04. Solitudine
Aveva imparato la lezione.
Non avrebbe più cercato aiuto nei Migliori.
Doveva esserci un motivo per cui Morris non aveva dato cenno di riconoscerlo: forse non aveva voluto metterlo nei guai, dietro le sue azioni doveva esserci una motivazione troppo complessa affinché Jack riuscisse a comprenderla. Accadeva spesso che i Migliori tagliassero i ponti con la loro vita precedente, era simbolico il fatto che scegliessero un altro nome. Tuttavia cambiare il nome di una cosa non implicava una variazione nella stessa.
Morris Twingle c'era ancora, sepolto sotto l'identità fittizia del Ministro della Ricerca di Cram, l'uomo su cui giravano le peggiori voci, l'uomo che molti chiamavano Dottor Morte, l'uomo che Jack avrebbe difeso fino all'ultimo, non importava quanto potessero dire sul suo conto.
Per questo, dopo aver passato una notte in bianco a fissare il soffitto ammuffito del salotto dei Dogers, respirando l'odore di Peter, il figlio smarrito e che forse speravano di aver ritrovato in lui, Jack prese la sua decisione.
Aspettò che Joanna e Luca si fossero svegliati, per condividere con loro i suoi pensieri.
L'uomo non disse niente, frantumando fra i denti la dose giornaliera di vitamine, lo sguardo fisso sul pavimento.
Joanna cercò di contenere le lacrime, ma il labbro tremante la tradì, così come la sua voce. Quel suono patetico fece quasi desistere Jack, che provò l'impulso di abbracciarla e dirle che ci aveva ripensato, che sarebbe rimasto lì con loro e avrebbero cercato di riempire il reciproco vuoto.
Loro non potevano essere i suoi genitori, ma erano delle persone gentili, e Jack non poteva essere Peter, ma Joanna e Luca si erano già abituati alla sua presenza. Vederlo andare via era un dolore che rinnovava quello della morte del loro figlio.
- Non sai nemmeno se è vivo – balbettò Joanna, aggrappandosi alla sua canottiera sforacchiata. – Jack... tu... non puoi...
Il ragazzo abbassò lo sguardo, sospirando.
Sospiri, sempre sospiri.
Quanto avrebbe voluto poterla consolare, ma nessuna carezza avrebbe reso meno taglienti le parole che le aveva appena rivolto.
- Joanna, devo farlo. Se c'è una minima possibilità che sia ancora in vita, devo saperlo. E se è morto... se è morto, voglio portarlo qui e cremarlo. Si merita una degna sepoltura. Non ho intenzione di lasciare che si trasformi in fertilizzante per il fungo.
Joanna si ritrasse singhiozzando, le braccia premute sull'addome, il mento aguzzo posato sulle ginocchia. Cominciò a dondolare sul posto, incapace di contenere le lacrime che le ruscellavano sulle guance incavate.
- Jo, vai in camera – la incitò Luca, mettendole una mano sulla spalla. – Tesoro, per favore. Vai.
Lei non oppose nessuna resistenza, mentre lui la accompagnava verso la camera e tirava la tenda che avevano usato per sostituire le porte mancanti e darsi un po' di privacy.
L'uomo tornò indietro e fece cenno a Jack di seguirlo, gli occhi d'acciaio fissi sull'entrata. Lui lo seguì all'esterno. Una volta che furono sufficientemente lontani da far sì che lei non li udisse, spinse Jack in un angolo e gli mise le mani sulle spalle. Gliele stava stringendo così forte da fargli male, ma lui non protestò.
- Capisco perché vuoi andare là fuori. Però pensaci bene. Hai perso un occhio per colpa di quel fungo, e probabilmente anche un fratello. Ne vale la pena? Al di là di ogni legame affettivo, Jack, se Nick è morto non fa nessuna differenza, ormai. Con ciò non voglio insultare tuo fratello, ma la palude è pericolosa, e ora hai anche un serio svantaggio, senza quell'occhio. Se morissi per cercare un cadavere, non avrebbe senso. Io... io non sono andato a cercare quello di Peter. Chiamami codardo, ma, se fossi morto anche io, Joanna mi avrebbe seguito a breve. Ho pensato più volte di farla finita e imitare mio figlio, ma, per quanto mi faccia male vedere il suo letto vuoto ogni mattina, non l'ho fatto. Per lei sono riuscito a tirarmene fuori, almeno quanto era sufficiente per andare avanti.
