53. OSPEDALE
Quando Jack si svegliò dall'anestesia, era sdraiato in un letto dal materasso sottile. Aveva diversi tubicini collegati alle braccia e una macchina wireless monitorava le sue funzioni vitali tramite dei piccoli dischi che aderivano al petto e alla nuca.
Il ragazzo indossava un camice bianco costellato da pallini sbiaditi, da cui emergevano un paio di polsi pallidi e smagriti.
Cercò di deglutire, mettendosi seduto, e spostò il colletto del camice per osservarsi la pancia. Sul fianco destro c'era la ferita a forma di ics lasciatagli dalla pianta carnivora, quando era andato a cercare Pim, e al centro una striscia bianca di pelle raggrinzita. Non aveva idea di cosa gli avesse fatto Valentino, e non voleva nemmeno saperlo. L'unica cosa di cui era certo era che si sentiva una schifezza.
Jack si guardò attorno e vide l'asta sulla quale riposava la sacca di soluzione fisiologica cui l'avevano collegato. Si aggrappò a essa e cercò di mettersi in piedi. Le sue ginocchia erano molto incerte e dovette appoggiarsi anche al paravento per non perdere l'equilibrio.
Era già stato in quel posto, neanche tanto tempo addietro, ma gli sembrava fossero passati dei secoli. Era il luogo dove l'aveva "ricoverato" il dottor Morton, dopo che Jack aveva cercato di contattare Morris. Paradossalmente, quella volta le cose gli erano sembrate molto più semplici. E dire che allora credeva che la sua vita facesse schifo.
Non c'è mai un fondo al peggio, eh.
Jack avvertì dei borbottii al suo fianco, oltre il divisore color verde fango, e si chiese se fosse la donna che aveva visto l'ultima volta, quella che diceva cose insensate. Però non aveva tempo di controllare. Doveva andarsene, finché non c'era nessuno.
Stava zoppicando fra i letti, quando Morton entrò nell'infermeria, reggendo un tablet su cui stava leggendo dei dati. Vide subito Jack, che si fermò, come una lucertola che attua il suo meccanismo di autodifesa.
- Cosa ci fai in piedi? – sibilò Morton, col suo fare burbero, afferrandolo per le braccia. Lo spinse verso il letto. Jack era troppo debole per opporsi e si sedette fra le coperte con un sospiro rassegnato. – Sei impazzito? La tua struttura è ancora fragile. Distenditi, o potresti avere un'emorragia interna. Valentino ha spinto al limite il tuo sistema di autorigenerazione, e ora è come un paio di batterie esauste. Devi risposare, se vuoi recuperare le forze.
- Non ho tempo di riposare – mormorò Jack, mentre il medico gli sollevava le gambe, distendendole fra le coperte. Il ragazzo si sorprese di quanto fossero magre, cosparse di lividi. Nemmeno l'autorigenerazione riusciva a farli sparire. – Devo trovare gli altri... dobbiamo andarcene da qui...
Morton non fece una piega, ristabilendo il collegamento fra lui e le macchine che ne controllavano le funzioni vitali.
- Io devo... - ricominciò Jack.
- Stai zitto – sibilò Morton, a voce bassa, afferrandolo per le spalle. – Non devi parlare di queste cose. Pensa a riposarti, ne avrai bisogno.
Mimò con le labbra: "ci stanno ascoltando".
Jack, che aveva aperto la bocca per ribattere, la chiuse, mentre Morton gli porgeva un blocchetto di carta e un pezzo di carbone. Il ragazzo la accarezzò con la punta delle dita e cercò di stringere il carboncino. La sua scrittura era stentata e zeppa di errori, e Morton ci mise un po' a decifrare il suo messaggio.
"Gli atlri dove sonno?"
Il dottore spostò il foglio su cui Jack aveva scritto e preparò una risposta, porgendola al ragazzo.
"In altre celle, al piano sotterraneo, dove tenevamo i vecchi giornali, la sala computer e le zone di quarantena. Quest'ultime sono state svuotate e ora vengono usate come prigioni. E' lì che stanno i tuoi amici e i rivoltosi sopravvissuti."
"Chi e rimasto?"
"Tuo fratello Nick, Eddie, due Sopravvissuti di nome Aaron e Bernie."
"Mo? Pim?"
"Morris non c'era. Forse è scappato. In quanto a Pim, la tengono altrove."
"Dove?"
"Nel laboratorio improvvisato al piano di sopra. Credo che la stiano esaminando. Era un lavoro di tuo fratello, no?"
A Jack non piaceva definire Pim un lavoro, ma in linea di massima sì, lo era stata. Ormai era una persona, però. Non potevano fare degli esperimenti su di lei.
