51. IL MOMENTO DI MINERVA

Jack e Pim erano seduti sul dorso di Baffo. Il Rosicone avanzava tranquillo nella scia dei Sopravvissuti, che se ne andavano in giro a bordo delle loro lucertole giganti, di tutte le sfumature di verde e giallo. Alcune di esse, più particolari, erano di un rosso fuoco. Si diceva fossero emerse dalla terra dei vulcani, dove andavano a deporre le uova. Erano animali difficili da addomesticare, ma, una volta ottenuta la loro fiducia, la si aveva per tutta la vita, a meno che non la si calpestasse o si cominciasse a maltrattarle.

Baffo sembrava a suo agio con le lucertole, nonostante si fermasse ogni quattro passi per rosicchiare dei funghi. Per via delle sue voglie, Pim e Jack erano finiti in fondo alla piccola carovana.

- Dai! Baffo, muoviti! Così li perderemo! - gemette il ragazzo, dandogli dei colpetti gentili con i talloni.

Il Rosicone toccò un fungo con la punta del muso e da esso emerse una nuvola di spore, che lo fecero starnutire. Per poco non disarcionò i due cavalieri, che strillarono per lo spavento.

I Sopravvissuti non si voltarono nemmeno. Erano talmente abituati ai loro continui gridolini e borbottii che non si davano più la pena di controllare. Un po' si erano pentiti di essersi portati dietro quei due.

- Baffo, per favore - piagnucolò Jack. - Non posso fare il cavaliere valorizzoso se tu non fai quello che ti dico. Su, avanti, marce!

- Marsch, forse.

- Senti, smettila di fare la saputona, tu, eh. Che qui siamo alla presa con cose serie.

Pim rise sotto i baffi.

- Invece di sghignazzare, dammi una mano.

- E come? Io sono solo una saputona rompiscatole. Non so risolvere i tuoi problemi.

Jack scese dal dorso del Rosicone borbottando fra sé e sé, mentre Pim accarezzava le orecchie dell'animale, ancora alle prese col fungo. Sembrava ne avesse trovato uno particolarmente saporito e che non avesse nessuna intenzione di andarsene presto.

Il ragazzo posò le mani sul didietro dell'animale, cercando di spingerlo verso la direzione desiderata, ma non riuscì a smuoverlo di mezzo centimetro. Si sedette su una radice per riprendere fiato, mentre Pim lo osservava con interesse dal suo posto sulla schiena morbida della creatura.

- Forse non gli hai chiesto per favore - fece notare a Jack, con un sorrisetto.

- Per favore? - ripeté lui, confuso e un po' irritato. - Senti, non abbiamo tempo per...

Non fece in tempo a terminare la frase che Baffo mise la quarta, balzellando verso posti migliori.

- No! - strillò Jack, andandogli dietro, con lo zaino che rimbalzava sulla schiena. - Aspettatemi!

- Come, scusa? Non ti sento - gridò Pim, portandosi una mano all'orecchio.

- Che stronzetta...

- Come?

- Per favore, digli di fermarsi! - farfugliò Jack, capitolando.

Pim accarezzò la testa del Rosicone, mormorandogli in un orecchio, e la creatura si fermò, per poi chinarsi su un altro fungo e cominciare a sgranocchiarlo. Quando Jack li raggiunse stava fischiando come un mantice, trascinandosi sul terreno fangoso.

La guardò male, e Pim, mossa a compassione, gli diede una mano a salire sulla schiena di Baffo.

- Sei cattiva - brontolò Jack. - Tanto cattiva.

- Solo un pochino, dai.

- Devi smetterla di prendermi in giro. Sono io il cavaliero, qua. Quindi ora prenderò il comando di questa possente bestia - continuò il ragazzo, afferrando le orecchie del Rosicone come se fossero state le redini del suo destriero. - Adesso stringiti forte, che andiam... aaaah!

Il coniglio era di nuovo partito in quarta, balzando da una radice all'altra alla velocità della luce, mentre il vento scompigliava loro i capelli e gli ricopriva la faccia di insetti.

Alla fine di quel viaggio avevano raggiunto l'accampamento che i Sopravvissuti avevano deciso di preparare. Jack scese dal dorso del Rosicone con aria frastornata, reggendosi al suo pelo per non cadere a terra come un frutto maturo.

- Non è proprio come me l'ero immaginato - gorgogliò, mentre si puliva il viso dagli insetti e sputacchiava i residui delle loro alette. - Che schifo.