Luca fece una pausa, leccandosi il labbro inferiore, le sopracciglia sottili aggrottate. Era un uomo molto esile, ma Jack aveva la sensazione di trovarsi di fronte a una montagna. Lo rispettava, avrebbe voluto essere come lui.
- Insomma, quello che spero è che il tuo non sia un gesto avventato, guidato dalla smania suicida. Se così fosse, voglio che tu resti qui, perché, per quanto possa sembrarti male adesso, potremmo essere una famiglia, se tu lo volessi. Joanna si è già affezionata a te e, per quanto io mi sia mostrato diffidente, mi dispiacerebbe non vederti tornare. Sei un bravo ragazzo, e sei giovane. Troppo giovane. Ne ho visti morire tanti, non voglio veder morire anche te.
Jack non sapeva cosa rispondere. Le sue parole gli avevano rimescolato le viscere. Gli dispiaceva deludere quell'uomo, ne aveva passate troppe – come ognuno di loro del resto -, ma non voleva andare nella palude per via di istinti autolesionisti. L'essere già stato tanto vicino alla morte gli aveva iniettato una scintilla di vitalità che non avrebbe mai pensato di poter riprovare. Voleva vivere, ma voleva vivere bene, non strisciare nel Rifugio, tormentandosi per il resto dei suoi anni sul fatto se avesse potuto salvare Nick o meno.
Aveva deciso, e l'aveva fatto per una questione di dignità umana. Era stupido, era pericoloso, ma voleva fare quel regalo a suo fratello, che l'aveva aiutato in tutti quegli anni, che l'aveva protetto.
Nick avrebbe fatto lo stesso per lui.
*
Jack terminò di agganciare le cinghie della tuta protettiva, controllò di aver messo un kit di pronto soccorso nello zaino e alcune provviste, nonostante contasse di tornare al Rifugio in ogni caso, dato che era troppo pericoloso fermarsi a mangiare fuori.
Una volta fatto ciò, si fermò davanti alla non-porta dei Dogers e trasse un profondo sospiro. Li aveva già salutati. Era inutile farlo di nuovo, gli avrebbe solo causato altro dolore.
Il ragazzo proseguì, scendendo diverse rampe di scale, finché non raggiunse il piano terra. Davanti all'entrata c'era una delle guardie inviate dai Migliori. Quando lo vide avvicinarsi, gli mise una mano sul petto, impedendogli di proseguire.
- Dove credi di andare? Non si può uscire – sbottò, attraverso la sua maschera di plastica, portando la mano libera a un manganello.
- Ho il permesso – mormorò Jack, frugando in tasca e mostrandogli la carta che ancora i suoi genitori erano riusciti a ottenere.
La guardia la esaminò e gliela restituì.
- Va bene – disse, facendosi da parte, nonostante stesse continuando a guardarlo con sospetto. Probabilmente si ricordava di quanto era accaduto col telefono.
Dopo che il dottore gli aveva riservato quel trattamento, imbottendolo di nuovo di tranquillanti, Jack non si era più fidato di lui. Aveva cercato di essere accondiscendente, dicendogli di non avere idea chi fosse Morris o del perché avesse fatto quella chiamata. Il dottore aveva sorriso mostrandogli i suoi dannatissimi denti gialli che Jack avrebbe voluto sfondare con un pugno, e l'aveva lasciato andare.
Non avrebbe più cercato di chiamare Morris, visto com'era andata, ma voleva fargli comunque sapere cos'aveva intenzione di fare.
Suo fratello ignorava la loro connessione mentale, faceva finta che lui non ci fosse. Allora Jack gli avrebbe lasciato un messaggio, pregando che gli arrivasse. Aveva preso un pezzo di legno carbonizzato, con cui si riusciva a scrivere qualcosa, e l'aveva usato per lasciare una scritta sull'interno della porta di casa.