"Devo saperre se stano bene", scrisse sul foglio. Ormai il carboncino era quasi finito e gli dolevano le dita per riuscire a tenerlo fermo. "Devo veder-li."
Morton raccolse il blocco e il carboncino, e scosse la testa.
Jack lo guardò con aria supplice, afferrandogli il camice, dove lasciò delle impronte scure.
- Per favore – mormorò, cercando di trasmettergli tutto il proprio dolore con quelle due parole.
La prima volta che Morton e lui si erano incontrati il medico non si era comportato molto bene. Jack sperava che avesse qualche rimorso di coscienza al riguardo e gli permettesse di vedere i suoi amici.
Il dottore sospirò, afferrando il foglio, e vi scrisse sopra velocemente, per poi ridarglielo.
"E va bene. Vedrò dove si trovano e cercherò di portarti da loro questa notte, se riesco. Ma non aspettarti niente, non è detto. Dipende dalle guardie e da Valentino. Se lui si mette a fare la ronda, dovrai aspettare."
Sapevano entrambi che quella era l'unica occasione. L'indomani, nonostante fosse debole e convalescente, Valentino l'avrebbe fatto riportare in cella. Jack non avrebbe potuto vedere nessuno finché non l'avessero di nuovo conciato tanto male da costringerlo a qualche giorno di riposo all'ospedale.
- Grazie – sussurrò Jack, stringendo una mano a Morton.
Il medico lo lasciò fare, nonostante la sua espressione di pietra, e gli disse di stendersi, che altrimenti sforzava i muscoli dell'addome, a cercare di alzarsi. Jack ubbidì, tirandosi la coperta fin sotto il mento. Faceva molto freddo. Dovevano aver chiuso il riscaldamento per risparmiare energia.
Il ragazzo osservò Morton mentre si occupava degli altri pazienti. Era talmente stanco che si addormentò.
***
A Jack era sembrato di aver dormito per pochi minuti, quando lo scossero con forza per un braccio. Si svegliò con un singulto e una mano callosa gli tappò la bocca, ricacciandogli un gemito di sorpresa in gola.
Morton si premette un indice sulle labbra per fargli cenno di tacere e lo aiutò a scendere dal letto. Lo scollegò dalle macchine e gli diede un maglione da indossare sopra il camice, assieme a un paio di ciabatte.
Gli porse quella che sembrava una barretta energetica e Jack la masticò in fretta, nonostante il suo stomaco si contraesse sgradevolmente a ogni boccone.
Il medico gli tirò su il cappuccio e se lo issò sulla schiena. Jack era talmente leggero che gli sembrava di portare un ragazzino di undici anni.
Una volta che furono usciti dall'infermeria, Jack accostò le proprie labbra al suo orecchio destro e sussurrò:
- Grazie per avermi aiutato.
- Penso ancora che sia una pessima idea – rispose Morton, con voce appena percettibile.
Scesero delle scale senza incontrare nessuno. Doveva essere molto tardi, attraverso gli oblò si poteva vedere solo il buio, assieme all'azzurrino della palude che si rianimava di notte.
Raggiunsero un corridoio sul cui lato sinistro c'erano dieci porte blindate. Avevano tutte un codice.
Morton lo inserì in fretta e una di queste si aprì. Dentro c'erano Nick, Eddie, Bernie e, rannicchiato in un angolo, Aaron.
Si coprirono gli occhi, accecati dalla debole luce del corridoio. Sembravano dei fantasmi, talmente magri da far paura e con dei cerchi violacei attorno alle orbite. La pelle dei due Sopravvissuti era di un blu pallido e malaticcio, e i loro capelli sfibrati: nessuno dei due si alzò, Aaron perché non aveva dato segno di accorgersi di nulla, Bernie perché il suo ginocchio malato era gonfio, butterato da vesciche di liquido giallastro.
- Fate silenzio – ordinò loro Morton, sottovoce, mentre faceva scendere Jack dalla propria schiena e lo aiutava a raggiungere i suoi compari.
Il ragazzo abbracciò per primo Nick, che lo strinse a sé con forza, soffocando un singhiozzo. Jack affondò il viso nell'incavo del suo collo, inspirando il suo odore, sentendosi al sicuro fra le sue braccia. Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma non poteva. Sperava che suo fratello avrebbe capito.
Stava pensando che gli voleva bene ed era felice di vederlo ancora vivo. Eddie si unì all'abbraccio, stringendoli entrambi. Jack era felice che anche lui stesse bene. Si conoscevano da molti anni e faceva impressione vedere quel ragazzone muscoloso ridotto a un ammasso di ossa. Non che Nick fosse in condizioni migliori. La sua magrezza era ancor più eclatante, visto il suo fisico imponente.
