16. Condivisione

Jack aveva perso il conto dei giorni, mentre si trovava sospeso fra il mondo del sottosuolo e quello della concretezza. La ragazza gli aveva detto che era già il 30 giugno. Le estati nella palude erano torride e umide, c'era un caldo che si appiccicava alla pelle come un velo e rendeva il respiro affannato, come se non si riuscisse mai ad inglobizzare abbastanza aria. A tutto ciò si sommavano i fastidiosissimi Ronzini: erano degli insettoidi giganti che si aggrappavano al tuo corpo come delle Sanguisuganti che bevevano il tuo sangue e allora sì che eri fregato.

Jack, si chiamano sanguisug...

Sanguisuganti!

Okay.

Ecco com'erano andate le lezioni che Morris gli impartiva. Insomma, suo fratello ci aveva provato, ma non era quel che si dice un insegnante paziente, e Jack un tempo era un bambino difficile, di quelli che invece di stare seduti tranquilli si nascondevano sotto il banco fingendo che così non si potesse più vederli.

Forse se fossi stato più dirigibile Morris non sarebbe andato via, pensò Jack.

Da quando si era svegliato era caduto in una fase depressiva. Che fosse la debolezza, che fossero la sua identità fratturata e a stento rimessa insieme, o i pensieri che gli aveva instillato Bernie riguardo suo fratello, si sentiva vuoto e triste, ma, soprattutto, stanco. A tratti si pentiva di non aver accettato l'offerta del fungo. A quell'ora la sua mente avrebbe potuto nuotare placida in un mondo confortevole, con tante altre a offrirgli la propria felicità per colmare la tristezza. E invece era solo, chiuso. Se fosse stato in grado di comunicare con la mente non si sarebbe sentito così. Morris poteva farlo e anche la ragazza. Perché lui no?

Malgrado provasse un grande affetto per lei, che andava al di là dell'amicizia, si era ritrovato a evitarla o a cercare di non parlarle, perché la sua presenza gli ricordava quanto fosse debole e rinchiuso nella sua piccola, fragile mente. Era tutto lì, una palla grigia nel suo cranio, e nient'altro. Quanto avrebbe voluto andare oltre come quando era stato collegato al fungo. Vedere di più, sentire di più. Provare la sensazione di essere colmo di energia. Se era così che i Migliori si sentivano, Jack non biasimava Morris per essersene andato. Doveva essere stato difficile per lui vivere in mezzo a tutte quelle menti statiche, senza comunicazioni con l'esterno.

- Jack, ci sei? – chiese la voce della ragazza, mentre il suo viso faceva capolino dalle scale.

- Sì, un secondo – sospirò lui, terminando in fretta di vestirsi. I Viscidi... i Sopravvissuti gli avevano portato una canottiera pulita e un paio di pantaloni di geens che gli arrivavano al ginocchio.

La ragazza arrivò come un fulmine, passandogli un braccio attorno alle spalle per aiutarlo a scendere i gradini. Jack dovette accettare il suo aiuto, cercando di non mostrarle quanto gli desse fastidio.

Presto arrivarono all'interno della radura principale, dove c'erano il baobab degli anziani e quello del capo, più grande e accogliente rispetto agli altri. Il ragazzo dovette fermarsi a riposare, una mano poggiata su un tronco, mentre ansimava. Si sentiva come se il mondo stesse ruotando, e non gli piaceva per niente essere in una tortorella.

- In una trottola, vorrai dire – commentò la ragazza, con una risatina.

- Già, quella – brontolò Jack, scoccandole un'occhiataccia.

Il sorriso di lei si spense, mentre lui si trascinava verso il baobab di Teofane, arrancando come un vecchio, pur di non reggersi a lei. Avrebbe voluto chiedergli cosa gli fosse preso, ma Jack aveva lo sguardo fisso davanti a sé e la mascella serrata, le labbra leggermente arricciate e le sopracciglia a V, come quando era arrabbiato.

Per cosa, poi?

Gli umani erano strani a volte, persino quando si condivideva la propria mente con loro era difficile capirli se partivano per la tangente.

Jack si grattò la zona sottostante all'occhio sinistro. La palpebra era ancora irritata, ma andava molto meglio rispetto al giorno precedente. L'unica cosa positiva che gli era rimasta di quell'avventura era che il suo occhietto era tornato a fare cucù, come avrebbe detto Nick.