- A me è piaciuto un sacco - disse Pim, balzando giù allegra.

- Sì, lo dici perché mi hai usato come scudo - brontolò Jack. - Sei un'infima traditrice.

- Che paroloni. Sono proprio offesa, adesso.

I due continuarono a battibeccare mentre conducevano il coniglio verso le scuderie improvvisate, dove avrebbe fatto compagnia ai lucertoloni. Jack pensò alla Stregana. Doveva sentirsi sola, poverina, ma aveva preferito lasciarla alle cure di Maya. Non avrebbe voluto perderla nella confusione della battaglia, qualora fosse accaduto un imprevisto. Aveva paura che venisse schiacciata da una di quelle lucertole che, per quanto amichevoli, erano molto maldestre: avanzano come dei carri caramellarmati, triturando sotto i piedi tutto quello che incontravano sul cammino, rosicchiando erba, cortecce e animali molesti, mentre si guardavano attorno coi loro occhi strabuzzati e un po' folli.

Stavano ancora assicurando il Rosicone a un tronco con delle corde, preparandogli una ciotola d'acqua e una scorta di funghi, quando Bernie si avvicinò a loro.

- Ragazzi, dov'eravate finiti?

- Eravamo rimasti indietro con... - cercò di spiegare Jack.

- Ah, non importa - sbottò Bernie, interrompendolo. - Venite con me, vi mostro la vostra tenda. La dividerete con Morris, Nick, Eddie e me. Purtroppo non abbiamo molto spazio. Ho portato delle coperte anche per voi, ma sarà pur sempre dormire per terra.

- Che bello, andiamo in campeggio - mormorò Jack, inarcando le sopracciglia con finto entusiasmo.

- Già, bravo - mormorò il dottore, prendendolo sul serio. - E adesso pensate a sistemare le vostre cose. Pulite e disinfettate gli strumenti, domani potremmo averne bisogno.

- Ma Bernie...

Il dottore se ne andò prima che potessero aggiungere altro, lasciandoli soli davanti alla tenda. Jack lo osservò mentre si allontanava di tutta fretta. Bernie era molto ansioso e in ogni suo gesto si poteva scorgere la paura. Jack si ricordò di quando il guaritore gli aveva raccontato del proprio ginocchio: aveva visto morire alcuni suoi amici quel giorno e ne era stato segnato. Ma anche Teofane aveva perso delle persone care, specie sua moglie Siria, dunque avrebbe dovuto essere altrettanto spaventato, malgrado, sembrasse avere un perfetto controllo della situazione.

C'erano cinque tende in totale. Tre contenevano alcuni esploratori e degli umani che si erano offerti come volontari per accompagnarli, una invece era per Teofane, Aaron e Belgor, e infine c'era loro.

Oltre le tende, attraverso gli alberi e i filamenti fungini, si intravedeva il profilo di città Rifugio e Cram. Entrambe erano silenziose, come se si trattasse solo di miraggi e là non vivesse nessuno.

L'atmosfera era tesa, ma dieci chilometri erano uno spazio sufficiente a farli dormire in tranquillità e permettere loro di vedere i Migliori, qualora avessero cercato di tendergli un agguato nel sonno. In ogni caso ci sarebbero stati dei turni di guardia.

L'indomani si sarebbero incontrati con i Migliori a circa metà strada, a cinque chilometri da lì. Jack continuava a ripensare a quel momento, chiedendosi come sarebbe stato, ed era talmente agitato che non riusciva a stare seduto per due secondi. Continuava a stringere le mani o a tormentarsi le piccole cicatrici lasciategli sulla nuca dai filamenti fungini.

Quella sera mangiarono tutti per conto proprio, senza accendere alcun fuoco per impedire ai Migliori di localizzarli.

Una volta che ebbero terminato di mangiare, andarono a letto. Nessuno aveva voglia di chiacchierare.

Jack si distese, cercando il punto più comodo del terreno brullo e umido, e si avvolse in una coperta. Pim lo raggiunse poco dopo, stendendosi al suo fianco, e si strinsero assieme sotto la coperta. Il ragazzo le passò un braccio attorno alla vita, attirandola a sé, mentre le dava un bacio sulla base del collo.

- Non riesci a dormire? - gli chiese lei, stringendo una mano a Jack.

