48. SPECCHI E ALLODOLE

Nick era rannicchiato su una roccia e stava affilando un ramo con un piccolo coltello smussato. Quella lama non serviva a molto, ma non aveva altro. Pensava che fosse stupido starsene ad aspettare che i Migliori attaccassero per primi. Era sicuro che sarebbe successo: se avevano cominciato a uccidere gli umani era solo una questione di tempo prima che volgessero lo sguardo verso i Sopravvissuti. Li avevano sempre ritenuti dei mostri pericolosi, e se avessero deciso di cominciare una guerra, guerra avrebbero avuto - anche se lui fosse stato costretto a combatterli con assi chiodate, mazze e coltelli.

Nick avvertì un rumore di passi alle sue spalle e strinse la mascella, incidendo il legno con più decisione. Una montagnola di pallidi trucioli si era radunata ai suoi piedi, galleggiando sul fango caldo del pomeriggio.

-Nick – lo chiamò una voce familiare.

-Che vuoi? – sbottò lui, senza voltarsi.

-Solo parlarti.

-Non ho voglia di parlare.

Lo "squish-squash" dei piedi che affondavano nel fango si avvicinò, finché una figura non si sedette al suo fianco, pur mantenendo una certa distanza.

Nick avvertì il suo sguardo sul proprio viso e dovette combattere l'impulso di coprirsi col cappuccio. Gli occhi gli pizzicavano. Affondò il coltello nel legno, dove lasciò un solco irregolare, rovinando il lavoro dell'ultima mezz'ora.

-Merda – sibilò, lanciando lontano il ramo. Intascò il coltello e si alzò, ma una mano lo trattenne con delicatezza per la manica della felpa.

-Resta qui – mormorò Eddie, guardandolo con i suoi occhi castani. Avevano ancora quella tenerezza cui Nick non sapeva resistere, e l'uomo si lasciò cadere al suo fianco, con un sospiro ricco di frustrazione. Avrebbe voluto essere capace di respingerlo, ma non ci riusciva. – Perché sei scappato così?

-Secondo te, perché? – sibilò Nick, passandosi una mano sul viso.

Restarono in silenzio per un breve istante. Nessuno dei due era mai stato generoso in materia di parole.

-Sono contento di vederti ancora vivo – mormorò Eddie, le dita incrociate, mentre fissava il fango. – Credevo fossi morto nella palude. Ecco, mi sarebbe dispiaciuto. Insomma.

Si schiarì la gola, il volto paonazzo.

Era talmente timido, doveva essergli costato molto riuscire a tirare fuori quello che pensava davvero.

Nick si voltò verso di lui, mostrandogli il viso nella sua interezza.

-Questo non ti spaventa? – mormorò. – Non sono più quello che hai conosciuto.

Eddie lo osservò in silenzio.

-Ma sei ancora qui. E' quello l'importante, no?

Fu il turno di Nick di distogliere lo sguardo, deglutendo nel vano tentativo di reidratare la bocca secca.

-Sono un mostro – mormorò, nascondendo la testa fra le braccia.

Tutto quello che si era tenuto dentro e non aveva detto a nessun altro, se non a Jack, emerse in una sola volta, e si ritrovò a singhiozzare.

Avvertì una delle mani di Eddie accarezzargli la nuca, senza badare alle piccole punte ossee che emergevano da essa. Passarono fra i suoi capelli, ispidi, dal colore madreperlaceo, come quelli di un Sopravvissuto.

-Credo che solo tu lo pensi – mormorò il boscaiolo, fissandolo con quell'espressione da bambino serio che assumeva quando parlava di faccende importanti. – Adesso basta piangere, dai.

Nick inspirò a fondo, pulendosi il viso su una manica della felpa. Non sapeva esprimere a parole quanto gli fosse grato per avergli detto quelle cose. Dunque, come al solito, si limitarono a stare in silenzio.

-Cosa stavi facendo prima? – gli chiese Eddie, cambiando discorso, per fargli capire che l'argomento precedente ormai era acqua passata.

Nick, che si sentiva come se gli avessero tolto un peso enorme dalle spalle, si trattenne a stento dallo scoppiare a ridere.

Sono un deficiente.

-Stavo affilando dei rami. Volevo creare delle lance, non si sa mai che i Migliori vengano da queste parti. Se si presentassero, venderò cara la pelle – mormorò, raccogliendo un altro dei rami che aveva preparato.

