29. UN RICERCATORE DI QUARZO

Era notte fonda, quando Jack sgattaiolò fuori dal baobab con uno zaino colmo di provviste. Era avvolto in una felpa pesante, dato che dopo il calare del sole il freddo arrivava molto in fretta, e si era sistemato una spessa sciarpa attorno al volto.

La Stregana, seduta nella sua ciotola, gracidò con un interrogativo negli occhi gialli.

- Mi dispiace – sussurrò Jack, dandole una carezza sul dorso e un'ultima cavalletta essiccata. – Devo andare a cercarla, capisci?

- Croaak.

- Lo so, ma non posso portarti con me. Potrebbe succederti qualcosa, la palude è pericolosa e bisogna essere pronti a difendersi. Potrei non riuscire a proteggere sia te che me stesso. Non preoccuparti, sarà Nick a prendersi cura di te.

- Croak?

- Non è poi così cattivo. Belgor era simpatico alla fine, non è vero? Sono sicuro che anche con Nick andrà bene. Dopotutto è mio fratello, un po' mi somiglia. Fai finta che sia io.

La Stregana lo guardò avvilita, come per dire "ma non sarà lo stesso", e Jack sospirò.

- Dai, tornerò presto. Promesso.

Dopo averla salutata uscì senza guardarsi indietro, altrimenti avrebbe finito per prenderla in braccio e metterla nello zaino, come portafortuna.

Il respiro del ragazzo si radunava in nuvolette opache, mentre si dirigeva verso il limitare del villaggio. Gli esploratori avevano detto che si erano separati da Pim, la sua ragazza rosa, che finalmente aveva un nome, nei pressi di un affluente del Lago di Moccio, un fiume dal malsano colore rosso, un'arteria scarlatta nel verde della palude. Oltre il fiume Sanguinolento avrebbe trovato un vecchio ponte di metallo arrugginito, che l'avrebbe portato nei pressi delle montagne. Jack non si era mai spinto tanto in là, e non aveva nemmeno una mappa cui fare riferimento, dunque se n'era fatta disegnare una dagli esploratori, cercando di esprimere un puro interesse geografico, quando stava già meditando di andare a cercarla.

Sapeva che lei gli aveva detto di non farlo, ma come poteva abbandonarla? Non riusciva a capire perché si ritenesse pericolosa, cosa potesse essere cambiato e l'avesse spinta a comportarsi in quel modo, senza dirgli niente. Nel poco tempo che avevano avuto la fortuna di passare assieme lei aveva appreso tutto di Jack, mentre lui la riteneva ancora un mistero. Era arrivato a pensare che si fosse annoiata di lui e, semplicemente, avesse bisogno di altre cose. Jack era normale, non aveva niente di speciale, e ora aveva appena scoperto che, se voleva sopravvivere, sarebbe stato destinato a perdere persino quella strana connessione con le persone che amava. Come avrebbe fatto allora? L'idea di poter comunicare mentalmente e in modo intenzionale con Morris e Nick, gli era sempre stata di conforto. Era come se l'avessero condannato a rinunciare alla sua sola stampella.

Jack non riuscì a trattenere un brontolio, rimpiangendo già la compagnia di suo fratello e i Sopravvissuti, mentre si avvicinava al confine.

No, basta fare la mammoletta. Non avere paura: andrai nella palude e recupererai Pim. Farai strage di qualunque nemico ti si pari davanti.

Gonfiò orgogliosamente il petto e frugò nello zaino, estraendone una torcia elettrica. L'avevano riportata i Sopravvissuti da una spedizione. Era di quel modello strafico che era stato inventato nella civiltà d'acciaio per gli amanti degli oggetti d'antiquariato, dato che tutti facevano le cose con lo smartifono.

Aveva dentro una sostanza fosforescente, che si caricava quando la lasciavi alla luce e, se agitata al buio, rilasciava un lucore rossastro.

Jack la agitò con vigore, finendo per lanciarsela su un piede.

- PORC...

Si tappò la bocca da solo, sperando che nessuno avesse udito i suoi gemiti da orso ferito, e si chinò piagnucolando per raccogliere quello strumento del male.

