38. RICUCIRE IL PENSIERO


Pim aveva finito per addormentarsi ai piedi del letto di Jack.

Quando Nick entrò nella stanza, si intenerì nel vederla ancora lì. Sospirò e la raccolse da terra, appoggiandola nel letto, poco lontano da suo fratello. Lei emise un mormorio e riprese a dormire. Chissà da quanto tempo era sveglia... in genere le bastava riposare solo un paio d'ore.

Nick era felice che gli fosse stata vicina. Doveva voler davvero bene a Jack. Era felice che suo fratello fosse riuscito a provare quella sensazione di assoluta gioia che si raggiungeva nel momento in cui si riusciva a trovare qualcuno con cui tutti i propri pezzi combaciavano. Solo quando ci si trovava di fronte a un amore vero si scopriva cosa fosse mancato fino a quel momento. Dopotutto non si poteva provare la mancanza di ciò che ancora non si aveva conosciuto, nonostante l'amore fosse presente nella vita di chiunque in una forma o nell'altra, dal banale amore di tutti i giorni fino a quello sublimato per la vita in generale.

Nick però non riusciva più a sentire nessuna delle sfumature di quel sentimento. Era vuoto: camminava, parlava, capitava persino che sorridesse, ma era una finzione. Dubitava che sarebbe riuscito a essere di nuovo felice.

L'uomo si sedette sul bordo del letto e raccolse fra le proprie mani le dita inerti di Jack, giocando coi suoi polpastrelli. La sua mente non si soffermava su nulla in particolare, venne investito da una serie di sentimenti che finora aveva cercato di arginare.

I suoi occhi si offuscarono per le lacrime, che gocciolarono sul dorso della mano di Jack, su quella pelle liscia e intatta, tanto diversa da quella butterata di Nick. L'uomo non riuscì a trattenere un singhiozzo e si chinò, premendosi i palmi sugli occhi, come se volesse fermare le lacrime, ma, allo stesso tempo, non riuscisse a fare a meno di lasciarle scorrere. Assieme a quel liquido salato se ne stava andando anche una piccola porzione del suo dolore, ma Nick non voleva lasciarlo andare, non aveva intenzione di arrendersi all'evidenza. Il sogno che aveva fatto non l'aveva aiutato per niente. Era stato come restare ad assistere, impotente, mentre perdeva Jack un'altra volta.

- No... n-no... aspettami...

L'uomo sollevò lo sguardo, deglutendo a fatica un grumo di saliva, e si voltò verso Pim. La ragazza si stava agitando nel sonno, scuotendo la testa, emettendo dei fievoli gemiti.

- J-Jack...

Nick si alzò in piedi e andò dalla sua parte del letto, mentre si puliva il viso su un braccio. Si chinò al fianco di Pim e le mise una mano su una spalla, scuotendola con delicatezza. La ragazza respirava affannosamente e i suoi occhi si agitavano folli al di sotto delle palpebre.

- Pim, mi senti? - la chiamò Nick, usando il suo tono più gentile.

Lei balbettò qualcosa di incomprensibile. Sembrava che stesse cercando di svegliarsi, ma non riuscisse a farlo. Poi, all'improvviso, scattò a sedere, rischiando di colpire Nick con un gomito. Sbatté le palpebre a raffica, poi lo notò al suo fianco e lo strinse in un abbraccio.

- Nick - balbettò. - Ti sentivo, ma non riuscivo ad aprire gli occhi.

- Va tutto bene. Era solo un incubo - la tranquillizzò lui, massaggiandole la schiena con una mano, mentre osservava Jack.

Pim sciolse la stretta. I suoi occhi rosa erano molto confusi.

- Non sembrava un incubo. Era così strano, così reale.

Nick aggrottò le sopracciglia e scoccò un'occhiata al corpo di Jack. Sembrava tutto immobile, eppure...

- Che cos'hai sognato di preciso?

***

Morris scostò le coperte con un calcio, scendendo dal letto.

- Smettila! - urlò, cercando di colpire la figura che lo osservava dall'angolo più oscuro della stanza. - Vattene via! Non mi guardare!

Ma lui continuava imperterrito a fissarlo, gli oggetti gli passavano attraverso, senza fargli alcun male.

- Mo...

- Non mi chiamare Mo! - ululò l'uomo, prendendosi la testa fra le mani. Contò fino a dieci e, quando riaprì gli occhi, Jack era scomparso.

