07. Occhi di quarzo
Jack si svegliò all'improvviso, col cuore che martellava nel petto. Si portò una mano al viso, ma non vi trovò nessuna traccia di vomito. Non aveva nemmeno mal di pancia, stava bene, era tutto a posto.
La ragazza, c'era una ragazza.
Si guardò attorno, alla ricerca della strana creatura che l'aveva aggredito, ma non c'era traccia di lei. Doveva essere una Migliore, a giudicare dai suoi poteri. Jack non avrebbe saputo in quale altro modo definire le sue capacità. Non era di certo stata colpa sua se aveva avuto quei conati di vomito... era stata lei.
Jack si alzò e la prima cosa che notò fu che gli mancava la tuta protettiva. Indossava solo un paio di pantaloni leggeri e una canottiera. Non aveva idea di dove fosse finito il suo equipaggiamento, ma era certo che lei lo sapesse. Doveva trovarla, ma aveva paura di uscire da quella tana privo di qualunque difesa verso il fungo.
La maschera antigas, la tuta... niente! Maledetta. Quando tornerà, le farò vedere io.
Se non gli avesse restituito la tuta, Jack avrebbe ricorso alle maniere forti.
Ma fammi il piacere!, sghignazzò la voce della ragione, che aveva un timbro molto simile a quello di Nick nei momenti in cui gli faceva la predica. Non sei neanche capace di ammazzare un Rosicone, figurati una persona.
Quella non era una persona. Aveva lo sguardo morto di un predatore. E poi, quando Jack incontrava un Rosicone, avvertiva una sensazione di leggerezza alla pancia, come se stesse galleggiando a qualche centimetro da terra. Erano troppo teneri, creature indifese, con le loro orecchie lunghe e il corpo a forma di palla, ricoperto da una soffice lana impermeabile. Avevano dei grandi occhi blu e, quando si faceva buio, si illuminavano di una luce azzurrina. Jack sapeva che era dovuta alla presenza delle spore nel loro sangue, che li avevano fatti crescere a dismisura - i Rosiconi erano animali molto comuni, un tempo, ma piccoli piccoli -, però erano creature troppo magiche per essere uccise. A differenza di molti animali della palude, come i Puntaspilli e i Sibilanti, non erano aggressivi. Se ne stavano lì, tranquilli, con il loro metro e mezzo di altezza, le orecchie e le corna ricoperte di peluria, a rosicchiare i tronchi degli alberi. Erano miti e paurosi, ma Jack era riuscito ad avvicinarne uno, quando aveva circa quindici anni, dopo avergli offerto un grosso fungo blu. Per i Rosiconi non erano nocivi, anzi, ne andavano matti. La creatura aveva mangiato il fungo, le guance gonfie e il naso fremente, e Jack aveva approfittato della sua distrazione per saltarle in groppa. Aveva sempre voluto fare un giro a bordo della schiena di un Rosicone, erano velocissimi e si doveva aver l'impressione di volare. Però la creatura non era stata d'accordo e l'aveva disarcionato, facendolo finire in un cumulo di fango, mentre balzellava via con la coda cotonosa che si arricciava per il disappunto.
Ecco perché non ammazzo i Rosiconi. Non perché non sono capace, Nick.
Certo, certo, pensala come vuoi.
Invece di brontolare perché non mi dici dove ti hanno portato? Cosa ti è successo?
Non ne ho idea. Sono frutto della tua immaginazione, so le cose solo se le sai anche tu, cervellone.
Jack emise un brontolio. Un Rosicone sarebbe stato più utile di quella vocetta irritante.
Invece di brontolare come un vecchio scoreggione, perché non cerchi di capire dove sei e vedere se trovi un'altra via d'uscita? Imbecille.
- Stavo per farlo, Nick! Porca di quella porca. Perché hai la mania di dirmi le cose quando sto già per farle? Sei proprio... proprio un...
Jack non terminò la frase, incrociando le braccia sul petto e sedendosi su una roccia. Anche se il signor saputone gli rompeva sempre le scatole, non c'era molto da vedere nel buco in cui si trovava ora.
- È una cavolo di tana. Magari la tana di un Rosicone. Sempre più simpatico di te.
Io penso sia la tana di quella ragazza. È lei che ti ha portato via l'equipaggiamento, un Rosicone non sarebbe stato capace di togliertelo, e poi ci sono cose più buone da mangiare, oltre alla tua tuta puzzolente.
