81.

Era arrivato il momento.

Era strano pensare che non fosse passato poi così tanto tempo dal giorno in cui Carter entrò, vestito come un rapinatore, nel negozio del signor Hamilton. Il giorno in cui superai la Valutazione sembrava lontano un'eternità; da lì erano seguiti una serie infinita di eventi che mi avevano portata fino a quel preciso istante. Era passato meno di un anno da quando ero fuggita insieme a Lili da Beehive. E adesso stavo tornandoci per mettere fine ad ogni cosa. Era l'ultima mossa della scacchiera.

Seduta sotto l'albero di Lili, non potei fare a meno che ripercorrere ogni istante che, da quando avevo raggiunto i Ribelli fuori dalle mura, mi aveva cambiata: la brutale uccisione dei miei fratelli, il voltafaccia e la morte di Lili, la scoperta degli Automi, le torture di Dorian e la perdita di Samshara. Mi sentii attanagliare lo stomaco. Non riuscivo a spiegarmi come fossi riuscita a sopravvivere a tutto quel dolore, a tutta la disperazione che montava crudele nel mio petto ogni volta che chiudevo gli occhi. E sapevo, lo sapevo nel profondo, che non era ancora finito. Non riuscivo a trovare la forza di stringere i denti un'ultima volta ma allo stesso tempo non riuscivo a trovare la forza per non farlo.

Ma non c'erano state solo disgrazie. Ripercorsi, come se fosse successo il giorno prima, la passeggiata con Carter nel vigneto del villaggio numero "4", il bacio sotto le stelle e la notte su uno dei tetti perimetrali, notte che ancora sapeva di sidro al mango.

Ecco cosa mancava in quell'ultimo crepuscolo che precedeva, scandito tra un rintocco e l'altro, l'attacco a Beehive: mancava il sidro al mango.

Il pensiero della battaglia che mi attendeva mi fece venire le vertigini, il sangue prese a pompare più veloce nelle vene, la vista mi si annebbiò e non riuscii a reprimere il primitivo impulso di vomitare.

Mi piegai in un angolo e mi liberai di quel poco cibo che ero riuscita a mandare giù.

– Stai bene? – Carter apparve come un ombra da dietro una grande pianta sempreverde.

– Si, sono apposto. Solo... solo un attacco d'ansia, nulla di preoccupante. – dissi con imbarazzo, intanto che con il dorso della mano mi ripulivo alla svelta.

– Andrà bene, – disse lui – troveremo il modo di cavarcela anche questa vol...

– Ti prego, non dirlo. – lo interruppi.

Carter allungò la mano, mi afferrò per un polso e mi tirò tra le sue braccia.

Legna, legna in una gelida notte d'inverno.

Sotto il petto marmoreo, riuscii a sentire il battito calmo e regolare del suo cuore. Carter affondò in viso nei miei capelli arruffati e lo percepii sorridere.

– Cosa c'è? – chiesi.

– Pensavo che questa potrebbe essere la nostra ultima notte. – disse con tono melodrammatico – Forse potremmo pensare di darci alla pazza gioia.

Gli assestai un colpo tra le costole che lo fece piegare in due: – Ti sembra il momento? Sei proprio un idiota. – dissi.

Lui, fingendosi mortificato, alzò le braccia in segno di resa. Quelle sue splendide fossette tradirono la sua recita.

Mi feci sfuggire un sorriso e lo tirai di forza a me. Posai le mie labbra sulle sue e feci scivolare le mani sui lembi della sua maglia. La tirai via e lasciai che lui mi imitasse.

– Julia... – sussurrò – ti suonerà banale ma ho bisogno di dirtelo ora e in questo momento. Ti...

– Non dirlo. – lo interruppi di nuovo.

Quelle parole avevano il sapore di un addio e non potevo sopportarle.

– Va bene. L'importante è che tu lo sappia. – sussurrò tra i miei capelli, dopo avermi stretta di nuovo al suo petto.

– Anche tu lo sai. – risposi.

Le sue labbra scivolarono nell'incavo tra io mio collo e la spalla. Il respiro caldo mi solleticava la pelle provocandomi forti brividi in tutta la schiena.

Gli occhi mi caddero involontariamente sull'albero di Lili e mi irrigidii: – Non qui, andiamo da un'altra parte.