Almeno si era illuminata, e quella fosforescenza rossastra non avrebbe dovuto essere vista dagli insetti e altre creature che si aggiravano nella notte, in modo da non attirarne l'attenzione.

Il ragazzo puntò la torcia verso il buio viscido della palude, popolato da suoni inquietanti e versi di animali sconosciuti in cerca di qualcosa da mangiare, e vi si avventurò in punta di piedi. Superò la prima barriera di alberi, poi la seconda. Passò attraverso la zona dei baobab per i malati, e il suo pensiero andò a Rorian. Pregava che quel poveretto guarisse presto.

Scivolando nel fango con dei deboli "squish-squash", Jack si fermò per togliersi da una scarpa un pezzo di muschio, che chissà come ci era sgusciato dentro. Appoggiò la torcia su una roccia altrettanto muschiosa ed estrasse quella bistecca di erba, che si era attaccata alla sua caviglia. Mentre era intento in quella pericolosa operazione, avvertì dei passi alle sue spalle. Sussultò per lo spavento, raccolse la torcia e corse via più velocemente che poté, giocandosi ogni possibilità di effetto silenziorpresa, dato che il suo zaino faceva un casino immane a ogni passo, tintinnando per via delle borracce metalliche con cui l'aveva riempito.

- Ehi, tu! – gridò una voce familiare.

Bernie.

Doveva star ancora facendo il suo giro di visite, mannaggia bubbazza. Ma Jack mica poteva ricordarsi tutto, non era Belgor. E poi quel medico aveva degli orari infami, dato che nessun altro voleva occuparsi dei pazienti nei baobab.

- Fermo!

Ma ormai Jack era lontano, e il medico era troppo stanco per riuscire a seguire l'intruso.

Lasciò perdere e si incamminò verso casa, trascinando i piedi palmati nel fango.

***

Il ragazzo nel frattempo aveva già fatto in tempo a ruzzolare in un paio di fosse dal fondo molliccio, riemergendone ricoperto di foglie secche, e si era seduto su un tronco per pulirsi. Una volta che ebbe terminato quell'operazione estrasse la mappa disegnatagli dagli esploratori e la dispiegò, facendosi luce con la torcia. Forse quel lucore rossastro serviva a non attirare le bestie, ma non rendeva l'atmosfera più rassicurante. Per niente.

Jack controllò che non ci fossero strane creature nei paraggi e abbassò lo sguardo sulla mappa. I Sopravvissuti non erano molto bravi a disegnare, aveva visto dei ragazzini al Rifugio fare degli omini stecchini migliori di quelle indicazioni.

C'era un disegno della parte di foresta che lui doveva attraversare. Doveva proseguire dritto, poi avrebbe incontrato un grande masso a forma di naso gibboso – Di naso gibboso? Cos'era una gibba? -, quindi avrebbe dovuto girare a sinistra e avrebbe trovato il fiume Sanguinolento. Il ponte era molto vicino, lo avrebbe visto di certo. Avrebbe dovuto attraversarlo e ta-da, sarebbe arrivato a destinazione.

- Essì che gli antenati si lamentavano del tony-tony che si piantava, ma non avevano ancora provato a orientarsi con una mappa disegnata dai rosponi.

Agitò la torcia, stringendola forte stavolta, altrimenti si sarebbe fatto un occhio nero, e riprese a scendere lungo quella che si era rivelata essere una collina. Man mano che proseguiva la palude si trasformava sempre più in una tundra. Una volta lì non ci fu nemmeno bisogno della torcia, perché c'erano talmente tanti filamenti fungini da illuminare la zona a giorno con la loro bioluminescenza azzurra.

Jack sorrise. Ogni tanto c'era anche qualcosa di bello in quel mondo marcio.

Si guardò la pelle, pensando che sembrava quella di un marziale, uno di quegli omini verdi dallo spazio per cui Morris aveva avuto una fissa da bambino, e proseguì.

