24. I RICORDI DEL FOLLE
Quando giunsero alla zona dei baobab per feriti era quasi mezzogiorno. Jack cominciava ad avere fame, malgrado avesse bevuto l'infuso offertogli da Bernie e fatto colazione tardi. Nel villaggio dei Sopravvissuti nutrirsi non era più un obbligo, attraverso pillole di vitamine, barrette che sapevano di segatura e quant'altro, ma anche un piacere. Il cibo era buono, vero. Non una serie di polverine con cui preparare una zuppa, l'atrocissima zuppa di Nick. Per quanto Jack volesse bene a suo fratello, nemmeno attraverso l'aura soffusa del reciproco affetto era riuscito ad apprezzare la sua cucina.
Il ragazzo cominciò a torcersi le mani, mentre Bernie armeggiava con la porta del baobab dove riposava Rorian. Continuava a concentrarsi su pensieri futili, per non riflettere sull'agitazione che cominciava a lievitare nel suo petto. Una serie di domande angoscianti gli intasavano il cervello, tutte dell'odiosa categoria "e se".
Quella che lo preoccupava di più era: e se avessero ragione su Morris?
Jack non sarebbe riuscito ad accettarlo. Era difficile per lui anche solo metterlo in dubbio, figurarsi ammettere che qualcosa non andava nel suo eroe.
- Vieni – mormorò Bernie, facendogli cenno di lasciare le scarpe nell'ingresso. – Cerca di fare piano, i pazienti potrebbero star dormendo.
Jack annuì e obbedì, lasciando le ciabatte in un ripiano scavato nel legno. Seguì Bernie attraverso la piccola stanza oltre l'ingresso. Al piano terra c'erano un paio di Sopravvissuti distesi nei rispettivi letti, collegati ai filamenti fungini che emergevano dal baobab.
- Ciao, Bernie – mormorò una di loro, con voce flebile. La sua pelle blu aveva un colore pallido e malaticcio, e il sorriso sulle sue labbra debole. – Vedo che hai un amico con te. Come si chiama?
- Lui è Jack. E' venuto a parlare con Rorian – spiegò Bernie, indicandolo con un cenno del capo. Jack agitò debolmente una mano, cercando di sorridere. – Come va oggi, Tilda?
- Un po' meglio, grazie – disse lei, scoprendo la gamba destra. Jack rabbrividì nel vedere il segno dell'amputazione: le era stata rimossa la parte inferiore dell'arto, tagliato poco sopra il ginocchio. La zona della ferita era interamente ricoperta di filamenti blu, che si illuminavano di una flebile luce, allo stesso ritmo del cuore della Sopravvissuta. – Fa già meno male, rispetto a ieri.
- Ottimo – approvò Bernie.
Si inginocchiò accanto a lei e le diede alcune radici da masticare. Rilasciavano un succo amaro che aiutava a sopportare il dolore e a dormire. Nel frattempo Jack stava osservando l'altro ferito, che sembrava messo molto peggio rispetto alla sua compagna di stanza. Aveva gli occhi socchiusi e respirava a fatica attraverso la bocca semi aperta. Era talmente magro da fare impressione e la sua pelle di un biancastro preoccupante.
- Che cos'ha? – sussurrò Jack, mentre Bernie si occupava di lui, sprimacciandogli il cuscino. Il medico frugò nella borsa e ne estrasse delle erbe odorose, che sbriciolò sul petto del Sopravvissuto, per poi praticargli un massaggio. Un intenso odore balsamico pervase l'aria, e Jack si sentì i polmoni più liberi, come se riuscissero a incamerare una quantità d'aria maggiore.
- Ha inspirato troppo a lungo le esalazioni del Lago Acido. Una volta non lo usavamo solo per i rifiuti, ma ne raccoglievamo l'acqua in delle casse di zinco recuperate dalla discarica. E' uno dei materiali che non riesce a distruggere. Usavamo l'acido per scavare nel terreno, costruendo delle strade nel villaggio e i dotti dell'acqua. Nonostante le precauzioni prese, molti si sono ammalati, specie chi si occupava di questo lavoro. Lev è stato sfortunato, purtroppo. E' da mesi che sto cercando di curarlo. Un po' è migliorato... se solo avessi le medicine di Cram, sarebbe già guarito.
Bernie si pulì le mani sulla felpa, lasciandovi delle strisce verdognole di cui non pareva importargli nulla.
