36.
Al limitare della cupola, due guardie armate ci scortarono nel passaggio sotterraneo dopo aver riconosciuto Carter e Samshara che, a quando pare, erano stati ospitati nel villaggio "4" diverse volte.
Un'apertura metallica, sorvegliata giorno e notte, conduceva a decine e decine di metri sotto terra. Le pareti della cupola erano conficcate nel terreno sabbioso tanto quanto la profondità del passaggio. Arrivati al fondale, seguimmo il percorso che si diramava in almeno otto altri passaggi; probabilmente il corridoio rinforzato in ferro faceva parte delle gallerie sotterranee che collegavano tutti i villaggi. Una guardia ci condusse all'interno di un'ascensore di vetro che ci fece schizzare in alto ad una velocità impressionante, fino ad arrivare all'altezza del villaggio.
Una volta fuori, una donna sulla cinquantina d'anni ci accolse con elegante cordialità.
– Benvenuti a tutti voi! – disse unendo le mani davanti al petto – Per chi di voi non mi conosce, io sono Dimitra, capo della Sicurezza e del villaggio "4". – proseguì, mostrandoci un sorriso a trentadue denti.
Dimitra aveva la pelle color ambra che riluceva sotto i primi flebili raggi di sole della giornata; indossava un enorme turbante dai colori sgargianti ed era ricoperta di tatuaggi dei quali ignoravo il significato, così come tutti gli altri abitanti di quel villaggio.
– Immagino che abbiate bisogno di riposare. Vi farò accompagnare in delle stanze dove troverete tutto ciò di cui avete bisogno. Vi aspetto questa sera al banchetto. – Concluse, facendo cenno a due ragazze dietro di lei di accompagnarci alle nostre camere.
Io, Lili e Samshara condividemmo la stanza. Non ci fu il tempo per i battibecchi, ci addormentammo nello stesso istante in cui ci sdraiammo sui letti.
Sognai di trovarmi all'orfanotrofio. Io e Michael eravamo seduti sul vecchio divano del salone e guardavamo la salma di Carla senza provare emozioni. Eravamo impassibili. Poi Carla si alzò e i suoi occhi divennero degli inquietanti sensori rossi. Subito dopo il suo corpo, quasi del tutto putrefatto, mutò in acciaio. Crebbe a dismisura, raggiungendo i cinque metri. A quel punto mi voltai verso Michael e scoprii che anche lui si era trasformato in un Automa. Mi alzai dal divano ma continuavo a non provare nulla. Carla mi porse uno specchio e nel riflesso vidi il mio viso divenuto di metallo. La bocca di Michael iniziò a muoversi. Stava chiamando il mio nome, ma io non riuscivo a riconoscermici.
– Julia. – diceva.
La sua voce era diversa, era artificiale.
– Julia! – questa volta la voce era umana, ma non era quella di Michael
– Julia! Svegliati!
Mi alzai di scatto prendendo un'enorme boccata d'aria, come se durante il sonno avessi trattenuto il respiro. Ero madida di sudore, i capelli mi si erano incollati sulla fronte e sulla cicatrice dove un tempo si trovava il mio orecchio.
Lili era sopra di me e mi scuoteva violentemente – Stavi delirando – disse con preoccupazione.
– Un brutto sogno, niente di più. – cercai di rassicurarla, nonostante avessi ancora il fiato corto.
Guardai fuori dalla finestra e vidi che il cielo era diventato scuro. Il letto di Samshara era libero e di nuovo ordinato.
– Dove è andata? – chiesi.
– Al banchetto, ci stanno aspettando. Dobbiamo sbrigarci!
Mi alzai dal letto e raggiunsi la porta della stanza.
– Ah, no! Non puoi venirci così! – esclamò esterrefatta indicando i miei abiti sudici e rovinati.
– Le ragazze di Dimitra ci hanno lasciato questi. – disse facendomi penzolare davanti agli occhi due abiti appesi su delle grucce.
Io quello non me lo metto.
**********
Sotto la cupola di vetro l'aria era tiepida, al contrario del notturno freddo desertico.
Appena arrivata al villaggio non avevo avuto il tempo, e neanche la lucidità, per ammirarne la bellezza.
Ogni casa era costruita con dei mattoni di pietra bianca. Eccetto le stradine pavimentate con della roccia chiara, tutto il terreno era ricoperto da grandi aiuole dai mille colori. Una grossa fontana spruzzava acqua tanto in alto da poter schizzare il soffitto della in vetro. Tutt'attorno erano stati sistemati tanti lunghi tavoli di legno, apparecchiati in maniera superba e imbanditi di ogni tipo di pietanza. Le estremità della piazza tonda erano riservate a tanti piccoli falò sui quali venivano cotte verdure e carni di diverso tipo.
Ogni ragazza della città indossava vestiti dai mille colori, mentre i ragazzi si muovevano elegantemente nelle loro camicie larghe e dalle stampe stravaganti.
Non potei fare a meno di pensare al villaggio "3" e a quanto fosse diverso. Non che non fosse bello, solo che sembrava meno... moderno, più semplice e antiquato. Poi pensai all'enorme e grigia Beehive e mi sentii così fortunata a trovarmi in quel luogo meraviglioso.
– Mi sento a disagio. – sussurrai dietro la spalla di Lili.