"SONO NELA PAL UDE CERCO NIK"
Jack aveva osservato il risultato con orgoglio – nessuno gli aveva mai insegnato a scrivere come si deve, si era arrangiato come meglio poteva – e, malgrado ci fosse qualche errore, confidò che Morris capisse.
Per sicurezza, aveva scritto lo stesso messaggio su un pezzo di plastica, incidendolo con una graffetta.
Lo estrasse dal taschino della tuta e lo porse al Migliore, che lo raccolse nella sua mano guantata, l'espressione indecifrabile. Il cuoio del guanto scricchiolò, quando vi ripiegò sopra le dita.
- Che cos'è?
- Un messaggio per Robert Stein – mormorò Jack, cercando di apparire il più serio e affidabile possibile.
La guardia inarcò un sopracciglio.
- No, no, non è un altro attacco isterico, ora sto bene – si affrettò a spiegare il ragazzo, stringendo le mani a pugno per trattenere la rabbia. – E' solo un messaggio. Per scusarmi. Lui capirà.
L'uomo lo lesse e il suo sguardo gelido si intiepidì nel vedere la scrittura stentata e infantile di Jack, zeppa di errori.
- La prego, se le capitasse di andare a Cram, potrebbe portarglielo?
- Va bene. Gli darò questa roba – assentì la guardia, mettendosi il pezzo di plastica in tasca.
- Grazie – mormorò Jack, accennando un sorriso. – E' molto importante.
Si infilò la maschera antigas, allacciandosela sulla nuca, e un cappello che gli ricoprisse interamente il capo.
Fece cenno all'uomo di aprire la porta e sgattaiolò fuori, infilandosi nella fessura.
*
Il muro filtrante era alto decine di metri, e in esso era stata posta la tecnologia più avanzata disponibile a Cram. I Migliori facevano qualcosa di buono, in fondo. Da lontano la parete sembrava ricoperta da una serie di quei cartocci per le uova che Jack aveva visto nelle illustrazioni di un libro di cucina.
Chissà di cosa sapevano le uova. Dovevano essere più buone della poltiglia insapore che si costringevano a mangiare ogni giorno, a stento sufficiente a mantenere tutti i valori essenziali del loro organismo.
Attese davanti al muro, dal quale proveniva un ronzio, e guardò verso la telecamera, che mise a fuoco il suo volto nascosto dalla maschera. Un piccolo cancello che dava sull'esterno si aprì e Jack entrò nel mondo esterno.
Il cancello si chiuse con un rapido cigolio.
Era solo.
Jack proseguì, gli stivali che alzavano un nugolo di spore ogni volta in cui toccavano terra.
Presto il terreno divenne molliccio, fino a trasformarsi in fanghiglia. Jack strinse forte il coltello da caccia di cui si era munito, col cuore in gola. Non credeva che la palude gli avrebbe fatto così paura, una volta tornatovi. Sperava di poter gestire i propri sentimenti, ma il suo respiro era già affannoso e pesante.
Calmati. Calmati non è niente stai tranquillo non c'è nessuno che ti farà male. Adesso tu vai fuori e cercherai Nick. Tanto sai che percorsi fa li hai fatti anche tu mille e più volte andiamo non fartela sotto ora eh
Il problema era il suo occhio sinistro. Si sentiva talmente vulnerabile, essendo cieco in quel punto; si guardava attorno in continuazione col destro per compensare quella mancanza, ma, se fosse arrivato qualcosa a una grande velocità mentre era distratto, non sarebbe riuscito a fermarla.
Jack cercò delle tracce. Il terreno era molliccio e non lasciava residui, ma poteva capire dove fosse passato Nick in base ai punti in cui si era fatto strada nella giungla di filamenti biancastri. Non era ancora passato abbastanza tempo perché fossero ricresciuti tutti, in certi punti riusciva a vedere quelli vecchi, rinsecchiti e marroncini, ormai privi di vita come un nervo rattrappito.
