49. ELETTRICITA' STATICA

<Soggetto: Valentino_Ministro_Comunità>

<Richiesta: Approvazione_Cura_Umani>

<Luogo: Città_Rifugio>

<Risposta: Approvato>

***

Jack era seduto al fianco di Luca e stava esaminando la sua ferita, quando Belgor scese dal piano superiore, dove riposavano altri pazienti. I suoi occhi azzurri erano gonfi e stanchi. Jack era sicuro di non trovarsi in condizioni migliori: aveva un'emicrania lancinante e un bisogno disperato di dormire. Avrebbero dovuto avvertire Bernie prima di andarsene, dunque si sedettero su due ceppi d'albero fuori dal baobab, ognuno con un bicchiere di linfa in mano.

-Allora? - sospirò Jack, premendosi un palmo sulla fronte. Il mal di testa si concentrava poco sopra l'occhio sinistro, come se avesse un chiodo conficcato nell'osso.

-Allora cosa? - borbottò Belgor, dopo aver svuotato in un solo sorso il bicchiere. Lo mise accanto alla borsa con le medicine e gli strumenti del mestiere, per poi poggiare la testa fra le ginocchia, per un breve pisolino. - La situazione non è più critica, ma mi sento distrutto.

-A chi lo dici. Vorrei poter dormire per sette giorni di fila. Dopo aver riposato mi sento più stanco di prima.

-Ti capisco. Come sta il tuo amico?

-Chi, Luca? Un po' meglio. E' solo preoccupato per la sua compagna, Joanna. Penso ci sia anche rimasto male per il fatto che non l'abbia seguito. Era talmente spaventata da non fidarsi nemmeno di lui.

Belgor annuì, spostando lo sguardo sul terreno. Continuava a massaggiarsi le tempie con la punta delle dita, come se avesse dei brutti pensieri, oltre al mal di testa.

-Tu stai bene, invece? - chiese Jack, sorseggiando la linfa.

-Benone. Non si vede?

Il ragazzo non rispose, traendo un profondo sospiro. Con tutti i sospiri cui si abbandonava di recente, gli sembrava di essere tornato alla sua vecchia vita all'alveare.

Non voleva forzare Belgor a parlare, dunque non insistette, lasciando che il Sopravvissuto riflettesse.

-Sono preoccupato per mio fratello - mormorò alla fine, dopo un lungo silenzio. - Nostro padre ha detto che non l'ha fatto di proposito, che ha ucciso quelle guardie solo per autodifesa. Ma io conosco Aaron. L'ha fatto perché voleva. Io posso capire che abbia sofferto e stia male ancora adesso per la morte di sua madre, ma vederlo cadere nel baratro senza poter fare niente mi distrugge. Gli dico sempre che sono qui per lui se lo desidera. E cosa ottengo in cambio? Silenzio, prese in giro e anche pugni, di tanto in tanto. Perché cerca di allontanare tutti quelli che gli vogliono bene? Anche Nikita ha paura di lui. Lo vedo nei suoi occhi, quando parla di Aaron. E' combattuto. Io capisco come si sente: voglio bene ad Aaron, ma il suo modo di agire in certe occasioni mi fa venire i brividi. Vorrei solo che lui fosse felice, che potesse trovare un po' di pace e smettere di combattere questa guerra contro se stesso. Non importa quanti Migliori ucciderà ancora, nulla riuscirà a riportare indietro Siria o a fargli sentire di meno la sua mancanza. La vendetta è quel tipo di sentimento che più gli dai da mangiare, più ne vorrebbe. Non c'è mai un fondo. Ma non so come mostrarglielo, e nostro padre è inflessibile, quando si parla di Aaron. L'ha minacciato di esilio, però non lo farebbe mai per davvero. Gli vuole troppo bene, e questo gli impedisce di essere obbiettivo. Mia madre ha provato a parlargli, ma Aaron la considera ancora un'usurpatrice che ha preso posto accanto a nostro padre, senza mostrare rispetto per la morte di Siria. Quanto vorrei che le cose fossero più semplici.

Jack gli mise una mano su una spalla per consolarlo.