Dopo circa mezz'ora di marcia raggiunse il Fiume Sanguinolento. Puzzava ancor di più del Lago di Moccio, e fu costretto a turarsi il naso per non svenire a causa delle esalazioni chimiche. Strinse forte la sciarpa attorno al viso per filtrare l'aria, e si guardò attorno alla ricerca del ponte. La bioluminescenza della tundra si rifletteva su una struttura metallica simile a un grande teschio disteso sull'acqua silenziosa del fiume. Da lontano pareva una ragnatela e Jack impiegò non più di dieci minuti a raggiungerla, con la sensazione di starsi cacciando in una brutta situazione.

Esaminò il ponte: sembrava stabile, ma emetteva dei cigolii poco convincenti. La terra l'aveva parzialmente inghiottito e, in alcuni punti, era stato corroso dal fiume. La struttura principale era integra: forse, se si fosse mantenuto al centro, non sarebbe successo niente. Jack non aveva nessuna intenzione di cadere in quell'acqua radioattiva, anche se non fosse stata dannosa come quella del Lago di Moccio e fosse riuscito a uscirne dato che la corrente non era forte, avrebbe potuto causargli comunque delle ferite serie.

Deglutì, facendosi coraggio.

- Lo faccio per te, Pim – mormorò, pregando che quel maledetto ponte di latta non si spezzasse sotto il suo peso. Se aveva sostenuto nove Sopravvissuti e la stessa ragazza rosa, avrebbe sostenuto un solo Jack.

Mantenendosi al centro, Jack si avventurò con cautela sulla struttura, tastando delicatamente il metallo davanti a sé prima di proseguire. Non ebbe particolari problemi, finché non si trovò a metà ponte. C'era una pozza rossa che rigurgitava costantemente acqua al centro, e aveva corroso la parte sinistra del ferro. Il ragazzo immaginò se stesso mentre cercava di saltarla e, con la sua solita grazia, ci cadeva dentro strillando.

No, no, saltare non era una buona idea.

Era meglio aggrapparsi alla parte destra del ponte e strisciare appiattendosi contro di essa.

Dopo minuti di gelido terrore, si trovò dall'altra parte, e una volta lì si concesse un sospiro di sollievo. Continuò a camminare con più calma. Pensava di avercela fatta senza alcun danno, almeno finché un cigolio preoccupante non gli fece rizzare i peli della nuca.

Senza nemmeno voltarsi per controllare cosa l'avesse provocato, Jack corse come non aveva mai corso in vita sua, ruzzolando nel fango dall'altra parte. Una creatura, attirata dal suo odore, l'aveva seguito sul ponte. Si trattava di un Sibilante. Jack ne aveva visti solo da lontano, mai da così vicino, e ora capiva perché non ci fossero molte testimonianze riguardo quelle creature: o ti ammazzavano loro, o crepavi di paura.

Si trattava di un mostro dal corpo sinuoso e muscoloso, ricoperto da squame azzurre, che rilucevano nel buio. I suoi occhi parevano due gemme, ma erano crudeli e assetati di sangue. Aveva tre teste, una che pendeva a sinistra, annusando l'acqua rossa, la centrale che fissava Jack con avidità e la terza che cercava di scattare verso di lui per mangiarselo subito.

Il ragazzo si alzò in piedi e cercò di correre via, ma aveva le gambe molli. Il Sibilante fece uno scatto in avanti, atterrando sulla parte portante del ponte. Il suo peso era tale che la struttura non riuscì a reggerlo. Jack si era già allontanato, malgrado il passo malfermo e la schiena dolorante per la caduta, e si era nascosto dietro un albero per avere una protezione, ma non ci fu bisogno di combattere. Il ponte si piegò, spinto da un vento invisibile, mentre uno stridio acuto pervadeva l'aria. Il Sibilante cadde in acqua, bagnandosi l'addome nel fiume, e cercò disperatamente di issarsi a riva, emettendo dei risucchi e degli schiocchi. Alla fine riuscì a salvarsi, mordendo il tronco di un albero con una delle teste e facendo leva su di esso per cavarsi da quella trappola mortale. Spostò lo sguardo su Jack e, rabbrividendo, decise che non valeva la pena tornare in quell'acqua bruciante per quel misero spuntino. Se ne andò disegnando dei movimenti a S sul terreno, lasciandosi alle spalle il ponte ormai troppo inclinato per poter essere usato.