Jack si accucciò accanto a uno di essi e lo tastò. Questo si sbriciolò fra le sue dita, lasciandosi dietro solo delle spore biancastre.
Il ragazzo si alzò di scatto.
Gli era sembrato di aver sentito un rumore.
Fece un giro su se stesso, affettando l'aria col coltello.
Nessuno non c'è nessuno smettila pensa a Nick tanto non c'è nessuno codardo sei un codardo
Jack rilassò le spalle e deglutì un grumo di saliva, per poi proseguire.
Seguendo le tracce lasciate dai filamenti morti, raggiunse le tavole semi affondate dove lui e suo fratello passavano sempre.
Alcune di esse presentavano dei buchi, dove dei piedi vi erano affondati con troppa energia. Su alcune c'erano segni di graffi.
Oh Dio Nick chi hai incontrato? Dove sei Nick dove?
Jack si voltò, e notò un punto in cui gli alberi erano molto fitti, ma quasi del tutto privi di filamenti. Qualcuno, forse più persone, era passato di lì.
Jack vi strisciò attraverso a fatica, trattenendo il respiro, strattonando lo zaino per riuscire a fargli attraversare quella fessura, finché non ne fu finalmente uscito.
Il terreno, ormai induritosi, terminava bruscamente, con uno strapiombo su un mare di rottami. Jack si aggrappò appena in tempo al tronco di un albero per non cadere.
Soffriva un po' di vertigini e dovette aspettare che il mondo terminasse di ondeggiare, prima di proseguire.
Con cautela, si sedette sul bordo, e strisciò verso il basso un passetto alla volta, il sedere ben ancorato al terreno, quasi friabile in quei punti.
Quella doveva essere una discarica.
Ci erano stati altre volte, c'erano oggetti utili, lì, ma la maggior parte erano scarti, troppo infestati dal fungo per ricavarvi qualcosa di utile, dunque lui e Nick avevano lasciato perdere.
Tuttavia, dove c'era meno materia organica, il fungo non attecchiva bene. A volte non lo faceva affatto. Gli oggetti metallici erano ancora in buone condizioni, ma troppo pesanti per essere trasportati. Un vecchio televisore, una... come si chiamava?
A Jack venne in mente una rivista con una serie di oggetti e dei numeri accanto. Vendite pubblicitarie, forse. Così le chiamavano.
Era lì che aveva visto quell'immagine.
Sì, ricordava!
Doveva essere una padiavora.
Si chiamavano così quegli affari no?
Padiavore.
Quando era bambino Jack si annoiava da morire a stare al Rifugio, oltre a preoccuparsi, e così aveva trovato altre occupazioni. Leggere le vendite pubblicitarie gli piaceva. Nick diceva che erano merda, ma Jack non sapeva cos'altro fare, di libri ce n'erano pochi. Quella roba sulle padiavore doveva essere già nel Rifugio prima che ci fosse il fungo. Avevano trovato molte vendite pubblicitarie sulle padiavore, nel sotterraneo. I loro genitori avevano conservato alcuni di quei giornaletti. Di solito li usavano per accendere il fuoco, ma Jack ne aveva sgraffignato uno o due.
Così il pomeriggio leggeva i giornaletti e si esercitava a imparare parole nuove.
La padiavora era un oggetto rotondo e metallico, e a Jack ricordava una luna piena, solo che era piatta e non aveva i buchi. Da essa sporgeva un'asta con dei filamenti bianchi in cima.
Strano sulle padiavore metalliche non può crescere il fungo non sono organiche dice Morris
Jack si accucciò davanti alla padiavora e tastò i filamenti fungini. Li scrostò via con il coltello, finché non riuscì a scoprire ciò che c'era sotto. Una macchia marrone scuro, che i filamenti avevano bevuto per colmare la loro insaziabile sete.
Una macchia di materia organica.
Sangue sangue sangue oddio Nick no dove sei Nick? Dove sei? Se questa padiavora ti ha fatto male perché non sei qui chi ti ha portato via?
Jack restò inginocchiato al suo posto per un po', riflettendo sul da farsi. Non sapeva come continuare. Non c'erano altre tracce, si fermavano alla padiavora, e per giunta stava morendo di sete.