E, a proposito di Nick, non si era più fatto vedere.

L'unica persona con cui avrebbe voluto stare lo evitava, e questo lo faceva arrabbiare ancor di più. Anzi, no. Lo faceva incazzare.

E ora doveva pure fare il cicci-pucci col capo del villaggio, altrimenti chissà cos'avrebbero potuto fare i Visc... Sopravvissuti. Jack non conosceva le loro tradizioni stramboidi e aveva paura di offenderli. Forse lo avrebbero gettato giù da una ruspe per questo.

Una rupe, idiota.

Senti, non rompere adesso. Non sono in vena.

Quando mai lo sei?

Giunse davanti al baobab e si fermò, rendendosi conto che stava davvero per entrarci. Udì la ragazza affiancarlo e avvertì il suo sguardo sul proprio viso, ma non ci fece caso. Trasse un profondo sospiro, si schiarì la gola e spostò la tenda di erba intrecciata davanti all'entrata. Dentro era piuttosto buio, l'atmosfera era silenziosa e tranquilla, c'erano solo tre lampade a olio su un tavolo al centro della stanza e un paio di candele poggiate su degli scaffali sulla destra. Le fiammelle danzavano per via degli spifferi, creando delle ombre sul muro e i volti dei V... Sopravvissuti. Mettevano in evidenza ogni curva e bozzo, per non parlare dei loro piccoli dentini di madreperla e gli occhi, ampi quanto un pugno chiuso di Jack.

Il ragazzo restò paralizzato sulla soglia, osservando quei volti che di umano avevano poco o nulla. I Migliori erano oltreumani, ma non si notava, almeno finché non cercavano di toccare la mente di chi li osservava. Nei Sopravvissuti invece la mutazione era palese e terribile. Jack faticava a credere che un tempo gli antenati di quelle creature fossero stati umani, trasformati in un così breve lasso di tempo. Però, nonostante quel concerto dissonante, c'era della bellezza in loro. I capelli che emergevano dalle loro teste, spessi come fili di ferro, sembravano fatti d'argento, e avevano gli stessi riflessi dei denti e delle unghie. Una chioma in continuo mutamento, a seconda della luce dell'ambiente. Aveva un che di magico.

Gli occhi di Teofane erano strani rispetto a quelli di coloro che Jack presumeva fossero i suoi familiari. Erano chiari, troppo, e non si soffermavano su nulla. Nonostante ciò, non appena il ragazzo sfregò un piede sul pavimento, lo sguardo del capo virò in sua direzione. Un sorriso si allargò sulle sue labbra sottili, mentre gli faceva cenno di avvicinarsi, picchiettando con le dita sul posto vuoto accanto a lui.

Jack esitò e, nonostante si fosse ripromesso di non cercare appoggio nella ragazza, la guardò, col cuore in gola.

Lei lo prese per mano e lo condusse vicino a Teofane, aiutandolo a sedersi. Jack ebbe un mezzo capogiro, e il capo lo sostenne, stringendogli un braccio.

Il ragazzo rabbrividì nell'avvertire le ventose sulla sua mano, molto più ampia rispetto a quella di un umano.

- Stai bene, giovane? – gli chiese Teofane.

Jack sapeva che era molto cortese da parte sua usare la voce per comunicare e annuì, deglutendo a fatica. Si sentiva stanco e aveva fame.

Il Sopravvissuto fece un cenno col capo e uno dei suoi familiari si alzò. Era il più piccolo dei tre, aveva ancora l'aria di un adolescente, e fino ad allora aveva osservato Jack con la stessa curiosità di un bambino nella casa degli animali. Come le chiamavano? Zooparki, forse.

- Sì, sto bene – sussurrò.

- Povero piccolo, hai una brutta cera – mormorò una voce più acuta.

Apparteneva alla figura di fronte a Jack, che la identificò subito come una creatura femminile. I suoi lineamenti erano meno aspri rispetto a quelli dei due maschi e gli occhi dal taglio dolce, malgrado fossero di un giallo acceso.

- Teo, forse non è stata una buona idea farlo scendere così presto. Guarda, ha il faccino bianco.

