IMPLOSIONE

Ti aspettai con ansia, al settimo cielo: mai ebbi nella vita ciò che veramente volevo.
In te vidi la perfezione che vince il tempo, la compiutezza alla quale da sempre anelavo.
Al tuo cospetto, ogni tessera del mosaico avrebbe trovato incastro, il corso della vita avrebbe avuto un senso e un seguito.
Come uno sposo ti attesi all'altare per alzare il tuo velo e ammirare la tua superba bellezza, a cui io, mortale, potevo infine partecipare.
Ma quando giunse il momento, ti presentasti sfregiata dall'infedeltà indotta dall'altrui incuria, menefreghismo e faciloneria ed io, guardando il tuo viso, mi vidi allo specchio, perché insieme a te, deturparono anche me.
Vidi l'oltraggio del sudore e delle lacrime, la mortificazione della speranza di salvezza, le trame di quel positivismo che tempo addietro mi fece rinascere a nuova e luminosa vita, ormai ridotte a un filo spezzato.
Una bomba mi esplose dentro: l'implosione ovattata dell'anima, un collasso interiore.
Il mio cuore era in frantumi, un nodo alla gola che non lasciava proferire parola mai più si sarebbe sciolto, al contrario del silenzio di ghiaccio che non durò molto.
Iniziarono infatti a ridere gli invitati a nozze, di me e della loro miseria, della nostra comune nullità.
Tacque il cielo che avrei voluto ringraziare senza alcuna disforia per la sua giustizia, mentre i demoni che mi avevano fatto lo sgambetto, godendo come porci, mi prendevano a sputi, compiaciuti nell'avermi colpito dove faceva più male.
Ero di pietra, guardavo attonito i tuoi occhi che mi imploravano in lacrime di accettarti per quella che ormai eri: difettosa, non più tu, non più quel simbolo sacro che rappresentavi.
Mi avevi tradito e dopo inverni di lotta e di logorante attesa, di compromessi e rinunce, io non ero disposto a scendere a patti.
Chi non capì che lei fosse il coronamento della mia ultima possibilità di risollevarmi dalle macerie, mi disse che ero un egoista capriccioso.
Io però non avevo nient'altro che lei, perfetta ovvero fatta-per-me in quanto ordine portatore di significato, per la quale anche a quel poco che possedevo rinunciai.
L'amore va a braccetto con l'idealizzazione: non ci si innamora del brutto, della dissonante disarmonia, ma del bello, e lo scarto tra i due può essere davvero sottile, in una cura dei dettagli che in me non era pignoleria, ma aveva antiche e profonde radici.
Solo nella contemplazione dell'ideale avrei potuto smarrirmi, dimenticandomi della sofferenza.
Quando raggiunsi l'amara consapevolezza che non potevo più amare me stesso e questo corpo deciduo, non mi restò che trasferire con fatica la mia essenza in qualcosa di astratto e immortale che proiettavo si di lei.
Emisi il grido sordo della delusione e ancora oggi mi perseguita la sua eco mentre penso a come ti abbandonai all'altare, sforzandomi di non voltarmi.
Non mi aspettavo di certo di essere glorificato tra gli applausi e nemmeno le chiesi la Luna; soltanto di custodire con amorevole cura il piccolo oggetto prezioso che le donai: promessa infranta.
Il sacrificio fu vanificato, la tela bruciata, la statua abbattuta, la divinità profanata: il sangue che versasti su quell'altare era anche il mio, le tue cicatrici rimarranno indelebili su di me, per sempre.
Appena ebbi l'illusione d'averti e di celebrare la nostra unione, subito dovetti tentare di dimenticarti e di colmare un vuoto talmente spinto da risucchiare ogni brandello di ciò che ero.
L'esaltazione del sogno si infranse contro l'assurdo caos della realtà che invano cercai di controllare al millimetro, perché per una volta le cose andassero come dovevano, nel modo più crudele e definitivo.
Mi assalì il dubbio di aver puntato ancora una volta tutto sul cavallo sbagliato: eppure non vi sono altri modi per mirare alle stelle.
Qualcuno ha detto che la precaria felicità sia un vaneggiamento: allora perché il dolore che paralizza e l'amarezza di non poter tornare indietro sono così reali e persistenti?
Mi hanno defraudato di ciò che mi era più caro: l'ira che ne consegue, che contorce le viscere, che non conosce cura, per cui le parole di conforto sono soltanto un placebo, o muta, o distrugge.
Mentre portavo la mia croce in cima al monte, una scheggia mi è entrata nel fianco e nemmeno la mia anima potrà riposare in pace.
La scienza irreprensibile e l'amore salvifico hanno fallito con me, mentre l'entropia della trascuratezza ha trionfato in parte anche a causa mia, per cui dovrò comunque convivere con un senso di colpa corrosivo.
Eppure, più stringiamo a noi le cose a cui teniamo, più rischiamo di perderle, e io ho perso l'occasione di veder cristallizzata la mia parte migliore come impulso per auto-superarmi e andare avanti in questo percorso a ostacoli.
Se c'è una cosa che ho imparato però, è che è stata l'ansia di un'attesa snervante a fregarmi e che nemmeno si può remare controcorrente senza perdere la lucidità e le forze.
La visione d'insieme fa perdere i dettagli, e i dettagli fanno perdere la visione d'insieme: sarebbe la sincronia dell'azione con il giusto tempismo la soluzione, tuttavia ardua, perché la vita può dirti che purtroppo stavolta tocca a te, mentre ciò che ardentemente desideri non ti toccherà mai in sorte.
Meglio non aspettarsi nulla, meglio non fare rinunce e godersi l'attimo, perché non ne vale la pena, sostengono in molti: allora mi chiedo quale sia il senso dello stare al mondo se risulta impossibile costruire alcunché di durevole e unico come la nostra persona, come la nostra irripetibile esistenza, e nel quale rifletterci.
Forse davvero non resta che lasciarsi andare, fatalisti, senza nulla chiedere, senza opporsi all'imprevedibile vita che a sorpresa colpisce, abbandonandosi a quella Volontà, imperscrutabile o insensata che sia, che tutto governa.
E seguire la corrente, verso il mare.

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