06. Nel cuore della palude




Qualcosa gli pizzicava la pelle nuda del torace e delle gambe. Cercò di mettersi seduto e un agglomerato all'altezza del fianco destro oppose resistenza.

Deglutì, cercando di accumulare una quantità di saliva sufficiente a inumidirgli la gola, ma tutto ciò che riuscì a mandar giù fu un grumo di sostanza pastosa.

Dopo aver tratto un profondo sospiro, si mise seduto con la sola forza delle braccia, facendo leva sulla brandina dov'era disteso. Ebbe l'impressione che la stanza gli stesse girando attorno e dovette fermarsi per riprendere fiato.

Non riesci nemmeno a metterti seduto, una merda con le gambe avrebbe più grinta di te.

Nick inspirò a fondo e riuscì a mettersi in una posizione più comoda. Abbassò le coperte, sotto le quali era nudo, fatta eccezione per un paio di mutande infeltrite sgradevoli al tatto.

Ebbe appena il tempo di notarle, che qualcos'altro attirò la sua attenzione. Il suo fianco destro. C'era qualcosa sul suo fianco... nel suo fianco.

Nick lo guardò in silenzio, passandovi sopra le dita con tutta la delicatezza di cui le sue mani erano capaci.

Non poteva dire che gli facesse male, quello no. Però c'era qualcosa che non andava lì, e non si riferiva al fatto che era rimasto impalato su una dannatissima cosa rotonda giù alla discarica.

La ferita, il fungo. Dovrei essere un fottutissimo cadavere.

Invece era lì, seduto in quel letto, con un fianco che sembrava tutto tranne che un fianco, ma vivo, a meno che quei funghi non avessero sviluppato anche un effetto allucinogeno, oltre alle spore mortali. Un modo gentile per uccidere gli sventurati che capitassero fra i loro filamenti.

Una macchia verde si estendeva dal punto in cui era stato trafitto, a ragnatela, lasciandosi dietro una serie di scie bluastre, che arrivavano fino allo sterno e all'ombelico, seguendo il reticolo sotterraneo delle vene.

Sulla ferita si era formato un bozzo traslucido, un nodo insensibile, che sembrava avvinghiato al suo corpo come un parassita. Doveva essere lui il responsabile della sua sopravvivenza, o lui era diventato un Migliore, proprio come Morris, e la prospettiva non lo incoraggiava. Non aveva nessuna intenzione di andare a vivere con la sua gente a Cram, le persone che li avevano lasciati a marcire a città Rifugio per tutti quegli anni senza muovere un dito per aiutarli.

Nick aveva sempre pensato che fosse molto strano non avessero già trovato una cura, visto che si autodefinivano come dei maledetti geni, che avrebbero portato ogni bene all'umanità. Sì, il bene più grande che avevano donato loro era stato quel muro filtrante, e l'avevano costruito solo perché c'era un interesse implicito per Cram. Anche a loro non piaceva avere a che fare con le creature della palude, nonostante fossero indifferenti al fungo.

Devo andarmene da qui. Adesso.

Nick fece scivolare le gambe lungo il fianco del letto e si mise in piedi. Le ginocchia tremarono, minacciando di cedere, e dovette posare una mano contro il muro.

Si trovava in una stanza piuttosto buia, dalle pareti grossolane. Erano composte da pezzi di legno, latta e metallo ondulato rappezzati assieme, come il vestito di un pazzo. Non c'era luce, fatta eccezione per una lampada a olio su un tavolo sbozzato in un ceppo. La sua fiamma tremolava, gettando delle ombre inquietanti sul muro.

Nick si sfregò le braccia. Stava morendo di freddo, e quel bozzo sul suo fianco stava drenando le sue energie. L'intorpidimento, fino a poco fa accentrato in quel punto, si era espanso al resto del suo fianco, fino alle costole e alla coscia, il che gli rendeva molto difficile camminare.

Doveva trovare qualcosa con cui coprirsi, forse avrebbe migliorato la situazione.

All'interno della stanza c'erano solo il tavolo circondato da tre altri pezzi di legno come sedie, una panca e un baule.