- Maya, quante volte ti ho detto di non chiamarmi Teo? – bofonchiò il Sopravvissuto, con un sospiro, mentre dava delle pacche sulla testa di Jack, che emetteva un gemito a ogni tocco. Non sapeva controllare molto bene la sua forza, quel signore. – Nessuno mi prenderà più sul serio, al villaggio.

La femmina emise una risatina e gli strinse la mano con fare affettuoso.

- Stai cercando di far venire un bernoccolo a questo povero ragazzo? – gli chiese, arricciando il naso.

- Ehe... he – farfugliò Jack, imbarazzato, guardando prima Maya, poi Teofane e poi la ragazza.

Perché all'improvviso non si ricordava più come parlare? Si sentiva fuori posto, come una carota alla festa di compleanno di una famiglia di cavoli.

Come faceva la ragazza a starsene lì tranquilla e a sorridere e rispondere alle domande dei rosponi senza fare una piega? Sembrava così a suo agio.

- Oh, scusami, giovane – ridacchiò Teofane, rifilandogli una pacca su una spalla che gli strappò un singulto. – Non sono abituato a trattare con gli umani, sai.

- Si vede – si lasciò sfuggire Jack, cercando di soffocare la frase con un colpo di tosse già mentre la stava pronunciando. Il suo cervello aveva deciso di fare uno schioppero a quanto pareva.

Per fortuna i due, dopo aver avuto un attimo di smarrimento, scoppiarono a ridere. Anche il rospetto si unì, mentre poggiava in tavola un ampio vassoio dov'erano ammonticchiate ogni genere di bontà.

Dopo le loro risate, Jack si rilassò e si ritrovò a ridere a sua volta, nonostante inframmezzasse le risate con la tosse. Doveva aver preso freddo, mentre era disteso nel baobab-curante.

Vederli avere una reazione tanto umana lo fece sentire un idiota. Potevano anche chiamarsi Sopravvissuti, ma dentro non erano diversi da lui.

- Sei molto simpatico – disse Maya. – Se fossero tutti così a città Rifugio andremmo più d'accordo.

- Dice, missis, signora? – mormorò Jack, cercando di essere galante. – E' molto gentile e... e...

Guardò la ragazza in cerca di qualche altro aggettivo complimentoso da aggiungere, ma lei era troppo impegnata a osservare il piatto di leccornie, mentre ridacchiava sotto i baffi. Traditrice, non lo voleva aiutare. Ma un po' era anche colpa di Jack, visto come l'aveva trattata prima.

- ... E molto moltissima, missis – concluse il ragazzo, abbassando lo sguardo, mentre si guardava le mani. Non sapeva che fare e si mise a grattarsi la zona arrossata sotto l'occhio sinistro, che si stava trasformando in un eczema.

- Smettila – sussurrò la ragazza, dandogli un buffetto sul braccio per dissuaderlo. – Vuoi scavarci un buco?

- Ma prude – si lagnò Jack.

- I tuoi complimenti sono molto cortesi – disse Maya, scambiandosi un'occhiata divertita col marito. – Teofane, perché non mi dici più queste cose? Dovresti prendere lezioni di galanteria dal nostro...

- Jack – completò lui. Se fosse stato appena più imbarazzato, sarebbe rotolato via.

- Già – sogghignò mormorò il capo, sorridendo.

Sembrava che si stessero divertendo tutti assai, ma Jack non riusciva a capire perché. Forse nella civiltà dei rosponi essere imbarazzanti era un pregio. Sarebbe diventato il loro migliore amico, allora.

- Possiamo mangiare? Sto morendo di fame – si lagnò il rospetto.

- Belgor, prima gli ospiti – mormorò Maya, ammonendolo con un'occhiata. – E poi non ti sei neanche presentato.

Il rospetto sorrise a Jack e tese una mano oltre il tavolo, stringendo la sua con fin troppo vigore. Il ragazzo si ritrasse con le dita doloranti e un'espressione altrettanto addolorata in volto, mentre l'altro sghignazzava.

- Piacere di conoscerti, umano. Io sono Belgor. Sono il figlio di Teofane e Maya.

Belgor. Un figlio.

Un brivido corse lungo la schiena di Jack, e si guardò attorno col cuore in gola. Non c'era lui, vero?

- Non preoccuparti, Aaron non verrà. Immaginavamo sarebbe stato ancora troppo presto per te incontrarlo. Magari aspetteremo ancora qualche giorno. Nel frattempo Belgor potrebbe insegnarti qualche modo per schermare la mente, ciò ti farebbe sentire più sicuro? – disse Teofane, facendo cenno ai commensali che potevano cominciare a mangiare.

