77.

Seguirono angoscianti minuti di totale silenzio.

Gli occhi di tutti erano puntati sulla sottile, se non quasi impercettibile, fessura tra le due ante della principale porta blindata. Rivoli di sangue continuavano a scivolare sulla lastra d'acciaio, colando poi nei laghi di denso liquido scuro, che si erano formati dai brandelli ancora caldi delle braccia mozzate.

Il cuore della bambina che tenevo tra le braccia batteva talmente forte che era possibile sentirlo anche a dieci metri di distanza. I suoi grandi occhi neri erano colmi di lacrime, mi bastò uno sguardo per assicurarmi che non cominciasse a gridare.

– Se ne sono andati? – chiese qualcuno in un sussurro.

Boom!

L'impronta di un'enorme mano si stampò, in rilievo, sulla lastra di ferro blindato.

Un grido generale ruppe il totale silenzio di qualche attimo prima.

– Dobbiamo trovare un modo di evacuare tutte queste persone. – disse Michel, osservando la bambina terrorizzata – Dividiamoci e cerchiamo una via di fuga. – Propose.

– Non abbiamo altra scelta. – disse acconsentì Liam.

Carter annuì ed io lo seguii a ruota.

I miei compagni di squadra imboccarono tre diverse direzioni, io mi diressi nell'unica ala della Tartaruga che conoscevo. Avevo un'idea in testa, era folle e forse non avrebbe portato a nulla, ma dovevo provarci.

Mi immisi nel corridoio dei dormitori comuni e lo percorsi fino in fondo. Mi fermai davanti alla porta d'acciaio, afferrai la maniglia e provai ad aprirla.

Niente, era bloccata.

Sullo schermo apparve la solita scritta d'allarme. Sfilai la pistola dalla fondina e sparai contro la serratura. Bastarono tre colpi precisi e l'ingranaggio scattò. La voce computerizzata continuava a ripetere: "Prego, farsi riconoscere. Prego, farsi riconoscere. Prego, farsi riconoscere."

Portai una mano alla parete interna in cerca dell'interruttore e quando si accese la luce, rimasi quasi delusa da quello che vidi.

Decine di scatole di cartone erano sparpagliate a terra, diversi enormi mobili erano coperti da teli bianchi e il ripiano di una vecchia scrivania era cosparso di strumenti come cacciaviti, chiavi e ingranaggi di natura sconosciuta.

Esaminai attentamente le pareti e trovai una porta di vetro scuro. Affacciava su un ponte di metallo che conduceva dalla Tartaruga ad una galleria scavata nella parete del vulcano.

Siamo salvi pensai.

Feci per tornare indietro ad avvisare gli altri, quando un piede mi si incastrò nel lembo di uno dei teli. Questo scivolò via e lasciò scoperto ciò che nascondeva: lo scheletro di un Automa.

– Ma cosa... – sussurrai indietreggiando.

– Che ci fai tu qui? – Calima era sulla soglia della porta e mi guardava con gli occhi sgranati per il terrore.

– Cosa... cosa significa? – chiesi, indicando la macchina mortale.

– Cara, ascoltami bene... – disse muovendo qualche passo nella mia direzione – Non è quello che sembra, puoi credermi.

Indietreggiai ancora, non volevo che si avvicinasse.

– Crederti? Tu sei in accordo con... con Dorian! – urlai.

– Aspetta un attimo. – disse, tentando di acciuffarmi.

Scattai di lato e la vecchia cadde, sbattendo la testa contro la scrivania.

Cominciai a correre, dovevo chiamare tutti. Dovevo pensare a portarli in salvo.

Raggiunsi la sala centrale. Gli Automi aldilà delle mura continuavano a battere con forza nel loro infallibile tentativo di irruzione. Il resto della mia squadra era lì ad aspettarmi.

– Ascoltatemi bene! – urlai – Ho trovato una via d'uscita. Formate una fila ordinata e seguitemi!

La gente cominciò a bisbigliare frasi di speranza, intanto che i miei compagni mi raggiungevano.

– Calima è una traditrice. – annunciai abbassando il tono di voce – Ho trovato degli Automi in una stanza.

– Non è possibile. – affermò Jack, avvicinandosi al nostro gruppo – Calima è da sempre una fedele alleata dei Ribelli!

– Posso dimostrarvelo, seguitemi. – dissi.

Arrivammo alla stanza proibita, ma quando entrai non c'era più nulla. Diversi teli bianchi erano arrotolati a terra, le scatole di cartone erano scomparse e la scrivania era stata ripulita.

– Lo giuro, erano qui! – dissi, con disperazione.

– Cosa succede? – Calima era apparsa nella stanza come se nulla fosse accaduto; sulla fronte portava il segno della caduta.

Non sono pazza.

– Cosa hai fatto? – urlai.

– Non so di cosa tu stia parlando. – rispose lei, fingendosi mortificata.

– Gli Automi! Erano qui!

A quella parola si alzò un brusio generale. Ci pensò Michael a calmare le acque con quella gente che non chiedeva altro che salvarsi.

– Cara, sei sotto shock. – fece la donna

– Non sto mentendo! – sbraitai.

Carter mi posò una mano sulla spalla e con un'espressione che intendeva chiedere scusa disse: – Penseremo dopo a questo, dobbiamo andare.

Liam spalancò la porta e condusse la fila ordinata sul ponte metallico. Mi misi in coda e uscii allo scoperto. Guardai in basso e capii.

Calima aveva gettato tutto nella lava.

Mi voltai a guardarla e scoprii che i suoi grandi, penetranti occhi del colore dello smeraldo, erano già fissi su di me.

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