Controllo delle nascite
Continuava a occhieggiare la porta del bagno. Ginny era chiusa lì dentro da venti minuti. Non un suono da quando s'era chiusa la porta alle spalle. Robert sentiva solo il chiacchiericcio della tv in salotto. L'aveva lasciata accesa prima di seguire Ginny in camera da letto.
«Ti aspetto qui», le aveva detto e s'era seduto sul bordo del letto.
Ora aspettava con le mani tra le gambe. I talloni erano sollevati e la gamba destra andava su e giù in spasmi nervosi. Robert guardò l'orologio al polso. Perché ci metteva tanto? Udì un rumore, il primo da quando Ginny era entrata, e subito si voltò. La porta si aprì. Ginny uscì e aveva una faccia... Guardò Robert, che s'era alzato, e non parlò. Quegli occhi che lo fissavano erano insopportabili, tanto che lui quasi sbottò. Si impose di calmarsi e chiese: «Allora?»
«È verde», disse lei.
«E che vuol dire?»
«Sono incinta.»
Lui si lasciò cadere sul letto. Diavolo... incinta. Sarebbe stata una bella notizia, se non fosse che era contro la legge.
«Che facciamo?» chiese Ginny dalla soglia del bagno. «Se lo scoprono...»
Non terminò la frase. Non ce n'era bisogno. Entrambi sapevano bene cosa accadeva a chi metteva in cantiere un pupo senza autorizzazione governativa. La Legge sul controllo delle nascite, nata per combattere il sovrappopolamento, era molto chiara in proposito: al fine di evitare il collasso del pianeta, ogni gravidanza doveva essere autorizzata dal governo. Qualunque gravidanza non autorizzata comportava l'arresto della neo mamma. I Segugi ti prelevavano e ti portavano in una struttura apposita. Lì un macellaio eliminava il frutto della gravidanza clandestina e privava i neo genitori della capacità di generare altre vite.
Ginny raggiunse Robert, che stava con un gomito poggiato sulle cosce e la mano a sostenere la fronte e i pensieri che vi circolavano dietro. Sedette accanto a lui e gli posò una mano sulla schiena. Lui le mise una mano sulla coscia. Ruotò gli occhi e vide che Ginny stringeva in mano quella specie di termometro che le aveva comprato in farmacia. C'era una linea verde nel mezzo.
«Abbiamo parlato tante volte di cosa avremmo fatto se ci fosse capitato», continuò Robert.
«E hai cambiato idea?» chiese Ginny.
La guardò, sorpreso e anche un po' offeso. «No, e tu?»
Ginny scosse la testa e tentò un sorriso. Poi gli posò la testa sulla spalla mentre continuava ad accarezzarlo.
«Dovremo lasciare tutto», disse lui.
«Lo so.»
«Saremo fuggitivi. Fuorilegge. Il governo ci braccherà come animali rabbiosi.»
«Stai cercando di spaventarmi?»
«Sto cercando di farti un quadro realistico della situazione. Potrebbero prenderci mentre cerchiamo di fuggire e sai cosa ci farebbero.»
«Lo so.»
«E...?»
«E non mi importa.»
Lui le carezzò ancora la coscia, poi disse: «Devo fare una telefonata», e si alzò per tornare in soggiorno. Ginny lo udì parlottare, ma il chiacchiericcio della tv le impedì di capire cosa diceva. Mentre attendeva che tornasse, si rigirò tra le mani quella specie di termometro. Poco sopra la striscia verde era apparso un faccino rotondo e sorridente con un fiocchetto sulla fronte. Robert tornò.
«Ho parlato con una persona che può aiutarci.»
Ginny si girò. Robert vide che sorrideva.
«Che c'è?» chiese.
«È una femminuccia.»
* * *
Un mese più tardi uscirono dall'appartamento e, mentre si chiudevano alle spalle la porta, provarono un vuoto allo stomaco. Non ci avrebbero più messo piede.
Robert decise di raggiungere a piedi il luogo dell'incontro. Mentre camminavano cominciò a piovere forte. La strada si trasformò in una pozzanghera. Le suole delle scarpe facevano ciac-ciac sull'asfalto. Per strada c'era poca gente. Quella che c'era camminava senza troppo badare alle valigie che si portavano appresso, affrettandosi per tornare a casa o per trovare un riparo momentaneo. Robert benedisse Dio che la mandava giù a secchiate. Le luci dei semafori, quelle dei lampioni, dei bar e dei club sembravano più intense e i colori più saturi, come se la pioggia avesse lavato via uno strato opaco che copriva il mondo. Robert ebbe una sensazione di premonizione mentre posava l'occhio su un'insegna al LED di un club. Le lettere erano di un blu così intenso che faceva male agli occhi. Il club si chiamava HEAVEN e l'angelo che sedeva sulla scritta strizzava l'occhio a Robert.
