57.



Il piano era stato studiato attentamente, riuniti intorno alla tavola arrangiata e traballante.

Michael aveva preferito restarne fuori, non voleva tornare nel luogo nel quale era stato confinato dagli Assaltatori. E nessuno lo aveva biasimato.

Jack e Piros si erano occupati di organizzare la parte teorica del piano. Il medico aveva dato inizio ai lavori di ristrutturazione delle gallerie, non avremmo potuto spostarci a cielo aperto. Dopo la fuga dal quartier generale di Dorian, probabilmente gli Assaltatori erano appostati ad ogni angolo. Piros aveva invece scovato una falla nel sistema di sicurezza e tentava in ogni modo di infiltrarsi nella loro rete tecnologica.

Io, Carter e Samshara ci saremmo occupati della parte fisica del piano, quindi di tutta l'azione. Il fatto che fossimo solo in tre aveva i suoi vantaggi: ci saremmo spostati con più facilità, avremmo dato meno nell'occhio e avremmo potuto contare sul fattore velocità. Il lato negativo consisteva nel fatto che avremmo avuto una grande difficoltà nel far evacuare tutti i bambini presenti nel quartier generale.

Portavamo ancora tutte le ferite che ci eravamo procurati durante l'assalto a Beehive, ma non avevamo il tempo di aspettare che guarissero, dovevamo attaccare prima che gli Assaltatori iniziassero a preparare una difesa.

Avevo un profondo squarcio sul palmo della mano che continuava a perdere sangue, quindi mi diressi verso la capanna di Jack per farmi cambiare la fasciatura. L'abitacolo di stoffa era grande quando una stanza delle casupole, abbastanza grande perché potesse ospitare tutta l'attrezzatura medica di cui disponevano gli abitanti del villaggio "3".

Mi intrufolai nella tenda, mi bloccai non appena notai Liam sdraiato su un vecchio materasso poggiato sul terreno.

Mossi lentamente qualche passo in direzione della scorta di bende, cercando di essere il più silenziosa possibile.

– Lili... – sussurrò lui.

La sua voce era carica di tutto il dolore che era stato costretto a sopportare. I suoi capelli rossi erano ancora sporchi di sangue secco, la sua pelle esposta era lucida di sudore. Le fasciature che gli coprirono le ferite, causate da centinaia di frustate e torture di altro genere, erano intrise di sangue e pus.

– Ssh... no, sono io. Sono Julia. – dissi inginocchiandomi accanto a lui – Di cosa hai bisogno? Devo chiamare Jack?

– Lili... – allungò la mano fino a sfiorarmi la guancia.

– No... non sono Lili... – risposi, prima di essere interrotta dall'arrivo del dottore.

Jack mi afferrò gentilmente per una spalla e mi scortò fuori con delicatezza.

– Non è pronto per scoprire quel che è accaduto a Lili. – mi avvertì.

– Non glielo avrei detto...

– Se dovesse venirlo a sapere, il suo cuore smetterebbe di lottare. Sarebbe uno shock troppo grande da sopportare nella sua situazione.

– Jack, non glielo avrei detto. – ripetei.

Si passò una mano sulla fronte per asciugare un sottile strato di sudore.

– Perdonami, voglio solo essere certo che non corra alcun rischio. – si scusò unendo le mani davanti al petto.

– Non importa, la tua preoccupazione è più che lecita. – risposi scuotendo la testa – Posso avere delle garze? – chiesi mostrandogli la ferita sul palmo della mano.

Jack andò a prendere tutto l'occorrente, e per evitare di disturbare Liam, mi medicò lo squarcio direttamente fuori dalla tenda.

– Quando partiremo? – domandai mentre finiva di stringere la fasciatura.

– Non appena riusciremo a rimuovere i massi che occludono la galleria sotterranea. – rispose sistemandosi gli occhiali sul naso – Penso che Carter sia con i volontari per cercare di affrettare i tempi.

– Vado anche io.

– Fai attenzione alla mano! – si raccomandò intanto che mi allontanavo per inoltrarmi nella giungla.

Tra tutti quegli arbusti verdi era ormai diventato semplice orientarmi. Una serie di banani sulla mia sinistra, due massi a forma d'uovo alla mia destra, una piccola e ripida discesa dopo il fiume ed ero all'entrata della galleria.

Una decina di uomini e un paio di ragazzi a formare una catena, erano intenti a passarsi l'un con l'altro una serie di piccoli e grandi massi, intanto che venivano rimossi dalla bocca del tunnel.

Carter era al centro della fila: prendeva il macigno di pietra dal compagno alla sua destra e lo passava al compagno alla sua sinistra. I muscoli della schiena guizzavano sotto centinaia di piccole gocce di sudore, formando una scia che risplendeva sotto i raggi del sole. Aveva le spalle dritte nonostante lo sforzo e uno strato di polvere a ricoprirle.

– Posso dare una mano? – chiesi.

Al suono della mia voce, Carter si voltò a guardarmi. Sfoderò uno di quei suoi micidiali sorrisi e scosse la testa.

– No, devi riposarti. Resta lì seduta. – rispose indicando un tronco che sbucava dal terreno.

– Potrei esservi utile. – insistetti.

Carter protestò scuotendo la testa con più vigore e mi indicò nuovamente il ceppo.
Rimasi con il sedere incollato a quella sporgenza per tutto il pomeriggio, osservando Carter in ogni suo movimento, fino a quando i volontari non cominciarono ad urlare di gioia.

– Che succede? – chiesi cercando di aprirmi un varco tra tutti quei corpi stanchi e sudati.

Quando mi lasciarono passare, vidi la bocca della galleria libera dalla maggior parte di massi che la ostruivano.

– Vai ad avvisare Samshara, domani partiamo. – mi sussurrò Carter tra i capelli.

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