21. NON MI FAI PAURA

Aaron non amava molto la compagnia altrui. L'unica che riuscisse ad accettare era quella di Nikita; tutti gli altri, dopo i primi minuti, cominciavano a dargli sui nervi, e finiva per non ascoltarli, canticchiando nella propria mente per escluderli dai propri pensieri.

Il suo amico era il solo con cui riuscisse a condividere le emozioni, e si trovavano sulla stessa linea d'onda.

Tutti dovevano compiere un lavoro al villaggio, che fosse più o meno faticoso, per il benessere della comunità. Si procedeva a rotazione, e chiunque, prima o poi, sarebbe riuscito a provare qualunque campo. Dopo un po' una persona poteva anche decidere di fermarsi e concentrarsi su un'attività che le piaceva in modo particolare, ma si era comunque liberi di poter cambiare, qualora lo si desiderasse. Aaron si era focalizzato sull'attività di perlustratore e Nikita l'aveva seguito. Quello era sia un modo per passare più tempo assieme che per potersi allontanare dal villaggio.

Nikita condivideva con lui l'odio per i Migliori e non apprezzava la linea pacifista sostenuta da Teofane e dalla maggior parte dei loro concugini. A differenza di Aaron non aveva perso nessuno, ma sarebbe stato disposto a seguirlo fin in capo al mondo e trovava estremamente ingiusto che il capo villaggio non avesse fatto nulla per vendicare la morte di sua madre. Aaron era felice che almeno Nikita riuscisse a capire come si sentisse, e spesso passavano il loro tempo libero a ideare piani d'attacco verso Cram. Ovviamente, essendo solo in due, non avrebbero potuto fare granché, ma era comunque un modo per sfogare il loro odio. Avevano creato una piccola casa in cima a un baobab, dove si accedeva tramite una corda e delle tacche scavate all'interno del tronco dell'albero. Appoggiando i piedi negli incavi era facile risalire fino al nascondiglio, per questo i due nascondevano la corda in uno scomparto segreto, ogni volta in cui salivano o scendevano dal baobab, in modo che nessun altro potesse accedere al loro rifugio.

All'inizio si era trattato di una semplice amicizia fra loro due, venata da sfumature di cameratismo militare nei confronti della causa comune, ma, col tempo, si era trasformata in un legame profondo. Ormai non facevano nulla senza l'altro e si sentivano incompleti, quando non erano assieme. Avevano solo ventisette anni, ma sapevano già che avrebbero trascorso il resto della loro vita mano nella mano, le menti costantemente collegate. Non potevano farne a meno. Era l'unica gioia che avessero, nell'oceano di rabbia nel quale nuotavano.

In cima al baobab conservavano delle armi rudimentali che non avevano mai usato, malgrado il loro spirito bellicoso. Un giorno l'avrebbero fatto, ma al momento si accontentavano di complottare.

E poi la loro piccola rivincita sul genere umano l'avevano già avuta, nel momento in cui Aaron si era introdotto nella mente di quel moccioso, il fratello del mostro. Il suo comportamento aveva fatto infuriare Teofane, ma Aaron, nel profondo, si era sentito soddisfatto. Aveva messo le mani sul fratello dello scienziato, aveva avuto un colpo di fortuna: avrebbe dovuto essere soddisfatto di se stesso, non avrebbe potuto agire in modo migliore. Eppure, dopo qualche giorno, si era ritrovato ad avere degli strani pensieri. Di notte faceva sogni deliranti, ricordi che non gli appartenevano prendevano forma nella sua mente, ricordi visti attraverso occhi umani, accompagnati da tutte le emozioni che vi erano legate. Il moccioso aveva un'immagine zuccherosa e rosea del mostro. Lo avrebbe visto come un coniglio gigante anche se fosse stato munito di coltello e gli fosse venuto incontro con una luce omicida negli occhi. Gli voleva proprio bene, al di là di qualunque azione avesse commesso Stein. Non era importante, in fondo. L'unica cosa che gli importava era che lui gli volesse bene. Bastava la minima parola dolce da parte dell'abominevole per far sì che il moccioso si sciogliesse per la felicità. Il loro era un rapporto molto strano, che, malgrado tutto, per alcuni versi ricordava ad Aaron quello che lui aveva con Belgor, il suo fratellino idiota.