Jack, felice di essere sopravvissuto, pensò che avrebbe pensato più tardi al problema del ponte. Doveva pur esserci un'altra via per il villaggio dei Sopravvissuti, la palude era enorme.

***

I primi raggi del sole attraversarono l'atmosfera, talmente inquinata da non lasciar passare altro che un malato colore blu e solo qualche traccia rosata dell'alba.

Jack tirò di nuovo fuori la mappa, soffocando uno sbadiglio.

Aveva attraversato il ponte, la parte difficile era fatta. Doveva solo proseguire fino al Piatto Lavico, una piana pervasa da vulcani dormienti, il cui terreno era particolarmente fertile e ricco di minerali. I Sopravvissuti gli avevano detto che Pim era andata in quella zona, sicura se paragonata al resto della palude. C'erano molti alberi da frutto, fra cui dei tronchi contorti che producevano dei "manghi" dalla polpa dolce e nutriente, e cespugli di more bluastre, grandi come una mano chiusa a pugno.

Jack però era stanco morto. Era stato sveglio tutta la notte e aveva un disperato bisogno di riposare, se voleva proseguire. Qualora i suoi riflessi fossero stati scarsi, si sarebbe messo in pericolo.

Decise di rannicchiarsi fra le radici di un baobab, il coltello da caccia stretto nella mano destra. Si avvolse in una coperta mimetica, tirandosela fin sopra la testa, e si addormentò poco dopo.

Fece sogni strani, deliranti.

Immaginò che, mentre era steso nel suo nascondiglio, un lungo tentacolo verde si srotolasse dalla cima dell'albero, scendendo fino a lui. Il ragazzo avvertì qualcosa di viscido avvolgersi attorno alla sua vita, ma non fece in tempo a difendersi che una sensazione di bruciore al fianco, seguita da una debolezza tanto istantanea quanto invincibile, causò il rilassamento dei suoi muscoli. Se ne stette inerte in quella viscida presa, mentre lottava per respirare, con la bava alla bocca, e il tentacolo lo trascinava sulla parte superiore del baobab, fino ad attirarlo nella sua tana. All'interno di quel buco c'era una pianta dall'aspetto bulboso e dalle foglie carnose, con la stessa consistenza della pelle. Il tentacolo della pianta aveva distrutto la tuta di Jack, che avvertiva ancora un dolore costante al fianco, ma era troppo inebetito per reagire. Non riusciva a muovere nemmeno un dito. Era a stento in grado di tenere gli occhi aperti, e abbassò lo sguardo sul proprio addome. Aveva una ferita sul fianco destro, dalla quale emergeva un pungiglione che stava pompando un liquido verde nelle sue interiora. Jack cercò di deglutire, ma ottenne il solo effetto di sbrodolarsi addosso.

Il ragazzo spostò lo sguardo nelle altre alcove all'interno della tana della bestia, e scoprì che c'erano degli animali di varie specie e dimensioni, là dentro. Erano più o meno nelle sue stesse condizioni, con un tentacolo attorno all'addome e quell'enorme siringa piantata nella pancia. Era qualcosa che li teneva in vita, ma li uccideva al tempo stesso. La pianta voleva renderli più appetibili, prima di risucchiare i loro liquidi vitali.

Il sogno in seguito sfumava nell'oblio, con Jack che abbandonava il capo sul tentacolo e abbassava le palpebre, abbandonandosi a quell'abbraccio tiepido. Non era poi così male, avrebbe potuto restare lì per un po', giusto il tempo di riposare.

Poi, avrebbe ripreso il viaggio, per andare da Pim.

Pim...

A un tratto il sogno cambiò, come spesso fanno i sogni, e il ragazzo avvertì delle mani sul viso. Lo stavano prendendo a schiaffi. Cavolo, tutto ciò cominciava a essere fin troppo reale per i suoi gusti.

- Svegliati! Ti prego, svegliati!

Jack non seppe dove trovò la forza di sollevare le palpebre. Si trovò davanti a una visione, ed ebbe la certezza che quello fosse un sogno, perché ritrovarla non avrebbe mai potuto essere così facile.