Estrasse il coltello e fece per riprendere a incidere il legno. Eddie emise un verso di disappunto, prelevando con gentilezza l'arma dalle sue mani.

-Tu non sai proprio incidere il legno. E' un'arte, sai. Mi ha insegnato mio nonno. Non devi andare contro le fibre, ma assecondarne il percorso. Altrimenti viene una schifezza e basta.

-Anche mio padre lo faceva, ma non ho mai imparato – sospirò Nick.

-Posso insegnarti io. Basta che la smetti di avere quel muso triste– brontolò Eddie, raccogliendo un ramo.

Nick lo osservò incidere il legno per qualche minuto, poi sorrise fra sé e sé.

-Grazie per non avermi abbandonato. Credevo che ti avrei disgustato.

-Beh, la faccia da scemo l'hai sempre avuta... non è cambiata molto – sogghignò il boscaiolo, scuotendo la testa.

-Ah, sono scemo, adesso! Molto bene. Guarda che mi sono offeso.

-Allora smettila di gongolare, se ti senti offeso come dici.

Era vero, non riusciva a smettere di sorridere come un idiota. Ancora non gli sembrava vero che Eddie fosse al suo fianco e avesse accettato il suo cambiamento. Era più bello di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

***

Aaron e Nikita stavano camminando lungo il perimetro più esterno del villaggio, quando videro qualcosa muoversi fra le frasche: un frammento di tessuto bianco, rapido come il colpo d'ala di un rapace.

Cos'è?

Credo sia un umano. Sta scappando da qualcosa, o qualcuno. Dobbiamo andare a recuperarlo.

Credevo detestassi gli umani, lo prese in giro Nikita, inarcando le sopracciglia, mentre si dividevano. Correvano silenziosi, saltando da una radice all'altra, paralleli l'uno all'altro.

Sta' zitto.

Il solito coda-di-paglia, mi dicono.

Tu sbarragli la strada, al resto ci penso io. Sempre a dire cose inutili, tu.

Perfino da lontano Aaron avvertì l'ilarità del suo compagno. Nonostante ciò, non riuscì ad arrabbiarsi con lui, e si ritrovò a sghignazzare a sua volta. Nikita aveva ragione. Quella situazione era ridicola, non gli sarebbe dovuto importare degli umani.

L'umano con indosso un lungo camice imbrattato di fango si fermò a riprendere fiato, e fu allora che lo attaccarono. Lui, o meglio, lei, ebbe la reazione istintiva di divincolarsi, gridando a pieni polmoni.

La lasciarono andare e la donna si appiattì contro un albero, ansimando. Il suo volto era tumefatto e il suo corpo un ammasso di lividi. Si teneva il braccio destro, che aveva una brutta angolatura e una macchia dal gomito fino al palmo della mano. Un versamento interno. Non riusciva a muovere l'occhio destro, chiuso per via del rigonfiamento violaceo attorno ad esso, e le sue labbra erano lucide e rossastre, con diverse spaccature.

L'occhio sinistro era in condizioni appena migliori, con l'iride di un caldo castano chiaro.

-Voi siete S-sopravvissuti? – sussurrò, con voce flebile.

-Sì – mormorò Nikita, sorpreso che lei conoscesse il termine con cui loro si autodefinivano. Non li aveva chiamati Viscidi, come gli altri umani. – Chi sei tu?

-Mi chiamo Mercy – mormorò la donna, deglutendo a fatica. Le tremavano le gambe. – Sono una dei Ministri, ma non ho mai fatto del male ai Sopravvissuti. Ho anche curato uno di voi, quando era a Cram. Si chiamava... si chiamava Rorian. Vi prego, lasciatemi andare. Non voglio farvi alcun male, sto solo cercando una persona. Non può essere andato molto lontano, no. Dev'essere nei paraggi, spero che non gli sia successo niente.

Le sue parole si erano fatte via via più incoerenti, riducendosi a balbettii. Aaron scambiò un'occhiata con Nikita e si avvicinò alla donna. Non sembrava pericolosa, solo molto agitata ed esausta. Le mise una mano su una spalla e lei non si ritrasse, contro le sue aspettative. Gli umani provavano una repulsione istintiva per loro, ma Mercy no. Anche solo per quello sentì di potersi fidare di lei. E poi conosceva il nome di Rorian. Stein, per esempio, non si sarebbe mai fatto lo scrupolo di imparare il nome delle sue vittime.