Era impacciato e un po' invadente, ma aveva un buon cuore, ed Aaron si sarebbe infuriato, se qualcuno avesse osato sfiorarlo con un dito. Malgrado da bambini si detestassero e amassero farsi dispetti a vicenda, ora che erano entrambi adulti si stimavano e si volevano bene, sebbene il loro modo di vedere il mondo fosse diametralmente opposto. Che quel processo potesse venire applicato anche al moccioso e al mostro non aveva nemmeno sfiorato Aaron finché non si era trovato da solo nel baobab casa, ancora fremente di rabbia per il rimprovero del padre, col silenzio della notte a fargli compagnia.

In quei momenti era arrivato a pentirsi di ciò che aveva fatto, e aveva sperato che il moccioso riuscisse a riprendersi: in fondo era vero, non era stato lui a impugnare il bisturi per dissezionare i loro simili o a uccidere Siria, nonostante avesse su di sé il marchio della colpa anche solo per essere un umano. Ma non avrebbe confessato quei pensieri a nessuno al mondo, nemmeno a Nikita. Non si sarebbe mai mostrato tanto debole e vigliacco, non sarebbe andato a chiedergli scusa. Non temeva la rabbia di Nicholas, lo storpio: se gli avesse proposto il combattimento, non si sarebbe tirato indietro. Che lo affrontasse, lo avrebbe combattuto con tutte le proprie forze. Doveva essere divertente combattere contro quel bestione, era già un gigante da umano, malgrado il cibo scadente di cui si cibava la sua specie nella città soffocante, ma ora si era davvero trasformato in un avversario interessante. Se solo non ci fosse stato quello screzio fra loro, sarebbe stato bello averlo nella propria squadra anti-Migliori, malgrado Nicholas condividesse un legame di parentela con il mostro e il moccioso: Aaron aveva sentito la sua rabbia nei confronti dei Migliori, e vi aveva riconosciuto la propria. Avrebbero potuto fare faville assieme, qualora avessero superato le loro divergenze. Forse era troppo tardi, ma non era mai detta l'ultima parola. Se Aaron era arrivato a provare rimorso per ciò che aveva fatto a un insulso umano, poteva anche accadere che Nicholas perdonasse l'aggressore di suo fratello in favore di una causa più grande.

***

Quando il marmocchio si era ripreso, Aaron aveva provato sollievo, ma, com'era sua abitudine, aveva reagito limitandosi a uno sbuffo, quando Belgor gli aveva dato la notizia.

- Dovresti essere felice di non avergli causato un danno permanente – gli aveva detto suo fratello, aggrottando le sopracciglia con quella sua aria ingenua.

- Tu dici? – aveva sogghignato Aaron, tamburellando sul tavolo del baobab-casa con la punta degli artigli. – Ti assicuro che non si riprenderà mai del tutto, ho cercato di fare del mio meglio. Ho saputo che ti sei offerto di dargli delle lezioni. Non funzionerà, solo io potrei sistemare il danno.

- Ma non lo farai, giusto?

- Esatto.

- Perché sei così cattivo con lui? Non ti ha fatto niente.

- E' un umano. Ha sicuramente fatto qualcosa. Forse non a me, ma a qualche altro Sopravvissuto di certo.

- Non dire stupidaggini, quel ragazzo non farebbe del male a una mosca – aveva sbottato Belgor. – Sei tu che ami ferire gli umani. Trovo infimo da parte tua l'essertela presa con un ragazzino indifeso. Aggredire qualcuno che non sa usare la propria mente per offendere e nemmeno difendere... mi sarei aspettato di meglio da te, fratello.

Senza aggiungere altro, se ne era andato, lasciando Aaron da solo con la propria rabbia per non essere stato lui ad avere l'ultima parola. A volte Belgor rivelava un'inaspettata eloquenza, che spesso lo lasciava basito e incapace di rispondere, il che lo spingeva a logorarsi il fegato per giorni, detestando il fratello per essere stato più furbo o lungimirante di lui. Forse, se avesse saputo che un po' gli dispiaceva per il moccioso, non sarebbe stato così duro con lui, ma Aaron non gliel'avrebbe detto neanche morto: qualsiasi cosa pur di non dargli ragione riguardo quell'argomento.