- No - sospirò lui, stendendosi a pancia in su con una smorfia, cercando di trovare una posizione più confortevole. - E' come dormire sui sassi. E poi chi mai riuscirà a dormire stanotte? Continuo a pensare a cosa succederà domani.

- Tormentarsi non serve a niente. Cerca di riposarti un po'. Posso aiutarti a dormire, se vuoi.

Di solito, quando Jack aveva gli attacchi di panico, Pim usava la propria mente per mormorare una ninna-nanna a quella del ragazzo, che finiva per addormentarsi.

- Sarebbe bello, ma dovremmo avere un turno di guardia fra non molto.

- Non preoccuparti, ti sveglierò io - lo rassicurò lei, accarezzandogli una guancia.

Jack annuì, mentre Pim gli poggiava la testa sul petto. Cominciò a rilassarsi e, senza nemmeno rendersene conto, scivolò in un sonno profondo.

***

La mattina seguente Jack si svegliò perché qualcuno lo stava scuotendo per una spalla. Emise un balbettio, aprendo gli occhi, e vide il volto di Pim chino su di lui.

- E' il mio turno? - farfugliò il ragazzo, cercando di alzarsi.

- No - mormorò Pim, cominciando a raccogliere la borsa con gli strumenti. Mise quella di Jack in grembo al ragazzo. - Ho preso io il tuo posto.

- Ma toccava a me vigilare...

- Io non devo dormire, a tua differenza. Almeno sei riuscito a riposare per un po'. E' già l'alba, dobbiamo avviarci verso il posto dell'incontro.

A Jack non restò altro da fare che ringraziarla, malgrado gli dispiacesse che fosse stata lei a compiere il suo dovere. Raccolse le poche cose che si era portato dietro e fece rapidamente colazione con del pane, prima di uscire dalla tenda. Erano già tutti fuori, a bordo delle lucertole, e stavano parlando fitto fitto. Baffo li aspettava accanto alla tenda e sembrò contento di vederli. Cercò di rosicchiare un lembo della tuta di Jack, che gli accarezzò il muso, prima di sistemarsi sulle sue spalle.

- Se siete pronti, possiamo partire - disse Bernie, affiancandosi a loro a bordo della sua lucertola rossa. La creatura emise un verso gutturale, strabuzzando gli occhi, indipendenti l'uno dall'altro, come quelli di un cà-ama-le-onte. - Noi resteremo nelle retrovie.

- Mo e Nick? - chiese Jack, cercando i suoi fratelli con lo sguardo.

- Ci seguiranno a breve. Non temere, non finiranno in prima fila.

Il ragazzo annuì, sentendosi un po' sollevato, e si misero in marcia.

***

Belgor stava osservando la schiena di Aaron, che procedeva qualche metro più avanti su una lucertola dal dorso chiazzato di giallo. Ancora non riusciva a credere che loro padre gli avesse permesso di venire dopo quello che aveva fatto. Era proprio vero che non lo ascoltava mai.

Il Sopravvissuto si voltò e vide Jack e Pim a bordo del Rosicone circa una trentina di metri addietro. Erano seguiti da tre lucertole, una per Morris, una per Nick e una per Eddie, il suo compagno. Nicholas aveva un coltello da caccia in vita e una borsa con delle lance che pendeva dal fianco destro della lucertola. Belgor comprendeva la sua diffidenza. Anche lui, nonostante sperasse nel meglio, aveva un paio di rudimentali coltelli da lancio nelle tasche interne della tuta.

Una volta raggiunto il punto predisposto, assunsero una disposizione ad angolo, con Teofane al vertice. Il sole era già alto sulle loro teste e i raggi rosa dell'alba avevano lasciato posto a quelli bluastri di metà mattina.

In lontananza videro dei puntini emergere dal muro filtrante.

Dopo circa venti minuti, si fermarono di fronte a loro. Una ventina di Migliori uscì dalle jeep mimetiche al bordo delle quali erano arrivati, disponendosi attorno a due figure.

La prima era una donna alta quasi due metri, con dei bicipiti scolpiti che tendevano la sua tuta militare. Aveva lunghi capelli di un biondo tanto chiaro da sembrare bianco e dei duri occhi grigio metallo. Il suo volto era rozzo e ostile.