- Su, vieni – ordinò, prendendo Jack per un braccio. Aveva notato l'espressione spaventata del ragazzo, e voleva rassicurarlo. – Purtroppo essere un medico mi porta a vedere tante cose, e, senza tecnologia, spesso sono più un macellaio che altro. Hai visto la gamba di Tilda? Gliel'ho amputata io. Era stata ferita da una trappola nei pressi di città Rifugio, dove si era spinta alla ricerca di alcuni oggetti da portare al villaggio. Quell'affare era una specie di tagliola, le trappole che un tempo venivano usate per gli orsi e altri animali con una certa mole: Tilda non l'aveva vista e ci aveva messo un piede sopra. La lama è scattata... è stata fortunata che non fosse una delle mine usate nella Grande Guerra, ce ne sono ancora un paio in giro. L'hanno portata qui più in fretta possibile, ma l'infezione era già cominciata. Ho amputato e così l'ho salvata, ma sarà un problema stare senza una gamba. A essere sinceri, le tue possibilità di sopravvivenza si dimezzano, così come quelle di tutti i feriti con gravi menomazioni fisiche: se i Migliori venissero al nostro villaggio, non avrebbero speranze. Non avremmo mai il tempo necessario per salvarli tutti. Avevo proposto a Teofane di trasferirli nella zona dei baobab-casa, ma lì le strisce fungine non hanno lo stesso potenziale. Sono più deboli. Il centro del fungo è più vicino a qui. C'è un albero, un albero enorme, talmente infettato dal fungo che ormai non si riesce più a capire cosa sia esattamente. Alcuni vanno lì quando cercano consiglio. C'è un'atmosfera magica, ma anche un po' inquietante, se devo essere sincero. Ci vado ogni tanto, e mi sento talmente piccolo. Piccolo e infinito allo stesso tempo. E' destabilizzante.
- Sarebbe bello andarci, un giorno – disse Jack, con aria assente. Stava ancora pensando all'arto amputato di Tilde e la completa assenza di reazioni di Lev. Più rivedeva quelle immagini nella propria mente, più era sicuro che non se ne sarebbero mai andate, ma avrebbe potuto abituarsi. L'idea di diventare l'apprendista di Bernie e imparare a curare gli altri lo infiammava dentro, sentiva che quella era una cosa che gli sarebbe piaciuto fare. Forse non avrebbero avuto molto a disposizione con cui lavorare, solo erbe e medicine rudimentali, ma assieme avrebbero potuto aiutare più persone. Non riusciva a capire come Bernie riuscisse a prendersi cura di un intero villaggio con le sue sole forze.
- Non sono solo – lo corresse il Sopravvissuto, mentre salivano le scale che portavano alla camera di Rorian. – Ci sono altre guaritrici oltre Kehla, ricordi? Si chiamano Amber e Lily, e sono molto brave, anche se seguono ancora i metodi della nostra insegnante. Non si fidano dei baobab e del fungo, non collegano mai i loro pazienti agli alberi, dicono che è un metodo troppo sperimentale. Però io ho salvato più persone, così. Devi essere disposto a prenderti qualche rischio, ogni tanto, se vuoi trovare nuovi modi per salvare delle vite. Spesso provo su me stesso le medicine, prima di darle ad altri, col rischio di restarci secco. Le ho date anche a un paio di ricci piuttosto aggressivi o altri animali che andavano abbattuti. E' rado che muoiano, al massimo gli viene la pancia gonfia e si sentono male per un paio di giorni. Però, per quanto io rispetti la vita e ami aiutare qualunque creatura, non posso mettere sullo stesso piano la vita di un membro della mia specie e quella di un riccio. Mi consolo col fatto che sono sempre animali rabbiosi, che verrebbero uccisi in ogni caso.
