40.

– Il villaggio numero "6" non è lontano, se manteniamo questo passo dovremmo riuscire a raggiungerlo prima che sorga il sole. – disse Carter.

La luna era alta nel cielo e donava riflessi argentei alle dune di sabbia rossastra che si susseguivano all'orizzonte.

Mi sentivo talmente leggera da non percepire la fatica nelle gambe. Sapevo di avere un sorriso da ebete stampato sulla faccia, ma non riuscivo proprio a scrollarmelo via.

Carter si voltò a guardarmi e scoppiò a ridere. Il mio cuore perse un battito. Era bello come un Dio, i ricci gli cadevano morbidi sulla fronte e quelle sue maledette fossette avevano la capacità di uccidermi.

– Lo so, faccio questo effetto. – disse Carter, atteggiandosi.

Gli mollai un buffetto sulla spalla e continuammo a camminare per ore senza avere il bisogno di dire una parola. Le nostre mani si sfioravano, si afferravano, si stringevano. I nostri corpi urlavano il bisogno l'uno dell'altro, era incredibile la capacità della propria pelle di ricordare, di avere una memoria. Le mie dita si ricordavano della sensazione della quale avevano goduto infilandosi tra i capelli di Carter, le mie labbra formicolavano al ricordo di quel bacio.

Il freddo era una costante durante la notte, ma per una volta non riuscii a sentire altro che il fuoco che mi ardeva nel corpo, nel petto, nel cuore.

Poi, d'un tratto, venimmo avvolti da una folata di vento caldo.

– Strano. – disse Carter.

– Perché? – chiesi.

Carter cominciò a correre affondando i piedi nella sabbia, scalò una duna alta almeno dieci metri ed io lo seguii cercando di tenere il passo.

– Cosa ti è preso? – urlai, tentando di non scivolare.

Carter non rispose e continuò ad arrampicarsi. Dopo qualche minuto riuscii a raggiungerlo. Era in piedi e guardava inespressivo il paesaggio di fronte lui. Il suo viso era il soggetto di un gioco di luci e di ombre che si inseguivano nella notte.

Il calore mi investì con una potenza spaventosa.

Davanti a noi un intero villaggio stava bruciando. Le fiamme divoravano lentamente tutto ciò che riuscivano a toccare, migliaia di scintille di fuoco volavano alte nel cielo confondendosi con le stelle, fino ad affievolirsi e cadere a terra come cenere.

– Dio mio... – sussurrai.

Quando sentii le voci che imploravano aiuto, il mio cuore si spezzò. Misi a fuoco il paesaggio e vidi decine di torce umane che correvano, si rotolavano nella sabbia, urlavano, morivano.

Non mi trattenni. Corsi giù per la duna scivolando  più volte.

– Julia! Ferma! – mi gridò dietro Carter.

Non gli diedi ascolto, le mie gambe continuarono a muoversi verso il villaggio.

Cosa devo fare? Come posso aiutarli? Mi chiesi, intanto che raggiungevo il villaggio ormai inglobato dalle fiamme.

Correvo senza prestare attenzione al bruciore che sentivo nelle gambe. Lo sforzo era disumano ma non riuscii a fermarmi.

Solo quando Carter mi raggiunse e mi si lanciò addosso ricominciai a respirare. Rotolammo nella sabbia fermandoci a decine di metri dal villaggio.

– Sei impazzita? – mi urlò addosso – Non puoi fare nulla per loro! Avrebbero potuto buttartisi addosso nel vano tentativo di trovare un aiuto, saresti morta bruciata, lo capisci?

Distolsi lo sguardo dal suo viso, sul quale erano proiettate terribili luci arancioni, intense e crudeli.

Guardai il villaggio divorato dalle fiamme e le lacrime presero a scorrere calde, rigandomi le guance.

**********

Il sole stava sorgendo quando le urla si arrestarono. Il perimetro del villaggio era disseminato di corpi carbonizzati. Fu quasi impossibile trattenere i continui conati di vomito, soprattutto davanti alle figure bruciate dei bambini. Tutta quella gente era riversa a terra in posizioni innaturali, con la bocca spalancata per l'agonia.

Alcune parti del villaggio continuavano ad ardere ma, perlopiù, le case erano ormai rovine incenerite e fumanti.

Il mio cuore non poté fare a meno di ricordare l'orfanotrofio ridotto ad un cumulo di ceneri. Il mio corpo tornò al giorno del rapimento dei miei fratelli, poi al giorno della mi pubblica gogna, alla fuga, alla morte di Carla, all'attacco di Beehive.

Nel petto rinacque quel bisogno soffocante di vendetta. Lo sentii crescere sempre di più, fino ad impedirmi di respirare.

Io e Carter camminammo attraverso la carcassa del villaggio sperando, invano, di trovare anima viva.

Le nostre aspettative, però, vennero soddisfatte, ma non nel modo in cui avremmo voluto.

