5.
La parete esteriore delle mura aveva una tonalità rossastra a causa, probabilmente, delle deposizioni nelle fessure più piccole di quella sabbia rossa che si spargeva a terra a vista d'occhio. Il cielo stava velocemente scurendosi, ed io ero intrappolata fuori dalla mia città in compagnia di un Assaltatore furioso.
Nonostante non ci fosse nulla da vedere nell'arco di chilometri e chilometri, non riuscivo a distogliere l'attenzione da tutto ciò che i miei occhi trovavo di nuovo. Dallo scarafaggio con la corazza nera che scavava freneticamente nella sabbia, alle dune colorate che si susseguivano all'orizzonte.
– Perché mi stavi seguendo? – bisbigliò rabbioso il ragazzo, cercando di tenere basso il tono della voce, benché fosse praticamente impossibile che qualcuno potesse sentirci.
– Ero curiosa.
– E tu, quando sei curiosa, segui gli sconosciuti?
– Gli Assaltatori, vorresti dire. – lo corressi.
Il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata, che cercò di placare portandosi una mano alla bocca.
– Già, dimenticavo che voi cittadini – disse quella parola con disprezzo – ci chiamate così.
– Come dovremmo chiamarvi, altrimenti?
– Non "Assaltatori", magari? – sbottò ironico, facendo spallucce.
– Beh, non importa. – dissi spazientita – Fammi passare, devo tornare dentro.
Il ragazzo mi si parò davanti, bloccandomi la strada. Il cielo era diventato scuro e si iniziavano a intravedere le prime stelle. Ed io, che indossavo una maglia a maniche corte, cominciavo ad avere freddo.
– Niente da fare, non posso rischiare che qualcuno si accorga di noi mentre cerchiamo di rientrare. – disse incrociando le braccia al petto – Dovrai aspettare che sia notte fonda.
– Non preoccupati che qualcuno ci veda, quando sarò di nuovo dentro, – feci una breve pausa per indicare le mura -andrò dai Correttori e gli racconterò tutto.
Non so precisamente quando avevo smesso di avere paura. Forse nel momento in cui, invece di uccidermi come avrebbe fatto qualsiasi altro Assaltatore, aveva deciso di trascinarmi nella fessura. Era innocuo e lo avevo intuito.
– Non credo che lo farai. – rispose con sicurezza.
– E cosa te lo fa pensare?
– Facciamo così, ti do un consiglio: se decidessi di denunciare me, è come se decidessi di denunciare il signor Hamilton. A te la scelta.
A quel punto avevo ripreso ad avere paura. Dei profondi brividi presero a percorrermi tutto il corpo; mantenere la calma divenne quasi impossibile.
Conosce il signor Hamilton?
– Come...
– Come lo conosco? – mi interruppe – Forse un giorno lo scoprirai. Chissà. – concluse fingendo indifferenza.
– Se usi il signor Hamilton per minacciarmi, vuol dire che sai chi sono. – affermai sperando che non si accorgesse della paura nella mia voce.
Il ragazzo divenne serio, come se si fosse appena accorto di aver commesso un errore. Mi guardò con rabbia e pensai quasi di chiedere scusa per la domanda, ma non lo feci.
– Il fatto che sappia dove lavori non significa che ti conosca. Non so se lo ricordi, ma non molto tempo fa ho portato dei volantini al negozio di alimentari. – rispose, arricchendo l'ultima frase con una buona dose di sarcasmo. Sapeva bene che me lo ricordavo.
Sbuffai, non sapendo esattamente se essere arrabbiata oppure impaurita. Mi appoggiai di schiena contro la parete e mi lasciai scivolare a terra. Il vento era qualcosa di meraviglioso. Non che non lo avessi mai sentito, ma riparati dalle mura era pressoché impossibile respirare un'aria così pulita, così aperta. In lontananza si vedevano formarsi turbini di sabbia rossa che si alzavano a diversi centimetri dal suolo. La sensazione di meraviglia si affievolì velocemente, quando quegli sbuffi d'aria primaverile divennero come lame contro la pelle nuda delle mie braccia.
Il ragazzo si guardò intorno a disagio e dopo qualche istante di esitazione, si tolse la giacca di pelle e poi la felpa, per offrirmela.
– No grazie. – dissi, voltando lo sguardo dalla parte opposta.
Che idiota che sono! Sto morendo di freddo pensai subito dopo.
– Insisto. – si forzò a dire.
Non attesi neanche un secondo, per paura che potesse cambiare idea. Afferrai la felpa accennando un "grazie".
Passarono un paio d'ore buone, senza che nessuno dei due dicesse qualcosa. Lui restava in piedi immobile come una statua, mentre io ero presa da qualsiasi cosa intorno a me, intanto che giocavo con le dita tra la sabbia che ancora tratteneva un minimo del calore accumulato durante il giorno. Era buio pesto e ormai ero convinta che i miei fratelli mi avessero dato per dispersa.
– Basta. – annunciai alzandomi in piedi –Io devo tornare a casa, o manderanno qualcuno a cercarmi.
–Ancora un momento. – disse lui, indicando la cresta delle mura – sta passando la sentinella, appena sarà abbastanza lontana ti lascerò rientrare.
– Hai studiato proprio tutto quanto, eh? – risposi irritata.
Chissà da quanto tempo gli Assaltatori vivevano tra noi, entrando e uscendo a loro piacimento da quelle mura che avrebbero dovuto proteggerci.
Mi sporsi per vedere meglio la sentinella e appena la notai, il ragazzo mi spinse contro il muro.
– Sei impazzita? Ti avrebbe potuto vedere! –sussurrò, tenendomi incollata alla parete.
Con la guancia pigiata contro il suo collo potevo sentire perfettamente l'accelerare dei battiti. La sua pelle profumava di caffè, di fiori e di legna affumicata, lo stesso odore che investe la casa quando, nell'apice del gelo dell'inverno, si accende il camino.
Una volta scomparsa la sentinella si allontanò.
Iniziò a estrarre i mattoni che avrebbero formato il varco e, una volta finito, mi lasciò andare. Non ci salutammo neanche ma, qualche istante dopo che mi fui avviata, mi raggiunse. Si era rimesso il passamontagna.
– Ah, Julia, quasi dimenticavo: non andare a denunciarmi, mi raccomando. – disse puntando un dito verso il suo occhio, come a dire: "ti osservo".
Si allontanò ed io feci altrettanto, scossa e di nuovo spaventata. Solo quando arrivai quasi a metà strada iniziai a rabbrividire violentemente. Di primo impatto non me n'ero accorta ma, quando me ne resi conto, mi sentii come colpita da uno schiaffo.
Mi aveva chiamata con il mio nome.
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