58.
Zaino in spalla e uscimmo dalle tende alle prime luci dell'alba.
Dopo aver salutato Jack, che si era raccomandato prudenza, sgattaiolammo silenziosamente via dal villaggio. Raggiunta l'entrata della galleria, ad aspettarci non c'era altro che il buco profondo della sua bocca, gli ultimi istanti di freddo notturno e il martellare vivace del nostro cuore.
Ci incamminammo all'interno del tunnel che sembrava volerci inghiottire. I fasci di luce che provenivano dalle nostre torce elettriche, riuscivano ad illuminare a malapena la struttura rocciosa che andava sempre più sprofondando nel terreno.
Misi il massimo impegno nel cercare di non scivolare sul suolo umido e granuloso, che andava diventando più ripido ad ogni passo. L'aria era intrisa dell'acro odore di carogna in decomposizione, mi si accapponò la pelle nel sentire gli inquietanti squittii dei topi che zampettavano frenetici tra i nostri piedi.
Lanciai un grido di spavento quando uno di questi tentò di arrampicarsi sulla mia gamba. Lo scrollai via con violenza e lo percepii andare a sbattere contro la parete rocciosa.
– Non dirmi che hai pura dei topi! – sbuffò Samshara.
Evitai di rispondere alla provocazione, limitandomi ad affrettare il passo per raggiungere i miei compagni che si trovavano a pochi metri da me.
– Quanto dura il percorso in questa galleria? – chiesi sperando di nascondere il ribrezzo nella voce.
– Giorni. – rispose seccamente la ragazza.
– Non preoccuparti, dobbiamo solo raggiungere lo svincolo a sinistra che ci condurrà al villaggio "4". A quel punto sosteremo da Dimitra giusto il tempo necessario per rifornirci di provviste e di riprendere aria. – mi rassicurò Carter stringendomi la mano.
– Questo vuol dire che almeno per una notte dovremo dormire qui sotto... con i topi.
– Quante lagne! Se ti terrorizza tanto uno stupido roditore, cosa farai quando dovrai affrontare di nuovo gli Assaltatori? – Samshara allargò le braccia con impazienza.
– Non sono terrorizzata, solo mi danno il voltastomaco. – risposi pacata.
– Non preoccuparti, non ti faranno nulla. – Carter mi posò un bacio sulla fronte e, nonostante non la stessi guardando, potei percepire lo sguardo furioso di Samshara incollato al mio profilo.
Camminammo diverse ore senza scambiarci una parola. Ogni tanto Carter mi sfiorava la mano o passava le dita tra i miei ricci arruffati, mentre Samshara continuava a muoversi a testa alta tentando di ignorare le nostre fugaci effusioni.
– Bene, fermiamoci qui. – disse la ragazza, piantando i talloni al suolo e sfilando dal suo zaino un vecchio sacco a pelo impermeabile.
Al maleodorante odore di morte mi ci abituai quasi subito, ma l'umidità mi fu impossibile da ignorare. Mi si infilava nelle ossa e nelle articolazioni; la pelle sembrava unta e appiccicosa, i capelli mi cadevano come merluzzi morti sulle guance.
Mandammo giù svogliatamente della zuppa in scatola e ci rifugiammo nei nostri letti arrangiati, sperando di trovare un po' di calore e conforto.
Quando Carter trascinò il suo sacco a pelo accanto al mio, Samshara si voltò con rabbia dal lato opposto.
Possibile che Carter non si accorga dei suoi sentimenti?
– Forse dovremmo essere meno sfacciati. – dissi con un sorriso.
– E perché mai? Non sai forse che due corpi a contatto si riscaldano più velocemente? – mi sussurrò nell'orecchio con quella sua voce seducente.
Trattenni una risata e lasciai che mi circondasse con le sue braccia forti e muscolose.
Mi addormentai in fretta, cullata dal suo respiro regolare contro la mia nuca.
Sembrava che avessi chiuso occhio solo per qualche secondo, quando Samshara mi assestò un calcetto sulle gambe.
– Sveglia, è ora di andare. – disse freddamente, illuminandomi il viso con la sua torcia elettrica.
