15.
Elia entrò nell'Armeria con gli occhi cerchiati di nero. Sembrava non avesse dormito tutta la notte.
– A quanto pare il nostro allenamento durerà meno del previsto. – disse, mantenendo una voce solida e distaccata – Disponetevi in maniera ordinata e riprendete dal punto in cui avete lasciato ieri.
Ma cosa ha? Mi chiesi.
Thiago iniziò a tirare con le frecce, Lili a colpire un vecchio manichino di gomma con la frusta ed io a sparare con la Calibro 22 contro un bersaglio a cerchi neri e bianchi.
Scaricai due cartucce intere prima che Elia ci interrompesse.
– Oggi affronterete la vostra prima simulazione. Venite con me. – disse, incamminandosi verso il box di vetro scuro che aveva suscitato il mio interesse il giorno prima – Non siete ancora pronti, me ne rendo conto. Ma i tempi si restringono e non posso aspettare un vostro miglioramento.– continuò, intanto che armeggiava con i comandi digitali che apparvero sulla superficie trasparente.
Qualche istante più tardi, il box si illuminò. All'interno erano posizionati macchinari di vario tipo che non seppi riconoscere.
– In questa simulazione le regole principali sono tre: la prima è che non potrete uscire dal box fino a quando il combattimento non sarà terminato; la seconda è che affronterete nemici di gran lunga superiore al vostro livello, di conseguenza non vi batterete ad armi pari; la terza è che se doveste venire feriti in simulazione, riporterete le medesime ferite anche quando uscirete dal box. Lì dentro non potete morire, ma potete essere sfregiati. Tutto chiaro?
Annuimmo in silenzio, carichi di paura e adrenalina.
– Julia, tu entrerai per prima. Voi due andate a sedervi lì in fondo. – ordinò il Correttore.
Thiago e Lili si allontanarono, così Elia colse l'occasione e mi si avvicinò all'orecchio.
– Stanno bene. – disse, – Il Circolo vuole farvi scappare, non potete restare qui. – continuò, cercando di nascondere il panico nella voce.
– Chi si occupa della mia famiglia? – bisbigliai, intanto che Elia mi incollava delle ventose sulla fronte.
– Carter, non temere. Ma dovete fuggire il prima possibile, non c'è più tempo.- insistette – Stiamo organizzando un piano, dovete tenervi pronti. Parla con i tuoi compagni questa sera e mi raccomando: comportatevi come se nulla fosse. È essenziale. – concluse.
Elia mi porse un pugnale da infilare nella cintura e subito dopo, le ventose incollate alla mia fronte presero a vibrare. Ci fu un istante di esitazione, poi mi feci coraggio ed entrai nel Box.
Inizialmente era tutto buio, non riuscivo a vedere ad un palmo dal naso. Di punto in bianco, quella piccola cabina di vetro divenne una distesa landa desolata. Ci misi qualche istante per capire che mi trovavo in un parco giochi abbandonato. Pezzi di ferraglia arrugginita sbucavano pericolosamente dal terreno sabbioso. Il tutto era avvolto da una luce giallastra, come quella che si manifesta prima di un terremoto. In lontananza vidi un maestoso albero dai rami secchi e bruciati. Non potei fare a meno di notare un vago odore di fumo, come se un'incendio di tempo prima non volesse farsi dimenticare. Il vento sibilava tra le foglie cadute a terra e tra i giochi abbandonati che cigolavano inquietantemente.
All'improvviso, da dietro la struttura di una vecchia altalena, sbucò un'animato manichino d'ovatta. Era completamente bianco, quasi rifletteva la luce mentre si avvicinava minacciosamente con un coltello alzato. Sfilai il mio pugnale e tentai di colpirlo a distanza per non sprecare subito i proiettili della mia pistola. Miracolosamente lo colpii alla fronte e questo si afflosciò a terra. Estrassi il coltello dalla stoffa e me lo rinfilai nella cintura.
Si nascondono capii.
Superai un vecchio scivolo e sentii un ramo spezzarsi. Mi voltai e a pochi passi da me c'era un altro uomo senza volto, teneva alzata la sciabola e delle bombe a mano incastrate in una cintura. Fui svelta: estrassi il pugnale, gli mozzai il braccio, lo colpii al cuore e gli rubai la cintura.
Sfilai una bomba, strappai il gancio con i denti e la lanciai verso un mucchio di giochi abbandonati. Una decina di manichini uscirono allo scoperto; ne lanciai un'altra riuscendo a eliminarne la maggiore parte. Due di loro erano ancora in piedi, mi correvano in contro emettendo dei suoni simili ad urli soffocati. Estrassi la pistola e sparai sulla fronte ad uno dei due. Questo cadde a peso morto sul terreno. Puntai all'altro ma non riuscii a colpirlo, si muoveva troppo velocemente da una parte all'altra, ed io finii con lo scaricare tutte le cartucce senza riuscire a sfiorarlo neanche una volta. Il manichino mi raggiunse e mi si scagliò addosso. Mi teneva bloccata a terra, mentre con una mano cercava di infilzarmi con il suo lungo coltello da macellaio. Scalciavo e mi dibattevo come una forsennata. Riuscii a rotolarmi sulla schiena e cercai di sgusciargli via, ma il manichino mi colpì violentemente alla spalla. Non sentii nulla, solo l'adrenalina che mi aiutò a sfilare il pugnale dalla fodera: lo colpii ripetutamente senza riuscire a trovare la forza di fermarmi. Un mare di batuffoli d'ovatta si riversò intorno al corpo inanimato.
Mi alzai in piedi, ma avevo perso troppo sangue. Dalla spalla colava a fiotti il liquido caldo, scivolando sul braccio e finendo a terra in continue e costanti gocce scarlatte.
Caddi subito a terra e la luce del box si spense. La simulazione era terminata. E avevo vinto.
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