Davanti a noi si palesarono tre uomini enormi ed esageratamente muscolosi. Erano vestiti di nero con uno strano materiale, probabilmente termico. Portavano un lato dei capelli rasati fino alla pelle e un ghigno crudele stampato sulla faccia.

Carter sfilò la sua pistola e la puntò verso gli uomini, così mi affrettai ad imitarlo.

– Bel lavoro, non credete? – chiese uno di loro guardandosi intorno.

Assaltatori! Urlava la mia mente.

Sentivo il mio corpo tremare e gli organi contorcersi, ma rimasi all'apparenza più calma di quanto avessi mai potuto sperare.

– Dove sono i bambini? – sibilò Carter.

I tre ragazzi si scambiarono delle occhiate loquaci e scoppiarono in delle fragorose risate.

– Avete sentito? Carter vuole sapere dove si trovano i bambini. – disse l'uomo più alto, quello con il tatuaggio raffigurante un terzo occhio sulla sua fronte nera come il carbone.

Come conoscono il suo nome?

– Asad, dimmi dove si trovano i bambini.

Ma come fanno a conoscersi?

Asad si avvicinò, non temendo minimamente le nostre pistole puntate sulla sua testa. Continuò ad avanzare verso Carter anche quando il suo ampio torace muscoloso incontrò la canna della pistola.

– Mettetele via. – ordinò l'uomo.

Carter mi lanciò un'occhiata, come a farmi cenno di obbedire, e lasciò cadere la sua sul terreno cosparso di nera fuliggine. Io continuai a tenere l'impugnatura stretta tra le mani.

Perché non ha sparato? Cosa aspetta?

Asad voltò la testa verso di me sfoderando un terrificante sorriso. I suoi denti bianchi risplendettero sotto i primi raggi del sole.

– Sei forse sorda, ragazzina? – mi chiese – Non mi piace ripetermi. Butta a terra quella pistola.

Ma continuai a tenerla alta puntata sul suo faccione.

– Sei insolente. – mi disse, quasi divertito.

D'un tratto, allungò la sua enorme mano e afferrò la gola di Carter. Il mio dito si agitò sul grilletto, presi la mira e...

– Guarda bene le mie dita. – disse Asad – Le vedi come stringono la carotide del tuo amico? Fai un passo falso e non ci metterò molto a spezzargliela. Butta quella pistola.

Il viso di Carter mutò velocemente da viola a blu. Lanciai un'occhiata agli altri due Assaltatori e notai le loro pistole puntate nella mia direzione.

È per questo che Carter non ha sparato!

Lasciai cadere a terra l'arma con un gesto di rabbia.

– Sei fortunata, con te mi sono ripetuto tre volte. – disse Asad.
Lasciò la presa e Carter cadde a terra tossendo.

– Come sta mia sorella? – cantilenò.

Sua sorella? Di che parla?

L'uomo notò la mia espressione confusa e finse delusione: – Oh, ma come? Samshara non ti ha raccontato di me?

Samshara è sua sorella?

– Dove sono i bambini? – domandò nuovamente Carter rialzandosi da terra.

Asad fece un cenno ai suoi compagni che gli si accostarono immediatamente al fianco.

– Forse vi diremo dove sono. – cominciò –Anzi, forse potrei portarti da loro.- disse rivolgendosi a me.

Carter mi si parò davanti con l'intento di proteggermi.

– Non osare toccarla. – sibilò a denti stretti.

– Ah si? Altrimenti cosa pensi di fare?

Gli altri due Assaltatori mi bloccarono per le braccia e Asad colpì Carter sulla tempia con il calcio della pistola.

– No! – urlai.

I due mi trascinarono di forza lungo la strada del villaggio fino ad un furgone nero.

Carter, con la tempia sanguinante, si alzò da terra e assestò un calcio nel petto di Asad, facendolo barcollare all'indietro di qualche passo. Prese l'occasione e corse in fretta verso di me.

– Uccidetela! – urlò Asad agli uomini che mi trattenevano con violenza.

A quelle parole Carter si fermò.

– Esattamente ragazzo, tu qui non hai potere. – sibilò.

L'uomo lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla con fare fraterno – Se vuoi che la ragazza arrivi da Dorian viva e vegeta, non devi opporti a me. – gli disse.

Poi cominciò a tempestarlo di calci e pugni, Carter non osò ribellarsi. Teneva i suoi profondi occhi fissi su di me.

I due Assaltatori mi legarono braccia e gambe intanto che io mi dimenavo con tutta la forza che avevo in corpo. Mi lanciarono nel retro del furgone, facendomi sbattere la testa contro una spessa parete di metallo. L'ultima cosa che vidi, prima che chiudessero gli sportelli, fu il viso di Carter ricoperto di sangue e il suo sguardo che supplicava il mio perdono.

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