Pim aveva i capelli davvero lunghi, le erano cresciuti a dismisura dall'ultima volta in cui l'aveva vista. Le ricadevano sul viso, smagrito e teso per la preoccupazione. Aveva una grande urgenza negli occhi rosacei.

- Resta sveglio, ti prego. Resta sveglio. Solo un po', non temere. Ma resta sveglio finché non avrò finito qui.

Jack la avvertì armeggiare con qualcosa all'altezza del suo addome e abbassò lo sguardo.

La ragazza gli aveva sfilato il coltello da caccia dalle dita, che erano rimaste contratte attorno a esso per tutto quel tempo, a causa della paralisi indotta dalla pianta.

- Pim... sei tu...?

- Sì, sono io.

- Cosa... stai...

La voce di Jack si spense, mentre il capo gli ciondolava sul petto.

Pim gli rifilò un altro potente schiaffo, e lui aprì gli occhi di mezzo centimetro.

- Parlami, raccontami, Jack. Cosa ti è successo? Forza, dimmi!

Lui deglutì a fatica quella poca saliva pastosa che aveva in bocca e la osservò mentre lei prendeva il coltello e lo usava per recidere il pungiglione conficcato nel suo addome. La pelle della sua pancia era tesa per via del liquido che vi aveva iniettato la pianta, ma Jack non sentiva niente. Non avvertì nemmeno dolore quando Pim estrasse la siringa e gli massaggiò l'addome per aiutare il liquido a uscire dalla ferita.

- Ero venuto a cercarti... ma... mi hai trovato tu... non è... buffo?

- Buffo non saprei, Jack. Perché non mi ascolti mai? Dovevi restare a casa!

- Ma tu... non potevo... abbandonarti...

Pim alzò lo sguardo su di lui. Aveva gli occhi lucidi, e delle scie biancastre le colarono lungo le guance lisce.

- Sei un idiota – gli disse. – Se non fossi rimasta connessa mentalmente a te per tutto il tempo, non avrei potuto fare niente. Se fossi morto, sarebbe stata colpa mia. Anzi, no, mia e della tua stupidità. Perché, perché non mi ascolti mai? Come hai potuto non capire che devi starmi lontano, con tutta la fatica che ho fatto per andarmene? Speravo che tutti i pericoli del percorso per arrivare fin qui ti avrebbero fatto ragionare un attimo, ma hai il cervello di una cimice.

Jack non seppe come rispondere. Si era aspettato un'accoglienza più calda di quella. Il sogno stava prendendo una piega che non gli piaceva, come si faceva a cambiare canale?

Una volta che Pim ebbe terminato di massaggiargli la pancia, osservò la ferita con aria sconsolata.

- Anche se hai delle capacità curative, ti resterà una brutta cicatrice.

Jack emise un mugolio lamentoso.

- Posso dormire adesso? – gorgogliò, abbandonando il capo sulla sua spalla.

Pim sospirò e gli passò un braccio sotto le ginocchia e l'altro dietro la schiena, prendendolo in braccio allo stesso modo in cui avrebbe sollevato una palla di paglia.

- Sì. Dormi, il tuo corpo eliminerà da solo il resto del liquido.

Il ragazzo le fu immensamente grato e chiuse gli occhi, lasciandosi scivolare nel tanto agognato silenzio, mentre inspirava a fondo l'odore della sua tuta bianca. Sapeva ancora di fiori, ma, che fosse un sogno o no, gli andava bene comunque.

__________

Ciao ragazzi, ecco qua il ritorno di Pim. Come previsto, alla fine è lei a salvare le chiappe di Jack XD Poveretto, lui ci prova, dai, ma diciamo che il mondo non è un posto gentile :D

Sono davvero contenta di essere arrivata a questo capitolo, è uno dei miei preferiti, assieme al 31, cui è collegato :)

Nel prossimo ci sarà il ritorno di Morris, per chi si sta chiedendo cosa diamine sia successo al nostro scienziato pazzo. Potrebbe incontrare qualche amico, nella palude!

A domenica!

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