Nick vi si avvicinò zoppicando e ne sollevò il coperchio, le dita livide. Con sollievo, al suo interno trovò diversi vestiti, per quanto male assortiti e logori. Non erano la sua tuta, ma se era sopravvissuto al fungo finora, sarebbero stati sufficienti a proteggerlo durante il percorso per arrivare a città Rifugio. Indossò una felpa e un paio di pantaloni caldi, con un rivestimento interno morbido, per poi strappare un pezzo di stoffa da una maglia e passarselo attorno al naso e alla bocca, sperando che offrisse comunque un minimo di protezione.

Si guardò attorno alla ricerca di un'arma - non aveva nessuna intenzione di trovarsi inerme di fronte alle creature che l'avevano seguito, delle quali il solo pensiero era sufficiente a farlo rabbrividire -, e tutto ciò che gli venne in mente fu di prendere la lampada. Non c'era altro che potesse usare.

Pregava solo che avessero paura del fuoco, per quanto dubitasse che sarebbe stato così facile affrontarle. Gli erano sembrate fin troppo intelligenti, dal modo in cui l'avevano circondato e spinto in trappola. Nick ignorava cosa fosse accaduto dopo che aveva perso i sensi, ma il dolore di quando l'avevano estratto da quella padella maledetta era ancora vivido.

Non sapeva cosa gli avessero fatto mentre era privo di sensi, non aveva idea come avessero trasformato la sua ferita in quella specie di blob viola, ma non voleva restare lì per scoprirlo.

Con cautela, Nick aprì la porta, applicando l'occhio destro alla fessura per avere una panoramica del posto.

Verde malato, filamenti bianchi fra le fronde degli alberi, cielo offuscato. Dal terreno proveniva un intenso odore humus e marcio, l'odore della palude.

Non era mai stato tanto intenso prima d'ora. Attraverso la maschera arrivava attutito, certo, ma era comunque diverso, talmente forte da stordirlo. Si trovava nel cuore del mostro, il centro dal quale il fungo si era espanso, proprio come quel bozzo si stava irradiando nel suo corpo.

Uscì dal suo nascondiglio in punta di piedi. Le dita affondarono nel fango, e il suolo umido gli bagnò subito l'orlo dei pantaloni.

Si trovava in una radura, dove la scarsa luce solare veniva filtrata dalle frasche di una serie di baobab. A Nick era capitato di vederne un paio, prima di allora, ma non erano mai stati di tali proporzioni, né avevano avuto rami tanto spessi e ampi. Filamenti di funghi spessi quanto un braccio andavano da una parte all'altra della piana, e alcuni di essi erano radicati a terra, collegati alle basi degli alberi. Si riusciva a scorgere la linfa che scorreva all'interno di quei canali, in rapporto simbiotico.

C'era un silenzio inquietante, fatta eccezione per il frusciare delle foglie e i richiami striduli di un animale in lontananza.

Nick avanzò nella radura, trascinandosi dietro il proprio la gamba intorpidita. Aveva un forte mal di testa, come se gli stesse salendo la febbre.

Mentre proseguiva, notò che c'erano delle porte scavate all'interno dei tronchi immensi dei baobab, con delle scale che portavano in cima, dove, appollaiate sui rami, se ne stavano delle case simili a un collage, costruite interamente di fango, filamenti di fungo e scarti.

Le finestre erano ricoperte con della stoffa, che ondeggiava a causa delle folate di vento che provenivano da est. Vento caldo, una manna in confronto alla pioggia gelida del giorno precedente.

Ieri? Non so nemmeno se è stato ieri. Non so quanto sia stato via. Jack penserà che io sia morto...

*

Padre, l'umano si è svegliato, sussurrò una voce nei recessi della sua mente.

Teofane aprì gli occhi, alzandosi dal letto imbottito di sterpi secchi nel quale era rannicchiato.

L'hai visto?, chiese a Belgor.

Sì. E' uscito poco fa dalla sua tana. Si sta allontanando, penso voglia tornare alla città.

Chiama Aaron e fermatelo.

Aaron?

Era molto difficile mentire, quando si comunicava col pensiero, e Belgor non era mai stato bravo a nascondere l'astio che nutriva per il fratello maggiore.

Lui è un guerriero. Saprà tener testa all'umano.

Non c'è molto cui tener testa, padre. E poi Belgor detesta gli abitanti della città, gli vorrà fare del male.

Finché quell'umano sarà sotto la mia responsabilità nessuno oserà fargli nulla. Chiama Aaron; se superasse il segno, confido che saprai calmare la sua rabbia. Ti ascolta più di quanto lo faccia con me.