Jack deglutì. Da amante degli animali, non era sicuro che avrebbe avuto lo stomaco di veder morire una creaturina indifesa. Era sempre stato Nick quello che ammazzava gli animali. Lui aveva uno scudo di ferro attorno alla propria coscienza, la violenza non lo impressionava. I malati sì, quelli gli facevano paura, ma non quando era una questione di uccidere o essere ucciso, o di cercarsi da mangiare. Si sentiva a posto con la propria coscienza, quando ammazzava una creatura per cibarsi. Sosteneva che era il cerchio della vita e il più forte mangiava il più piccolo. Jack a volte si ritrovava a pensare che aveva ragione, ma, d'altro canto, non riusciva comunque a imbracciare il suo arco per uccidere una palla di pelo, men che mai un Rosicone. Quegli occhi dolci, il muso spaventato e un po' sorpreso, come se non riuscissero a capire cosa intendesse fare con quella freccia. No, Jack non ne era capace. Sapeva di essere un vigliacco, sotto quel punto di vista. Forse fare il guaritore lo avrebbe aiutato a mettere le cose nella giusta prospettiva. Se avesse smesso di essere impressionato dalla violenza e dalla morte, gli avrebbero fatto meno paura, e avrebbe colto il senso del mondo, un mistero di cui sentiva di fare parte, ma che ancora gli sfuggiva.
***
La stanza di Rorian era molto buia, le tende erano tirate e l'unica luce erano delle candele sul comodino accanto al letto, dove riposavano due pezzi appuntiti di selce, che agiva da pietra focaia.
Bernie fece cenno a Jack di entrare, premendosi un dito sulle labbra per invitarlo a fare silenzio. Il ragazzo camminò in punta di piedi, arrivando a inginocchiarsi accanto al letto di Rorian.
Il Sopravvissuto aveva un aspetto salutare, a differenza degli altri due. Certo, era molto magro, ma non presentava lesioni fisiche: ormai erano tutte ridotte a cicatrici. Ne aveva un paio sulla pancia e sulla schiena, dove non potevano essere viste facilmente. Bernie gli sfilò la maglia con delicatezza.
Aiutami a girarlo sul dorso, disse con la mente, cercando di essere il più delicato possibile per non urtare la psiche di Jack.
Il ragazzo afferrò il Sopravvissuto dall'altro braccio e, assieme, lo girarono sul dorso. Sulla nuca di Rorian c'era un'infinità di fili azzurrini. Avevano ricoperto il suo cranio con una rete. A quella vista Jack deglutì e si passò nervosamente una mano dietro la nuca, dove le crosticine rimastegli dopo essere stato sottoposto allo stesso trattamento stavano cominciando a cadere. Se per lui era stato così invitante arrendersi all'abbraccio luminoso del fungo, come poteva uno come Rorian resistervi, dopo tutto ciò che aveva subito nei laboratori di Cram? Il mondo della propria immaginazione doveva sembrargli molto più attraente di quello reale, dove sarebbe stato costretto ad affrontare i propri problemi.
Rorian aveva gli occhi chiusi, il volto rilassato. I suoi capelli erano molto corti.
- Glieli raso io – spiegò Bernie. – Mi rende più facile lavorare coi filamenti fungini, piazzarli nei punti giusti. Con te non ho avuto bisogno di farlo, ma, se la tua situazione fosse peggiorata o non ti fossi ripreso, ti avrei collegato a più fibre.
Jack non rispose, limitandosi a osservarlo mentre lavorava. Non se la sentiva di parlare con nessuno di ciò che ricordava del suo viaggio nel ventre della terra. Era una faccenda troppo personale, e un po' si vergognava del fatto che, per poco, non aveva ceduto. Era arrivato al punto di preferire la fuga dalla realtà al combattere per andare avanti, e non ne era molto fiero. La sua reazione era comprensibile, qualunque essere vivente voleva stare bene, ma non era mai la via giusta, quella troppo facile e immediata. Era certo che avrebbe rimpianto di non essere tornato da suo fratello e la ragazza rosa, e di non aver visto la propria vita srotolarsi giorno dopo giorno, come avrebbe dovuto essere. Voleva essere lì, gli piaceva essere lì, per quanto potesse essere faticoso. I pregi erano maggiori agli oneri, per come la vedeva lui. Era una bella vita, malgrado la malattia e tutti i problemi, il cielo verde, il sole blu. Le parole del fungo non gli davano solo un senso di nostalgia, ma anche speranza. Si poteva fare qualcosa per quella Terra, butterata, calpestata, inquinata, ridotta a un ammasso puzzolente di rifiuti. Lei voleva ancora dar loro qualcosa, proprio come la madre che era sempre stata, desiderava solo che i suoi figli fossero felici, e sarebbe stata disposta a dargli tutto, persino quando non aveva più niente. Era dolce nel fornire loro i mezzi per andare avanti, come l'adattamento dei Migliori e l'evoluzione dei Sopravvissuti, e crudele quando si portava via qualcuno, ma Jack, che non credeva in una divinità nonostante amasse fantasticare sull'infinito, non aveva mai immaginato un ipotetico dio come completamente buono. Dio era colui che dava ma anche colui che toglieva, creatore e distruttore, benevolo e malvagio. Bastava osservare le persone: allo stesso modo, nessuno era completamente buono o cattivo. Ci voleva una macchia nel lucore e una fiammella nell'oscurità. E dio, che creava e distruggeva, non aveva motivazione. Era solo una grande forgia, che disfava e ricreava, e quando la gente incolpava una forza ultraterrena per disperazione o cercava di attribuirle le proprie buone speranze, Jack sospirava, perché era sempre tutto solo un caso. Il mondo era governato dal caso, ma c'era una qual legge nascosta nel caos, nonostante fosse difficile vederla. Jack si ritrovava spesso a pensare che quando una persona moriva, un'altra nasceva altrove. E non era importante chi moriva o chi nasceva. Bastava che qualcuno finisse in quel circolo: era lì che arrivava la parte del caso.