L'unico che gli avesse dato ragione era Nikita, tuttavia Aaron percepiva in lui un certo disagio, quando parlavano del moccioso. Era come se avesse i suoi stessi pensieri, ma fosse molto meno bravo a nasconderli, specie a lui, che lo conosceva più di chiunque altro.

- Forse non avremmo dovuto – aveva ammesso, un giorno, mentre si trovavano seduti sulle radici di un baobab dalla corteccia blu e arancione. Avevano passato la mattinata a raccoglierne le ampie foglie, che, dopo la cottura, diventavano un'ottima pietanza. Inoltre raccoglievano la corteccia degli alberi per darla alle capre: il padre di Nikita aiutava il villaggio a gestirle e le portava ai pascoli gialli, dove il terreno era abbastanza solido da permettere a un'erba giallina, punteggiata di verde, di crescere.

- Che intendi dire? – aveva sbottato Aaron, mentre masticava rabbiosamente il pane che si era portato da casa.

- Sto parlando del ragazzo. Dopotutto non aveva fatto niente di male.

- Aveva intenzione di rubare dalla dispensa.

- Beh, non so, forse per due fette di pane non era poi una tragedia. La ragazza rosa prendeva già alcune cose, ma lasciava spesso degli oggetti come pagamento, anche se all'inizio non capivamo di cosa si trattasse. Quei vermetti sono davvero utili per accendere il fuoco, non li avremmo mai scoperti se lei non ce li avesse mostrati. Non andiamo spesso in quella parte della palude.

- Nessuno le ha detto che volevamo commerciare con lei! – aveva sibilato Aaron, osservando i segni del proprio morso sul pane. – Quella tipa è pericolosa. Non è umana, ma non è neanche una Migliore. Avremmo dovuto ucciderla.

- Ucciderla? Non penso che ne saremmo in grado. E' già tanto che lei non abbia ucciso noi, si è infuriata quando abbiamo toccato il suo compagno. Pericolosa non saprei. E' vero, è forte, ma non ci ha attaccato per prima. L'ha fatto solo nel momento in cui hai aggredito...

- Ma da che parte stai? Dalla mia o dalla sua?

Nikita era sembrato ferito da quella domanda, e aveva abbassato lo sguardo.

- Dalla tua, ovviamente – aveva sussurrato.

- Allora non discutiamo più di questa cosa.

Dopo quella conversazione se ne erano tornati a casa e avevano ripreso la loro quotidianità, nonostante fra loro aleggiasse ancora il fantasma di quelle parole.

***

Il giorno seguente andarono a fare un giro nei pressi del Lago Acido, una distesa d'acqua contaminata di un vivido arancione che agiva come corrosivo nei confronti dei composti rocciosi calcarei. Cercarono alcune rocce porose e piatte, e cominciarono a lanciarle sulla superficie dell'acqua. Il record di Aaron erano sei rimbalzi, prima che l'acido danneggiasse il sasso a tal punto da impedirgli di proseguire.

I due Sopravvissuti stavano in silenzio, senza bisogno di dirsi nulla in particolare. Di solito amavano udire le rispettive voci, malgrado fossero capaci di comunicare con la mente, ma quel giorno non ne avevano voglia. Erano entrambi assorti nei propri pensieri, che continuavano a finire in direzione dell'argomento che avevano già trattato.

Aaron non aveva intenzione di parlarne, e Nikita non voleva cominciare il discorso per primo, dunque non facevano altro che lanciare quegli stupidi sassi e ascoltare il rumore della roccia che sfrigolava sulla superficie del Lago Acido.

- Mi dispiace, va bene? – mormorò Aaron a un certo punto, non sopportando più quel silenzio. – Forse non avrei dovuto, è vero. Però ero così arrabbiato, e ho avuto l'occasione. Non potevo non farlo, al momento.

- Capisco la tua rabbia – rispose Nikita, lasciando cadere a terra il sasso che gli restava. – Anche io pensavo che fosse un'idea legittima, quel giorno. Però adesso...

- Già, adesso – sospirò Aaron, scuotendo la testa.

Trasse un profondo sospiro e si strinse nelle spalle.

- Però non ho intenzione di andare da mio padre e dirglielo, né chiedere scusa a quel moccioso del cazzo.

- Non devi farlo. E' solo che volevo sapere come ti sentissi al riguardo.

- Che intendi?

