15. Lucifero si confessa
Robert osservava silenzioso la sveglia sul proprio comodino. La sua stanza era popolata unicamente da superfici bianche e livellate, un mondo opaco, pervaso da una luce soffusa. La scrivania era sgombra, con un tablet appoggiato sulla destra.
Strisce sottili di luce bluastra penetravano attraverso la tapparella metallica alla grande finestra centrale, creando dei motivi sul pavimento.
Erano le 06.31 del 29 giugno, e presto Robert si sarebbe dovuto unire agli altri per la comunione con il Primo.
Una volta ogni due settimane era obbligatorio presentarsi davanti alla porta della sua camera e avere una profonda conversazione con lui, per rinnovare il legame con l'intera comunità.
Robert non si presentava da quasi tre settimane, e il tempo era agli sgoccioli. Aveva usato diverse scuse per non andarci, facendo leva sui suoi doveri di Ministro della Ricerca. Il Primo si fidava ciecamente di lui, ma se avesse scoperto, se avesse saputo... Robert avrebbe passato un brutto quarto d'ora.
In realtà lo scienziato era sufficientemente forte da tenergli testa, forse l'unico in grado di fronteggiare con il Primo, la cui unica occupazione era restare nella sua stanza ad accrescere i confini della propria mente. Quando si presentava quell'occasione, Robert aveva un posto segreto in cui nascondeva i pensieri che avrebbero potuto metterlo nei guai: il suo legame con Jack, la nostalgia per città Rifugio e la sua famiglia, il senso di colpa per non essersi mai del tutto integrato con la comunità. A questi si erano aggiunti due massi di piombo, che andavano sotto i nomi di "Progetto Eden" e "Viscidi".
Per quanto ne sapeva il Primo, Robert stava ancora conducendo il Progetto, che avrebbe dovuto andare a gonfie vele. Non poteva immaginare che lui avesse abortito l'operazione, dato che lo scienziato non ne aveva fatto parola con nessuno. L'unica cosa di cui i suoi collaboratori e gli altri Migliori erano a conoscenza era la fuga di PIM-90. L'aveva fatta passare per un episodio solitario, il risveglio accidentale di una creatura che sarebbe morta senza cure immediate, e nessuno si era accanito più di tanto sull'argomento.
Ma sarebbe stato difficile nasconderlo al Primo. I suoi occhi vedevano tutto, sapevano tutto, e diventava sempre più complicato trovare un luogo della propria mente che conservasse un briciolo di individualità. Per quanto lo disprezzasse, Robert si vedeva costretto ad affidare il compito di custode a Morris Twingle, che, col suo insopportabile sorrisino saccente, si prendeva i suoi pensieri e li portava con sé nello sgabuzzino classificato come "Spazzatura", che non veniva svuotato da quando era arrivato a Cram, a essere sinceri. Lì c'era ogni genere di cosa puzzolente e irrazionale, tra cui le sue paure, le cose di cui si vergognava e la fastidiosa vocetta che contestava le sue decisioni.
Dillo che in realtà hai bisogno di me. Ammettilo, ti farà stare meglio.
Tanto per quotare Nicholas: "Porcocazzo, smettila di dire stronzate".
Come sei volgare, Robert. Per questo ti toglieranno qualche punto sulla tabella dell'imbecille del mese, attento! Hanno la tua foto appesa in mensa per tutto l'anno, lo sai? Forse un giorno ti daranno anche una targa da mettere in laboratorio! Potrai contemplarla fra una vivisezione e l'altra, e ricordarti di che razza di stronzo apocalittico tu sia, non sei felice?
A volte mi chiedo perché parlo ancora con te.
Il punto è che non sai resistere al mio charme e all'indomita favella.
Certo. Perché non ti concentri sul tuo lavoro e non mi lasci in pace? Oggi sarà molto difficile col Primo.
Sai cosa dicevano al Rifugio?
No, e non mi interessa.
Hai voluto andare nella palude? Ora ti tieni i funghetti.