Jack si alzò, massaggiandosi il collo intorpidito per aver dormito per terra, e guardò il lato più buio della tana. L'unica fonte di luce era un lumino su un ceppo, e poco lontano c'era una grande foglia arancione. Su di essa giacevano tre pezzi compatti e regolari di una sostanza che Jack non aveva mai visto, assieme a delle bacche blu dall'aria invitante. Il ragazzo affondò un indice nelle fette per testarne la consistenza. Un profumo dolciastro si diffuse nell'aria e il suo stomaco brontolò.
Cacchio che fame. E se ci dessi un morsetto piccino piccino?
Ma sei scemo? Così ti cresceranno i funghi nella pancia, e dovranno asportarti pure quella.
Ma come faccio a mangiare senza la pancia poi?
La voce di Nick emise un sospiro esasperato.
Pensi di essere divertente?
Sì.
L'importante è esserne convinti.
- Senti, smettila di dirmi robe. Sto morendo di fame e non so cosa fare. Non so nemmeno come faccio a essere ancora vivo. Quella ragazza mi aveva tolto la maschera antigas, dovrei essere un fantasma fungoso adesso.
- Non avere paura. Puoi mangiare. Il fungo non ti farà più del male.
Jack sussultò. Per quanto gli piacesse parlare da solo per tenersi compagnia o immaginare cose che non esistevano per sentirsi meno triste, era sicuro di non essere stato lui a dire l'ultima frase.
Si voltò e si trovò davanti la ragazza.
Indossava una divisa bianca, tutta d'un pezzo, e lo fissava coi suoi occhi rosa. Teneva le mani in avanti, come se stesse cercando di placarlo, e la sua espressione era supplice.
Da dove cacchio è spuntata fuori?
Gli occhi di Jack dardeggiarono verso l'uscita della tana, bloccata da una serie di teli e cerate per tenere fuori le spore. Non aveva idea di quanto quel sistema potesse funzionare. In ogni caso, Jack preferiva tentare una fuga all'esterno che ripetere quanto gli era già successo.
Lei sembrò capire quello che stava pensando e si parò davanti all'uscita.
Jack non voleva combattere, ma non gli sembrava di avere molta scelta. Avrebbe potuto placcarla alle ginocchia e poi correre via.
Era un piano stupido, dato quello che lei sapeva fare, ma Jack non sapeva in quale altro modo scavalcarla.
- Non scappare. Non voglio farti male. Voglio solo aiutarti - disse la ragazza, avvicinandosi.
Usava frasi brevi e semplici, come se stesse cercando di sedare un animale spaventato e un po' stupido.
Jack indietreggiò, fino a trovarsi con le spalle contro il muro.
Non c'era nessuna via di fuga.
- Non ti avvicinare - sussurrò.
La ragazza si fermò, senza togliergli gli occhi di dosso, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Si fissarono in silenzio per un lungo istante, lei perfettamente calma, in attesa, e lui col respiro affannoso, le dita contratte ad artiglio.
- Che cosa vuoi da me?
- Niente. Mi dispiace di averti aggredito, ieri. Avevo paura che fossi un Migliore.
Jack aggrottò le sopracciglia, e un sorriso grottesco gli solcò il viso. Di solito portava una benda sull'occhio sinistro, mentre ora si poteva vedere la pelle raggrinzita dall'operazione.
- Io, un Migliore? - ridacchiò, pur mantenendo la guardia. - Ti sbagli alla grande. Credi che sia nato con un occhio solo?
- No. Ora lo so, però. Ti ringrazio per avermi detto tutto.
Questa è pazza. Non le ho detto un bel niente.
- Non nel modo in cui pensi tu. Io non sapevo parlare. Non sapevo nemmeno come funzionasse il mondo in cui ci troviamo, mentre ora capisco, grazie a te.
- Non ho fatto nulla per aiutarti.
- Non l'hai fatto di proposito. Ti ho toccato il viso, quando eravamo nella discarica, e ho imparato tutto da quel contatto. Le tue memorie sono le mie, ora.
- Cosa?
Non era normale, per niente. Da quanto sapeva Jack, solo Morris sapeva contattare una mente chiusa.
La ragazza fece un passo in avanti, allungando una mano. Jack ebbe un fremito, ritraendosi.
- Tranquillo. Voglio solo mostrarti.
Lui esitò, poi rilassò le spalle e si avvicinò. La mano della ragazza gli si posò su una guancia. Avvertì la sua pelle fresca e morbida, innaturalmente liscia. Non aveva mai fatto lavori pesanti. Le mani di Jack, invece, erano ricoperte di calli e piccole cicatrici.