- Hai violato la mente di un essere umano. Non è come farlo con un animale, per, che ne so, spingerlo a cadere in una trappola. Cercare di distruggere una mente complessa deve segnarti, in qualche modo. Ciò che voglio davvero sapere è se stai bene, Aaron.

- Certo che sto bene – sbottò lui, incrociando le braccia sul petto. – Perché non dovrei?

- Sappiamo entrambi che ti resta qualcosa addosso, dopo un atto simile. Credi che non mi sia accorto che ti sei svegliato in un bagno di sudore, ieri notte? Ti ho visto, mentre andavi fuori. Sembravi sconvolto.

- Mi hai spiato?

- Non dire stronzate.

Aaron sospirò, passandosi una mano sulla guancia destra. Non avrebbe voluto essere così brusco con Nikita, ma era l'argomento a dargli fastidio. Sapeva che il suo amico aveva ragione: c'era qualcosa che non andava in lui. Che fosse senso di colpa o il fatto che qualcosa di quello sporco umano gli fosse rimasto attaccato alla coscienza non lo sapeva, né voleva saperlo. Desiderava solo lasciarsi tutto alle spalle.

- Andiamo a casa – sospirò. – Non c'è niente da fare, qui.

Nikita trasse un sospiro e si alzò, andandogli dietro. Si affiancò a lui e gli mise una mano sulla spalla.

- In ogni caso, sappi che io ci sarò, se avrai bisogno di me – mormorò, abbozzando un sorriso.

Aaron avvertì un fiotto di calore al petto.

Era davvero l'unica persona che lo capisse.

- Non potrei amarti più di così – mormorò, accostando la propria fronte alla sua per un istante.

Si concesse quel breve momento di assoluta sospensione e felicità, poi si allontanò e ripiombò nei suoi pensieri più grigi, nonostante stesse un po' meglio. Nikita era la sua scialuppa di salvataggio, sempre pronto a sostenerlo.

- Anche io – disse, lasciando scivolare la propria mano nella sua.

Ripresero la strada verso il villaggio, parlando di cose più leggere. Stavano discutendo riguardo i turni di lavoro di quella notte per trovare un modo di incontrarsi – l'unica pecca dell'essere dei perlustratori era che gli orari notturni raramente coincidevano, e a volte dovevano tornare da soli a casa, senza la reciproca compagnia -, quando percepirono una presenza che si avvicinava rapidamente. La notarono subito, non tanto per la sua fisionomia umana e la bassa statura, nanica in confronto ai loro due metri e cinquanta, ma per il passo deciso con cui proseguiva e l'aura di agitazione che la circondava.

- Cosa cazzo... - sussurrò Nikita, bloccandosi.

Aaron aveva già riconosciuto il moccioso, e un sottile ghigno gli inarcò le labbra.

Ti prego, dammi un motivo. Dammi un motivo per odiarti, ragazzino, così non dovrò più pensare a te.

Il marmocchio si fermò a qualche metro da loro, ansimante. I suoi occhi castani erano infossati. Era dimagrito parecchio da quando Aaron l'aveva aggredito, e aveva l'aria di essere molto provato.

Strinse i pugni e mosse un altro passo in loro direzione.

Sì. Ti prego, incazzati, dammi un pugno, così avrò una scusa.

Arrivò così vicino da riuscire a osservarlo in faccia. Aaron era consapevole che il proprio aspetto gli incuteva timore, la sua sola presenza era sufficiente a fargli tremare le ginocchia, e non aveva nessuna intenzione di lasciarsi impietosire dal terrore del moccioso.

Il ragazzino scoccò un'occhiata nervosa a Nikita, poi spostò la propria attenzione su Aaron e aprì la bocca, cercando di parlare, ma non ne uscì alcun suono. Era paonazzo, sembrava che stesse compiendo uno sforzo immenso.

- Forse gli sta per partire un embolo – disse Aaron, accostando le labbra all'orecchio di Nikita, ma parlando a voce abbastanza alta da farsi sentire dal moccioso. Se l'avesse aizzato, sperava che l'avrebbe attaccato. Dopotutto gli umani adoravano aggredire gli altri esseri viventi, la guerra era una delle cose che riuscivano a fare meglio, anche nella vita di tutti i giorni.

- T-tu – riuscì a balbettare il moccioso, con voce stridula e soffocata. – Io...