Non credo di aver mai sentito questo proverbio. Comunque grazie per questa dose di saggezza popolare, ne avevo proprio bisogno.
Avresti bisogno di un'iniezione di antispocchia, altroché.
Robert si mise seduto, mandando mentalmente a quel paese Morris. Non appena i suoi piedi toccarono il pavimento, una luce bianca emanò da esso e dal soffitto, illuminando la stanza. Chissà se era opera di Jack quella stupida vocina che si ritrovava nello sgabuzzino, o era davvero Morris. Non considerava suo fratello in grado di intrattenere una conversazione mentale di tale livello - sì, si faceva per dire. Jack non avrebbe resistito tanto a lungo e, in genere, gli mandava solo un sacco di richieste smielate.
Morris, ci sei? Morris, non lasciarmi solo. Rispondimi, ti prego, ho bisogno di te!
Se fosse stato appena più dolce, a Robert sarebbe venuto il diabete, nonostante fosse molto attento a ciò che introduceva nel proprio organismo. Mangiava poco e solo certi alimenti. Non aveva intenzione di rallentare la propria mente per soddisfare la gola.
Men che mai quel giorno, in cui avrebbe dovuto essere in forma smagliante, per resistere al Primo.
Robert si infilò una sottile maglia nera e un paio di pantaloni attillati dello stesso colore, e sopra di essi indossò il camice bianco. Adorava il fatto che, non appena vedevano il suo camice, tutti si facevano da parte, come se agisse da repellente sociale. Specie al Rifugio. Era sempre un'esperienza fantastica.
Robert non amava per niente il contatto fisico e prediligeva evitare quello verbale. Dunque l'idea che il camice creasse attorno a lui una bolla di autorevolezza che respingeva le altre creature lo faceva sentire protetto, oltre a soddisfare il suo ego.
Ego? Tu non hai un ego, ma un superextraipermegaego. E' talmente grande che gli Americani e i Russi hanno fatto a gara per chi lo avrebbe colonizzato per primo.
Credevo ti fossi rinchiuso nello sgabuzzino! Smettila di intrometterti!
Va bene, va bene. Scusa, però. Mi offri queste battute su un piatto d'argento, che dovrei fare? Starmene zitto?
Sì. Proprio così.
Morris si ritirò nello sgabuzzino borbottando e lo chiuse a chiave. Oh, finalmente, benedetto silenzio.
Robert gli occhiali da vista che riposavano sul comodino e li inforcò, per poi uscire dalla stanza. La porta si chiuse alle sue spalle con un soddisfacente rumore di giunture oliate e tecnologia.
Robert si diresse in mensa, sedendosi da solo a un tavolo. Anche lì tutto era bianco, con superfici levigate. Ogni cosa aveva uno scomparto, ogni cosa era classificata. L'ordine regnava come monarca assoluto, ed era bello. Se solo si fosse potuto estendere quell'ordine oltre... ma era impossibile imporre quelle rigide regole alla palude. Era tutto troppo disordinato, troppo... troppo naturale. C'erano tutte quelle foglie, e il fango. Per non parlare della puzza e quegli animali strani, che osservavano chiunque centinaia di occhietti avidi.
Robert ricordava le incursioni di Morris in quel buco molliccio, con contorno di insetti e Lumastriscioni, come li chiamava Jack. Erano un'esperienza che avrebbe preferito non ripetere. Per questo era un sollievo che l'androide ci andasse al posto suo.
Lo scienziato abbassò lo sguardo sul proprio vassoio, in cui ogni alimento era segregato e diviso dagli altri secondo un ordine gerarchico del tutto arbitrario, che cambiava a seconda del giorno della settimana - un giorno tutti alimenti dello stesso colore, un altro tutti con sapore simile, un altro tutti con la stessa iniziale.