L'angolo tra la sesta e Grey Street era poco illuminato. Qualcuno aveva rotto le luci dei lampioni. Robert capì perché il suo uomo aveva scelto quel posto.
«Ci siamo», disse Robert.
Ginny si guardò intorno. «Dov'è?»
«Non lo so, forse siamo in anticipo.»
La pioggia formava una tendina semovente che rendeva difficile guardarsi intorno.
«Mettiamoci al riparo», disse Robert e condusse Ginny sotto un balcone.
Poggiarono le valigie e respirarono l'aria fredda della notte. In cielo la luna era un occhio enorme e spiritato che sorvegliava la città. Robert restò a fissarla per un tempo lunghissimo, finché Ginny non gli diede di gomito e disse: «Arriva qualcuno.»
Robert buttò un occhio in strada. Un uomo incappucciato si avvicinava, le mani nella tasca dell'impermeabile e la testa bassa. Si fermò un attimo a guardarsi intorno, li vide sotto il balcone e dopo un attimo di indecisione si avvicinò.
«Sei Langley?» gracchiò l'uomo.
Aveva una voce roca. La faccia incorniciata dal cappuccio sembrava scolpita nella pietra.
«Sì, e questa è mia moglie Virginia.»
L'uomo lanciò un'occhiata a Ginny, tirò su col naso e disse: «Andiamo.»
Si voltò e si infilò nel vicolo lì accanto. Robert e Ginny presero le valigie e lo seguirono. Il vicolo era buio e cieco, chiuso tra due edifici molto alti. In fondo c'era una sagoma che a Robert parve il muso di un'auto, coi fari e la griglia coperti dal buio. Il tizio che li precedeva aprì la portiera anteriore e una piccola luce illuminò l'abitacolo.
«Le valigie», disse a Robert.
Robert prese quella di Ginny e gliele passò. L'uomo le lanciò sul sedile posteriore senza troppo garbo.
«Non è meglio nel bagagliaio?» chiese Robert.
«Non si apre», tagliò corto l'uomo e montò alla guida.
Robert salì davanti e Ginny dietro, poi l'uomo chiese a Robert di pagarlo. Il denaro passò di mano e l'auto partì a fari spenti.
«Dove andiamo?» chiese Ginny con un filo di voce.
«C'è una navicella che ci aspetta», spiegò Robert. «Ci porterà via da qui.»
«Per andare dove?»
«Su un pianeta dove in molti si sono già rifugiati. Un posto dove la gente è libera di fare figli.»
«Che pianeta?»
Robert aprì bocca per rispondere, ma un grappolo di laser verdi si insinuò nell'abitacolo. Subito dopo il latrato di una sirena gli mozzò la lingua. Una luce blu lampeggiante sfarfallò alle spalle dell'auto. Ginny si voltò e vide oltre il lunotto su cui scorreva la pioggia due fari bianchi, sormontati da una luce blu che roteava e ululava.
«Che facciamo?» chiese Robert.
L'uomo alla guida non rispose e accostò. I fari e i lampeggianti gli si fermarono dietro. I vetri erano inondati e la pioggia bombardava il tettuccio. Sentirono il rumore di una portiera che si chiudeva, poi un impermeabile scuro comparve accanto alla portiera del conducente. Una mano guantata spuntò dall'impermeabile e un paio di nocche bussarono. L'uomo accanto a Robert abbassò il finestrino e la pioggia si intrufolò in auto. L'impermeabile si chinò e comparve la faccia incappucciata di un uomo. Due occhi freddi come ghiaccio scrutarono gli occupanti dell'auto. Si spostarono dall'uomo alla guida a Robert e poi andarono su Ginny, concedendo ad ognuno un paio di secondi.
«È un tempaccio per andarsene in giro», disse il poliziotto.
Guardò le valigie accanto a Ginny. Poi gli occhi color ghiaccio si spostarono sull'uomo alla guida. Robert pensò che se Dio aveva una faccia, probabilmente aveva quegli stessi occhi freddi e indagatori. Occhi in cerca di peccati nascosti.
«Secondo la scansione, questo veicolo non è registrato alla motorizzazione.»
«La scansione si sbaglia», disse l'uomo accanto a Robert.
«Mi faccia vedere patente e libretto», fece in tono duro il poliziotto. «E ho bisogno di vedere anche i documenti dei signori che viaggiano con lei.»
