03. Sulla solidarietà umana
- Sei qui da ieri notte. Vai a dormire un po'.
Jack non rispose, continuando a guardare fuori da uno degli oblò ai lati dell'entrata del Rifugio. Si sentiva come se stesse già dormendo, e il suo corpo continuasse a funzionare non perché lui stesse contribuendo. L'anima l'aveva abbandonato, l'unica cosa di cui era consapevole erano le frasche oltre il muro filtrante.
Avrebbero dovuto muoversi da un momento all'altro. Nick era proprio lì dietro.
Gli sarebbe venuto incontro e l'avrebbe mandato a quel paese perché si era preoccupato. Nick era indistruttibile, non si faceva mai male. Era lui che lo salvava dalle brutte situazioni, non poteva essergli successo niente. No, non poteva.
Jack avvertì di nuovo il borbottio insensato di poco prima, mentre qualcosa di morbido gli si posava su una spalla.
- Vieni via – disse una voce.
Il ragazzo batté le palpebre e si voltò, distogliendo per un istante lo sguardo dal vetro.
Si rese conto di essere esausto. Fece un passo e le ginocchia cedettero sotto il suo peso, per essere rimaste tanto a lungo nella stessa posizione.
La signora Dogers lo sostenne, nonostante fosse minuta, e gli massaggiò la schiena con una mano, mentre lo conduceva verso l'interno del Rifugio. Un uomo di guardia le fece un cenno, come se fosse stato lui a mandarla a chiamare.
Jack cercò di deglutire, ma non c'era più traccia di saliva nella sua bocca.
La signora Dogers. Pensava che li odiasse. Lei e suo marito non facevano altro che guardarli male. Già, sempre a fissarli come se avessero fatto loro un torto ad avere delle stupide porte arrugginite che li avrebbero uccisi, prima o poi, quando anche il Rifugio fosse crollato su se stesso.
Lei gli stava parlando, ma Jack non capiva. Udiva solo un mormorio, un piacevole mormorio di voce femminile, che gli ricordava quello di sua madre, quando era piccolo. Forse era solo frutto della sua immaginazione, dato che era morta poco dopo la sua nascita e non si ricordava nulla di lei, ma fu comunque bello sentirla vicina.
La signora Dogers lo portò a casa sua. Il marito li vide arrivare e fece un po' di rumore, ma poi si placò e indicò a Jack una brandina pieghevole incastrata fra il lavandino e un armadio metallico.
Jack vi si rannicchiò e la signora Dogers lo infagottò in una coperta ruvida e lisa, per poi sedersi sul bordo del letto e accarezzargli il viso. Aveva un'espressione malinconica nei suoi piccoli occhi grigi e acquosi.
Jack inspirò l'odore del cuscino, un grumo fastidioso sotto la sua testa. Sapeva di chiuso, ma emanava anche un vago sentore di giovane, di ragazzo. Forse qualcuno ci aveva dormito, una volta.
- Dormi – disse la signora Dogers, continuando ad accarezzargli la testa rasata.
Una sottile peluria castana aveva ripreso a crescervi. Jack sapeva che avrebbe dovuto rasarsi per questioni igieniche, ma era il suo ultimo pensiero.
Era talmente stanco che, nonostante avesse sete, si addormentò mentre pensava di chiederle un po' d'acqua.
Morris, dov'è Nick? Morris, fai qualcosa. Morris, mi senti?
*
La mattina seguente Jack venne svegliato dalla voce della Dogers, che stava cantando. Qualcuno cantava ancora?
Aprì gli occhi e si umettò le labbra con la lingua. La sua bocca era talmente secca che non riusciva a deglutire. Emise una specie di rantolo per attirare l'attenzione, e la Dogers smise di fare qualunque cosa stesse facendo, portandogli un bicchiere di legno ricolmo di acqua quasi trasparente. Era meglio di quanto avrebbe potuto chiedere.
- L'ho fatta bollire – disse la Dogers, per riempire il suo silenzio. – E' sicura, non preoccuparti.
Jack annuì e bevve avidamente. Metà dell'acqua venne assorbita dai tessuti della sua bocca, e ne chiese ancora.
Dopo che si fu dissetato, si mise seduto, passandosi una mano dietro la nuca. Forse, se fosse stato capace di piangere, avrebbe alleggerito il peso che aveva sullo stomaco, ma i suoi occhi erano aridi. Non riusciva a mostrare la minima emozione. Jack era sempre stato così: mostrava raramente ciò che provava. Solo in situazioni estreme si riusciva a cavargli qualcosa. Avrebbe voluto poter essere diretto come Nick o freddo come Morris, per cui gli altri a stento esistevano, e invece era uno strano miscuglio di quelle due cose. Provava un sacco di emozioni, spesso violente, ma non riusciva a farle uscire. Fuori sembrava normale, persino apatico, e dentro infuriava la tempesta.