Se lo dici tu. Ricordati che ti ho avvertito.

La presenza di Belgor si ritrasse dalla sua coscienza, e Teofane si ritrovò di nuovo solo, in silenzio.

Sua moglie, sdraiata al suo fianco, emise un mugugno, sollevando una palpebra.

Cosa succede?

Niente. Torna a dormire.

Non penso sia niente. Sei così agitato.

Non preoccuparti, è solo l'umano.

Si è svegliato?

Sì. Saprò gestirlo, non temere.

Non ho mai pensato che non ne fossi capace. Ormai sono sveglia, però. Vuoi che ti accompagni?

Non ce n'è bisogno, se non vuoi. Posso farcela da solo. Se ne stanno già occupando Belgor ed Aaron.

Nel sentire il nome del primogenito di Teofane, Maya strinse le labbra. Per quanto avessero cercato di includerlo nella nuova famiglia, non aveva mai apprezzato lei, la nuova compagna di suo padre, nonostante si fosse sempre mostrata amorevole e gentile. A differenza di Belgor, Aaron aveva un temperamento più focoso e perdeva facilmente la testa. Da quando sua madre era morta, non era stato più lo stesso. Era sempre stato sopra le righe e aveva avuto la tendenza a comportarsi in modo irruente, ma, da quel fatidico giorno, il suo carattere si era inasprito. Aveva dovuto trovarsi una battaglia da combattere per riuscire ad andare avanti, aveva dovuto incolpare qualcuno per quanto era successo, e il suo bersaglio erano diventati gli umani, con un particolare odio per i Migliori.

La voce di Belgor riemerse nel mare dei suoi pensieri, accompagnata da un certo sollievo.

Abbiamo preso l'umano. Aaron e Nikita si trovavano al confine del villaggio e l'hanno fermato prima che scappasse. Cosa dobbiamo farne di lui?

Portatelo alla sala degli anziani. Discuteremo lì.

*

Nick aveva la sensazione di trovarsi in una bolla. Non sentiva né vedeva più niente, era come se il suo corpo fosse scomparso.

Avrebbe dovuto avere paura, l'ultima cosa che aveva visto erano stati due mostri che gli si avventavano contro a braccia spalancate, due ghigni stampati sui volti deformi. Eppure ora non c'era nulla. La paura e l'angoscia erano scomparse, così come l'ansia di tornare a casa, la preoccupazione per suo fratello, che doveva essere intento a disperarsi per la sua scomparsa. Per quanto Jack facesse lo scontroso con lui, Nick sapeva quanto bene gli volesse e che, se c'era una cosa per cui nutriva un sincero terrore, era la solitudine.

Era come se si trovasse in un sogno, dove non c'era nulla. Un sogno vuoto.

Un po' alla volta, cominciò a recuperare sensibilità e i cinque sensi tornarono, ma non le emozioni.

Nick si ritrovò seduto al centro di un'ampia tana, circondato da una serie di personaggi uno più deforme dell'altro. Il loro aspetto avrebbe dovuto farlo inorridire, ma gli sembrava una cosa del tutto normale. Si rendeva conto di quanto tutto ciò fosse strano, eppure ciò non smuoveva nulla in lui. Era come se si fosse spento, se fosse diventato un androide apatico.

Due mani nodose e viscide gli stavano stringendo le spalle, nonostante non ce ne fosse bisogno, visto che Nick non avvertiva l'urgenza di scappare. Come se ciò non fosse stato sufficiente, lo avevano legato, incollandogli le braccia al petto.

Ora che non era più spaventato da quegli esseri, riuscì a osservarli senza avvertire il bisogno di distogliere lo sguardo o gridare.

Sei di loro si trovavano di fronte a lui, seduti dietro una rozza serie di tavole sbozzate nel legno, su cui stavano appoggiando le braccia.

Avevano tutti la pelle di diverse sfumature di verde e blu, chi più chiara chi più scura, con delle chiazze nere o marroncine che gli ricordarono quelle sul dorso di certi rospi giganti che vivevano nei pressi del Lago Arancione, una fonte d'acqua talmente inquinata che, di notte, riluceva del colore che gli aveva valso il nome. Jack l'aveva soprannominato "Lago di Moccio", quando era ancora piccolo e gli piaceva inventare nomi stupidi per tutto ciò che incontravano.