I suoi pensieri si sfocarono, fondendosi in un amalgama colorato.
Provò la sensazione di cadere, come gli era già successo alla discarica, ma stavolta il suo corpo non si ribellò al suo volere, né provò dolore. Scivolò dolcemente, mentre delle immagini si susseguivano rapide nella sua mente. Era come se avessero installato un rador nel suo cervello, e questo stesse recependo il segnale esterno inviato dalla ragazza.
***
Si ritrovò ad assistere agli eventi dal punto di vista di lei.
La ragazza senza nome.
Non sapeva chi era, e la cosa la spaventava. Quando era scappata da Cram, si era rifugiata nella palude, nascondendosi nella tana che aveva adesso. Quella volta era solo un incavo nel legno lasciato dall'enorme micelio di un fungo ormai morto, e ci aveva messo un po' di tempo per renderlo un posto più accogliente. Aveva recuperato degli oggetti dalla discarica e dal villaggio dei Blu, al centro della palude.
Rubava spesso da loro. Aveva scoperto che quel senso di vuoto nella pancia era dovuto al fatto che doveva nutrirsi, grazie al contatto con un animale ricoperto di spine che aveva cercato di attaccarla. Era molto affamato, e, toccandolo, aveva appreso da lui cosa fare per procacciarsi il cibo e l'acqua.
Quando aveva incontrato Jack, stava cercando un modo per tagliare un fungo che cresceva sul lato sinistro del baobab in cui viveva e che avrebbe potuto rovinare la sua abitazione. In discarica aveva sempre trovato degli oggetti riutilizzabili.
Mentre si stava dirigendo alla miniera dei tesori, aveva visto Jack. Le era sembrato un alieno, attraverso quella tuta terrificante. Una creatura dal volto di plastica, simile a una mosca, come i Migliori che l'avevano aggredita quando era fuggita da Cram.
Aveva deciso di tenerlo d'occhio, seguendolo, finché lui non l'aveva sentita. Non aveva avuto scelta, si era mostrato ostile. Così aveva premuto un paio di tasti nel suo sistema per spingerlo ad autodistruggersi. Ma poi, in un momento di curiosità, gli aveva tolto il volto di plastica, e aveva scoperto che sotto era fatto di pelle, carne e sangue caldo.
Jack era svenuto e lei si era inginocchiata al suo fianco. Gli aveva pulito il viso ed era rimasta a fissarlo, affascinata, cercando di capire cosa fossero quegli innumerevoli punti marroncini sulla sua pelle - lentiggini. Se li avesse contati tutti, forse avrebbe scoperto la chiave di un puzzle.
Gli aveva posato le mani sul viso, e aveva assorbito le informazioni dalla sua mente.
Aveva capito che non era pericoloso e non aveva avuto intenzione di farle del male. Aveva reagito così per istinto, come quell'animaletto spinoso che l'aveva attaccata tempo addietro. Aveva temuto per la propria vita: per Jack la palude era un posto spaventoso, e lei aveva un aspetto strano. Era normale che non si fosse fidato subito.
Allora lei aveva deciso che si sarebbe scusata per averlo messo nei guai. Se l'era caricato sulle spalle, dopo averlo liberato da tutto l'equipaggiamento, che lo rendeva molto pesante, e l'aveva portato a casa.
Dato che lui non era immune al fungo, lei aveva deciso che gli avrebbe dato parte dei propri anticorpi, che respingevano le spore o qualunque altra malattia.
Aveva praticato una piccola incisione nel braccio sinistro di Jack, un'altra sul palmo della sua mano destra, e aveva lasciato che parte dei propri fluidi corporei fluissero nel suo.
Lei non aveva sangue rosso, come quello di Jack, ma una sostanza a malapena tiepida, dalla consistenza collosa e dal colore rosaceo.
Non appena aveva tolto la mano, la ferita di Jack aveva cominciato ad autoripararsi, come la sua.
Soddisfatta del suo lavoro, l'aveva infagottato in una coperta e gli aveva lasciato del cibo, nel caso in cui non fosse tornata presto. Era uscita a prendere della legna e dei Vermi Acciarini, che erano molto utili quando bisognava accendere un fuoco. Bastava metterli sopra la legna e, dopo un po', da questa si sprigionavano delle fiamme, in cui i vermi adoravano rotolarsi.
Quando era tornata con un secchio pieno di vermi e un po' di legna, aveva capito subito che Jack era sveglio. Sentiva i suoi pensieri e le sue emozioni. La sua coscienza era come un ovale nebuloso, con diversi colori al suo interno. Prevalentemente blu e rosso, in quel momento.