- T-t-tu – lo scimmiottò Aaron, dandogli una leggera spintarella che fu sufficiente a fargli perdere l'equilibrio. Il moccioso cadde sul sedere e lo fissò, livido di rabbia e paralizzato dalla paura. – Che vuoi, ragazzino? Non abbiamo tutto il giorno.

- Aaron – cercò di placarlo Nikita. Sembrava un po' a disagio. Si era immaginato le lotte contro gli umani come qualcosa di glorioso, che lo avrebbero fatto entrare nella leggenda, non come prendersi gioco della fragilità di un convalescente. Se erano tutti come quel marmocchio, non erano neanche poi così malvagi. – Lascialo stare, dai. Andiamo.

Aaron lo guardò con le sopracciglia aggrottate e decise di ignorarlo.

In quel breve lasso di tempo il moccioso si rialzò, nonostante stesse tremando.

- Tu non mi fai paura, Aaron – riuscì a dire, tentennando sul suo nome. Probabilmente non l'aveva ancora ripetuto ad alta voce, dall'accaduto. – Sei solo un pallone gonfiato, e non ti permetterò mai più di farmi del male, hai capito?

- Ah, ma davvero? Allora che aspetti? Colpiscimi – lo schernì il Sopravvissuto.

Il moccioso sembrò un po' confuso.

- Non voglio colpirti – mormorò. – Forse pensi che gli umani siano tutti violenti, ma non è vero. E poi tu non sei meglio di loro. Te la sei presa con me, senza nemmeno conoscermi. Io non ho mai fatto del male a nessuno, a tua differenza.

Dopo aver detto quelle parole scappò a rotta di collo, inciampando nelle radici e nell'orlo dei jeans troppo larghi, ma c'era una certa baldanza nel suo passo, come se avesse portato a termine un'impresa eroica.

Aaron lo osservò allontanarsi, senza darsi la pena di corrergli dietro. Non guardò nemmeno Nikita, e proseguì, gli occhi fissi sul terreno e le mani strette a pugno in tasca.

Perché tutti riuscivano ad avere l'ultima parola con lui?

Persino quel moccioso era stato in grado di zittirlo. Quel dannatissimo moccioso, che non era nemmeno riuscito a spingere a cadere nella bassezza della violenza. Se il marmocchio l'avesse colpito, Aaron si sarebbe sentito un po' meglio riguardo se stesso, ma non era successo.

Aveva sempre ritenuto suo padre un povero stupido e un codardo per non essere sceso in battaglia e vendicare la morte di sua madre, ma, forse, c'era la remota possibilità che non tutti gli umani fossero delle viscide creature pugnalatrici di spalle, e la decisione del suo vecchio appariva quasi sensata. Per Aaron sarebbe stato più semplice odiarli tutti allo stesso modo e non provare quel senso di colpa che lo attanagliava, quando aveva avuto per la prima volta modo di restituire loro parte del male che gli avevano fatto. Pensava che la vendetta sarebbe stata facile e dolce, eppure gli stava dando solo amarezza.

_______

Pensavo fosse interessante scoprire qualcosa in più su Aaron e quello che gli passa per la testa, in modo da capirlo meglio. Perdere sua madre dev'essere stato terribile per lui, ma questo non gli dà una giustificazione per essere crudele contro chi non se lo merita. Forse questa faccenda amplierà un po' le sue vedute, ma non ne sono sicura.

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stella o un commento, mi aiutano davvero molto! :) Spero che la storia continui a piacervi, fatemi sapere le vostre opinioni... io sono vicina a scrivere il finale, attorno al capitolo 59. Spero di finire bene, per me le ultime pagine di una storia sono le più difficili da scrivere, così come quelle iniziali. Quello che viene in mezzo mi è naturale, ma, facendo teatro, so bene che quello che le persone si ricorderanno di più spesso saranno l'inizio e la fine, quindi bisogna prestarci attenzione ;)

Il prossimo capitolo sarà più leggero e divertente, e conosceremo un piccolo personaggio molto simpatico, che farà compagnia a Jack. E poi ci saranno un po' di avventure di Jack e Nick. Generalmente parlando, nei prossimi si saprà più di Nick :)

E chissà dov'è finita Pim...

Ciao, ragazzi, stay cheeki breeki e mangiate tanta cioccolata.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top