Forse Luca ha ragione dovrei tornare indietro però devo trovare Nick prima devo sapere cosa gli è successo io devo sapere devo
Clang
Un rumore metallico interruppe il flusso dei suoi pensieri.
Jack scattò all'istante, il coltello in direzione del rumore, ogni fibra del suo corpo tesa e vibrante.
- Chi c'è? – gridò, la voce soffocata dalla maschera. – Vieni fuori, guarda che ti vedo! Sì, ti vedo!
Silenzio.
Bugie, l'aveva visto.
Forse era orbo da un occhio ma l'altro era perfetto e molto veloce anche. Non si era lasciato sfuggire il movimento che aveva seguito la caduta di un oggetto rotondo e metallico, che aveva ruzzolato fra i rifiuti rimbombando.
C'era qualcuno con lui, c'era sempre stato.
- Avanti! – intimò Jack.
La mano stava cominciando a tremargli, e strinse più forte l'elsa del coltello per paura che gli cadesse.
Non gli piaceva quel silenzio, se c'era qualcosa voleva che venisse fuori, piuttosto che doversi guardare continuamente le spalle. Non voleva essere una preda, e il nemico poteva essere ovunque.
Poco dopo ci furono altri rumori di ferraglia, stavolta più deboli, e una figura sottile emerse dalle macerie, da sotto un pezzo ondulato di lamiera.
A Jack cadde il coltello di mano.
- Merda – sibilò, chinandosi per raccoglierlo.
Quando alzò lo sguardo, la figura era davanti a lui.
Jack cadde all'indietro per lo spavento e per poco non finì anche lui sulla padiavora.
Non credeva che qualcosa potesse muoversi tanto velocemente.
- Và via! – gridò Jack, minacciandola con il coltello. – Non ti avvicinare! Non mi seguire! Vattene!
La creatura non sembrava intenzionata ad ascoltarlo. Nonostante fosse minuta, Jack ne era terrorizzato. C'era qualcosa di strano in lei. Era innaturale il modo in cui piegava la testa per guardarlo, erano innaturali i suoi occhi rosa, la sua pelle bianca, troppo perfetta.
Sembrava una ragazza, ma non lo era. No, non lo era, come poteva respirare l'aria zeppa di spore senza fare una piega?
Se lo aveva seguito sin dall'inizio, ne aveva respirate troppe, avrebbe dovuto sentirsi male, e invece sembrava a suo agio.
L'essere allungò una mano verso di lui e Jack reagì istintivamente, agitando il coltello. Un taglio si aprì sul palmo della creatura, che lo fissò a lungo, come se non riuscisse a comprenderne l'origine. Non ci fu nessuna traccia di sangue. La ferita si rimarginò come se non fosse mai esistita.
Jack la osservò, talmente stupito che il coltello gli scivolò di mano.
La creatura puntò di nuovo gli occhi su di lui e il ragazzo tremò.
- Scusa, non volevo farti del male – balbettò, con voce appena udibile. Le sue labbra erano di piombo. - Per favore, non...
Jack la guardò in viso e le sue parole divennero un borbottio, per poi spegnersi. Si sentì come se stesse cadendo all'indietro, provò un dolore intenso all'addome, e poi si accasciò su un fianco. La maschera si era riempita di vomito, che gli fuoriusciva incontrollabilmente dalla bocca. Jack non riusciva più a respirare, stava annegando.
Fu a stento conscio della creatura che si chinava su di lui e gli toglieva la maschera antigas. Quando lo vide in viso, i conati si fermarono e fu come se lui si fosse riappropriato del suo corpo.
Tremante, cerco di alzarsi, i muscoli dell'addome sembrava si fossero sciolti, e le braccia gli tremavano. Si accasciò, le orecchie che fischiavano.
Gli sembrò di avvertire delle dita sul viso, ma non ebbe nemmeno la forza di aprire gli occhi. A stento riusciva a respirare, tramite singulti involontari.
Mo... aiutami...
Mo...
M...
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