-Anche con Morris è stato difficile, ma alla fine ha capito quanto stesse sbagliando. Insomma, non è tornato quello di una volta, ma almeno siamo di nuovo una famiglia. Sono sicuro che anche con Aaron andrà meglio.

-Se lo dici tu, Jack - sospirò Belgor, raccogliendo il bicchiere e portandolo dentro il baobab.

Jack restò fuori, osservando il cielo verdastro. Le stelle si vedevano a malapena, e avevano un colore alieno, blu neon. A volte si chiedeva se non fossero tutti dentro a una stanza luminosa, frutto di qualche esperimento, e quel luogo fosse stato creato dalla loro immaginazione, costretta a volare altrove per sopportare di trovarsi in gabbia. Era proprio così che Jack si sentiva: avvertiva che la guerra che il fungo gli aveva predetto si stava avvicinando, che stava accadendo proprio lì, in quel momento, e che era impossibile deviare i binari su cui stavano correndo. Si era riunito a Morris, contro ogni speranza, ma questo non aveva impedito ai Migliori di proseguire sul piede di guerra. Forse aveva persino velocizzato quel processo che, nonostante fosse già stato scritto molto tempo addietro, sarebbe stato meglio ritardare per avere la possibilità di organizzare una difesa adeguata.

Grazie alle due spie che avevano seguito Mercy, ora i Migliori sapevano con chiarezza dove si trovava il villaggio dei Sopravvissuti. Sarebbero arrivati nel cuore della notte e li avrebbero uccisi coi loro fucili a proiettili acidi o soffocando le loro menti nel sonno.

Jack avvertì che il proprio respiro stava accelerando, assieme al proprio battito cardiaco. Si sentiva come se stesse cavalcando il fulmine. Deglutì a fatica, premendosi i palmi sugli occhi, mentre inspirava ed espirava con maggior frequenza.

Ricordava bene quella sensazione, come se gli si stesse formando una voragine nel petto, che inglobava ogni altra emozione, ricoprendo il mondo di una patina nera e palpitante: un attacco di panico. Ne aveva avuti talmente tanti da bambino. Era sempre stato molto sensibile, troppo. Ogni volta in cui si preparava qualcosa di orribile, lui lo sentiva. Era come se la sua mente dovesse trovare uno sfogo attraverso il corpo, facendo abbassare un po' la pressione che aveva dentro.

Si alzò in piedi, nonostante stesse tremando, e abbracciò il tronco dell'albero, focalizzandosi sul proprio respiro.

Inspira, espira.

Inspira, espira.

Un po' alla volta il petto cessò di fargli male, e la sensazione di nausea e oppressione svanì. Ancora frastornato, raccolse le proprie cose e avvisò Belgor di dire a Luca che lui sarebbe andato a casa, perché non stava molto bene. Il rospetto era talmente stanco che annuì senza guardarlo, facendogli un cenno di saluto con una mano, mentre era intento a esaminare le medicine che gli restavano.

***

Un rumore la distolse dai propri pensieri. Davanti alla porta c'era Robert. Indossava una canottiera bianca chiazzata di grigio in alcuni punti e un paio di pantaloni corti al ginocchio, che presentavano alcuni innesti di fibre fungine in alcuni punti. A volte era impossibile eliminarle del tutto.

Il cuore di Mercy cominciò a battere più velocemente, e lei si mise seduta, facendo leva sui cuscini con i gomiti. Cercò di sorridergli, ma il viso le faceva ancora troppo male. Raccolse lo straccio imbevuto d'acqua fresca che aveva abbandonato fra le coperte, premendoselo sull'occhio gonfio. Il freddo la faceva sentire un po' meglio, ma i filamenti del fungo avevano bisogno di tempo per agire.

-Ciao, Mercy - mormorò Robert, posando sul suo comodino una ciotola contenente del pane e del formaggio, assieme a una caraffa colma d'acqua. Le versò da bere e le porse il bicchiere. - Come ti senti?

-Potrei sentirmi meglio - sussurrò lei, afferrando il bicchiere. Le mani le tremavano ancora e le facevano male le nocche. Minerva e i suoi scagnozzi l'avevano presa a calci a lungo, e aveva le dita gonfie. Almeno non le avevano rotto entrambe le braccia.

-Chi è stato?