– Smettila, stai benissimo! Se solo ti fossi lasciata truccare!
– Neanche per sogno!
Ci muovemmo tra i tavoli in cerca dei nostri compagni e quando li trovammo, Lili mi abbandonò per raggiungere Liam.
Mi ritrovai completamente scoperta, senza che nessuno nascondesse l'abito ridicolo nel quale ero stata infilata.
Va bene, non era un abito ridicolo. Solo che non era un abito fatto per una come me. Era di un color crema, spalline sottili e lungo fino a metà coscia. In diversi punti era decorato da finimenti in pizzo, ad ogni movimento la gonna volava come le ali di una farfalla.
Mi allisciai il vestito a disagio e alzai gli occhi. La prima cosa che incontrarono, furono quelli grandi, profondi e luminosi di Carter: mi stava fissando.
Mi si surriscaldarono le guance e cercai di distogliere lo sguardo, ma non ci riuscii.
Le sue iridi rilucevano del riflesso argenteo dalla luna. Gli angoli della bocca gli si piegarono leggermente all'insù, come se cercasse di trattenere il sorriso. In quel momento mi sentii la persona più bella dell'universo, perfino più bella di lui.
Non potei farne a meno, le cercai.
Le fossette pensai immediatamente.
Carter scosse la testa ed entrambi tornammo su questo mondo. Si alzò dal suo posto e mi raggiunse. Indossava un paio di pantaloni beige che gli arrivavano al ginocchio e una camicia blu scuro abbottonata a metà.
– Buon giorno. – sussurrò – O meglio: buona sera.
– Ciao. – risposi, incapace di trattenere il sorriso.
Il riferimento alla notte passata-o meglio, al giorno passato-, nonostante non fosse accaduto nulla, mi fece arrossire violentemente.
Forse era proprio per quello che mi aveva salutata in quel modo, voleva vedere come avrei reagito. Cercava un segnale.
Scostò una sedia e mi invitò a sedere per poi tornare al suo posto davanti a me.
Samshara indossava ancora i suoi vestiti e mi lanciò un'occhiata di biasimo, come se mi giudicasse per il fatto di aver ceduto all'abito. Probabilmente si aspettava che mi sarei rifiutata.
Mangiai di gusto ogni portata che mi venne servita. Ero talmente presa dal cibo che non riuscii a concentrarmi su nulla di ciò che stava dicendo Dimitra.
Questo fino a quando non nominò gli Assaltatori.
– I miei ragazzi non sono tornati. – stava dicendo – Sono usciti più di un mese fa per racimolare provviste. Ho paura che loro gli abbiano fatto qualcosa.
– Non preoccuparti Dimitra, se dovessimo avere notizie durante il nostro viaggio, manderemo qualcuno ad informarti. – rispose Samshara.
La fame mi si arrestò.
– Mi sono arrivati allarmi dagli altri villaggi. Stanno rapendo i bambini, non si sa dove li portino e cosa ne facciano.
Mi si bloccò il respiro.
Non se ne accorse nessuno, nemmeno Lili. Solo Carter.
Si alzò dalla sua sedia e mi venne in contro.
– Spero vogliate scusarci. – disse afferrandomi gentilmente per la mano – Vorrei far vedere a Julia il vostro vigneto.
– Certo! Andate pure! – rispose Dimitra – Non raccogliete i grappoli acerbi, mi raccomando! – aggiunse a voce più alta mentre ci allontanavamo.
Starà pensando che non sono abbastanza forte per sopportare tutto questo.
– Sto bene. – dissi cercando di nascondere la poca convinzione della mia voce.
– Se così fosse, saresti disumana. – rispose non credendo alle mie parole.
Quando arrivammo ai cancelli di legno del vigneto, la confusione del banchetto era ormai lontana. Carter spinse l'entrata e venni accolta dal profumo dell'uva.
Le vigne erano ricche di grappoli, alcuni maturi altri acerbi.
Passeggiammo a lungo senza dire una parola, fino a quando arrivammo al limitare della cupola.
Il cuore mi batteva all'impazzata nel petto, ero certa che lo sentisse. D'altronde anche lui sembrava agitato.
Eravamo l'uno davanti all'altro, Carter mi scostò i capelli dal viso arrivando a scoprirmi l'orecchio che non avevo più. Voltai di scatto la testa per evitare che lui vedesse le cicatrici. Invece di arrendersi, mi sfiorò il mento per farmi voltare. Scoprì nuovamente l'orecchio e tracciò con le dita i contorni della lacerazione.
– Sei bellissima. – sussurrò.
Sentii la nuca ricoprirsi di brividi di piacere.
Stavo per alzare gli occhi e puntarli nei suoi, quando Liam ci raggiunse.
– Ehm...scusate. – disse imbarazzato, portandosi una mano dietro alla testa – Ho interrotto qualcosa? – chiese.
Non riuscii a trattenere uno scoppio di risa. Venni subito seguita da entrambi.
– Cosa succede? – chiese Carter.
– Oh, si. – Liam tornò serio – È tornato un ragazzo di Dimitra. Uno di quelli partiti per racimolare provviste. È ferito e parla di Assaltatori.
Uscimmo in fretta dal vigneto, curiosi di sapere cosa fosse successo.
Il cuore mi martellava violentemente nella cassa toracica, ma questa volta era paura.
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