39.

Lili non versò più neanche una lacrima.

Divenne preoccupantemente silenziosa. Carter era nervoso, così come Samshara. Liam era appena stato rapito dagli uomini di Keller e, senza ombra di dubbio, sarebbe stato torturato per estorcergli qualsiasi tipo di confessione.

– Dobbiamo andare a riprenderlo. – disse Carter.

Al pensiero di tornare a Beehive mi venne la pelle d'oca. E mi crebbero i brividi di terrore, all'idea che avremmo potuto dover abbandonare il viaggio verso i miei fratelli.

– Bene, allora torniamo indietro. – disse Lili – In fondo non sappiamo neanche dove stiamo andando. Non sappiamo dove cercarli questi maledetti Assaltatori! Sappiamo però dove si trova Beehive ed è lì che dobbiamo andare.- Concluse con uno tono insolitamente piatto, quasi apatico.

– Liam non è l'unico ad aver bisogno di essere salvato. Ci sono anche dei bambini! – protestò Samshara.

– Ma non abbiamo idea di dove andare a cercarli! Probabilmente sono già morti, lo avevano detto che li avrebbero ammazzati se avessimo continuato a cercarli! Torniamo indietro! Se i bambini sono ancora vivi gli Assaltatori gli risparmieranno la vita, se non lo sono allora non c'è neanche da discutere! – rispose Lili in un impeto di rabbia.

Mi sentii ferita, ma capii che Lili soffriva troppo per poter riuscire a ragionare lucidamente.

– Cosa dovremmo fare, allora? – chiese Carter, incapace di trovare una soluzione.

– Ho una proposta: io e Lili torniamo indietro e avvertiamo il villaggio. Raggrupperemo dei volontari e andremo a recuperare Liam. – disse Samshara conquistandosi il consenso di Lili. – Voi, invece, andate avanti. Sarà meglio così, in due darete meno nell'occhio.

Carter si grattò la testa e annuì pensieroso.

– Va bene, non vedo altra soluzione. – disse – Pensate di cavarvela, voi due?

Samshara sfoderò un sorriso divertito e disse: – Pensa a te. – e gli strizzò l'occhio.

Poco prima di incamminarsi per tornare al villaggio, la ragazza lanciò un ultimo sguardo carico di tristezza verso Carter, ma lui non se ne accorse minimamente.

– Non metterti in pericolo. Se mette a rischio la sua vita per salvarti, ti vengo a cercare. – mi minacciò, prendendomi per il bavero della maglietta.

Annuii e lei mi lasciò andare.

Salutai Lili stringendola in un abbraccio, raccomandandole prudenza.

Le due ragazze partirono subito, mentre io e Carter ci accampammo nella tenda.

– Avranno attaccato il villaggio numero "4"? – chiesi riferendomi ai Correttori.

– No, è improbabile. La cupola è in vetro antiproiettile. – rispose Carter, sovrappensiero.

Era turbato, lo sentivo. Percepivo le sue emozioni come se fossero mie. Decisi di lasciargli il tempo per elaborare la situazione senza disturbarlo in alcun modo. Mangiammo del cibo in scatola che tenevamo negli zaini, ci coricammo poi nella tenda e ci addormentammo.

Mi svegliai che la luna era già alta nel cielo. Carter non era nella tenda, quando uscii lo trovai seduto sulla sabbia che tratteneva ancora un minimo del calore accumulato durante la giornata.

– Ciao. – dissi.

Carter si girò e mi sorrise, ma le sue solite fossette non comparvero.

– Come mai non mi hai svegliata? Dobbiamo marciare.

– Credevo che avessi bisogno di riposare. – rispose.

Uscii dalla tenda e mi misi seduta accanto a lui. Lo circondai con un braccio e aspettai una sua reazione.

– Come ti senti? – gli chiesi.

Per tutto il tempo mi ero preoccupata di quel che provavo io o di quello che sentiva Lili. Non mi ero mai preoccupata per Carter, avevo sempre creduto che fosse lui la roccia alla quale aggrapparsi.

– Non so... ho paura, in realtà. – Ammise chinando la testa con frustrazione – Non mi spaventa quello che potrebbe dire Liam, non racconterebbe mai a Keller il modo in cui ci spostiamo, comunichiamo e sopravviviamo. Mi spaventa ciò che quella gente potrebbe fargli.

– Samshara riuscirà a salvarlo. – sostenni con convinzione.

– Se arriva in tempo...

Carter si passò le mani tra i capelli e, per un attimo, ebbi paura che avrebbe potuto strapparseli per sfogare tutte le emozioni distruttive che gli montavano rabbiose nel petto.

– Forse una cosa che potrebbe farmi stare meglio ci sarebbe... – disse con timidezza, una timidezza che non gli si addiceva.

– Cosa? – chiesi con ingenuità.

Carter si lasciò sfuggire un sorriso. Si inginocchiò davanti a me e dopo un istante di esitazione mi prese il viso tra le mani. Le sue dita contro la mia pelle erano dure e al contempo delicate. Mi guardò negli occhi cercando il mio consenso. Le vertigini mi annebbiarono la mente e lo stomaco mi si rigirò più volte su se stesso. Chiusi gli occhi.

Appena sentii le sue labbra sfiorare le mie, ritrassi la testa piegandola verso il basso. Non so perché lo feci, forse venni travolta dalla forza dell'emozione. Percepii la delusione di Carter e, quando alzai gli occhi, vidi il suo disagio stampato sul volto. Quando puntò nuovamente i suoi occhi nei miei, notai una scintilla illuminarli.

– Non posso accettare un tuo rifiuto. – disse con decisione.

Mi afferrò nuovamente il viso tra le mani e, con forza e gentilezza, premette le sue labbra contro le mie. Questa volta non mi opposi.

Le sua bocca era morbida, era viva. Si muoveva esperta, con premura e desiderio. Infilò le dita tra i miei capelli ed io, dopo qualche istante di totale paralisi, risposi finalmente al suo bacio. Mi aggrappai al suo collo mentre mi adagiava delicatamente al suolo sabbioso.

L'aria era gelida, ma noi eravamo un fuoco vivo che divampava nel mezzo del deserto. Non eravamo più Julia e Carter, eravamo uno spirito che viveva di passione, di desiderio, di sentimento. Avremmo potuto restare così per il resto della vita, senza neanche il bisogno di separarci per respirare. Io vivevo del suo respiro e lui del mio.

Eravamo leggeri come l'aria, come le nuvole, come la luce. Eravamo qualsiasi cosa, eravamo quel deserto, eravamo il mondo, eravamo l'universo.

Sopravvivevo del suo profumo, di quell'odore di legna affumicata che mi catapultava in un tornado di sentimenti e di ricordi, dal giorno in cui mi trascinò per la prima volta fuori dalle mura della città a quel preciso istante.

Per l'arco di quel tempo, che mi apparve allo stesso tempo sia infinito che troppo breve, nulla ebbe più importanza. Forse fu puro egoismo, ma contavano solo le nostre labbra. Nulla avrebbe potuto distrarci, nemmeno le terrificanti bombe di Beehive, nemmeno gli Assaltatori.

Quando alla fine ci allontanammo, avevamo entrambi il fiato corto. Restammo per un tempo lunghissimo a naufragare negli occhi l'uno dell'altro cercando risposte.

Cosa significa? Cosa siamo? Chi siamo?

Poi Carter sorrise. Sarei potuta morire per quel sorriso.

– Finalmente. – disse.

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