***
Jack inspirò violentemente, tornando in sé.
Era sdraiato a terra, ma non aveva idea di come ci fosse arrivato. La ragazza era seduta al suo fianco e lo stava ancora fissando. I suoi occhi rosa non gli sembravano più spaventosi, ma pieni di interesse e voglia di comunicare con lui.
- Sei stata tu a proteggermi dal fungo, allora - mormorò, cercando di mettersi seduto.
Lei lo sostenne e annuì.
- Quindi ora io non... non posso più ammalarmi?
- Esatto.
- Ma è incredibile. Dobbiamo andare a casa, al Rifugio, e portare la cura anche agli altri!
- Non posso.
- Come non puoi?
- Jack, i Migliori hanno cercato di distruggermi. Se tornassi, mi ucciderebbero.
Jack la fissò in silenzio.
- E poi non voglio aiutare altri. Mi fido solo di te, mi interessa solo di te. Sei il mio amico, adesso. Non costringermi ad andare là.
La ragazza aveva un'espressione talmente avvilita che Jack preferì non insistere. In ogni caso, ora che lui era immune al fungo, avrebbero potuto usare il suo sangue per una cura, lei non doveva tornare per forza.
Non sembrava cattiva. Era solo spaventata.
- Va bene, capisco - le disse, rendendosi conto che per tutto quel tempo le loro mani erano state intrecciate, mentre i reciproci pensieri si mescolavano.
- Però non credere che la gente del Rifugio sia più simpatica dei Migliori. Sono loro a far del male ai Blu che si avvicinano troppo al muro filtrante.
- Ma cosa sono questi Blu?
- La gente della palude. Un giorno te li farò vedere, se vuoi.
- Certo. Prima, però, devo trovare mio fratello.
- Stai parlando di Nick, vero?
- Già. Non posso lasciarlo qui.
- Potrebbe essere già morto.
Jack trasse un profondo sospiro, evitando il suo sguardo.
- Lo so, ma devo tentare. Voglio sapere cosa gli è successo.
La ragazza annuì.
Restarono in silenzio per un po', e Jack le chiese se avesse un nome.
- No - rispose lei, scuotendo la testa. - Se ce l'avevo, non me lo ricordo più. Vorresti darmi tu un nome?
Quella richiesta lasciò Jack sbalordito, ma si riprese in fretta e le rivolse un sorriso impacciato.
- Non sono un grande paroliere.
- Però inventi dei bei nomi. Perché non ne pensi uno per me?
- Beh, ci posso provare, ma non è una cosa che venga in mente così, all'improvviso.
La ragazza annuì e si alzò in piedi, aiutandolo a fare lo stesso.
- D'accordo. Prenditi tutto il tempo che vuoi. Per quanto riguarda tuo fratello, cominceremo a cercarlo domani, ormai è tardi. Presto sarà ora di cena. Vuoi che prepari qualcosa?
- E cosa? Non si può mangiare niente nella palude.
- Adesso puoi, invece. Vieni con me. Ci sono un sacco di frutti e radici saporiti.
***
Lo condusse all'esterno.
Il sole stava cominciando a tramontare, e la palude si stava illuminando di luce azzurra. Tutto era silenzioso, il vento scuoteva le cime dei baobab e i filamenti del fungo emettevano uno strano suono. Sembrava quello di qualcuno che soffia in una bottiglia di vetro.
Ogni filamento creava una nota diversa, sembrava di ascoltare un'orchestrana.
Jack non era mai rimasto abbastanza a lungo nella palude da assistere a quel fenomeno.
Forse non era così orrenda come aveva creduto.
- E' il canto degli alberi - disse la ragazza, rivolgendogli un sorriso. - Bello, vero?
Jack assentì, troppo impegnato a osservare lo spettacolo per rispondere.
Lei lo prese per mano e lo portò sul retro dell'albero, dove cominciarono a raccogliere delle radici dal dubbio colore blu. Erano luminose, come se dentro vi ribollisse della lava azzurra.
- Mi sembra di essere in un sogno - mormorò Jack, mentre le puliva dalla terra.
- A volte anche a me - sussurrò la ragazza, mettendo le radici in un cesto.
- Posso farti una domanda?
- Se vuoi.
- Davvero non ti ricordi niente delle tue origini? Solo Cram?
Lei si irrigidì.
- E' complicato. Ne parleremo dopo, con calma.
Si alzò, portandosi via la cesta, lasciandolo seduto a riflettere con le ginocchia nude affondate nel terriccio del suo orto.
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