Mangiò solo una verdura dal colore verdognolo e il sapore indefinito, e della frutta secca. Avevano qualche serra nel bunker, ma crescevano solo piante pallide e contorte, dall'aspetto poco invitante. Il resto, per quanto li disgustasse, dovevano ottenerlo dalla palude, dopo un'accurata disinfezione. L'unica consolazione era che la loro tecnologia era più avanzata e gli permetteva di conservare il sapore delle pietanze - anche se non sempre funzionava -, ed era meglio di ciò che mangiavano al Rifugio.
Una volta che ebbe terminato il pasto, Robert si alzò e svuotò ciò che rimaneva nel vassoio all'interno di uno dei contenitori appositi.
Scoccò un'occhiata all'orologio della mensa: erano le 08.16.
Per le 08.30 avrebbe dovuto essere nella stanza del Primo, dunque si avviò, camminando sul lato destro del corridoio, lo sguardo fisso sul pavimento.
Stava pensando all'androide, il doppio che avrebbe inviato nella palude. Aveva già inserito la sequenza genetica di Jack nel computer, trasferendola alla macchina. Morris 2 non aspettava altro che di essere attivato.
Era da secoli che non andava nella palude e, attraverso gli occhi dell'androide, sarebbe riuscito a vederla. Si chiedeva cosa potesse essere cambiato, avrebbe potuto essere utile per le sue ricerche.
***
La camera del Primo si trovava al piano più elevato del bunker, il quarto.
C'erano una trentina di Migliori nella sala d'attesa, ognuno silenzioso, intento a comunicare mentalmente con qualcuno all'estremità opposta dell'edificio. Robert fece per sedersi, ma venne chiamato da una voce femminile.
La prego, signor Stein, non si sieda. Non deve fare la fila. Il Primo stava aspettando lei per cominciare.
Si trattava di una giovane donna dai capelli color oro pallido, che indossava una divisa bianca. Per un istante ricordò a Robert la tuta unisex che aveva creato per PIM-90 e i suoi fratelli.
Oh, merda, pensò, ma, nel rivolgersi a lei, non diede alcun cenno di turbamento. Credeva che avrebbe avuto più tempo per prepararsi, dannazione.
Trasse un profondo sospiro e si alzò, seguendola lungo un corridoio dalle pareti trasparenti. Al di sotto di esso si poteva scorgere tutto quello che accadeva nel terzo piano. I Migliori brulicavano come tante piccole formichine, ognuno affaccendato nel proprio compito che, per quanto piccolo, era indispensabile.
Indispensabile...
Se fosse stato per il Primo, Robert lo sapeva, avrebbe tenuto solo una cerchia di eletti, persino all'interno dei Migliori. Era la sezione dei Ministri ciò cui teneva davvero. Avrebbe voluto che tutti i Migliori fossero così, privi di difetti. Più che Migliori, perfetti.
L'unico scopo delle api operaie era quello di far vivere chi mangiava sulle loro spalle: dovevano restare in basso, per permettere a chi era eccezionale di prosperare.
Certi uomini sono più uguali di altri.
Robert spostò lo sguardo sulla donna davanti a lui. La sua lunga coda di cavallo oscillava ritmicamente a destra e a sinistra, con ogni passo. C'era un'innata eleganza nel modo in cui le sue anche ondeggiavano e quel movimento risaliva lungo la sua figura, facendo sì che si piegasse come un giunco.
Forse avrebbe dovuto chiederle di vedersi. Era un bel po' che non faceva sesso con qualcuno, e sapeva quanto fosse fondamentale per il benessere del corpo e della mente. Aiutava a scaricare le tensioni e lui, in quel momento, aveva bisogno di una valvola di sfogo. Dopotutto lui era Robert Stein, perché mai lei avrebbe dovuto rifiutarsi? Chiunque aspirava ad avere un contatto con lui che andasse al di là del mero rivolgersi un sorriso forzato fra i corridoi del bunker.
- Come si chiama? - mormorò Robert, usando la propria voce per comunicare.