-Sei ferita. Cos'è successo? – le chiese, mentre le esaminava il braccio e il volto, sfiorandoli con delicatezza. – Ci penseranno i nostri guaritori, se vorrai seguirci al villaggio.

-Cosa? No, io devo... devo cercare Robert – farfugliò lei, scuotendo la testa. – Non c'è tempo. Il Primo verrà a prenderlo, lo vuole perché solo lui ha la chiave del Progetto Eden, nella sua mente. E poi Valentino lo vuole uccidere, non si fermerà di fronte a niente per riuscire a mettere le mani su di lui.

-Se stai cercando Robert, non lo troverai – mormorò Aaron.

Nikita aggrottò le sopracciglia, allarmato. Cosa stava cercando di fare?

-Però potrai trovare Morris.

-Morris – ripeté Mercy, sottovoce. – Era così che si chiamava, prima. Dunque è qui con voi, al villaggio? Non gli avrete fatto del male, vero?

-Ammetto di averci pensato per un breve istante...

Nikita si schiarì la gola.

-... ma, alla fine, l'ho lasciato in vita. Nemmeno a me è chiaro perché l'abbia fatto. Forse perché non è stato lui a uccidere mia madre. Comunque questo non è il momento per parlarne. Vieni con noi, ti porteremo al sicuro.

Mercy esitò, poi annuì e gli permise di prenderla in braccio, dato che non riusciva più a reggersi sulle gambe. Appoggiò la testa sul suo braccio destro, chiudendo gli occhi. Finalmente, un attimo di pausa.

-Cos'è successo al Rifugio? I resoconti che ci hanno dato erano molto confusi – mormorò Aaron, sussurrandole in un orecchio.

-C'è stata una rivolta... Valentino ha dato l'ordine di reprimerla... Minerva si è divertita... c'era tanto sangue, ho cercato di aiutare più che potevo, ma non è servito a molto. Ero da sola – sussurrò la donna, talmente piano che i Sopravvissuti dovettero tendere le orecchie per udirla. – Sono andata nelle stanze del Primo, e ho visto le sue foto. Era solo un uomo, una persona qualunque. Non riesco a capire come un essere umano possa...

Riprese a farfugliare, gli occhi sbarrati come se le immagini dell'evento fossero ancora impresse nella sua retina.

Cerca di calmarla, pensò Nikita.

Non sono bravo in queste cose. Pensaci tu.

Aaron si fermò e Nikita posò una mano sul capo della donna. La mente di Mercy era confusa, frammentata, come se qualcuno avesse cercato di manipolarla. Non gli fu difficile riuscire a calmarla, dato che non aveva alcuna difesa.

La donna chiuse gli occhi, abbandonandosi nella presa di Aaron, profondamente addormentata. Il Sopravvissuto osservò il suo volto immobile, i lineamenti distesi.

Qualunque cosa stesse succedendo al Rifugio, non era un bene.

Era talmente assorto nei propri pensieri, che si accorse del rumore di sottofondo che li stava seguendo solo quando erano nei pressi del villaggio.

Qualcuno ci ha seguiti.

Dov'è?

Molto vicino. Dietro quegli alberi. Prendi Mercy e portala al villaggio, mi occuperò io di loro.

Non ti lascerò solo! Quanti sono?

Due, credo. Dannazione, hanno schermato la loro mente, riducendo le emissioni al minimo. Non me ne ero nemmeno accorto... quei bastardi ci sanno fare. Sono dei Migliori. Migliori ostili.

Non ti permetterò di affrontarne due senza un aiuto.

Nikita posò con delicatezza Mercy fra le radici, coprendola con il proprio giubbotto, bucherellato in corrispondenza delle punte dorsali.

Sarebbero tornati subito. Trovare i Migliori non sarebbe stato difficile, con l'aiuto di Aaron.

Da quella parte, disse Aaron, posando la mano destra all'altezza del coltello da caccia che portava in vita. Era uno strumento rozzo, ma aveva passato ore ad affilarlo su delle lamine trovate in discarica. Quel pezzo di ferro poteva trasformarsi in un'arma brutale, specie nelle mani di un guerriero esperto.

Aaron scattò, avvertendo l'adrenalina scorrere nel proprio sistema. Non poteva negare quanto l'idea della battaglia lo eccitasse, specie se doveva aggredire dei Migliori. Dei Migliori malvagi, senza alcun elemento di redenzione. Aveva pregato a lungo che gliene mandassero uno, ed ecco la sua occasione per dissetarsi alla fonte della vendetta, escludendo un eventuale senso di colpa. Non dovevano permettere a quei bastardi di allontanarsi: avevano usato Mercy come esca per distrarli e seguirli fino al villaggio.

