry. Se ci avessi un figlio adesso avrebbe la tua età, e a quest'ora forse eravate amici.
«Quando sono tornato dov'era la nave spaziale mi si è fermato il cuore, perché sembrava che l'omino era sparito. Poi mi sono accorto che l'ombra che faceva la nave lo nascondeva e, nel momento che mi sono avvicinato, ho visto che era ancora al suo posto. Naturale, dove altro poteva stare? Mai saputo di uno che è morto e cinque minuti dopo se ne va a spasso. Ho fatto per prenderlo ma mi sono accorto che non ce la facevo. Avevo paura che, nel momento che lo toccavo, si svegliava e mi trascinava dentro quella palla di ferro. Una voce mi ha detto che bene facevo ad andarmene subito. Ma ce n'era anche un'altra, che somigliava a quella di Miranda, che mi diceva che dovevo andare fino in fondo, che non era giusto che lo lasciavo lì come un procione messo sotto da un'auto.
«Ho allungato la gamba e l'ho toccato con la punta della scarpa. Era più morto di quelli che concimavano il terreno sotto di noi. Mi sono abbassato sulle ginocchia e l'ho sollevato mettendogli una mano dietro la nuca. Aveva la pelle ruvida. Non mi piaceva toccarlo, ma l'ho tirato su lo stesso. Poi mi sono messo in marcia per tornare alla fossa.
«Mentre camminavo mi è venuto da chiedermi cosa poteva pensare qualcuno se mi vedeva in quel momento mentre me ne andavo a zonzo per il camposanto con quell'aborto tra le mani. Per grazia di Dio c'era solo la luna, quella notte, che stava a guardare.
«Quando sono arrivato alla fossa l'ho poggiato per terra, ho tirato fuori la vanga e mi sono calato giù piano. Non era molto profonda, e neanche molto larga. Sprofondavo fino alle ginocchia, così ho potuto allungarmi e prenderlo per poggiarlo sul fondo. L'ho poggiato più piano che potevo e mi sono tirato fuori. Ho preso la vanga, ho cominciato a spalare la terra che avevo ammucchiato lì accanto e, mentre riempivo la fossa, ho sentito una voce che mi chiedeva: chi stai seppellendo, George? L'omino o Miranda? Sembra una domanda scema, perché Miranda era sepolta poco più in là e lo sapevo, ma in quel momento non mi è sembrata scema proprio per niente.
«Quando ho buttato anche l'ultimo mucchio di terra ho sentito che me lo chiedeva ancora, e ho capito che stavo davvero seppellendo Miranda. La stavo seppellendo per sempre. 'Addio, Miranda', credo che ho detto, o forse l'ho solo pensato. Poi ho lasciato cadere la vanga. Forse piangevo. Non sono sicuro, il ricordo di quella parte è un po' confuso.
«Dopo ho preso il ramo e l'ho conficcato sopra la tomba dell'omino. Pensavo che si meritava almeno una croce, e stavo pensando di andare a prendere un altro legno per farne una, ma poi mi sono detto: sei proprio un furbastro, George. Pensa che succede quando scoprono che è spuntata una tomba che non è segnata da nessuna parte e non ci ha nemmeno una croce come si deve. Sicuro che vanno a scavare per controllare chi ci sta sepolto, e allora ti immagini la sorpresa? Allora ho lasciato le cose come stavano e ho tirato via anche il ramo. Sapevo che non ci sarei più tornato lì e non aveva senso lasciarcelo, così che chiunque poteva farsi venire qualche sospetto. Ho ripreso la vanga e mi sono incamminato verso la palla d'acciaio, ma quando stavo per arrivare mi sono accorto che c'era del movimento e mi sono nascosto dietro una lapide. Il resto lo sai, e se adesso ti va di chiamare la casa dei matti più vicina, fai pure.
«Che? Non esiste al mondo che ci metto piede di nuovo in quel camposanto, te l'ho detto. L'unico modo che hai di vedermi rimettere il naso lì è dentro una cassa di legno. E puoi continuare a punzecchiarmi fino a consumarti la lingua, ma io non ci vado. Se vuoi, cercatela da solo quella tomba. Ti ho detto dove sta, e se ci hai abbastanza cervello per ritrovare la strada di casa dovresti avercene anche per trovare quel mucchio di terra. Ma che non ti salti in mente di fare qualche stronzata. Guai a te, Henry. Se provi solo a mettere la pulce nell'orecchio a uno di questi bifolchi, giuro che vado dritto da Daggett e gli dico che se vuole trovare chi gli ha messo sottosopra il suo campo non ha che da andare alla fattoria Reynolds.