Robert si accomodò su un ceppo, incrociando le dita sullo stomaco. Aveva il capo leggermente chino in avanti. I suoi capelli erano molto corti, doveva esserseli tagliati di recente. A Mercy dispiacque, le erano sempre piaciuti i suoi ricci ribelli. Tuttavia aveva notato un particolare più importante di un semplice taglio di capelli. Qualcosa in Robert era cambiato. Era difficile dirlo, forse era il suo sguardo, forse le guance scavate o l'aria stanca e preoccupata. Una volta non mostrava mai emozioni. Il suo volto era una lastra di acciaio, una maschera impassibile. Mercy non riusciva quasi a credere che lui le stesse permettendo di capire cosa gli passasse per la testa senza essere costretta a comunicare mentalmente. Era come se fosse riuscito a uscire dal guscio.

-Minerva e Valentino - sospirò Mercy, tastandosi con delicatezza la punta del naso. Sotto pelle riusciva ad avvertire i filamenti del fungo. - Lei il braccio, lui la mente. Non gli è piaciuto il fatto che mi fossi ribellata. Ho deciso di aiutare i feriti, e me li sono messi contro. Ma non mi importava, ero stanca di eseguire ordini cui non volevo piegarmi. E' per questo che sei fuggito anche tu, vero, Robert?

Lui sollevò lo sguardo. Mercy notò che le sue pupille avevano una sfumatura biancastra: sembravano piccole biglie di vetro nel momento in cui riflettevano la luce delle candele.

-Sei...

-Sì, sono cieco - sospirò Robert, ma non sembrava troppo dispiaciuto. - E anche sordo, se vuoi saperlo. Ma se potessi vedere e sentire quello che vedo e sento io... oh, Mercy. Il fungo ha aperto la mia mente una seconda volta, in un modo che non avrei mai immaginato. Credevo mi avesse punito, e invece mi ha dato una seconda possibilità, quando non la meritavo nemmeno. Comunque, non chiamarmi Robert, per favore. Chiamami col mio vero nome, quello con cui sono nato. Morris.

-Morris - ripeté Mercy. Trovava molto più simpatico quel nome. Un suono morbido e gentile, in confronto a Robert, nonostante ci fossero sempre due erre.

Lui accennò un sorriso, ma tornò serio subito dopo, incrociando le braccia sul petto.

-Spiegami cos'è successo di preciso. Come hanno fatto a scoprirti?

Mercy gli porse la mano dalle dita violacee e gonfie, l'unica che riuscisse a muovere.

-Posso mostrartelo, se vuoi.

Morris annuì, raccogliendo la sua mano fra le proprie. Restarono in silenzio, mentre un flusso di informazioni scorreva fra loro. Lo scienziato aprì gli occhi di scatto, scuotendo la testa.

-No - sussurrò. - Non può essere.

-L'ho visto, Morris. Puoi credermi o no, ma è la verità. Per tutto questo tempo siamo stati controllati dal residuo della coscienza di un pazzo vissuto secoli fa. Non è mai esistito davvero. E' solo una macchina che è andata avanti interpretando le sue ultime direttive poco prima di morire. Non avevamo ancora scoperto come trasferire una coscienza in un corpo meccanico, allora. Solo tu sei riuscito a farlo, con l'androide che avevi costruito.

Morris si prese la testa fra le mani. Era inevitabile che anche Mercy avesse appreso qualcosa su di lui nei momenti in cui avevano condiviso la mente. Doveva aver visto anche altro, ma le fu grato per non averlo menzionato.

-Non riesco a crederci. Ho sempre e solo eseguito gli ordini di un androide. Cercavo di carpire i segreti della sua mente per diventare più forte, e ora scopro che una mente vera e propria lui non l'ha mai avuta. Era un costrutto, un'illusione.

-Beh, non sono anche le nostre solo un costrutto? Un'estensione, un'illusione creata dalle nostre cellule cerebrali, per farci credere che abbiamo davvero un ego? - mormorò Mercy, sorseggiando un po' di linfa con una smorfia di dolore. - Siamo solo stati degli stupidi a non aver controllato prima se le sue parole erano veritiere. Mi ero convinta che il Primo non avesse bisogno di nulla perché aveva raggiunto uno stato di coscienza superiore, e invece era perché aveva un corpo meccanico. Un corpo che non richiede nulla, fatta eccezione per una manutenzione.