Si arrampicarono sugli alberi, saltando da un ramo all'altro, rapidi e aggraziati, in una danza continua. I loro corpi erano come macchine perfettamente oliate.

I due Migliori indossavano delle tute mimetiche, con la maschera a gas, malgrado fossero immuni al fungo. Forse credevano che persino l'aria della palude fosse troppo impura per i loro polmoni immacolati.

I due uomini non avevano speranza. Si trovavano in una gola, in una posizione di svantaggio, ed erano seguiti da chi aveva passato una vita intera a strisciare nel fango della palude, imparando a conoscerla, a usarla a proprio vantaggio.

Aaron si gettò verso il basso, atterrando su uno di loro con un grido. Gli inchiodò le braccia a terra, facendogli perdere la presa sul fucile a proiettili acidi, una delle armi infernali che avevano posto fine alla vita di sua madre.

Nikita si occupò dell'altro, lanciando in una pozza di sabbie mobili la sua pistola. Quando si voltò verso Aaron, fece appena in tempo a notare lo scintillio del coltello.

-Aaron, no! Ci servono vivi!

Cercò di fermarlo, ma era troppo tardi. Aaron aveva conficcato il coltello nel collo del primo Migliore, l'aveva estratto e, senza nessuna esitazione, l'aveva lanciato contro il secondo, colpendolo al torace.

-Dovevamo interrogarli – sussurrò Nikita, ipnotizzato dal fluire del sangue, così rosso che sembrava gridare, su quel terreno verde e marrone. – Non ucciderli.

Aaron ansimava. Nei suoi occhi scoppiettava una scintilla di follia.

-Sono solo pedine.

-Uomini che eseguono gli ordini.

-Sono stati uomini che eseguivano gli ordini a uccidere mia madre! Avevano un cervello per decidere. E' colpa loro se sono morti. Si trovavano dalla parte sbagliata – sibilò il Sopravvissuto, osservando la lama del coltello, mentre lo puliva sul lembo della tuta del soldato morente.

Per quanto Nikita si sentisse disgustato da quella scena, non riusciva a smettere di guardare. Aaron non era mai stato tanto violento.

Nikita aveva sempre creduto di essere un guerriero come lui, di voler uccidere, vendicarsi dei Migliori. Però in quel modo gli sembrava ingiusto. Era come quando Aaron aveva aggredito Jack Twingle. Gli si erano contratte le viscere a quella vista, ma non aveva fatto niente per impedirglielo. Gli riusciva difficile accostare l'Aaron che amava a quell'essere assetato di vendetta in cui si trasformava sempre più spesso. Lo spaventava.

Non era una battaglia onorevole, quando non si era alla pari. Era solo assassinio.

Aaron voleva ricoprire la terra col sangue dei Migliori, e quel pensiero si stava trasformando in ossessione. Più si faceva vivo il sentore di un conflitto imminente, più Aaron si caricava di elettricità, arrivando a scaricarla su chiunque scatenasse la sua rabbia.

Non era stato così un tempo. Nikita non riusciva a ricordare quando fosse avvenuto di preciso quel cambiamento, ma era sicuro che non era quello il Sopravvissuto con cui aveva condiviso l'adolescenza, i sogni, la vita di tutti i giorni.

-Perché mi guardi così? – mormorò Aaron, aggrottando le sopracciglia, come se non riuscisse a capire il perché della sua espressione sconvolta.

Nikita scosse la testa. Un gorgoglio proveniente dall'uomo pugnalato al collo gli diede modo di non rispondere.

Il Migliore morente emise una risata disgustosa, il suono di chi sta affogando nel proprio sangue.

-Siete tutti morti... il Primo vi ha visto... sa dove siete...

-Stronzate! – gridò Aaron, afferrando il coltello e piantandoglielo in un occhio.

L'uomo emise un ultimo gorgoglio e non si mosse più. Nikita sentiva le ginocchia molli, e gli tremavano le mani.

Non osò dire nulla, mentre Aaron si alzava, pulendosi il viso sulla manica.

-Andiamo. Dobbiamo avvertire mio padre che i bastardi hanno trovato la nostra posizione – sibilò, fremente per la rabbia.