Lei per un istante sembrò stupita da quel suono - al bunker si finiva per abituarsi a usare esclusivamente la mente, fatta eccezione per le emergenze. La voce diventava qualcosa di personale, in quel clima ristretto. Sembrava che Robert volesse instaurare un legame con lei.
- Gretchen - rispose la donna. La sua voce era leggera e pallida come un raggio di luna.
Gretchen. Era un bel nome, insolito.
- La mia camera è la numero 088. Le piacerebbe venire farmi visita, questa sera?
Gli occhi della donna, di un castano chiaro, vennero attraversati da una scintilla. Fece una cosa molto sfacciata, che in genere a Robert non accadeva: lo scrutò dalla testa ai piedi, senza alcun pudore, e fece un sorrisetto. Lo scienziato si sarebbe abituato a quella sua strana espressione, a metà fra l'approvazione e la presa in giro. Era come se le tirassero le labbra con un filo, in modo da alzarne solo un'estremità e mettere in mostra una fossetta nella guancia destra.
- Perché no, Ministro della Ricerca - mormorò, calcando il suo titolo, per mostrare quanto fosse consapevole che lui stava facendo leva sulla propria autorità per rendersi interessante. - Ma preferirei andassimo nella mia.
***
- Vi lascio soli - sussurrò Gretchen nell'orecchio destro di Robert.
Gli passò accanto e la manica destra della sua divisa si strusciò contro il suo camice. Robert sentì qualcosa sfiorargli le dita e lo strinse, mentre lei si allontanava con passo deciso. Lo scienziato rigirò l'oggetto fra le dita e sorrise leggermente. Un foglietto di carta. Aveva fatto in tempo a scrivergli un messaggio, mentre era distratto?
Per un attimo gli sembrò di essere tornato bambino e di scambiarsi ancora i messaggi con altre ragazzine al Rifugio. Se ne ricordava una in particolare, Ella. Chissà che fine avevano fatto il suo sorriso ingenuo e le guance paffute.
Era sempre andato d'accordo più con le donne che con gli uomini. Le trovava più disposte ad ascoltare e, quando riempivano i suoi silenzi, non lo facevano con stupide domande simili a quelle che gli porgevano i suoi collaboratori. Anche quelle che non erano in grado di comunicare con la mente, sapevano comunque cosa gli passava per la testa.
Robert lasciò perdere il bigliettino, cacciandolo in fondo alla tasca, e si avvicinò alla porta d'accesso alle camere del Primo.
Dopo aver rilevato il suo DNA, la porta scivolò di lato e lo scienziato poté sedersi all'interno del camerino, uno spazio angusto all'interno del quale c'era una piccola cavità in cui accomodarsi, rivestita di morbida gomma. L'ambiente ristretto faceva pensare Robert a un confessionale, uno di quei buchi in cui un tempo ci si rinchiudeva per raccontare i fatti propri a qualcun altro, sotto leva di un radicato e molte volte immotivato senso di colpa.
Quella situazione ricordava molto la sua.
Robert sospirò e premette l'unico pulsante sulla parete di fronte a sé. Poco dopo lo schermo sopra di esso si attivò. Al centro c'era il volto del Primo, o meglio, il suo volto coperto di stoffa bianca. Nessuno l'aveva mai davvero visto, e doveva restare così. Sosteneva che non era importante quale fosse il suo aspetto, era solo un'etichetta con cui qualcuno avrebbe potuto giudicarlo anticipatamente. La mente doveva essere libera da pregiudizi, in sua presenza. Tutto ciò che si riusciva ad intravedere era la sagoma del suo volto, gli zigomi alti e pronunciati, la mascella sottile, le guance incavate.
Giravano parecchie voci sul Primo. Una di queste era che avesse sviluppato la sua mente a un tal punto da non avere più bisogno di cibarsi o di qualunque altra necessità corporea. Aveva raggiunto un tale grado di autoconsapevolezza e forza interiore che non si poteva nemmeno più definire umano. Se a volte Robert si perdeva a osservare la vastità del proprio pensiero - e quelle erano le uniche occasioni in cui ancora versasse qualche lacrima, i momenti in cui si sentiva immenso, come un centinaio, un migliaio di universi -, si chiedeva come il Primo riuscisse a non perdere se stesso nella propria mente. Doveva esserci un buco nero, là dentro.