Belgor si servì subito di una decina di radici blu, tre fette di pane, uno strano alimento giallino che veniva servito in fette, pezzi soffici dell'interno della corteccia...

- Dobbiamo mangiare tutti! Non essere ingordo! – lo ammonì la madre.

Lui guardò Jack con aria depressa e il ragazzo gli disse di tenere pure tutto quello che voleva, temendo di inimicarselo.

- Grazie Jackie – ridacchiò il rospetto, guardando Maya con aria furbesca.

- Sei proprio un figlio maleducato – sospirò lei.

- Comunque pa' ha ragione. Ti sciervirebbero queglie lescioni.

- Cosa?

Belgor deglutì il boccone e ripeté.

- Ti servirebbero quelle lezioni. Il più bravo in famiglia è papà, ma non ha molto tempo con tutte le cose del villaggio da amministrare. Ci sarebbe... insomma, ci sarebbe mio fratello, ma non mi sembra il caso, nonostante sia quasi al livello di papà. Anche mamma è brava, ma dice che io me la cavo meglio, allora ti insegnerò io. Prometto che non ti farò mai del male. Non sono come mio fratello, non ce l'ho con gli umani, né con nessun altro – mormorò, sorridendo fra un boccone e l'altro. – Possiamo essere amici, se vuoi. Sono molto curioso delle cose umane che fate voi umani, e degli umani in generale. Ho una certa collezione di cose del vecchio mondo d'acciaio, cose umanesche molto intriganti! Vuoi vederla?

- Magari dopo, Belgor. Magari dopo – lo interruppe suo padre.

Scusalo, è un po' chiacchierone, disse la sua voce nella mente di Jack, con gentilezza. E' contento, perché non gli capita spesso di vedere un umano da vicino. Avresti dovuto esserci quando è arrivato tuo fratello Nick. Belgor era talmente entusiasta, lo ha seguito ovunque per giorni, facendogli un sacco di domande per il suo giornale del villaggio. Si diverte così.

- Ah, capisco – disse Jack ad alta voce, rovinando la comunicazione silenziosa. – Ma non si preoccupi grande capo, io sono molto umano, al cento percento, e Belgor sarà contento di farmi le sue domande.

Teofane strinse le labbra e allargò leggermente gli occhi, e il ragazzo capì che non avrebbe dovuto parlare.

Guardò Belgor, che non sembrava essersi offeso. Gli brillava lo sguardo, non avrebbe potuto chiedere niente di meglio.

- Se sei umano quanto dici ci divertiremo.

- Sì, sono tanto umano – disse Jack. Se prima aveva il volto arrossato, ora era viola. Si rivolse alla ragazza, che non aveva fatto altro che sogghignare, mentre mangiava in silenzio. – Ma anche lei è un'umana molto umana, se vuoi.

- Davvero? Due umani in una volta sola! – esclamò Belgor, al colmo della felicità.

Si alzò, portandosi dietro una fetta di pane. Ci ripensò, tornò sui propri passi e se ne ficcò altre due nella tasca della felpa, quindi corse lungo le scale che portavano all'incavo superiore del baobab.

- Devo assolutamente organizzare un'intervista per tutto il villaggio! – lo sentirono strillare, e seguì un rumore di oggetti rovesciati. – Non preoccupatevi! Sto bene!

Jack, mortificato, emise una fievole risatina e allungò una mano verso il vassoio, ficcandosi un pezzo di quella cosa gialla a fette in bocca per avere una scusa per non dire più niente di stupido o che inducesse bizzarre reazioni. Sgranò gli occhi per il sapore. Era anche più buona del suo adorato pane, il cibo più squisiterrimo del mondo.

Doveva averne ancora.

- Cos'è questa roba? E' più buonissima del pane – trillò, suscitando altri immotivati attacchi d'ilarità.

- Si chiama formaggio. Abbiamo un gregge di capre che ne produce. Nonostante anche loro siano mutate a causa del fungo, il latte è ancora commestibile e loro sono mansuete, hanno bisogno di noi per essere munte – spiegò Maya, mentre mangiava un pezzo di radice.

- Capre? Mai sentite – mormorò Jack. – Sono grandi come i Rosiconi?