Nikita osservò i due cadaveri e, non appena Aaron si fu allontanato a sufficienza, ne spinse i corpi nelle sabbie mobili. Almeno i corvi non avrebbero beccato i loro volti.

-Nikita!

-Arrivo – esalò il Sopravvissuto. Si sentiva debole e accaldato, come se gli stesse salendo la febbre. Forse, in quel momento, era sdraiato a letto e le azioni del suo compagno facevano parte di un incubo.

Raggiunse Aaron, che raccolse Mercy, e si diressero verso il villaggio.

Non osò dire a nessuno quello che era successo, ma si sentiva come se riuscissero a leggerglielo in faccia.

Aaron ne parlò con suo padre, omettendo la parte in cui si era accanito sui Migliori, e Teofane si rabbuiò, passandosi una mano su una guancia.

-E' peggio di quanto credessi. Dobbiamo organizzare una spedizione per cercare di parlamentare. Non voglio la guerra, nessuno di noi la vuole. E' sempre, soltanto uno spreco di vite – sussurrò, gli occhi ciechi che esprimevano un sincero dolore.

Seduto accanto a lui c'era Robert Stein, ovvero Morris. Nikita non si era ancora abituato a chiamarlo col suo nome autentico, ma il volto spigoloso dello scienziato non gli faceva più paura. Sembrava un uomo qualunque, che cercava di andare avanti senza sprofondare nella depressione, come ognuno di loro. I suoi occhi color ghiaccio avevano perso parte della loro freddezza, ed erano più miti, per quanto penetranti.

-Mi occuperò io di Mercy. Potete fidarvi di lei. E' diversa dagli altri Migliori... è buona, anche troppo– mormorò, con un sospiro. – Portatemi da lei, per favore.

Nikita accettò di essere lui ad accompagnarlo.

-Cos'è successo veramente? – gli chiese Morris, una volta che furono abbastanza lontani.

-I Migliori ci hanno aggrediti...

-Uno dei miei lavori era scovare i bugiardi, Nikita... non riuscirai a ingannare me – sospirò lo scienziato, con una punta di amarezza. – Voglio la verità. Non lo dirò a nessuno, se lo desideri. Ma la tua paura è evidente.

A Nikita si offuscò la vista. Non voleva tradire Aaron, ma non poteva mettere in pericolo l'intero villaggio. Forse, parlandone, qualcuno avrebbe potuto aiutarlo, perché Nikita non sapeva più cosa fare per contenere la rabbia di Aaron. Quella sete di distruzione che aveva sempre giaciuto in lui stava diventando incontrollabile.

-E' stato Aaron. Li ha uccisi. Era già tardi, sapeva che il Primo avrebbe avuto comunque le informazioni... e li ha uccisi comunque.

-Ci siamo giocati la possibilità di parlamentare – disse Morris, lapidario. – Non che ce ne fosse stata una autentica in precedenza, ma non abbiamo nemmeno l'argomento dell'innocenza dalla nostra parte, ora.

-Ho cercato di fermarlo...

-Non è colpa tua. Ormai il danno è fatto. Dobbiamo prepararci, non credo che il Primo ci metterà molto a organizzare un attacco. Hanno tutte le armi che vogliono, e noi solo rami e coltelli. Ci spazzeranno via, se non penseremo a qualcosa.

Perché non mi ascolti mai, Aaron?

-Dunque, cosa faremo?

-Ci devo pensare. Non vi lascerò soli, ma la situazione non è la più rosea.

Nikita deglutì, osservando Mercy, che dormiva tranquilla fra le sue braccia. Almeno lei era salva.

Morris le strinse una mano, abbozzando un sorriso.

-Non ho intenzione di perdere quello che ho ritrovato – mormorò. –Gli impedirò di distruggere questo posto, dovessi anche costruire una barricata con le mie ossa.

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Aaron ha combinato davvero un disastro, questa volta... le conseguenze delle sue azioni saranno molto pesanti, ve lo posso garantire. Pensando sempre alla sua rabbia, finisce per dimenticarsi che non è il solo a vivere in quel villaggio. Comunque, ecco la dolce Mercy, che finalmente si è riunita al suo badboi Morris XD Se sentisse che lo chiamo badboi mi regalerebbe un soggiorno nel suo laboratorio, ma sorvoliamo! Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stella e un commento, e ci vediamo nel prossimo, il 49... elettricità statica :)

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