Capitolo Settimo: Partenze
Punto di vista Rose
Erano passate due settimane da quando ero riuscita a fuggire dai rigidi controlli di mia madre per rifugiarmi a casa di Kolwin. La fuga non era durata molto, il giorno dopo ero già tornata a casa, dopo le scuse della donna.
«Sì, tutto normale. Lo fanno quando l'anno scolastico è già iniziato» mi aveva spiegato mio fratello Cotan quando, appena tornata a casa, gli avevo chiesto delucidazioni sul "reclutamento" degli studenti nella scuola di Nasia.
Mi era sembrato fin troppo strano che fossero andati fino a casa di Kolwin, per recapitare la lettera d'invito a frequentare le lezioni per sua sorella.
Lavorando nello smistamento Cotan conosceva abbastanza bene tutti i settori che offrivano possibilità di lavoro, compreso quello scolastico. Per questo motivo, le sue parole mi rasseneravano: sapeva di certo quello che diceva.
Chels3l sarebbe partita oggi, pensai lanciando un'occhiata al mio contatto olografico. Il mio orologio interno segnava che ci trovassimo nella tredicesima ora della giornata, quindi la ragazza doveva essere già in viaggio, insieme a un'altra manciata di ragazzi "reclutati".
Feci partire la chiamata per Kolwin e gli rivolsi un ampio sorriso quando visualizzai il suo ologramma. Non sembrava molto felice, c'era da capirlo: non avrebbe rivisto sua sorella prima di qualche mese, durante le prossime vacanze.
Egoisticamente, pensai che almeno lui aveva la sicurezza che sua sorella sarebbe stata bene. Strinsi un attimo gli occhi, cercando di scacciare l'immagine di AV dalla mia testa: potevo solo sperare che anche lui, dovunque si trovasse, stesse bene.
Sperare... era l'unica cosa che mi era rimasta, nessuno poteva togliermi la speranza. Di rivedere mio fratello, così come lo ricordavo.
«RS? Ci sei?» mi richiamò il ragazzo, abbassando lo sguardo confuso, probabilmente verso il suo contatto, come a controllare che non ci fossero problemi.
Annuii in fretta, imponendomi di rimanere lucida. «Come stai?» mi premurai di chiedergli, cercando di mostrarmi allegra. Per una volta, toccava a me sostenere lui.
Kolwin si strinse nelle spalle «Cosa dovrei dirti? C3 è appena partita, ma è ancora una bambina e se n'è praticamente andata di casa, mi sento... Irrequieto. Non-» si bloccò, prendendo un respiro profondo. Scosse la testa, senza completare la frase «Vorrei essere lì con lei» concluse.
Trovai la sua reazione un po' esagerata, ma non glielo feci presente. Aveva diritto a stare male e infondo non potevo capire cosa significasse vedere il proprio fratello minore andare via da casa; nella mia famiglia ero io la più piccola, quella che era sempre stata protetta da tutto.
«RS, vieni un attimo!» sentii mia madre che mi chiamava dal piano di sotto e lanciai un'occhiata alla pedana che portava giù, prima di salutare Kolwin e promettergli che l'avrei chiamato più tardi.
Azionai il mojent e, quando fui sullo stipite della cucina, guardai confusa l'espressione seria di mia madre. Appoggiato alla parete, poco più in là, c'era anche Cotan, con lo sguardo perso nel vuoto.
«Siediti» mi incoraggiò la donna, cercando di accennarmi un sorriso.
Esitai, ma poi presi posto sul disco, di fronte a lei che era in piedi dall'altra parte della piattaforma che ci divideva. Mi sistemai i capelli dietro la schiena, aspettando che dicesse qualcosa. La sua espressione seria mi aveva messo un po' in agitazione, ma cercai di mostrarmi tranquilla.
«Io e tuo padre abbiamo preso una decisione importante» esordì, con le mani incrociate sulla pancia e la schiena ritta. Sembrava perfetta, come suo solito, ma sapevo che lo stress delle ultime settimane aveva avuto effetto anche su di lei.
Le feci un cenno del capo, invitandola a continuare. «E questa decisione comprende anche te» continuò poi e fui quasi sicura di vedere un lampo di agitazione nei suoi occhi. «Sai che la situazione qui a Lesia sta peggiorando di giorno in giorno... Non... Non possiamo rimanere qui, Rose» concluse, senza incrociare il mio sguardo.
Realizzai pian piano quello che volevano dire le sue parole, mentre la fissavo senza battere ciglio. Voleva andare via. Mi guardai intorno, senza sapere cosa risponderle e cercai gli occhi di mio fratello, per avere un sostegno. Ma anche lui, come mia madre, non mi guardava.
