70.

Venimmo trascinati come cani ai piedi del trono. La sala, dopo l'arrivo dei ribelli, era stata ristrutturata nel migliore dei modi.
Il collare di ferro mi tagliava la gola ad ogni strattone dell'Assaltatore. Rivoli di sangue caldo scivolavano dalla ferita lungo tutto il torace, per poi colare sul pavimento.

Dorian era seduto scompostamente osservandoci dall'altro, intanto che il suo temibile serpente albino gli si attorcigliava intorno al corpo.

– Capo, cosa ne dobbiamo fare di loro? – chiese un Assaltatore.

Dorian sbuffò spazientito, si liberò dalla presa del rettile e scese agilmente le scale fino a raggiungerci.

– Vediamo, – disse, fingendo di riflettere – lui potete rinchiuderlo in una cella per il momento.

Carter scattò agilmente in avanti ma l'Assaltatore, che teneva stretto il guinzaglio legato al suo collare, fu pronto a strattonarlo tanto forte da ripiegarlo all'indietro. Cadde a terra sbattendo la testa ma, dall'espressione che continuava ad avere dipinta negli occhi iniettati di sangue, sembrava che non sentisse il benché minimo dolore.

– Perché ti opponi? – Dorian si avvicinò, portando il suo viso a pochi centimetri da quello del suo gemello – Non hai ancora capito che contro di me non puoi nulla?

Sentivo il cuore pulsare febbrilmente nelle vene, la testa girava vorticosamente e, nonostante mi sforzassi, non riuscivo ad impedire alle mie gambe di tremare.

– Non ti preoccupare, cara. – sibilò Dorian percependo il mio terrore – Non ho intenzione di chiuderti in una cella. Tu sei l'ospite d'onore!

Sapevo cosa stava per dire, lo sentivo nelle viscere.

Ti prego, no.

– Lei conducetela nelle mie stanze. – ordinò alle guardie.

No!

– Non osare toccarla! – Carter si tirò in piedi e con una forza disumana, riuscì a liberarsi dalla presa dell'Assaltatore.

Gli si lanciò al collo e lo scaraventò a terra. Fece in tempo ad assestargli un pugno all'angolo della bocca, prima che il tirapiedi lo afferrasse per le spalle per immobilizzarlo sul pavimento.

Dorian si lasciò sfuggire un'inquietante risata gutturale. Era tanto divertito che il suo corpo era scosso da continui spasmi. Si rimise in piedi e sputò a terra della saliva mista a sangue. Aveva il labbro spaccato e la sua pelle bianca come la neve era sporca del viscoso liquido scarlatto.

– Mi spiace, fratellino. – disse pulendosi con il dorso della mando – Devo pure avere un erede, e non posso fare diversamente: devo usare la forza. – il ghigno crudele si trasformò in un'espressione glaciale.

Mi mancava l'aria, i polmoni si rifiutavano di prendere respiro. Bruciavano.

– Portala via. – cantilenò, accompagnando l'ordine con un cenno della mano.

Tentai di puntare i talloni a terra, ma fu del tutto inutile. Le forze mi avevano totalmente abbandonata.

– Ti faccio a pezzi! – ruggì Carter, la gola in fiamme e le vene gonfie – Ti taglierò quella tua maledetta gola e ti guarderò agonizzare! Lurido, schifoso...

Venni trascinata via, le porte si sigillarono e non lasciarono più filtrare alcun suono.

Stavo per essere portata in pasto al mostro.

**********

La stanza di Dorian era tappezzata da lucenti velluti rossi e blu, valorizzati dalla calda luce soffusa. Il letto a baldacchino, foderato da un morbido piumino nero come la pece e ricamato con pacchiane finiture in oro, era nascosto da tendaggi vermigli. I mobili di legno massiccio erano tirati a lucido e ospitavano pesanti tomi rilegati in pelle.

L'intero arredamento era pensato per trasmette passione, ma io non riuscivo a provare altro che terrore e ribrezzo.

C'era un forte odore d'incenso che non poté che ricordarmi il giorno della Valutazione.

Ero seduta sul divano in legno e velluto posizionato davanti al talamo. Avevo le braccia legate dietro alla schiena e le caviglie unite da una corda metallica. Stavo cercando una via di fuga, un sistema per sottrarmi a quella terrificante situazione, quando la porta intagliata con il ragno a sei zampe, simbolo degli Assaltatori, venne spalancata.

Dorian fece il suo ingresso, fasciato in una vestaglia di seta nera e vestito di un sorriso maleficamente seducente.

Il ragazzo albino fece scivolare via la vestaglia, lasciando scoperti i pettorali di marmo bianco. Continuava a mordersi il labbro spaccato, riaprendo ripetutamente la ferita.

– Sei spaventata, non è vero? – mi chiese con eccitazione, sicuro che la risposta lo avrebbe esaltato ancora di più.

Lì capii che vedermi piangere, tremare o strillare per il terrore, era esattamente ciò che voleva. Ed io non avevo intenzione di dargli quella soddisfazione.

Il mio cuore rallentò, le gambe smisero di tremare e il mio viso assunse un'espressione piatta, glaciale, indifferente. Ma dentro di me stavo morendo.

La speranza di riuscire a salvarmi non mi abbandonò mai completamente. Per questo motivo, quando Dorian mi si fiondò addosso come un leone pronto a sbranare la propria preda, il mio cuore si spezzò.

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