- Rosiconi? – ripeté Teofane. Era da anni che non si sentiva così confuso. – Cosa sarebbero?

- Ma come, non li conoscete? Sono degli animali con le orecchie lunghe e la coda a batuffolo.

- Ah, intendi i conigli cornuti.

- Conigli? E che roba è? Tsè. Conigli... non ha lo stesso divertimento di Rosiconi – borbottò Jack, riprendendo a mangiare. Gli venne un'idea incredibile: unire il formaggio al pane. Sgranò gli occhi per il sapore.

- A Jack piace inventare nomi – spiegò la ragazza, cercando di mediare. – Ne ha dati a tutte le creature della palude. I pitoni giganti li ha chiamati Sibilanti, poi ci sono le lumache pluriocchiute che ha soprannominato Lumastriscioni. La lista è lunga, signori Sopravvissuti. Avrebbe dovuto inventare un nome anche per me, ma ancora non gli è venuto in mente niente.

- Ci sto ancora pensando - brontolò Jack, con un sospiro. – Se mi metti fretta non mi verrà in mente niente. Non è facile dare un nome a una persona, non è che ho un vocabilabiario sotto mano da cui pescare.

Lei si zittì, pensando che l'ultima frase detta da Jack fosse più che sufficiente a spiegare il suo hobby.

- Hai molta fantasia, ragazzo – ridacchiò Teofane, dandogli una delle sue infami pacche sulla testa. Gli arruffò amichevolmente i capelli. – Comunque, parlando di cose più serie, ho detto a mio figlio di chiederti scusa.

- Scuse accettate! Belgor mi sembra simpatico, non me la sono presa per la questione delle domande.

- Non mi riferivo a Belgor.

Jack sospirò.

- Lo so – mormorò, incupendosi. Si umettò le labbra con la lingua e bevve un po' d'acqua dal bicchiere in legno di baobab. – Non sono sicuro di volerlo incontrare, signor grande capo. Quando penso a lui mi... mi sento come...

Si interruppe, deglutendo rumorosamente.

- Capisco, capisco – mormorò Teofane, stringendogli una mano con più delicatezza. – Però affrontarlo ti aiuterà a stare meglio, credimi. Per quanto possa essere stato terribile, e io considero cercare di distruggere la mente di qualcuno peggio che uccidere, devi gettarti questa faccenda alle spalle. Malgrado le cattiverie che spesso escono dalla bocca di Aaron, ti assicuro che non è cattivo. Gli voglio bene, resta pur sempre mio figlio e lo conosco meglio di me stesso. Odia gli umani perché hanno ucciso sua madre, ma non tutti sono così, tu e questa signorina ne siete la prova vivente. Vorrei che avesse la possibilità di conoscerti. Dopo ciò che ha fatto, nonostante tutto, ha sviluppato un legame con te. E' inevitabile, quando si va così a fondo nell'identità di qualcuno... so che ti è già successa una cosa simile, con l'altro tuo fratello, Morris. So anche che sei spaventato, ma potrebbe essere una buona occasione per entrambi. Tu potrai rafforzarti e lui, se gli dei vogliono, capirà che deve piantarla di demonizzare gli umani. Che ne dici?

Jack restò in silenzio a fissare l'intrigo di fibre del tavolo per un lungo istante, ricalcandone i percorsi con la mano libera. Gli pizzicavano gli occhi, e aveva la vista sfocata. Non voleva piangere, non avrebbe pianto.

- Va bene – sussurrò infine, con voce fievole. – Va bene, lo farò.

- Bravo ragazzo – disse Teofane, e Jack avvertì un fiotto d'incoraggiamento provenire da lui.

Già. Bravo ragazzo.

Sotto il tavolo, una mano si intrecciò alla propria.

Finché ci sarò io Aaron non oserà farti del male. Non avere paura di lui, è solo un pallone gonfiato.

Jack deglutì e sperò che lei potesse sentire quanto le fosse grato e come si sentisse colpevole per aver pensato quelle cose, prima.

Non voglio che tu debba sempre correre a salvarmi.

Ma a me piace salvarti dalla tua imbranataggine.

Un sorriso involontario solcò le labbra di Jack.

- Mister e missis, dovete solo dirmi quando vedrò Aaron, e mi preparerò – sussurrò.

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