Il secondo era un uomo, magro, debole, costretto su una sedia a rotelle d'alta tecnologia, dalla quale emergevano una serie innumerevole di cavi e tubi, collegati al suo collo e alle braccia. Sul viso, che un tempo doveva essere stato molto bello, portava una mascherina filtrante con tre fori all'altezza delle labbra. I suoi occhi erano neri come la pece e i capelli appiattiti con della brillantina. Indossava un vestito assurdo, con tanto di cravatta. Forse aveva scambiato quell'incontro per un meeting.

I suoi occhi scivolarono sul piccolo gruppo di Sopravvissuti, focalizzandosi su Morris. Un sorriso impercettibile gli solcò le labbra, prima che rivolgesse la propria attenzione a Teofane.

- Immagino sia tu il capo villaggio - disse. La sua voce era melodiosa e dolce, quella di un serpente ammaliatore. - Io sono Valentino, Ministro della Comunità dei Migliori. Mi trovo qui in vece del Primo, assieme al mio braccio destro, Minerva. Vedo che con voi avete Robert Stein, Ministro della Ricerca. Pardon, ex-Ministro. E Mercy? Se l'è cavata?

- Sta bene, non preoccuparti - mormorò Teofane, senza lasciarsi confondere dai suoi giochetti. - Tutto ciò che vogliamo è trovare un accordo con voi.

- Che genere di accordo? - chiese Valentino.

- Nessuno di noi vuole una guerra. Siamo rimasti in pochi. Vi prego, lasciateci vivere in pace e noi non vi disturberemo mai più.

- Hm. Sembra una proposta allettante. Io non ho nessun problema a lasciarvi in pace. Ciò che davvero mi interessa è che mi consegniate Robert Stein. Non mi sembra di chiedere molto.

Belgor guardò Morris con la coda dell'occhio. L'uomo era impassibile, i suoi occhi color ghiaccio non tradivano alcuna emozione.

Aaron invece stava ribollendo di rabbia e aveva già posato una mano sulla custodia del suo coltello preferito.

Non fare idiozie, gli disse mentalmente Belgor. Non aveva idea se suo fratello l'avesse udito o no, ma allentò la presa sull'elsa del pugnale.

- Mi dispiace, ma non possiamo consegnarvelo. Non è una nostra proprietà. Vi seguirà solo se lo vorrà.

Valentino sospirò, scuotendo la testa con scorno.

- Ne siete sicuri?

Teofane guardò Morris, che scosse la testa.

- Lui ne è sicuro, dunque lo sono anche io.

- Che peccato. Però non ditemi che non vi ho proposto una via d'uscita. Minerva, passo a te l'onore di parlamentare.

Il sorriso che la donna aveva trattenuto fino a quel momento si ingrandì, trasformandosi in un ghigno folle, mentre metteva mano alla pistola che portava sul retro della cintura.

- State giù! - gridò Belgor, abbassandosi appena in tempo.

Un proiettile sibilò sopra la sua testa, mentre cadeva a terra. Si rialzò più velocemente che poté, cercando di coprirsi il capo. Proiettili d'acido schizzavano ovunque, e uno di essi colpì la sua lucertola, che stramazzò a terra con la bocca aperta, l'occhio destro che sfrigolava.

Belgor dovette agire in fretta ed estrasse i coltelli, lanciandoli verso gli aggressori, mentre attaccava le loro menti con la propria. Riuscì a farne svenire un paio, che caddero sopra i loro fucili, i volti inespressivi ricoperti dalle maschere di plastica. Uno dei coltelli si conficcò nel fianco destro di un terzo, che si inginocchiò, rotolando dietro una delle jeep, mentre il secondo sibilò a pochi centimetri dalla testa di Valentino, che urlò per la rabbia.

- Cazzo, Minerva! Avevi detto che mi avresti protetto, brutta idiota!

- Sta' zitto, Valentino - sibilò lei. - Tornatene nella tua tana, è il mio momento, adesso.

Belgor tornò a nascondersi dietro il cadavere della lucertola. Il suo cuore batteva tanto velocemente che gli sembrava sul punto di implodere.

Non poteva star succedendo davvero.

Non gli avevano dato il tempo di dire niente. Una volta rifiutata la loro opzione, l'unica rimasta era stata la morte.

Belgor cercò proprio fratello con lo sguardo, rotolando dietro il cadavere di un'altra lucertola.

Povere creature, si permise di pensare, prima di tornare a concentrarsi sulla battaglia.

Aaron era riuscito a recuperare un fucile a proiettili acidi e stava sparando in direzione delle jeep. Aveva gli occhi fuori dalle orbite per la frenesia, e si stava passando la lingua sulle labbra, come se non avesse potuto desiderare di meglio.