Jack avrebbe voluto restare con loro per sempre, ma non c'era tempo. Doveva salutare anche Bernie. Gattonò verso di lui e lo strinse, stando attento a non ferirsi con le punte ossee che emergevano dalla sua schiena. I suoi capelli madreperlacei e stopposi avevano ancora l'odore umido e intenso della palude. Odore di libertà.
Il Sopravvissuto gli sorrise, con gli occhi lucidi. Jack ricambiò e abbassò lo sguardo sul suo ginocchio, con aria interrogativa.
Bernie scosse la testa, come per dire "non è niente". Passò una mano sul viso del ragazzo, per poi indicare la sua pancia. Sapeva cos'era successo, l'aveva letto nella sua mente.
Jack scosse la testa. Non sapeva come rispondere.
Bernie lo abbracciò di nuovo per consolarlo.
Morton si avvicinò, afferrando il ragazzo per una spalla. Aveva un'espressione eloquente. Jack doveva darsi una mossa, se voleva vederli tutti, o non ci sarebbe stato tempo per la ragazza.
Il ragazzo esitò, soffermandosi su Aaron. Aveva visto quello che era successo nella battaglia, prima che dei Migliori spuntati da delle macchine dalla carrozzeria camaleontica si fossero avventati su di loro coi fucili, le fruste metalliche e i tranquillanti.
Teofane era morto.
Jack aveva sentito il sangue gelarsi, quando un proiettile – il primo proiettile – aveva colpito la testa del capo villaggio, e questi era caduto all'indietro, quasi come se lo scorrere del tempo si fosse dilatato. Nel momento stesso in cui aveva toccato terra, si era scatenato l'inferno: i Migliori avevano cominciato a sparare, Baffo aveva disarcionato lui e Pim, scappando verso la palude, e si era salvato grazie alla sua velocità. Anche altri erano scappati, mentre Jack, Pim e chi si trovava con loro era stato rallentato dallo shock dell'evento.
Jack non era sicuro di voler perdonare Aaron. Era colpa sua se si trovavano in quella situazione, era stato lui a uccidere quelle due guardie. Ma, in fondo, Jack sapeva che non avrebbe fatto molta differenza, se le avesse lasciate in vita. I Migliori avevano in mente sin da subito di ucciderli, e li avevano fatti prigionieri solo perché Morris era riuscito a fuggire o perché non sapevano quale fosse la quantità esatta di Sopravvissuti al villaggio e temevano di non essere abbastanza da poterli sconfiggere, malgrado le loro armi avanzate.
Posò una mano sulla spalla del Sopravvissuto con l'intento di fargli capire che non aveva intenzioni ostili, ma lui si sottrasse bruscamente, volgendo la fronte al muro.
Morton fece cenno a Jack di seguirlo e il ragazzo dovette lasciar perdere Aaron. Salutò di nuovo Nick, Eddie e Bernie, e il medico chiuse la porta.
Jack si pulì gli occhi su una manica del maglione e Morton se lo issò di nuovo sulla schiena.
- Non fare un fiato. Stiamo andando ai piani superiori. Silenzio assoluto.
Il ragazzo annuì, stringendosi al dottore per non scivolare. Gli sembrava di essere tornato bambino a essere portato in giro a quel modo, ma avrebbero fatto prima così.
Il Rifugio era pervaso da un silenzio inquietante. Avevano imposto il coprifuoco e chiunque venisse sorpreso a girare oltre l'orario stabilito senza autorizzazione veniva messo in prigione o, semplicemente, giustiziato a vista.
Salirono al secondo piano e Morton si fermò, traendo un profondo sospiro. Il laboratorio si trovava vicino alla zona dove risiedevano i Migliori. Stava correndo un grande rischio.
Jack gli strinse un lembo della giacca, e il medico si decise, inserendo i propri dati personali nel pannello davanti alla porta, uno degli ingressi tecnologici che i Migliori erano riusciti a salvare dalla distruzione di Cram.
Oltre la porta c'era una stanza molto grande, un tempo adibita a magazzino. Sul lato destro di essa erano accatastati ogni genere di strumenti, da quelli per le pulizie ad asce e motoseghe per tagliare la legna. Il lato sinistro invece era stato sgomberato, e vi era stanziata una capsula blu, collegata a un tavolo di metallo. Su di esso, trattenuta da dei cavi d'acciaio, c'era Pim.
Jack scese dalla schiena di Morton e caracollò verso la ragazza. Le strinse una mano, spiando un segno di vita sul suo volto. Anche a lei avevano rasato i capelli, e a Jack dispiacque vederla spogliata di quella chioma rosa e voluminosa, tanto improbabile e tanto incantevole.