Ancora seminudi, attraversammo parte della giungla fino ad arrivare al fiume che scorreva tranquillo tra le sponde rocciose.

**********

Quando tornammo al villaggio era ormai buio. La grande tavola, allestita da enormi caraffe di vino rosso e di gigantesche portate ospitanti cosciotti di struzzo e cous cous aromatizzato, era circondata dalle centinaia di persone che avrebbero preso parte attiva al piano.

Qualcuno di loro stava ingozzandosi a più non posso, qualcun altro era già tanto ubriaco da saltare sulle sedie cantando vecchie canzoni popolari. Cercai Michael tra la folla e lo vidi chiacchierate energicamente con Piros; avevano entrambe le guance arrossate, prova del fatto che avevano mandato giù almeno un paio di bicchieri di vino. Quando mi vide, alzò una mano e mi fece cenno di raggiungerlo.

– Tu vai, io voglio chiedere a Jack alcuni chiarimenti sul piano. – disse Carter posandomi un bacio sulla fronte.

Puntai gli occhi sull'anziano dottore e lo trovai seduto accanto a Calima. La donna lo ascoltava attentamente ed io non potei fare altro che sentire crescere l'ansia per quello che ci avrebbe riservato. Sapevo che avrebbe sabotato ogni nostro tentativo di vittoria: avevo quindi deciso che le mie mosse sarebbero dipese dalle sue, non avrei seguito il piano di Jack.

– Certo, cerca di capire che cosa ha in mente quella strega. – risposi, non confidando realmente nel fatto che ci riuscisse.

Mi avvicinai a Michael e mi sedetti sulla sedia disponibile accanto a lui.

– Ehi! – mi salutò – Stavo dicendo a Piros che, una volta rovesciato quello di Keller, bisognerà instaurare un nuovo governo. Ma questa volta la voce principale sarà del popolo. Ho letto da qualche parte che un tempo funzionava così, o perlomeno la gente credeva che funzionasse così... ma noi ci riusciremo davvero, ne sono certo.

– Sei cresciuto molto. Lo sai, vero? – risposi in un sorriso.

– Avevo scelta? – tentò di ironizzare, poi tornò serio – Anche tu.

– Mi devi fare una promessa. – dissi.

– Te lo prometto, sarò prudente. Devi prometterlo anche tu. – rispose prontamente.

– Lo prometto. – giurai – Quando tutto questo sarà finito... – cominciai a dire.

– Quando sarà finito me ne parlerai, per adesso pensa solo a sbronzarti! – disse, passandomi un boccale d'avorio ricolmo di vino.

Sentii salire la nausea e lo rifiutai allontanando la mano di Michael.

Un tintinnio richiamò l'attenzione. Jack era in piedi sulla sua sedia e batteva il cucchiaio contro il bicchiere: – Solo due parole. – cominciò – Il nostro momento è arrivato, è il momento di liberarci degli oppressori e di combattere per la nostra libertà. Per fin troppo tempo abbiamo accettato passivamente ogni loro sopruso, ogni loro violenza. Abbiamo dovuto dire addio ai nostri figli, ai nostri compagni, ai nostri amici. Ma è arrivato il momento di dire basta! La libertà è potere, e libertà è anche opporci! Per questo vi dico che, a prescindere da come andranno le cose, domani noi saremo liberi!

Si alzò un boato generale, generato da urla eccitate, piedi che battono e boccali che si alzano.

– Siete pronti a combattere? – chiese, Jack alzando in alto il suo calice.

– Si! – la risposta fu unanime.

– Combatteremo per l'amore, per i fratelli, per la nostra casa!

La notte si disperse velocemente in aria, volando via insieme alle milioni di scintille che si alzavano dai falò.

La giornata seguente passò in fretta, fin troppo in fretta. Prima del calare del sole, l'esercito si mise in marcia.

Era notte fonda quando, non troppo distanti, apparvero le possenti e inattaccabili mura di Beehive.

Carter mi strinse la mano, Michael mi rivolse uno sguardo carico di paura e Calima mi osservò da sopra una spalla.

Fu lì, a pochi metri dallo scontro, che capii di non essere pronta.

Istintivamente, senza un apparente motivo, mi portai una mano alla pancia.

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