Lo scienziato trasse un sospiro di sollievo, poggiando i pugni contro il legno.

Era tutta la notte che continuava a vedere Jack. Pensava che si trattasse solo dei suoi sensi di colpa, ma qualcosa non andava. I Jack che continuava a vedere erano quello accasciato a terra, dopo che lui l'aveva aggredito, e il bambino, quello che lui aveva abbandonato quando aveva appena dieci anni. Era stato il piccolo a fissarlo dal fondo della stanza, fino a quel momento.

- Mo, perché non mi vuoi parlare? - ripeté Jack, sbucando da dietro la porta.

Morris emise un grido soffocato e si appiattì contro la parete, mentre il bambino si avvicinava. Non riusciva a muoversi, era paralizzato dal terrore. Quello che stava vedendo non era possibile. Erano solo giochi della sua mente, Robert che stava cercando di farlo collassare.

Jack si avvicinò e cercò di abbracciarlo. Le sue braccia attraversarono il corpo di Morris, e il bambino le guardò con aria confusa.

- Che mi succede? Sono un fantasmagorico?

Un fantasma, forse.

Morris si sentì appena più tranquillo. Per quanto Robert potesse cercare di ingannarlo, non l'avrebbe fatto usando Jack. L'aveva sempre creduto inutile, l'amore era qualcosa che non comprendeva, per quanto anche Morris avesse sempre avuto difficoltà con quel concetto, specie quando si trattava di esprimere il proprio affetto. Era bravo con la fisica quantistica, la chimica e la meccanica, ma le emozioni gli sarebbero sempre sfuggite, perché non si potevano chiudere in uno schema che le rendesse meno imprevedibili, meno terrificanti. Ogni cosa che sfuggiva al controllo della logica gli appariva come selvaggia e pericolosa. Ma persino la matematica ammetteva l'esistenza delle incognite.

- Jack, tu non sei un fantasma - mormorò. - Sei solo il frutto della mia immaginazione. Dei miei sensi di colpa.

- Io non sono un fantasma - farfugliò il bambino, facendo un passo indietro, mentre continuava a guardarsi le mani. - Mo, ho paura.

- Non devi essere spaventato - disse Morris, appoggiando un ginocchio a terra. Gli fece cenno di avvicinarsi e gli mise una mano sulla spalla. Non c'era niente lì, lo sapeva, ma la tenne comunque sospesa nel vuoto. Quella proiezione della sua mente a momenti gli sembrava fin troppo reale. - Sai che non sono mai stato bravo con questo genere di cose... mi dispiace essermene andato, anni fa. Mi dispiace avervi abbandonati, ma mi sentivo così soffocato al Rifugio. Credevo che a Cram sarebbe stato diverso, e invece è sempre tutto uguale. Ho trovato più comprensione nei Sopravvissuti che non nei Migliori. Non avrei mai immaginato che le cose potessero essere diverse da come dicevano loro. Comunque, solo perché vi ho lasciato, non significa che vi voglia meno bene. Non so nemmeno io perché l'ho fatto. E' complicato. Però è stato grazie al vostro pensiero che ho mantenuto qualcosa del vecchio me stesso e sono riuscito a riprendere il controllo. Potrai mai perdonarmi?

- Io non sono mai stato arrabbiato con te - mormorò Jack bambino, sorridendo. - Ero solo triste che tu non fossi più con noi. Mi mancavi. Però va bene anche così. Non ha molta importanza quanta strada tu abbia dovuto fare per tornare da dove sei partito.

Cercarono di abbracciarsi e, mentre Jack aveva il volto accostato al suo orecchio, cambiò forma, tornando a essere il giovane uomo che l'aveva fatto uscire dalla cella nel tentativo di salvarlo.

- Vai al Grande Albero - mormorò. - Forse troverai qualcosa per salvarmi in quel luogo.

- Cosa?

- E' da un po' che questa idea ti frulla in testa, io lo so. Prova... dopotutto, come hai detto tu, che hai da perdere?

Morris deglutì a fatica, mentre la figura di Jack svaniva, lasciandolo solo.

La strada per il Grande Albero non era molto lunga. Sarebbe riuscito a farcela senza il conforto dei filamenti del baobab-curante, almeno per un po'. Quello che doveva fare era mantenere la concentrazione.