Nelle creature a tratti si scorgevano delle vaghe linee antropomorfe. Erano alte e slanciate, con delle braccia e delle gambe troppo lunghe che le costringevano a proseguire curve, cosicché, se Nick fosse stato in piedi, si sarebbero trovate comunque al suo livello. Alcune di esse avevano una considerevole massa muscolare, la stessa con cui avevano schiacciato Nick a terra, premendogli la faccia nel fango finché non aveva cessato di combattere.

Le loro unghie erano appuntite, più solide rispetto a quelle di un uomo, di un colore bluastro, che rifletteva la luce come le squame di un pesce. Anche i loro capelli erano di una sostanza simile, avevano un aspetto ispido, erano spessi come gli aculei di un Puntaspillo - così Jack aveva ribattezzato quelle creaturine un tempo conosciute come ricci, che ora erano molto meno affabili e innocue di come le avevano ritratte i loro antenati.

Il loro corpo, tuttavia, era pur sempre accettabile. Per la maggior parte era coperto da vestiti, il che smorzava la loro bestialità.

Ciò che era davvero spaventoso era il loro volto.

Era un incrocio tra quello di un anfibio e di un uomo.

Gli occhi erano certamente umani, nonostante fossero molto grandi o deformi e di colori improponibili, tipici del regno dei rettili, quali verde smeraldo, giallo citrino e blu scuro. Il naso, invece, era schiacciato e sul suo dorso c'erano diverse fasce di pelle, mentre la bocca era piccola e sottile, come se la usassero poco. Quando schiudevano le labbra per respirare, nell'aria si diffondeva un fetore intenso di acqua marcia, e i loro dentini madreperlacei venivano alla luce, assieme alla lingua viola.

Uno di loro, quello seduto al centro, aveva dei capelli piuttosto lunghi, raccolti da una serie di elastici di gomma, e una sottile barba metallica. I suoi occhi erano di un azzurro piuttosto inusuale, lattiginoso; il suo sguardo non si soffermava su nulla e Nick concluse che doveva essere cieco.

Allungò una mano verso di lui e il mostro che stava sorreggendo Nick lo costrinse ad alzarsi in piedi e avvicinarsi.

Il mostro gli posò una mano su una guancia. Era talmente grande che il palmo da solo era sufficiente a ricoprire metà della sua faccia.

Quelle creature avevano delle ventose sui palmi e questi aderirono al volto di Nick, che, un secondo dopo, si ritrovò a terra, senza avere idea di come ci fosse arrivato.

Doveva aver perso i sensi.

Cercò di alzarsi, ma non ci riuscì. La sua gamba aveva terminato la trasformazione in un ciocco di legno e non rispondeva più ai comandi.

Il mostro che gli faceva da guardia emise uno sbuffo e lo afferrò per le braccia, aiutandolo a rialzarsi. In realtà Nick restò inerte come un burattino, e fece tutto lui, esasperato dalla sua debolezza.

Chi siete? - mormorò Nick, ancora stordito dalla caduta.

Le creature ebbero uno scambio silenzioso, fatto di sguardi e di un linguaggio che lui non poteva comprendere.

Poi quella centrale, la stessa che l'aveva spinto ad avvicinarsi, prese la parola.

In genere non usiamo la voce per comunicare - sussurrò, talmente piano che Nick dovette aguzzare l'udito per non perdersi quanto stava dicendo. Il suo timbro era roco, e parlava molto lentamente, come se non vi fosse abituato. - Però tu non potresti capire, altrimenti, dunque parlerò con te.

Fece una pausa, come se tutto ciò gli stesse costando un'enorme fatica, e riprese.

Io sono Teofane, e questi i miei compagni. Siamo ciò che voi della città chiamate Viscidi.

Nick ricordava quel nomignolo. Erano stati i Migliori a inventarlo e battuto il ferro finché non era entrato nell'immaginario comune, nonostante gli umani che avessero davvero visto una di quelle creature si potessero contare sulle dita di una mano, e la maggior parte ignorasse quale aspetto avessero.

Alcuni mostri digrignarono i denti, come se essere chiamati in quel modo non gli piacesse molto.