E al povero Rorian, per caso, era capitato di finire nei laboratori di Cram.
Una volta che Bernie ebbe terminato di praticargli un massaggio rinvigorente alla schiena, lo tornarono a posizionare sul dorso, e il medico ripeté l'operazione sul suo torace. Si pulì le mani, prese il barattolo con l'unguento verde dalla borsa e ne prese una generosa manciata, distribuendola sulle mani. Con delicatezza, spalmò la sostanza sul capo di Rorian, insistendo sulle tempie. Era molto cauto, per non spezzare i filamenti del fungo.
- Non riesco a contattarlo a parole, ma, con la mente, si può avere delle conversazioni con lui – spiegò a Jack, con una traccia di tensione nello sguardo. – Sicuro di voler provare? Posso svegliarlo per te.
- Sì – mormorò, nonostante avesse la bocca secca e il cuore gli battesse forte. – Tanto tu starai con me, vero?
- Non mi allontanerò per un secondo. Se succedesse qualcosa di brutto, sarò qui.
Il ragazzo si sentì un po' rinfrancato e, seguendo le istruzioni di Bernie, poggiò la mano destra su una di quelle di Rorian. Rabbrividì a contatto con le ventose. Aveva la sensazione che avrebbero continuato a fargli un po' impressione, per quanto avesse fatto amicizia coi Sopravvissuti e non lo spaventassero più, nemmeno per il loro aspetto.
- Rilassati. Lasciati andare – lo incitò Bernie.
Jack si sentì invadere da una profonda calma, e, un po' alla volta, il mondo esterno divenne sfocato a distante. I suoni si ovattarono, fino a sprofondare nel silenzio.
Rorian?, pensò, timidamente.
In risposta gli arrivò una flebile luce azzurra.
Chi sei?, mormorò una voce timida e spaventata.
Scusa se ti disturbo, non volevo svegliarti. Mi chiamo Jack. Sono tuo amico, se lo desideri.
Amico?, fece l'altro, e la luce si fece un po' più persistente, nonostante fosse ancora diffidente. Davvero? Dimostralo.
E come?
Lascia che io veda qualche tuo ricordo. Sono sempre così solo, qui. Nessuno viene a parlarmi. Dimmi di un tuo ricordo piacevole, che ti dà particolare gioia. Così potrò ripensarci.
Jack provò una fitta di disagio allo stomaco. L'idea che qualcuno sfiorasse la sua mente anche solo in modo amichevole lo turbava ancora, ma non aveva scelta, se voleva che Rorian gli mostrasse ciò che desiderava vedere.
Il ragazzo ripensò ai momenti più belli della sua vita, e gliene vennero in mente un paio che nemmeno pensava di avere. Il fatto che Aaron avesse violato la sua memoria aveva avuto un lato positivo, per quanto esiguo: gli aveva permesso di rivedere i suoi genitori. Era passato talmente tanto tempo dalla loro scomparsa che non ricordava i loro volti, mentre ora poteva ammirarli. Il ricordo che scelse poteva sembrare insignificante, ma a lui dava un'emozione tanto dolce e intensa da colmargli gli occhi di lacrime.
Fuori pioveva. Il pianto acido del cielo verde scavava nelle pareti del Rifugio, un decimo di millimetro alla volta, creando un soffuso sottofondo sonoro. Jack aveva più o meno sei anni, ed era sdraiato nel letto dei suoi genitori. Aveva il viso affondato nel cuscino di sua mamma e ne stava inspirando l'odore. Non aveva mai visto il sole quando era ancora giallo e superbo, ma doveva essere quello il sapore dei suoi raggi in primavera.