L'uomo si allungò verso il cruscotto, coprendo la visuale allo sbirro, lo aprì e ci infilò dentro la mano. Robert sentì un clic e capì cosa stava per succedere. L'uomo si voltò con un movimento fulmineo e un ringhio silenzioso dipinto sulle labbra. Lo scoppio risuonò come un boato. Robert sobbalzò e Ginny urlò. Una puzza di polvere da sparo invase l'abitacolo mentre il poliziotto sbarrava gli occhi e rinculava, le mani premute sulla pancia come se avesse il mal di stomaco. L'uomo si lasciò cadere la pistola tra le gambe, innestò la marcia e partì sgommando. Le ruote slittarono sul bagnato e l'auto partì sculettando. L'uomo la riportò dritta e lanciò diverse occhiate allo specchietto retrovisore mentre cambiava marcia e guadagnava terreno. Robert sentì uggiolare. Si girò e vide Ginny rannicchiata in un angolo, che si teneva il volto tra le mani e piangeva come un cucciolo appena nato. Si disse che doveva confortarla, ma non gli riuscì né di muoversi né di spiccicare parola. Era paralizzato. Frattanto l'uomo alla guida imprecava.
«Rottinculo... Che ci fanno in giro co' 'sto diluvio? Cazzo, che casino di merda...»
Robert lanciò un'occhiata al conducente, poi fissò la strada. Ginny continuava a uggiolare. La lunga striscia nera d'asfalto pareva allungarsi all'infinito. L'uomo alla guida augurò allo sbirro dagli occhi di ghiaccio di crepare e continuò a mormorare a intervalli regolari, come fosse da solo o parlasse con qualcuno che Robert e Ginny non potevano vedere. Dopo un po' Ginny smise di uggiolare. L'uomo svoltò per uscire dalla città e si involò verso le Badlands, terre desertiche e luogo di ritrovo per trafficanti e feccia varia. In lontananza le Twin Mountains apparivano e sparivano dopo ogni lampo. L'uomo svoltò lasciando il manto stradale e inoltrandosi nel deserto roccioso. L'auto cominciò a ballare sulle sospensioni. Poco dopo Robert adocchiò una sagoma grande e nera. I fari dell'auto la illuminarono, rivelando una navicella accoccolata nel mezzo di quel deserto frequentato da fuorilegge.
«Finalmente», disse l'uomo.
Accostò accanto alla navicella e aprì la portiera. Robert e Ginny smontarono. La pioggia li inzuppò seduta stante. Il portello della navicella era aperta. Sulla soglia c'era un tizio alto, che aspettava con le braccia incrociate. Accanto a lui c'era un robot, un vecchio modello senza gli innesti di pelle sintetica. Robert lo riconobbe: si trattava di un Eddie.
Raggiunsero di corsa la navicella, misero la testa all'asciutto e l'autista disse al tizio alto: «Ci hanno fermati.»
«Gli sbirri?» chiese il tizio alto.
L'uomo annuì. «Volevano vedere i documenti.»
«E tu che hai fatto?»
«Ho sparato.»
«Cazzo... Sbarazzati dell'auto. Poco distante da qui c'è un dirupo. Vai verso ovest. Te lo vedi sbucare davanti.»
L'uomo girò i tacchi e tornò all'auto di corsa, coprendosi mentre la pioggia lo bombardava. Il tizio alto si rivolse a Robert e Ginny. «A bordo ci sono tre Eddie. Nessun essere umano. Riduciamo i rischi al minimo. In giro ci sono spioni pronti a vendere la madre per un tozzo di pane. Vi porteranno a destinazione.»
«Grazie», fece Robert.
«Andate e moltiplicatevi», disse il tizio e mollò a Robert una pacca sulla spalla. Poi si rivolse al robot: «Ferraglia, portali via.»
«Prego, seguitemi», disse l'Eddie con una voce metallica.
Il tizio alto schizzò via e il portello si chiuse. L'Eddie prese i bagagli e mostrò a Robert e Ginny le capsule di ibernazione sistemate all'in piedi contro una parete della navicella. Sembravano bare trasparenti con grossi cavi attaccati ai lati e sulla sommità. Robert e Ginny entrarono, l'Eddie li sigillò all'interno e augurò loro buon riposo.
Dormirono e non sognarono.
Il ronzio della voce robotica li svegliò. Robert aprì gli occhi e trovò l'ammasso di ferraglia in piedi di fronte a sé. I portelli delle capsule erano aperti. Robert e Ginny uscirono, ancora un po' intontiti, e si sgranchirono i muscoli. L'Eddie li informò che erano quasi arrivati e che li aveva svegliati prima per dar loro il tempo di riprendersi dal lungo sonno.
«D'accordo, grazie», fece Robert.
«Dalla plancia si gode un'ottima vista», li informò l'Eddie.
Robert si rivolse a Ginny: «Ti va?» e quando lei annuì disse al robot: «Facci strada.»
Il mucchio di ferraglia li scortò sino alla plancia. Oltre i macchinari che governavano la nave e i diversi robot che si assicuravano del loro corretto funzionamento c'era un finestrone panoramico spesso e largo. Sospesa nel nero punteggiato di stelle c'era una palla verde e blu.
Ginny mormorò: «È bellissimo... come si chiama?»
«Quella è la Terra», disse il robot.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top