51.
Era iniziato quel circolo vizioso con il signor Hamilton. Ogni volta che chiudevo gli occhi, rivedevo la larga macchia di sangue allargarsi sul suo petto. Poi erano seguiti tutti i Correttori che avevo ucciso, tutti i Ribelli che si erano sacrificati affinché io riuscissi a fuggire da Beehive. Poi era morto Thiago, poi Carla, poi Liam, poi gli altri miei fratelli rapiti da Dorian e poi Lili.
Lili.
Ogni volta che vedevo o sentivo qualcosa che mi ricordava il suo viso sottile o i suoi grandi occhi da cerbiatta, percepivo un dolore acuto, come se mi si stessero perforando gli organi.
Tutte quelle persone erano morte per me. Cosa avevo io di speciale? Cosa avevo io più degli alti ragazzi che avevano superato la Valutazione, per meritare un simile sacrificio da parte di quelle persone? Alcune di loro neanche mi conoscevano.
Sono marcia. Marcia, marcia, marcia.
Lili si era stretta quel cappio intorno al collo per le parole che le avevo detto, per aver tentato di farla rinsavire. Forse avrei dovuto lasciarla sprofondare nella pazzia.
Passavo le giornate a fissare l'albero che aveva scelto Lili. Non prestavo la minima attenzione a nulla, neanche alle novità portate dai gruppi di esploratori che facevano ritorno al villaggio.
Carter, Jack e perfino Samshara avevo tentato il possibile per farmi tornare con i piedi per terra, ma non avevo dato ascolto a nessuno di loro.
– È colpa mia se è andata fuori di testa. – dissi una volta a Samshara – Ho lasciato che il suo gemello rimanesse indietro, che morisse.
– No, non è colpa tua. – quell'affermazione mi aveva sorpresa, e non poco.
Avevo cercato un dialogo con lei perché ero certa che mi avrebbe tirato addosso fango su fango, fino a togliermi ogni dubbio sul marciume della mia anima. E invece era stata pronta a contraddirmi. Che anche lei provasse pena per me?
– Lei è impazzita perché era debole.
– Non dire così. – la ammonii.
Anche io avevo detto le medesime cose. Ma sentirle ripetere, equivaleva ad una pugnalata al cuore. Non potevo, non volevo e non riuscivo a sopportarlo.
– E perché no? È la verità. Era debole ed è andata fuori di testa. – ribadì senza timore della mia reazione – Lei ha perso un fratello perché tu hai deciso di salvare il salvabile, tu hai perso dei fratelli perché lei ha deciso di non provare a salvare il salvabile. E tu non sei impazzita. Lei ha dato di testa perché era instabile, fragile e influenzabile. Se così non fosse, allora anche tu avresti dovuto perdere il senno e ne avresti avuto molti più motivi di lei.
Le lanciai uno sguardo carico di tutto il mio odio, ma Samshara non si scompose minimamente. Anzi, mi guardò con biasimo.
– La verità fa male, è dura da accettare. – aggiunse con tono freddo e distaccato – Ma non puoi continuare a negarla a te stessa.
La ragazza si allontanò facendo ondeggiare la sua lunga e corvina coda di cavallo.
Le sue parole, che avrebbero dovuto aiutarmi a rialzarmi, mi spinsero ancora più in fondo nel baratro creato dal mio odio, dalla mia autocommiserazione e dal mio insaziabile bisogno di vendetta.
Keller doveva pagare per quello che aveva fatto, Dorian doveva pagare per quello che aveva fatto ed io avrei dovuto pagare per quello che avevo fatto subire a tutte le persone che mi erano state intorno.
Era quasi sera, il cielo andava velocemente scurendosi e, tra le foglie dell'albero al quale ero poggiata con la schiena, soffiava un vento leggero che annunciava l'arrivo del freddo notturno.
Sentii un rumore di passi avvicinarsi e mi voltai di scatto.
– Ehi... – mi salutò Michael accennando un movimento della mano.
Era tanto deperito che mi era possibile contare le ossa che premevano da sotto la pelle, spingendo contro il tessuto della vecchia maglietta. I suoi occhi erano cerchiati da profonde occhiaie violacee e carichi di fierezza, nonostante tutto ciò che era stato costretto a subire.
Mi sentii un verme. Lui continuava ad avere il coraggio di lottare, soprattutto di lottare contro i demoni che lo tormentavano.mentre io ero seduta sotto l'albero al quale si era impiccata Lili, rimuginando sulle mie colpe. Mi ero vergognata talmente tanto che avevo deciso di ignorare tutti, perfino mio fratello.
Soprattutto mio fratello.
Non volevo vedere il modo in cui mi avrebbe guardata una volta riposizionato i pezzi e capito quanto fossi marcia.
Michael si sedette accanto a me e poggiò la testa contro la mia spalla. Ebbi un piccolo sussulto di gioia al pensiero che riuscisse ancora trovare in me un punto fermo.
– Non dovresti stare qui. – disse.
– Se resto qui sotto, limito i danni che causa la mia esistenza. – confessai amaramente.
– Non essere melodrammatica, non ti si addice. – sbuffò – E poi questo è il modo perfetto per fare danni.
– Che vuoi dire?
Michael alzò la testa dalla mia spalla e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
Cosa sto facendo?
– Non abbandonarmi anche tu. – mormorò.
Una scarica di una strana energia, percorse velocemente tutto il mio corpo. Mi alzai dal terreno umido di foglie e gli porsi la mano per aiutarlo a tirarsi in piedi.
Quando arrivai al villaggio, trovai Samshara.
– Chiama Carter. – ordinai – Dobbiamo organizzare un piano.
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