Che Jack fosse un costrutto della sua mente o no, aveva ragione: c'era un modo per salvarlo.

Il pensiero di Morris sarebbe stato amplificato dal Grande Albero e avrebbe ricostruito ciò che aveva distrutto. Era tutto ancora nella sua coscienza: Jack c'era, sebbene non nella forma che avevano conosciuto, ma era sempre lui. Frammentato, smarrito in tutte le menti che l'avevano incontrato, eppure presente. Il fuoco stava al legno come la mente stava alla materia grigia, e quest'ultima era ancora intatta. Robert aveva solo assorbito le memorie di Jack, non aveva cercato di spegnere i suoi neuroni, com'era accaduto con Valentino.

Bisognava solo trovare il modo di creare la scintilla che avrebbe riacceso lo stoppino e, prima che avessero potuto rendersene conto, si sarebbe trasformato in un falò.

A Morris non importava quello che avrebbe dovuto sacrificare. Dei cinque sensi avrebbe fatto volentieri a meno. Restare confinato nella sua mente non lo spaventava molto: lo era già, nonostante si trovasse ancora nel mondo della fisicità. C'era un intero palazzo nella sua coscienza, in continua crescita ed evoluzione. Aveva talmente chiavi nel mazzo che si portava alla cintola quando decideva di meditare, che non sapeva più dove metterle. Se il Grande Albero lo avesse deprivato della consapevolezza del suo corpo, Morris avrebbe raggiunto la forma più elevata del suo essere. Sarebbe diventato una pura idea e, anche se non sarebbe più stato in grado di comunicare con l'esterno, avrebbe potuto creare un posto immaginario dove stare con i suoi fratelli e le persone cui teneva. Se già ora era in grado di creare illusioni tali da ingannare se stesso, non riusciva a immaginare cosa sarebbe stato in grado di fare in seguito. Certo, avrebbe lasciato da solo Teofane, ma aveva un altro debito da pagare, uno che si portava dietro da anni, e non poteva tirarsi indietro. Se fossero stati abbastanza bravi, i Sopravvissuti avrebbero comunque trovato un modo in cui utilizzare la sua mente per combattere i Migliori, qualora si fossero presentati. O almeno era quello che si diceva per mettere a tacere altri sensi di colpa. Era sempre stato un grande egoista, persino nei suoi atti di altruismo, e non aveva intenzione di pensarci ancora.

***

Morris si appoggiò contro il dorso di un albero, cercando di riprendere fiato. Il suo corpo era disgustosamente debole, malgrado avesse recuperato un po' le forze grazie al baobab-curante. Lo scienziato contemplò una delle proprie mani scheletriche, per poi passarsela dietro la nuca, le dita che scivolavano fra gli incavi della spina dorsale. Quella magrezza malata gli ricordava costantemente di quanto si fosse trascurato e di come la sua mente, per quanto potesse raggiungere i sette cieli, fosse ancora un'emanazione del suo cervello. Se solo fosse riuscito a liberarsi di quell'involucro e a persistere...

Morris digrignò i denti.

Non doveva pensare a quelle cose. Il suo obbiettivo ora era salvare Jack.

Si rimise in marcia, camminando verso il Grande Albero. Per fortuna il Sopravvissuto guaritore, Bernie, era già impegnato con dei pazienti. Ci sarebbe voluto diverso tempo prima che venisse da lui, dato che era venuto a controllare le sue condizioni di salute nel tardo pomeriggio. Il suo modo di fare ricordava a Morris la povera Mercy. Sperava di non averle fatto troppo male. Perfino Robert aveva avuto degli scrupoli nei suoi confronti, anche se erano dovuti interamente al fatto che avrebbe potuto usarla in futuro. Mercy era sempre stata una buona collaboratrice e sarebbe stato utile averla al suo fianco se fosse riuscito a eliminare il Primo e tutti gli altri che lo ostacolavano.

Basta, basta, basta!, pensò Morris, mentre ciondolava verso il Grande Albero.

Non voleva avere quei pensieri, ma più cercava di ignorarli più affondavano i loro artigli nel suo cervello. Era in quei momenti che aveva davvero paura di Robert Stein, quando non era chiaro di chi fossero le idee che scorrevano nel flusso della sua coscienza.