Ogni volta in cui erano entrati in contatto, Robert aveva avuto la sensazione di essere circondato da una materia indefinita, sostanza interstellare. Nessuno comunicava come il Primo. Di solito gli altri Migliori erano stentati nei loro messaggi mentali, forse i più bravi riuscivano a comporre dei discorsi degni di nota, ma erano pochi. Il Primo era l'unico da cui provenisse un fluido: emozioni, pensieri, immagini, suoni e colori si univano in un filo dorato, una catena d'oro che lo collegava al suo interlocutore. Poteva accedere alla mente di chiunque. Era il potere del fungo elevato all'ennesima potenza.
Una volta lo scienziato, per pura curiosità, aveva proposto al Primo di far analizzare la propria mente, ma si era rifiutato. Per lui ognuno di loro avrebbe dovuto raggiungere quello stato spontaneamente: non c'erano segreti scientifici dietro, solo forza spirituale e disciplina.
Robert era colui che era quasi riuscito a toccare la divinità, fra tutti i Migliori, e per questo era il preferito del Primo. Era quasi perfetto. Quasi.
Robert. Era da tempo che volevo parlarti.
Mi dispiace non essermi presentato. Ho avuto diversi problemi. La fuga di...
Sì, PIM-90. Me l'avevi già detto.
Robert abbassò lo sguardo, sentendosi profondamente colpevole. Nonostante non potesse vedere gli occhi del Primo, avvertiva tutta la sua delusione, una massa nera che lo avvolgeva e lo faceva sentire piccolo e inutile.
Perlomeno il Progetto Eden procede come programmato?
Eccola, la domanda.
Robert, cercando di apparire il più aperto e sincero possibile, disse:
Sì. Il progetto sta seguendo i binari. Tuttavia è molto complesso. Creare la razza perfetta, i Plasmatori, è più difficile di quanto credessi. Persino io, nel pieno possesso delle mie facoltà, sto avendo dei problemi. La sequenza genetica, l'equilibrio... queste creature senz'anima devono essere perfette. In compenso ho trovato il modo per installare il codice d'attivazione. Il loro nome sarà la chiave. Agiranno come una sola anima, quando verrà inserito il prompt Artefix.
Robert avvertiva la coscienza del Primo sondare la propria, cercandovi una crepa, la minima traccia che ciò che aveva detto non era vero.
Lo scienziato ordinò alla propria mente di mantenere il respiro e il battito regolari. Aveva imparato a controllare tutte le reazioni fisiche della bugia, della macchia, abituato com'era a portarsela sulle spalle.
Infine, con suo immenso, incalcolabile, infinito sollievo, la mente tentacolare del Primo si ritrasse, lasciandogli di nuovo uno spazio vitale degno di quel nome.
Molto bene. Avvisami qualora ci fosse un miglioramento considerevole. Sento che manca poco, Robert. Siamo pronti per andare avanti. Gli altri Ministri mi hanno già parlato. Faremo al più presto una riunione al riguardo... confido nella tua presenza, nonostante le innumerevoli mansioni che devi svolgere. E' molto importante.
Robert annuì, abbassando lo sguardo, e il Primo si compiacque del suo fare remissivo.
Ora va'. Non voglio rubare altro del tuo prezioso tempo. In fondo hai sempre agito per il meglio, non intendo importi dei limiti.
Grazie, Primo. Grazie infinite.
Robert fece un lieve inchino, e poco dopo la porta bianca si aprì.
Mentre camminava lungo il corridoio bianco, aveva la sensazione di galleggiare. Ce l'aveva fatta, il Primo non si era insospettito.
Dov'era finito quel bigliettino?
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