Aveva avuto da poco un'influenza, e per questo era ancora stanco. Quando era ammalato i suoi lo lasciavano dormire nel lettone con loro. In quei momenti Jack si sentiva protetto, avvolto in un guscio impenetrabile. Nemmeno una bomba avrebbe potuto distruggere il mondo in quel momento, non finché era circondato dalle ali protettive dei suoi genitori.
Suo padre e sua madre avevano già indossato la tuta da notte, e si erano infilati nel letto. Jack sentì le loro morbide presenze al suo fianco e sorrise, mentre suo padre gli metteva una mano sulla fronte per controllare se aveva la febbre.
- Finalmente si sta abbassando – mormorò. Aveva una voce profonda e rassicurante, e una barba nera e un po' rada gli copriva le guance e il mento. Quando Jack gli dava un bacio su una guancia, la sentiva pungere. – Guarisci, gnometto.
Suo padre lo chiamava sempre così. Era da lui che Nick aveva preso la mania dei nomignoli affettuosi.
- Io ci provo – disse Jack bambino, soffocando uno sbadiglio.
Sua madre gli diede un bacio sulla testa rasata.
- Dove sono Mo e Nick? – chiese Jack, sbadigliando di nuovo.
- Noi siamo rimasti a casa per occuparci di te e loro ci hanno sostituito per andare a prendere le razioni. E' Natale, stasera. Doppia porzione.
- Natale – sbuffò suo padre. – Certo che le tradizioni sono dure a morire.
- Beh, almeno questa è rimasta.
- Solo nelle razioni.
- Non dire così – lo rimproverò sua madre. – E' una delle poche cose che sono rimaste dal vecchio mondo. Che uno ci creda o no, è un'occasione per stare insieme e festeggiare un po'.
- Mi sento molto "festivo", con le barrette energetiche.
Jack rise piano, per poi tossire. Sua madre gli massaggiò il petto per consolarlo.
- Ancora un po', tesoro, e ti sarà passata questa brutta tosse.
- Sì – mormorò lui, consolandosi col loro abbraccio.
Oh, se quel momento fosse potuto durare per sempre...
Lentamente, i ricordi si sfocarono, e Jack si trovò di nuovo nella nerezza più totale, con la sola presenza della fiammella.
Era davvero un bel ricordo, gli disse la voce di Rorian. Sembrava commosso, come se avesse condiviso le sue emozioni. Adesso che ti ho visto, mi fido di te. Dimmi, che cosa volevi chiedermi?
Jack esitò. Si stava ancora riprendendo dal ricordo anche lui. Era sicuro che, da qualche parte, lontano, i suoi occhi erano colmi di lacrime.
Volevo sapere delle cose su Robert Stein.
Non appena pronunciò il suo nome, fu come se una corda si fosse spezzata. Un suono stridulo pervase il vuoto, e la fiammella divenne un'immagine distorta.
Jack si pentì subito di ciò che aveva fatto. Avvertiva un immenso dolore provenire da Rorian e voleva solo recidere il contatto con lui, scappare, non guardare, ma delle immagini fecero comunque in tempo a impiantarsi nel suo cervello, per quanto avesse cercato di isolarsi, rinchiudendosi di nuovo in ricordi felici.
Vide se stesso su un tavolo di metallo. Il suo corpo era paralizzato, dovevano avergli somministrato delle medicine abbastanza forti da intontirlo al punto da non riuscire a comunicare con la mente e muoversi, ma sentiva ogni cosa. Una luce fastidiosa lo accecava, facendogli la lacrimare gli occhi. Nel suo campo visivo entrò un'ombra e per un istante le fu grato per aver oscurato la luce. La mise a fuoco: un volto sottile, dai lineamenti armoniosi e il naso leggermente arcuato, nascosto da una mascherina bianca. Due occhi di un azzurro ghiaccio, del tutto privi di empatia e dal taglio crudele.
Lo scintillio di un bisturi.
- Rilassati – mormorò la sua voce, una voce inconfondibile, dal timbro flautato. Sarebbe stata quasi melodica, se non fosse stato per il suo timbro gelido. – Cercherò di fare in fretta...
No.