Morris alzò lo sguardo sul Grande Albero e la vista del gigante della foresta placò per un istante il suo conflitto interiore. Gli immensi rami di quella creatura nodosa rilucevano nel cuore della notte come un neurone attraversato da costanti impulsi elettrici. Chissà come doveva apparire la palude dall'alto... una geografia di reticoli luminescenti, che si snodavano a partire da quel centro, tanto luminoso da accecare. Attorno al tronco immenso del baobab, largo almeno una quindicina di metri, si attorcigliava un filamento fungino talmente spesso da essere duro quanto il legno. Al termine di esso si era sviluppato il cappello del fungo, che si confondeva con la chioma dell'albero, creando una piattaforma tondeggiante dalla quale cadeva una pioggia leggera di spore ogni volta in cui una folata di vento scuoteva il baobab.

Morris si avvicinò all'entrata, una porta ad arco scavata all'interno del tronco. Percorse un corridoio che lo portò in una stanza rettangolare. C'erano delle panche modellate nel legno del baobab. I dotti della linfa illuminavano il luogo con una luce azzurra e surreale. Si potevano scorgere delle minuscole bollicine al loro interno, che scorrevano poco sotto la pellicola di cui erano ricoperti quei tubi.

Su un punto sopraelevato della stanza si stagliava una sorta di altare, sulla quale erano state poggiate delle offerte, prevalentemente radici e altre primizie del raccolto.

Quei Sopravvissuti avevano un atteggiamento primitivo nei confronti del fungo. Sembrava che lo venerassero come una divinità.

Morris sospirò, inginocchiandosi di fronte al punto in cui i filamenti più consistenti si separavano dal micelio centrale, di cui si poteva vedere il corpo cilindrico proseguire verso l'alto, inghiottito dal legno. Raccolse i miceli e li posò sui polsi. Dopo un po' questi si animarono e aderirono alla sua pelle, nei punti in cui fino a poco tempo addietro c'erano stati quelli del baobab-curante.

Morris strinse la mascella, mentre i filamenti si facevano strada nella sua carne, raggiungendo i nervi. Nel momento in cui vi aderirono, la sua vista si fece sfocata e gli tremarono le gambe. Erano completamente diversi dai filamenti dei baobab-curanti, l'effetto era molto più intenso e rapido. Lo scienziato riuscì a stento a collegarli all'altro polso, prima di accasciarsi a terra.

Si sentiva come se stesse galleggiando su una nuvola di anestetico. Davanti agli occhi gli comparivano forme di strani colori, accompagnate da una musica lontana, una melodia senza nome. Non era composta da strumenti, era un suono silenzioso che pervadeva l'aria, l'orchestra dell'universo. Morris per un istante provò una pace completa e assoluta, come se fosse riuscito a comprendere l'intero funzionamento del cosmo, ma quel concetto presto gli sfuggì, come un sogno al risveglio. Più ci ripensava e meno lo ricordava. La sua mente non era in grado di contenerlo.

Una voce ultraterrena giunse alle sue orecchie. Una voce composta da quella musica, quella sostanza impalpabile, fisica e ultraterrena al tempo stesso, priva di divisioni. Un tutt'uno, il cerchio ultimo, l'occhio di dio.

Morris Twingle, disse. Nient'altro, solo il suo nome.

Sono io, mormorò lui, sentendosi fragile in confronto a quella maestosità. Si trovava di fronte alla conoscenza totale, la coscienza del mondo, ed era talmente grande, talmente complessa, da essere composta da una quantità infinita di anime e sottocoscienze. Prese da sole erano come le cellule di un corpo, ma nel loro insieme componevano qualcosa di immensamente grande.

Perché sei venuto qui, in questo posto sacro? Nella nostra casa?

Sono venuto a chiedere aiuto.

Aiuto?

La vista di Morris sfarfallò, prima di attenuarsi. Il mondo diventò sempre più sfocato, perse i colori, divenne grigio. Poi il grigio si trasformò in vaghe forme, le forme mutarono in ombre, sempre più fievoli, finché non sprofondò tutto nel buio.

Eppure, più andava a fondo, più Morris aveva la sensazione di elevarsi.

Non per me, questa volta. Ma per mio fratello.

Per tuo fratello, ripeté la voce eterea.

Sì, Jack. Avete parlato con Jack, non è vero? Quando ero in contatto con Teofane ho visto... avevano collegato mio fratello ai baobab curanti. Perché con lui avete parlato e con me no?