Belgor distolse lo sguardo. Suo fratello era in grado di decidere per sé, ormai, e lui non aveva intenzione di morire perché Aaron era un violento. Era solo colpa sua e del cieco affetto di loro padre se si trovavano in quella situazione.

Pa', dove sei?

Belgor cercò la sua mente con la propria.

Pa'?

Nessuno gli rispose.

Belgor capì subito cosa significasse e, poco lontano, schiacciato dal peso della lucertola che l'aveva portato, vide il corpo di suo padre. Teofane era accasciato su un fianco, le braccia abbandonate a terra in angolazioni innaturali. Al centro della sua fronte c'era un cratere, lasciato dal passaggio di un proiettile d'acido, e sul terreno circostante si era allargata una pozza di sangue viola mista a materia cerebrale.

- Pa'! - singhiozzò Belgor, cercando di avvicinarsi a lui, ma, non appena cercò di alzarsi, un proiettile lo colpì di striscio alla spalla.

Il Sopravvissuto gridò, mentre la sua carne si ricopriva di schiuma giallastra, che sfrigolava con un odore di carne bruciata.

- Scusami, pa' - farfugliò, guardando gli occhi vuoti di suo padre un'ultima volta, prima di correre via, cercando di raggiungere gli altri.

Tutti erano talmente impegnati a combattersi l'un l'altro che non ebbero il tempo di colpirlo, nonostante Valentino stesse sbraitando alle sue spalle.

- Uccidetelo! Uccidetelo!

Belgor aveva la vista offuscata dalle lacrime e tremava dalla testa ai piedi. Provava una forte sensazione di irrealtà. Raccolse un coltello da un cadavere e lo strinse convulsamente nella mano destra.

Poco lontano vide due altre lucertole morte e dei Migliori con delle tute verde scuro che si issavano sulle spalle dei corpi inerti. Uno di questi apparteneva a Jack, i cui occhi erano semi aperti. Il ragazzo muoveva le labbra senza emettere suono. Due dardi di tranquillante emergevano dalla sua schiena.

- No! - gridava una voce acuta, resa irriconoscibile dalla rabbia e dalla disperazione.

Era Pim, che si stava divincolando dalle fruste d'acciaio con cui cercavano di trattenerla. La sua pelle si squarciava sotto di esse, per poi sanarsi subito dopo, e i suoi vestiti si erano inzuppati di sangue rosaceo.

- Lasciatelo andare, mostri! Vi ucciderò tutti!

Le avevano sparato contro diverse capsule di tranquillante, colpendola al collo, alla schiena, sulle braccia. Un paio di Migliori caddero a terra, perdendo sangue dal naso e dalle orecchie, ma alla fine il resto di loro riuscì ad averla vinta. La costrinsero prima in ginocchio e poi a terra, dove lei continuò ad agitarsi come un animale selvatico.

- Vi uccido... vi uccido... - ripeteva, nonostante la sua voce si stesse facendo sempre più flebile.

Era stata una trappola, sin dall'inizio, e loro ci erano andati dentro come degli stupidi.

Anche Nick, Eddie e Bernie erano stati catturati, mentre di Morris non c'era traccia. Forse era riuscito a scappare o forse no. Belgor non ne aveva idea.

Ma di una cosa era certo: non sarebbe mai riuscito a salvarli da solo.

Se fosse rimasto lì sarebbe morto e basta, e non avrebbe potuto aiutare nessuno.

Scusatemi.

Perdonatemi.

Mi dispiace.

Continuò a ripeterselo mentre correva via, mettendo quanta più strada possibile fra lui e quel luogo di morte, finché non cadde, incapace di muovere un solo passo in più. Fu accolto dal morbido abbraccio del fango della palude, la sua casa.

Si rannicchiò nell'incavo fra due radici e si addormentò subito dopo per sfinimento, il volto incrostato di terra, sangue e lacrime.

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Che fatica scrivere questo capitolo... Spero almeno vi sia piaciuto! Vi avevo detto che gli ultimi erano pieni di bombe... Fatemi sapere che ne pensate (senza insulti, grazie... Sapete, a volte per il bene di una storia bisogna sacrificare qualcosa purtroppo, non sono io a essere "sadica") e lasciate una stella o un commento :)

Al prossimo!

Saremo di nuovo a Città Rifugio...

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