La dottoressa si interruppe, scoccando a Morris un'occhiata eloquente.

-Credi che Valentino e Minerva sapessero già? - mormorò lo scienziato, aggrottando le sopracciglia.

-Sì. Da molto tempo. Il Primo gliel'aveva detto per stabilire con loro un rapporto di fiducia, dopo aver realizzato che non sarebbe mai riuscito a controllarci del tutto. Per me tutte le creature sono degne di eguale dignità, siano esse Migliori, umani o Sopravvissuti. Non ho mai pensato che fossimo davvero migliori di nessuno, e non approvavo le dottrine del Primo. Alla fine, i fatti sono sempre più importanti delle parole, e cos'abbiamo portato a termine di così grande in quest'ultimi anni? Nulla. Non abbiamo nemmeno trovato la cura al fungo.

Morris deglutì, incrociando le dita sotto il mento. La sua espressione si era indurita.

-Voglio essere sincero con te, Mercy. Io avevo trovato una cura.

-Come?

-Sì. Solo il Primo lo sapeva... anche se a questo punto credo che l'avesse rivelato a Valentino e Minerva.

-E perché a me non l'hai mai detto?

-Il Primo mi aveva detto di non dirlo a nessuno, di non distribuirla agli umani. Mi aveva detto che non aveva senso dargli la cura, perché poi avrebbero distrutto il fungo, ciò che ci aveva reso degli dei. Mi manipolava, Mercy, e una parte di me lo lasciava fare. Era felice di quella sensazione di superiorità, di potere sugli altri. Ma non gli permetterò mai più di spingermi nella direzione da lui desiderata.

Restarono in silenzio per un breve istante, e Mercy gli strinse una mano. Morris ricambiò la stretta e apprezzò la sua vicinanza. La dottoressa lo capiva più di chiunque altro, sapeva esattamente cos'aveva passato.

-Vogliono la guerra - sussurrò Mercy, con voce flebile. - Valentino vuole la tua testa, e anche Minerva. Il Primo invece ti vuole per le tue conoscenze. Desidera riavere il Progetto Eden. Mentre ero nelle sue stanze ho trovato quella chiavetta... non sono riuscita a controllare cosa ci fosse dentro di preciso perché mi hanno fermata, ma se riuscissero a ricreare quel progetto non avremmo scampo.

-Non preoccuparti - mormorò Morris, portandosi un indice a una tempia. - Non sono stato così stupido da mettere tutto in quella chiavetta. C'è solo parte del progetto e, inoltre, non sanno che ho creato anche un prompt di autodistruzione per le biotecnologie. Basterà inviare un impulso mentale vicino a loro per riuscire a disattivarle.

-Posso darti una mano, se lo desideri.

-Sei sempre stata un'ottima collaboratrice - disse Morris, e la sua espressione fredda si intiepidì. - Grazie per il tuo aiuto, Mercy.

La dottoressa lo seguì con lo sguardo mentre si alzava, avvicinandosi alla porta.

-Se avrai bisogno di me, ti basterà contattarmi mentalmente, e arriverò.

-Grazie, Morris - sussurrò lei. - Però devo sapere una cosa.

Lo scienziato la guardò con aria interrogativa, aspettando che parlasse.

-Quelle due guardie... mi hanno seguita?

Morris avrebbe voluto evitarle un altro peso, ma annuì. Mercy deglutì, abbassando lo sguardo.

-Sono stata una sciocca. Credevo davvero che quella donna, Joanna, volesse aiutarmi, e invece l'hanno usata per farmi scappare di proposito. Sapevano che sarei venuta a cercarti. Mi dispiace di averli portati fino a te.

Mercy strinse le coperte, ignorando il dolore alle mani e alle braccia. Quanto avrebbe voluto poter prendere a pugni Minerva per potersi sfogare. Quella donna mostruosa e Valentino, il suo viscido padrone, l'avevano manipolata ancora una volta. Ma sarebbe stata l'ultima.