Chissà se anche Morris è così.
No, non era così. Lui era proprio un pezzo di ghiaccio. Certe cose sembrava non capirle, o aveva perso la capacità di farlo.
Chissà cos'avrebbe fatto se avesse saputo di Nick. Dopo un giorno fuori, era assai improbabile che sarebbe ritornato. Era successo così anche con i loro genitori: erano andati in una spedizione, come facevano ogni settimana, e non erano tornati. Probabilmente si erano trasformati in un agglomerato di filamenti fungini sepolto dal fango della palude.
E' troppo, troppo. Non voglio restare solo.
Jack trasse un profondo sospiro, il massimo livello cui riusciva a esternare ciò che provava, e osservò la Dogers.
C'era compassione sul suo viso topesco.
La donna si sedette sul bordo del letto, stringendogli le mani.
Jack la lasciò fare, osservando le sue dita ossute posarsi sulle proprie. Le sue goffe e ampie mani da adolescente restarono inerti.
- Tornerà, Jack. Nick è forte. Forse ha avuto qualche contrattempo. E' passato un giorno, non è ancora detta l'ultima parola.
Jack scosse la testa, inspirando a fondo.
- E' successo lo stesso coi nostri genitori – mormorò, con la sensazione che fosse qualcun altro a parlare. – Ero troppo piccolo per ricordare, ma Nick e Morris mi hanno detto che è andata proprio così.
La Dogers sospirò a sua volta. Era così che andava. La vita lì era un continuo sospiro, non si avevano neanche più lacrime da versare.
Jack le fu grato per non aver insistito con della positività forzata. In una situazione del genere era del tutto fuori posto, l'unica cosa che avrebbe voluto, oltre a rivedere Nick, era che nessuno cercasse di mentire sulle possibilità che questo accadesse. Non voleva credere subito che fosse morto, ma nemmeno illudersi che fosse vivo. Era stupido, ma si sentiva sospeso fra quelle due possibilità.
- Sai, una volta avevo un figlio – mormorò la Dogers, riscuotendolo dal suo torpore. – Ti assomigliava un po'. Aveva più o meno la tua età, quando scomparve nella palude. Non ho più saputo nulla di lui. E' andata proprio come con i tuoi genitori. Dovevi ancora nascere quand'è successo, Morris e Nick erano piccoli. Tua madre mi è stata vicino. Era una brava donna, una buona amica. Mi dispiace di non avervi aiutato di più in questi anni. Lei l'avrebbe fatto con mio figlio, ma non ne avevo il coraggio.
Jack le strinse una mano. Non era di molte parole, sperò che lei comprendesse.
- Come si chiamava? – le chiese.
- Peter – mormorò la Dogers. C'era un tale dolore nella sua voce che fu come se avesse gridato. – Era tenero, troppo. Questo mondo non faceva per lui. Un giorno non ce l'ha più fatta ed è scappato dal Rifugio. Odiava questo posto, lo faceva impazzire. E' andato nella palude senza maschera né equipaggiamento.
Jack assorbì quelle informazioni in silenzio. Avevano perso tutti qualcuno, dunque si capivano a un livello profondo, malgrado la reciproca diffidenza e l'inaridimento spirituale.
- Mi dispiace, signora Dogers. Davvero – mormorò. – Non sapevo di suo figlio.
- Non darmi del lei. Mi chiamo Joanna.
*
I giorni successivi Jack li passò nel buco dei signori Dogers. Non voleva entrare in casa sua, ogni cosa lo faceva pensare a Nick, e stava già abbastanza male.
Non voleva accettare passivamente la sua scomparsa, dunque, in un atto di disperazione, decise che avrebbe contattato Morris: questa volta non nella sua mente, ma in modo più concreto. Suo fratello non avrebbe potuto ignorarlo.
C'erano pochi telefoni funzionanti al Rifugio, solo quelli che erano stati forniti dai Migliori, per comunicazioni d'emergenza. Se fossero stati usati senza una valida motivazione, si sarebbe incorsi in severe punizioni, ma a Jack non importava. Restare solo gli faceva più paura di qualunque castigo che avrebbe potuto ricevere.
Attese il momento propizio e, durante uno dei cambi di guardia, sgattaiolò verso i telefoni. Era abituato a muoversi silenziosamente, nell'ombra, e nessuno lo notò.