Riprendemmo il cammino solo dopo aver ingollato un paio di biscotti stantii insieme a del caffè freddo.
– Non manca molto, tra qualche minuto dovrebbe esserci l'incrocio. – disse Carter prendendomi per la mano.
Le pareti della galleria si allargarono e ci ritrovammo difronte a due svincoli: quello a destra era libero e percorribile, mentre quello a sinistra era ostruito da grossi massi caduti dal soffitto di roccia e fango.
– Noi dobbiamo andare a destra, giusto? – chiesi con preoccupazione.
– No, a sinistra. – rispose Carter – Che diavolo! – sbraitò.
– Andiamo a destra e sbuchiamo al villaggio "1". Ci riforniremo lì. – decise Samshara.
– Allungheremo di giorni il viaggio! – protestò Carter.
– Vedi altre alternative, forse?
Il ragazzo si rassegnò e decise di prendere lo svincolo a destra.
La galleria era più grande e spaziosa di quella che avevamo percorso fino a quel momento. Forse per miracolo non vidi non sentii neanche un roditore, solo una coppia di pipistrelli che rimase appesa in una piccola grotta nella parete ignorandoci del tutto.
Arrivammo alla fine del percorso, ritrovandoci davanti ad una vecchia scala a pioli arrugginita che conduceva fino ad una botola.
Carter si arrampicò per primo e ci aiutò a sbucare fuori dal cunicolo. Ci si presentarono davanti due guardie armate che sembravano conoscere i miei compagni e ci scortarono all'interno de palazzo che ospitava l'entrata del passaggio.
Era il posto più bello e lussuoso che avessi mai visto. L'edificio era stato costruito interamente con del marmo bianco e rosa, le colonne al suo ingresso sorreggevano un enorme tetto completamente intagliato a mano con delle rappresentazioni della storia: dalla comparsa dell'uomo sulla terra ad oggi.
– Benvenuti! – ci accolse calorosamente Jordan, il capo del villaggio – Non vi aspettavamo!
– Ciao Jordan, perdona la nostra intrusione. – disse Carter lasciandosi stringere in un abbraccio – Abbiamo trovato occluso lo svincolo che porta al villaggio "4".
Jordan era un uomo sulla quarantina, con la pelle nera lucida e un grande occhio del colore dell'ambra, l'altro era coperto da una benda rossa.
A quelle parole corrugò la fronte e con un cenno della mano chiamò due inservienti alle sue spalle.
– Gentilente, andate a controllare cosa è successo. – disse loro – Abbiamo sicuramente tante cose di cui parlare, ma prima dovete riposarvi. Le mie figlie vi scorteranno nelle vostre stanze. – concluse, sfoderando il sorriso più amichevole che avessi mai visto.
Le due ragazzine di non più di quindici anni, ci accompagnarono silenziosamente ai nostri alloggi.
La mia camera era spaziosa, decorata con lussuosissime tende di lino bianco, tappeti dai colori sgargianti e grandi vetrate che affacciavano su uno strano panorama grigio.
Mi arrivò all'orecchio un suono che non avevo mai sentito, simile ad una grande quantità d'acqua che andava a scontrarsi contro una superficie.
Questo... questo è il mare! È il suono delle onde!
Mi diressi velocemente alle vetrate sperando di scorgere la brillante superficie blu che tanto mi ero immaginata. Ma non vidi altro che un'enorme parete che si estendeva a vista d'occhio lungo tutta la costa. Alzai lo sguardo e scoprii che il muro si alzava sempre più, fino quasi a sfiorare le nuvole.
In quel momento capii che eravamo intrappolati su quella terra che era la mia casa. Probabilmente quelle possenti mura erano state erette per impedire agli tsunami, che senza ombra di dubbio continuavano a perpetuarsi negli anni, di distruggere l'ultimo lembo di terra rimasto relativamente incolume durante il Disastro ambientale.
Ma se a Beehive mi ero sentita intrappolata da quelle "basse" mura di pietra, ora mi sentivo senza via di fuga.
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