Mercy avvertì la presenza di Morris, sedutosi di nuovo sul letto. Lo scienziato esitò, prima di posarle una mano su una guancia. Sembrava che quel contatto gli richiedesse un grande sforzo, ma lo stava facendo per lei.

-Sono felice che tu sia tornata, invece. Prima o poi ci avrebbero localizzati comunque, almeno adesso siamo insieme, e abbiamo una possibilità contro di loro. Grazie per avermi avvertito e per essere qui, Mercy.

La dottoressa abbozzò un sorriso, stringendo la sua mano. Era talmente felice che lui le fosse vicino, che stesse ricercando un vero contatto con lei. Era quello che aveva sempre desiderato. Per tanti anni aveva pensato che l'unico in grado di capirla fosse Morris, per quanto fossero diversi e avessero una visione del mondo opposta, e ora ne aveva la conferma: erano più simili di quanto non apparisse a una prima occhiata.

-Chiamami Ella. Ella Dallen. Era il mio nome, prima che diventassi Mercy.

***

Erano le tre di notte circa, quando Pim avvertì dei singhiozzi provenire da Jack. Il ragazzo era disteso al suo fianco e mormorava sottovoce, gli occhi che si agitavano follemente sotto le palpebre.

La ragazza invocò il suo nome finché lui non si svegliò con un grido soffocato, ansimando. Era in un bagno di sudore e i corti capelli castani, che avevano cominciato a ricrescere, erano appiccicati alla sua fronte pallida. Aveva uno sguardo stralunato e, quando la riconobbe, la strinse a sé, poggiando il proprio capo sul suo petto nudo.

-Credevo... - balbettò, con voce flebile. - Credevo che avessero dato il prompt per trasformarti in un mostro. C'era la guerra e tu eri lì in mezzo. Qualcuno ti aveva attivata, aveva dato l'impulso, e tu non eri più quella che ho conosciuto.

Pim sentì una stretta al cuore e gli accarezzò la testa, dandogli un bacio sulla fronte.

-Io sarò sempre qui, Jack - mormorò, stringendogli una mano. - Dovessi anche diventare quella che temo, sappi che i momenti che ho passato con te rimarranno i più belli della mia vita.

-Io non potrò salvarti, se succederà. Sarò impotente, e non riesco a vivere con questa consapevolezza.

-Jack, ma non l'hai capito? Tu mi hai già salvata. Mi hai dato un'anima. Non potrò mai ripagarti abbastanza. Se per fermarmi dovessero distruggermi, sappi che chi distruggeranno non sarò io. Io non potrò mai morire, finché mi porterai nel tuo cuore.

Jack scosse la testa e Pim avvertì una delle sue lacrime scivolarle sul torace, perdendosi fra le coperte.

-Perché quando le cose vanno bene bisogna rovinarle? Io non capisco. Siamo rimasti in poche centinaia e ancora ci combattiamo l'un l'altro. Quando finirà?

-Non credo finirà mai, Jack. Finché ci saranno due persone sulla faccia della Terra, una avrà un motivo per detestare l'altra. Non danno alla vita il valore che ci dai tu. Non pensano che dentro a ognuno c'è un intero mondo, e che è una tragedia quando si spegne. Tolgono dignità agli altri, per non essere costretti a provare empatia. Gli esseri umani sono fatti così, per la maggior parte: hanno bisogno di un nemico per non pensare ai loro problemi, finché non è troppo tardi.

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Non so perché, ma questo capitolo mi piace molto. Comunque, vi ricordate di Ella, la bambina che Morris nomina nel capitolo 9 (se non sbaglio, quando va al Rifugio)? Ecco dov'era finita, quella bambina. L'aveva sempre avuta accanto a sé. Non avrei fatto questo colpo di schiena se NikolayDimitriev non mi avesse chiesto se dietro quella bambina ci fosse qualcosa di importante. Sei contenta, adesso? Spero di aver tirato fuori qualcosa di soddisfacente :D

Il prossimo capitolo è il 50... ci avviciniamo alla fine. Seh, si fa per dire. Ne mancano dieci più l'epilogo. Vi prometto che gli ultimi saranno al cardiopalma. E gli ultimi ultimi... questo non ve lo posso dire :)

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