Perché la tua mente in realtà è chiusa, Morris Twingle. O Robert Stein? Non sei capace di uscire da te stesso. Non sai provare vera compassione per gli altri. E' quello che ci ha permesso di unirci in primo luogo, di diventare qualcosa di grande. Tu invece vuoi andare avanti da solo, sbaragliare gli altri... e solo resterai per sempre. Se è più potere che cerchi, noi non te lo daremo. Teofane ha dato qualcosa per il bene di tutti i suoi. Per proteggerli meglio. Tu invece hai pensieri neri persino nei momenti in cui tenti di dimostrare a te stesso che ti importi qualcosa. Ed è per questo che non ti abbiamo mai parlato, né ti offriremo di entrare nel cerchio ultimo. Non sei un punto che accetta di far parte di una circonferenza, ma un arrogante segmento che pretende di essere una retta. Non avrai nulla da noi.

Ma mio fratello...

C'è un modo per salvarlo, se lo vuoi sapere. Devi ricucire i suoi pensieri, quelli che tu stesso gli hai rubato. Dopotutto la mente sta al cervello come il fuoco al legno, giusto? O forse non sempre le cose si possono aggiustare. Jack Twingle era più aperto di quanto tu non lo sia mai stato, nonostante la sua mente fosse limitata. Questo perché lui ha saputo amare davvero, senza pensare a un fine personale. E' quello l'unico modo per uscire davvero da se stessi, Morris Twingle. Finché non lo capirai continuerai a essere un debole, proprio come il Primo. Ora vattene. Abbiamo finito di parlare con te.

No! Vi prego! Per Jack, voi dovete darmi la vostra forza! Tornate qui!

Morris non ricevette nessuna risposta.

Percepiva la loro coscienza multiforme, ma era una sfera irraggiungibile, non aveva più intenzione di comunicare.

Lo scienziato tornò in sé, in quel corpo debole e tremante cui era legato a doppio filo, per quanto cercasse di liberarsene.

Aprì gli occhi e vide solo buio.

No, anche questo no.

No!

Si mise a gridare, ma non udì il suono della propria voce. Avvertiva solo il pavimento freddo sotto il suo corpo.

Sei sempre stato cieco e sordo, mormorò la voce della Terra, prima di ritrarsi lentamente nel suo dolce letargo. Quanto dev'essere terribile per te l'idea di dover dipendere dagli altri. Ora sarà inevitabile.

Morris era livido di rabbia, ma impotente. Cercò di alzarsi in piedi, senza riuscire a orientarsi. Si ritrovò con le spalle al muro e provò sollievo nell'avvertire un limite cui aggrapparsi, proprio lui che amava superarli.

Continuò a gridare in silenzio, cercando di sentire e vedere qualcosa, ma non c'era niente. Era come trovarsi in una bolla oscura dalle pareti elastiche, dalla quale era impossibile uscire.

Poi qualcosa gli sfiorò un braccio.

Una mano, dal tocco fermo. Aveva un che di familiare.

Cos'hai fatto?, chiese la voce di Teofane. Ti avevo avvertito. Dannazione, Morris.

Volevo..., cominciò lo scienziato, mentre delle lacrime di fiele gli scorrevano lungo le guance.

Avrebbe voluto dire che si era avvicinato a quell'albero per salvare Jack, ma era una bugia. Era sempre tutto una grande, immensa bugia, per dare un rivestimento piacevole alle sue azioni. In realtà non era capace di provare dei sentimenti positivi nei confronti di chicchessia. Si riteneva un gradino sopra di loro e l'idea di sprecare il suo tempo per aiutarli lo disgustava, nonostante ricoprisse il tutto con l'illusione di essere buono.

E ora avrebbe dovuto chiedere aiuto agli altri persino per le cose più semplici.

Se avesse potuto, sarebbe morto in quell'istante.


____


Ecco, Morris ha combinato una delle sue. Chissà quali erano le sue vere intenzioni, è sempre così ambiguo... ma prima o poi dovrà decidere cosa vuole davvero.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Lasciate una stella o un commento, aiutano molto :)

Il prossimo capitolo assisteremo ad altre allucinazioni... ma saranno davvero allucinazioni?

Chi lo sa...

A mercoledì!

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