Noi ci conosciamo come i sopravvissuti. Siamo ciò che è rimasto dopo la grande esplosione, quando la città chiuse i battenti a chi chiedeva asilo. Siamo tutti coloro che, infetti, sono sopravvissuti alla mano degli dei.

Gli dei? - sussurrò Nick, con voce atona.

Ciò che voi chiamate la malattia, il morbo, il fungo. I "migliori" sono chi non vive più in armonia con esso. Coloro che l'hanno eradicato. Mentre voi umani... beh, voi vi trovate a metà strada fra noi e loro.

Capisco. Ma cosa c'entro io con tutto questo? Stavo morendo... perché mi avete salvato?

Le creature si scambiarono un'occhiata, mentre quella alle sue spalle strinse la presa. Nick aveva la sensazione che, se fosse stato per lei, lo avrebbe lasciato a morire, impalato su quella cosa rotonda alla discarica.

Non siamo un popolo violento. Abbiamo guarito la tua ferita. Ora assomigli più a noi che non agli umani o ai Migliori. Presto anche la tua mente e il tuo corpo subiranno dei cambiamenti. Nonostante noi siamo pacifici, non puoi tornare alla città. Ogni volta in cui ci avviciniamo troppo alla grande muraglia, gli umani ci attaccano. Temo che dovrai restare con noi.

Ma io ho un fratello - sussurrò Nick, e la sua angoscia era tale che un piccolo filamento riuscì ad attraversare la bolla in cui si trovava, restituendogli un briciolo di umanità. - Si trova a città Rifugio. Non posso abbandonarlo.

Il capo delle creature trasse un profondo sospiro. Nick non sapeva leggere la sua espressione, ma gli parve addolorato.

Mi dispiace costringerti a restare, ma non c'è altro modo. I nostri mondi non sono ancora pronti per collidere. I Migliori sono ostili, e gli umani sotto la loro influenza. Per quanto tu non abbia cattive intenzioni, non posso permetterti di tornare. Anche se tu non dicessi nulla della nostra ubicazione, potrebbero manipolarti od obbligarti a farlo. Sono esperti nelle arti mentali, nonostante non lo siano quanto noi, che le usiamo ogni singolo istante. L'unica cosa certa è che sono pericolosi e non voglio provocarli. E' meglio per noi vivere nell'ombra, al momento, e sperare che non osino avventurarsi tanto a fondo nella palude da incontrarci.

Nick abbassò lo sguardo.

Mentre era intento a fissarsi i piedi, assimilando il fatto che non sarebbe più tornato a casa - per quanto merdosa, era pur sempre casa - e non avrebbe rivisto Jack, le creature si allontanarono, uscendo dalla tana.

Nick restò solo, il respiro che scavava due voragini nel suo petto.

Avvertì una mano sulla spalla, e stavolta fu un tocco gentile, non aggressivo come quello del suo carceriere.

Mi dispiace aver messo a tacere le tue emozioni - mormorò la voce di Teofane, chino su di lui. - Ma immaginavo che tutto questo sarebbe stato troppo sconvolgente per te. Presto tornerà tutto alla normalità, non preoccuparti. Voglio solo darti qualche giorno per abituarti, poi ti lascerò stare. E' per il tuo bene, credimi.

Capisco - sussurrò Nick, deglutendo a fatica.

Nonostante ciò, avvertiva la tristezza, la rabbia, anche la disperazione al di fuori della bolla, tutte emozioni che premevano per entrare e impossessarsi di lui. Però le guardava da lontano, come se fossero quelle di qualcun altro. Anche Nick sapeva che prima o poi si sarebbero appianate; questa volta non c'era via d'uscita.

Teofane aveva detto che il suo corpo e la sua mente sarebbero cambiati. Che ora era più vicino ai Viscidi che agli uomini.

Non sarebbe più potuto tornare a casa anche se l'avesse voluto.

Se quel bozzo violaceo era l'inizio di una trasformazione, il prezzo da pagare per essere sopravvissuto a quella ferita altrimenti mortale, Nick non poteva farci niente.

Se fosse diventato come quelle creature, non voleva che Jack lo vedesse.

Non l'avrebbe visto nessuno di quelli che conosceva.

Penserebbero che io sia un mostro.

Teofane intuì ciò che stava pensando e sciolse le cinture che gli serravano il petto, aiutandolo ad alzarsi.

Vieni. Ci prenderemo noi cura di te, adesso.

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