Controllò che non ci fosse nessuno, e sollevò una delle cornette. Dall'altra parte rispose subito la voce asettica di una segreteria telefonica.
- Centro di Cram. Questa è una chiamata di emergenza. Prema uno per contattare il Primo Migliore. Prema due per contattare il Ministro delle Forze Militari. Prema tre per contattare il Ministro della Ricerc...
Jack premette il terzo tasto senza lasciar finire la registrazione, e venne creato un canale di comunicazione.
Tuuut
Tuuut
Ti prego Morris rispondi Morris solo tu puoi fare qualcosa ti prego...
Tuuut
Click
- Robert Stein, Ministro della Ricerca. Qual è l'emergenza?
Il cuore di Jack si fermò e riprese balbettando. Il ragazzo cercò di dire qualcosa, ma la voce gli si era bloccata in gola. Non parlava con suo fratello da anni.
- Pronto? – ripeté Morris, con una vena di seccatura nella voce.
- A-aspetta non riattaccare! – gemette Jack, sussurrando.
- Chi è? Non è una chiamata ufficiale, questa? Sa che c'è una pena per questo genere di...
- Morris, sono io, Jack!
Silenzio.
- Non conosco nessun Jack.
- Ma come non mi conosci? – proseguì il ragazzo, dopo un istante di smarrimento. – Sono tuo fratello, non ti ricordi di me?
- Non...
- Morris, non c'è tempo. Nick è sparito nella palude, dobbiamo fare qualcosa. Forse è già tardi, ma forse no. Ti ascolto tutti i giorni alla radio, so che hai una cura, una cura per la malattia del fungo. Tu sei un genio, se c'è qualcuno che può aiutarlo sei tu, ti prego, Morris, per favore...
Jack stava ancora parlando, quando udì qualcuno alle sue spalle intimargli di mettere giù la cornetta.
- Non so di cosa tu stia parlando – disse la sua voce asettica. – Il mio nome non è Morris. Mi chiamo Robert. Devi essere in preda a una crisi isterica, cerca di calmarti.
- Smettila di prendermi in giro! Io non sono pazzo, okay? – gridò Jack, esplodendo, lasciando fuoriuscire tutta la rabbia che aveva covato in quei giorni. Che Nick fosse nella palude non era giusto, semplicemente non era giusto, e ora Morris faceva finta di niente?
Qualcuno gli strappò la cornetta di mano e Jack cercò di tenerla stretta con le unghie e con i denti, graffiando e mordendo l'aggressore, dieci volte più muscoloso di lui.
L'altro gli rifilò uno spintone con tanta energia da farlo cadere a terra, mentre un'altra guardia, un altro dei Migliori che avrebbero dovuto proteggerli, si sedeva su di lui, schiacciandolo a terra col proprio peso. Gli mise due manette ai polsi, mentre gli premeva una mano sulla testa.
- Lasciatemi andare, bastardi! – gridò Jack, con voce stridula. – Cazzo, vi ammazzo! Vi ammazzo se non...
- Stà buono moccioso – sibilò il Migliore che lo stava trattenendo, piantandogli qualcosa sul collo.
Jack si dimenò disperatamente, scalciando con tutte le proprie forze, ma non ci fu verso di liberarsi.
In pochi secondi i suoi pensieri diventarono una poltiglia grigiognola, e si ritrovò a fissare il vuoto, con la bava alla bocca. Smise di agitarsi, accasciandosi nella presa della guardia. Degli schiocchi si avvicinarono, echeggiando nel suo cranio. I passi di un mostro.
Jack sollevò lo sguardo, osservando la creatura. Una chimera dal volto ricoperto di plastica e gli occhi neri. Aveva mani artigliate, e si chinò su di lui, posandogliene una sul viso.
- No... n-no – gorgogliò Jack, rischiando di annegare nella sua stessa saliva.
- Cosa gli hai dato? – sbottò il mostro, parlando con il suo compare, che lo stava bloccando a terra.
- Un farmaco per farlo stare buono – rispose l'altro, con voce gutturale.
- Non serviva. Stein ha detto di portarlo in infermeria. E' in preda a una crisi. Succede, quando uno passa troppo tempo a farneticare in solitudine.
- Non mangiatemi... - piagnucolò Jack, mentre uno dei due lo raccoglieva fra le proprie grinfie. – Morris si arrabbierà...
Il mostro rise di gusto, gli occhi che brillavano di una luce rossastra.
- E' proprio andato – sibilò, passandosi la lingua sulle labbra, mentre fissava avidamente Jack. – Non preoccuparti, non ti faremo del male. Presto passerà tutto. Stai tranquillo.
