20.
Mi venne fatto indossare una tuta scarlatta e una catena metallica al collo. Venni trascinata lungo tutto il percorso e, a qualche metro di distanza dalla piazza, sentii i brusii eccitati della folla.
Al mio ingresso, piombò il silenzio. Udii qualcuno che, riconoscendomi, mi chiamava dal pubblico. Non mi voltai, mantenni lo sguardo dritto davanti a me.
Salii gli scalini che portavano in cima all'impalcatura e mi posizionai davanti ai cittadini che non aspettavano altro che vedermi mutilare.
Avrei voluto piangere, ma non lo feci. Trattenni il mio pensiero su Michael e tutti gli altri miei fratelli. Avrei sopportato qualsiasi cosa accorciasse le nostre distanze.
In quei giorni rinchiusa nella cella, avevo accuratamente evitato di pensare a loro. Se avessi immaginato, anche solo per un istante, i loro corpi sventrati e lasciati a marcire nel deserto, avrei ceduto. Ogni volta che la mia mente tornava a loro, mi ripetevo che li avrei trovati.
In quel momento, mentre migliaia di persone mi fissavano in trepidante attesa, mi concentrai su di loro, sui miei fratelli. Credevo che il pensiero mi avrebbe dato più forza. Avevo bisogno di loro.
Stanno bene. Li troverò, lo sento.
E lo sentivo davvero. Sapevo che sarei scappata di lì, fuggendo da un nemico per raggiungerne un altro.
La folla cominciò a vociare estasiata quando un Correttore estrasse un coltello dal fodero.
L'uomo mi mise in ginocchio spingendomi a terra per una spalla e iniziò a tagliarmi e strapparmi i capelli.
Le ciocche cadevano a terra come piume, lunghi ricchi castani si sparpagliarono sul palco, non osai guardare.
Ogni muscolo del mio viso rimase al suo posto riuscendo a non contrarsi.
Qualcuno tra la folla, per lo più bambini dei quartieri di lusso, rideva puntandomi il dito contro. Mi sentii schifata.
Fissai lo sguardo verso i cittadini dei quartieri poveri sperando di trovare un volto amico. Se lo avessi trovato, mi sarei concentrato solo su di lui e forse avrei resistito.
E finalmente lo trovai: in mezzo a centinaia di visi sconosciuti, riconobbi quello di Carter. Era circondato dai membri del Circolo e tra di loro intravidi perfino il signor Hamilton. Mi sentii improvvisamente più forte. Avrei affrontato con coraggio l'umiliazione, la tortura e il compiacimento di Keller.
A differenza di molti che mi guardavano con compassione, i Ribelli mi sostenevano con rispetto. Quello era il rispetto.
Trattenni gli occhi su Carter perfino quando fece il suo ingresso il presidente.
– Amici miei, cittadini adorati! – disse con fare teatrale allargando le braccia – Questa donna ha osato disertare. È un soldato dell'Alleanza che ha abbandonato il suo popolo! Cosa merita?
– Amputazione! Amputazione! – urlarono molti in risposta.
– E così sia!
Il Correttore mi bloccò a terra e iniziò a mutilarmi, seghettando via carne e cartilagine. Il dolore era insopportabile, avrei voluto mantenere il silenzio ma non ci riuscii. Urlai con quanta forza avevo il corpo. Sentii il sangue impiastricciarmi i capelli rimastimi e scorrermi gorgogliante nella bocca. Stavo per svenire, avrei voluto svenire.
Mi ricordai della mutilazione di Michael e sentii fremere nel petto tutta la furia che provavo verso il sistema.
Continuando ad urlare, aprii gli occhi.
Carter mi stava guardando, aveva la mascella contratta dalla rabbia.
Il Correttore strappò l'ultimo brandello di carne che tratteneva l'orecchio attaccato alla mia testa e lo gettò ai piedi del presidente.
La vista mi divenne opaca, stavo per svenire.
Pensa ai tuoi fratelli. Resisti! Mi urlai.
E resistetti.
Mi alzai da terra e mi misi in ginocchio. Il sangue gocciolava sul pavimento, creando in poco tempo una larga pozza.
– Che sapore, la giustizia! – disse il presidente – Ma non basta. Io condanno Julia Wax... a morte! – a questo punto la folla era in delirio.
– Si! Giustizia per Beehive! – urlavano in coro.
Guardai Carter, lui e gli altri Ribelli non sapevano che Keller mi avrebbe rispedita nei laboratori.
No! Fermi!
Intanto che la testa che mi girava vorticosamente e intanto che la ferita pulsava tanto forte da nascondermi ogni altro rumore, vidi i membri del Circolo calarsi il passamontagna.
Aprirono il fuoco.
I cittadini cominciarono ad urlare e a spintonarsi per riuscire a scappare. Keller era stato portato in salvo dalle guardie, mentre i Ribelli abbattevano diversi Correttori.
Poi vidi il signor Hamilton cadere a terra con una macchia rossa sul petto che si allargava velocemente. Boccheggiava agonizzante. I suoi occhi si velarono e i polmoni gli si svuotarono dell'aria che contenevano.
– No! – cercai di urlare, ma la voce non arrivò.
È morto. È morto, è morto, è morto!
Piansi. Non ricordai di aver mai pianto così tanto, così intensamente. Non permisi al mio orgoglio di impedirmi di sfogare tutto il mio dolore. Sangue e lacrime si mescolarono, scivolarono sulla mia pelle e ricaddero nella pozza densa e rossa nella quale ero immersa.
Le testa mi esplodeva. Cercai di mettere a fuoco gli altri Ribelli, ma la scena era troppo caotica per riuscire a riordinarla.
Ero sola su quel palco a guardare degli uomini, delle persone, morire per me. Morire a causa mia.
Due Correttori mi alzarono da terra e mi trascinarono via.
Quando le porte del Palazzo di Giustizia si sigillarono, tutto il rumore si annullò.
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