- Pim – sussurrò, chinandosi per darle un bacio sulle labbra.
Lei aprì gli occhi. Il suo sguardo era offuscato. L'avevano drogata per tenerla sotto controllo.
Mise a fuoco Jack e sorrise.
- Jack – mormorò. – Sei vivo. Credevo...
- Shh – sibilò Morton, alle loro spalle.
Jack le fece cenno di tacere e le mise una mano su una guancia, accarezzandole il viso, sperando che lei assorbisse i suoi pensieri.
- Anche tu mi sei mancato – sussurrò lei, pianissimo. – Dobbiamo fuggire da qui. Ci tirerò fuori anche da questo disastro, non preoccuparti.
Jack spostò lo sguardo sulla macchina, e Pim fece lo stesso.
- Non so cosa ci sia lì dentro – esalò. – Vogliono cercare di capire il segreto del mio DNA, così non avranno più bisogno di Morris.
Il ragazzo le strinse una mano e le diede un altro bacio, mentre osservava quella macchina sinistra. Sembrava un grande uovo a metà, che emergeva dal pavimento stesso. La sua superficie era perfettamente liscia, priva di irregolarità o punti che avrebbero potuto suggerire un'apertura o chiusura. Jack non sapeva quale pulcino potesse esserci là dentro, ma non sarebbe stato come Pim. Nessuno avrebbe potuto replicarla, perché lei era irripetibile.
Morton cominciò a tirarlo per un braccio, cercando di allontanarlo, ma Jack non voleva andarsene. Le strinse la mano, cercando di imprimersi nella memoria com'erano il contatto con la sua pelle, l'espressione del suo viso quando lo guardava, il suono della sua voce.
Ti amo, pensò, e lei gli sorrise.
- Anche io. Vai, adesso.
Morton riuscì a staccarlo da lei, nonostante lui continuasse a opporre resistenza, e lo trascinò verso la porta.
Questa si aprì subito, ma non perché il medico aveva inserito il codice. Ad accoglierli trovarono un fucile.
Il boato della pistola echeggiò nella stanza. Per via del contatto ravvicinato, Jack divenne momentaneamente sordo, le orecchie che fischiavano. A terra, vide il corpo di Morton. Una rosa rossa si era allargata sul suo petto, mentre il sangue si allargava sotto di lui, formando una pozza appiccicosa. I suoi occhi erano vuoti, fissi verso l'alto.
Jack non riusciva a distogliere lo sguardo da quel tetro spettacolo. Lo fece solo perché qualcuno lo aveva afferrato per un polso, stringendo tanto forte da strappargli un gemito.
Era la donna dai capelli bianchi, la gigantessa-soldato. I suoi occhi brillavano di una soddisfazione selvaggia.
Parlò, ma Jack non capì nulla. Oltre a essere sordo, era troppo sconvolto per comprendere, mentre lei lo trascinava via.
- M-Morton – balbettò il ragazzo, con voce flebile. Non riusciva a crederci. L'aveva ucciso, così. Sotto i suoi occhi, come se non fosse valso niente.
- E' colpa tua se ho dovuto ucciderlo, ragazzino – sibilò Minerva, scaraventandolo in una cella buia, lontano da quelle dei suoi amici. – Tienilo bene a mente, la prossima volta che cercherai di fare amicizia con qualcuno.
Jack, accasciato a terra, guardò la donna, e gli parve di vedere un altro volto sovrapporsi al suo.
- Mo...? – sussurrò, con un filo di voce.
Minerva inarcò un sopracciglio e scoppiò in una fragorosa risata.
- Hai preso troppe botte in testa, non è vero, piccolo verme? – sogghignò, elargendogli un calcio. – Mi sa che la mente comincia a giocarti dei brutti scherzi, ragazzino.
Rinfoderò il fucile sulla custodia che portava sull'ampia schiena, per poi sistemarsi i capelli.
- Domani Valentino verrà a chiacchierare con te. Ha deciso di lasciarti lucido. Magari ti verrà in mente qualcosa in più, in questo modo. Buona notte, sgorbio.
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Morton non era così male... la sua morte è stata un'ennesima tortura psicologica per Jack. Come se non si sentisse già abbastanza in colpa. Il dottore del Rifugio era un grande menefreghista, ma anche lui aveva un limite, in fondo. Ci sono cose che semplicemente non si riescono a fare, a un certo punto.
Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stella o un commento!
Nel prossimo vedremo cos'è successo a Belgor, e daremo un'occhiata nella mente di Valentino. Chissà se riuscirete a capire cosa sta succedendo e dove voglio andare a parare :)
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