Il bisturi si avvicinava alla pelle del suo addome, scoperta. Aveva le braccia e le gambe bloccate, non riusciva a muovere un muscolo, ma capiva, sentiva tutto. Voleva scappare, ma non poteva. Era bloccato nel suo stesso corpo.
No, no!
Il bisturi cominciò a incidere la sua pelle...
NO! TI PREGO, NO!
Il grido mentale di Rorian si unì a quello reale di Jack, che era caduto a terra, rannicchiandosi in posizione fetale. Stava singhiozzando, mentre continuava a gridare, e si teneva le mani sulla pancia, come se sentisse lui stesso la ferita.
Bernie aveva interrotto il contatto non appena aveva percepito l'incrinatura nella coscienza di Rorian, ma non era stato abbastanza veloce. Qualcosa era passato lo stesso.
- Jack! Jack, va tutto bene, ci sono io qui! Nessuno ti sta facendo del male – gli disse, avvolgendolo fra le proprie braccia nel tentativo di calmarlo.
Il ragazzo continuò a piangere, balbettando parole che non gli appartenevano, poi, un po' alla volta, recuperò contatto con la realtà. Guardò Bernie, con gli occhi arrossati e il volto rigato di lacrime, poi abbassò lo sguardo sul proprio addome. Sollevò la maglia con mani tremanti, ma era tutto a posto. Nessuno gli aveva inciso la pancia con un bisturi, men che mai Morris.
Il pensiero di suo fratello gli fece risalire un singhiozzo lungo la gola, e si gettò fra le braccia di Bernie, che lo accolse con gentilezza, accarezzandogli la testa.
- Avevi ragione – farfugliò, con voce flebile, fra un singhiozzo e l'altro. – Mio fratello ha davvero fatto quelle cose orribili. Perché? Perché avrebbe dovuto? Io non capisco... Morris non era così. Io lo conoscevo, gli volevo bene. Non era un mostro.
Bernie sospirò gravemente. Gli dispiaceva che il ragazzo avesse dovuto scoprirlo in quel modo, ma era anche un bene che avesse realizzato ciò di cui suo fratello era capace.
- Forse era davvero così, Jack. Non ti devi sentire male per avergli voluto bene, nonostante tutto. Aver amato una persona crudele non ti rende simile a lei. Probabilmente anche lui ti voleva bene. Però è cambiato. Quello che hai visto non era più Morris Twingle, ma Robert Stein, il Ministro della Ricerca. Da medico te lo dico: è vero che è un bene spingersi un po' più in là per amor di conoscenza e per salvare altre vite... ma non così. Non così.
Jack soffocò un singhiozzo e, per la prima volta, pensò che non avrebbe mai voluto diventare come suo fratello. I suoi occhi... non lo avrebbe nemmeno riconosciuto, se non avessero avuto quel colore così particolare, preso da loro padre. Era stato solo lui a ereditarli, mentre Jack aveva preso le iridi castane di loro madre e Nick quelle verdi della nonna. Ma gli occhi buoni di papà Morris non li aveva più. Erano così freddi, come se dietro a essi non ci fosse niente, e gli avevano fatto più paura di quelli di Aaron, nel momento in cui aveva violato la sua mente. Almeno nel Sopravvissuto c'era stata qualche tipo di emozione, seppur negativa. La rabbia, per quanto orribile, rendeva umani. Ma quello sguardo... quello era uno sguardo alieno, incomprensibile. Terrificante.
Quello non era suo fratello.
Era un mostro.
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Povero Rorian, non ha avuto una vita molto felice...
Ebbene, ecco finalmente uno sguardo nella mente di Morris... o di Robert? Non si capisce molto bene la differenza, non si sa nemmeno se davvero ci sia.
Secondo voi Jack come reagirà in futuro? Lo perdonerà o no? Si accettano ipotesi :)
Se il capitolo vi è piaciuto, lasciatemi una stella o un commento, aiutano davvero molto. Volete un'altra rappresentazione grafica di quanto mi aiutano?
Eccola qui:
Se vi sono cadute le braccia, ne potrete trovare un paio nuovo nell'armadio alla vostra destra.
Comunque, nel prossimo capitolo succederanno un po' di cose. E' uno dei punti di svolta della storia, e sarà incentrato su Morris. Vedrà anche il ritorno dei Ministri. Il nostro caro scienziato è con le spalle al muro, chissà cosa farà...
A domenica!
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