«I morti devono essere lasciati in pace. E se vuoi fare qualcosa di buono per la prima volta nella tua vita, dimentica questa brutta storia. Non dovevo raccontartela, ma avevo bisogno di togliermela dalla testa prima che mi avvelenava l'anima, e quando ti ho visto arrivare mi è uscita fuori. Anche se... non è solo per questo che te l'ho raccontata. Oggi mi sono addormentato e ho fatto un sogno. Non era uno di quelli soliti dove Miranda grida dalla tomba che presto verrà a prendermi. Ero in mezzo al deserto, quello dove abitava l'omino, e guardavo quel cielo pieno di stelle così grandi e vicine. Mentre me ne stavo lì, a pensare che da un momento all'altro una di quelle patacche poteva cadermi in testa, ho sentito quel raglio. Dopo il primo ne ho sentito un altro e poi un altro ancora, fino a che sono diventati tanti che sembravano una carovana di asini. Dal terreno sono uscite tante sfere che non si riusciva a contarle. Luccicavano come tante pelate quando ci sbatte sopra la luce. Poi sono partite come missili, e allora mi è successo di nuovo come la prima volta. Mi sono ritrovato dentro una di quelle diavolerie. Ho superato di nuovo tutti quei sassi che rotolavano nel niente, e ogni volta che sembrava che uno stava per colpire la nave, quella scattava via talmente in fretta che mi girava la testa. Poi ho visto la Terra.
«Stanno venendo a prenderlo, Henry. Spero che riesco a tirare avanti ancora per un po', così che quando vengono possono vedere nella mia testa quello che è successo e sapere che non è stato uno di noi a ucciderlo. Ma se quando arrivano sono già sottoterra, allora devi essere tu ad andare a riceverli, così possono guardarti in testa, sapere la mia storia e che non l'abbiamo ucciso noi. Giurami che lo farai, Henry, promettimelo su tua moglie e su quella piccola creatura che porta in pancia. GIURA!
«Va bene, ti credo. Penso che non posso fare molto altro che fidarmi. Adesso versami un altro po' di quella roba. Scoliamocela tutta e dimentichiamo questa faccenda, almeno per un po'. Ma ricorda, Henry. Ricorda cosa ti tocca fare quando li vedi cadere dal cielo come una pioggia di grandine. E che non ti venga in mente di svignartela all'ultimo, perché quant'è vero Iddio mi tiro fuori dalla fossa e ti trascino per i capelli. E adesso versa un po' qui.
«Vai via? Sì, si è fatto tardi, tua moglie si starà domandato dove sei finito. No, grazie, resto a scolarmi un altro po' di questa roba e torno a piedi.
«Sicuro che ce la faccio. Posso ritrovare la strada di casa anche imbottito di alcool come un barile e con un occhio solo, se mi va. Adesso togliti dai piedi. Tua moglie ti starà aspettando, e non è gentile far aspettare una signora. E se ti viene quel particolare prurito, ricordati che Bob Grilletto Facile Daggett è a un tiro di schioppo. Mi basta una telefonata. Se ci hai più che acqua in quella zucca, farai bene a tenerlo a mente.
«Boymans! Porta qui quel culo grasso. E vedi di muoverti, non ho tutto il giorno.
«To', prendi i tuoi soldi e non provare a guardarmi storto, non provarci neanche, o quant'è vero Iddio ti tiro dietro la bottiglia. Ti ho dato quanto meriti, e se non ti sta bene ricordati in che stato è il cesso e ringrazia che non sono uno che si fa saltare la mosca al naso come quel pallone gonfiato di Daggett, perché sennò a quest'ora stavi già a pregare in ginocchio uno di quegli ispettori perché non ti chiudeva la baracca.
«Che? Meglio che me ne torno a casa prima che cambio idea. Sei capace di far perdere la pazienza a un santo, tu, con quel brutto muso che c'hai e quella maniera di ridere che sembra il verso di un maiale mentre si rotola tutto contento nella sua merda.»
* * *
Il vecchio uscì dal bar e si fermò sotto il portico a rimirare il cielo. Il sole si inabissava dietro i campi, dove il mais cresceva rigoglioso. La luna era un pallido fantasma che iniziava a mostrarsi. Il vecchio contemplò quello scenario per un istante. L'immagine un po' appannata della sfera e del suo pilota, quello che per lui era l'omino venuto dalle stelle, pareva diventare più nitida via via che la luce del giorno cedeva il passo alla notte.
Ripensò al solco lasciato dalla sfera e che sembrava essere stato scavato dal dito di un gigante, alla navicella che si apriva e all'omino che appariva dal nulla. Ripensò a quando l'aveva trasportato per il cimitero e infine seppellito. Ma soprattutto ripensò alle centinaia di navicelle che in quel momento erano in viaggio verso la Terra.
Dita gelide gli carezzarono la nuca e il vecchio tremò. Prese a scendere gli scalini artigliando il corrimano, come per paura che le ginocchia potessero cedere da un momento all'altro, e con passo traballante si avviò verso casa.
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