Jack tossì, sbavandosi sul mento, mentre li fissava senza capire ciò che stavano dicendo.
Perché Morris non era venuto a salvarlo da quei mostri?
- Vi prego, devo salvare mio fratello – gorgogliò, cercando invano di muoversi. I suoi muscoli si erano trasformati in gelatina, il suo corpo non gli apparteneva più.
- Dimenticati di lui, ormai è spacciato – grugnì un mostro, piantandogli un dito sulla fronte. – Cazzo, dovevo dargliene di più, di quella roba.
Jack continuò a implorarli, biascicando parole incomprensibili, mentre la sua voce si faceva sempre più debole. Tutto si confuse in un vortice di colori, voci e rumori, che si dilatavano e si comprimevano.
Alla fine il suo cervello si spense, scivolando in uno stato catatonico.
*
Era sdraiato in un letto stretto e scomodo, le molle gli graffiavano la schiena. Una coperta infeltrita lo copriva fino a metà torace. Un cuneo stava martellando sul retro del suo cranio, specie sul collo, dandogli l'impressione che il mondo stesse vibrando. Aveva la nausea.
Un po' alla volta quelle sensazioni si affievolirono e Jack riuscì ad aprire gli occhi senza provare la sensazione di dover vomitare.
Si trovava in infermeria, fra un tizio che dormiva profondamente, sotto sedativi, e una donna che borbottava fissando il muro.
- Cos'è successo? – le chiese, con voce flebile.
- Domani, domani – rispose lei, continuando a fissare davanti a sé. – Domani arriverà.
- Chi arriverà?
Lei lo ignorò, continuando a ripetere le stesse parole, e Jack capì che non sarebbe riuscito a cavarle nient'altro.
Si trovava fra i matti, ma era certo di non essere uno di loro.
Vero Morris? Vero? Io non sono pazzo, ma perché tu hai fatto finta di non riconoscermi? Ti chiami Morris, non Robert. Tu sei Morris, mio fratello. Perché non hai voluto aiutare Nick, perché?
Jack cercò di alzarsi, ma le sue gambe non ne ebbero la forza. Rischiò di cadere dal letto e riuscì a stento a mantenere l'equilibrio.
Dovette aspettare diverso tempo prima che qualcuno entrasse nell'infermeria.
- Mi scusi – lo chiamò Jack, cercando di attirare la sua attenzione, ma l'uomo lo ignorò.
- Ehi! Mi senti? – urlò il ragazzo, perdendo la pazienza.
Finalmente il tizio volse lo sguardo verso di lui, forse involontariamente, per il rumore improvviso, e non poté più far finta che Jack non esistesse.
- Dimmi, cosa c'è? – gli domandò il dottore, rivolgendogli un sorriso. – Vedo che stai meglio.
- Mio fratello – mormorò Jack. – Avevo chiamato mio fratello, lui ha risposto.
- Oh, la telefonata a Cram.
Il dottore sospirò, accarezzandogli la testa.
- Non preoccuparti, non verrai punito. Non eri in te in quel momento. Purtroppo queste cose succedono. Pensa un po', eri convinto che Robert Stein fosse tuo fratello.
- Ma lui è mio fratello. Si chiama Morris, Robert Stein è solo un nome del cavolo che si è inventato.
- Lui dice di non conoscerti. Mi dispiace, piccolo. Sei solo un po' confuso.
- Non chiamarmi piccolo, non sono per niente confuso! Siete voi confusi! Morris è mio fratello, lui...
Il dottore gli mise entrambe le mani sulle spalle, e lo costrinse a restare disteso.
- Senti, non mi interessano le tue fantasie. Adesso te ne starai qui buono buono, a meno che tu non voglia altri sedativi. Chiaro? Ho dei feriti di cui occuparmi, non ho tempo per il tuo blaterare. Ringrazia che Stein non ti abbia fatto portare in cella. Quei telefoni non vanno usati per sciocchezze, e tu hai chiamato il Ministro della Ricerca solo per urlare come un pazzo.
- Ma Nick è davvero nella palude, ha bisogno di aiuto – balbettò Jack.
- Se Nick è nella palude, Nick è morto. Mettiti il cuore in pace e rilassati.
- Rilassarmi? Come può dirmi una cosa del genere? E' lei a essere pazzo, siete tutti pazzi!
Il dottore alzò gli occhi al cielo e armeggiò con la flebo collegata al braccio di Jack, i cui movimenti si fecero subito più deboli, per poi cessare.
La sua mente venne ricoperta da una spessa nebbia bianca, mentre sprofondava in un abisso silenzioso.
Farai meglio a comportarti bene d'ora in poi... comportarti bene... bene...
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