«Quando?» le domandai, sentendo la mia voce tremare leggermente. L'istinto mi urlava di ribellarmi, di farle capire che non ero d'accordo e che non sarei mai andata via dalla città dove ero cresciuta, dove c'erano i miei amici e la mia vita.
Ma la ragione, quella mi diceva che non c'era soluzione migliore. La propaganda degli Originali sembrava prendere sempre più piede a Lesia, che da sempre aveva avuto una netta divisione fra umani e natalesiani.
Inoltre, il territorio dove sorgeva la grande comunità di esseri umani era conteso con forza tra quelli che erano i discendenti dei terrestri e quei natalesiani che volevano investirci sopra. Gli umani erano stati categorici: non avrebbero venduto. E questo aveva scatenato non poche polemiche e suscitato antipatie, che in un paese alla fine così piccolo come Lesia non poteva che giocare a favore degli Originali.
«Domani» mi rispose, facendomi spalancare gli occhi. Domani? «Tuo padre ha trovato un'offerta vantaggiosa. Sai quel vecchietto che si occupa di... Trasporti fra le tre città?» mi domandò, retoricamente. La mia espressione, ancora sorpresa, doveva essere l'inconfutabile prova del fatto che non riuscissi a realizzare quello che mi stava dicendo.
In realtà, non ero neanche sicura di aver capito. Domani?
L'uomo di cui parlava mia madre era un natalesiano che lavorava alle consegne delicate fra le città. Era un lavoro molto pesante, perché Lesia e Nasia erano a dieci ore di distanza e tra Lesia e Nata ce n'erano addirittura venti.
(Evento Pasqua 2020, by ShadowAwardsITA. Hai trovato un uovo d'oro! Wow!
Codice: 24c
Punti: 5!
Ma per mettere le mani su questi 5 punti, c'è da superare una prova.
Decifra il seguente indovinello, per capire il genere della prova che dovrai scrivere usando la traccia qui riportata.
L'indovinello dice:
"macchine di ferro
in aria come uccelli.
Un'attimo prima sei qui
e quello dopo sei lì.
In un mondo
dove non c'è più vecchiaia.
Che genere sono?"
Ora che hai scoperto il genere dall'indovinello, scrivici una one-shot a tema. In un massimo di 800 parole, scrivi un testo che già a una prima lettura faccia capire chiaro e tondo qual è il suo genere.
Le difficoltà? Oltre al limite di parole, ti è richiesto il punto di vista in prima persona e di non far intuire il sesso del protagonista, se non nell'ultimo rigo. Credi di farcela? Fai del tuo meglio e prendi l'uovo d'oro!)
Delicate, era un modo "carino" per dire illegali. I droni automatici che si occupavano delle consegne non trasportavano sostanze stupefacenti, né persone, quindi alcuni se ne occupavano da soli. Perché se volevi risparmiare, i trasportatori erano la scelta migliore per spostarti fra le città senza spendere un patrimonio.
I mezzi di trasporto natalesiani erano aerei a energia solare che potevano coprire distanze considerevoli in poco tempo, ma purtroppo non gratuitamente. I trasportatori però non erano mai stati una valida alternativa per la mia famiglia, perché erano tutto tranne che sicuri. Inoltre, se si veniva beccati si doveva pagare una salatissima multa in punti persona e denaro.
«Perché non ci spostiamo in aereo?» le domandai, alzandomi in piedi: non sarei riuscita a stare seduta ancora a lungo. Tutta quella situazione non mi piaceva per nulla.
«Non voglio andarmene» mi scappò, prima che potesse rispondermi. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi e ne spazzai via una scappata al mio controllo. Mi stavo comportando come una bambina, lo sapevo, ma il pensiero di abbandonare la mia casa, così all'improvviso, senza sapere quando ci sarei tornata mi logorava.
«Rose» mia madre mi richiamò e la sentii sospirare «Ho bisogno che tu collabori, non sei più una bambina. Ho tante cose di cui occuparmi prima della partenza, devo stare tranquilla almeno per quanto riguarda te. Cerca di essere matura, almeno per stavolta» mi riprese, la voce stanca di chi già non ce la faceva più.
Le risposi con un cenno del capo. Non la avrei dato problemi, ma avrei sperato fino all'ultimo secondo che cambiassero idea. Guardai un'ultima volta mio fratello, che mi rivolse un sorriso rassicurante, prima di uscire dalla stanza per andare nella mia camera.
Il giorno dopo, la casa era in subbuglio. In pratica, tutta la parte della mia famiglia che viveva a Lesia era qui, ad aiutarci con i bagagli o semplicemente a salutarci. Avevo da poco appreso che con noi sarebbe venuta anche mia cugina, figlia della sorella di mio padre, di appena un anno. Poche settimane fa c'era stato un attentato all'asilo dove la piccola sarebbe andata a partire dall'anno prossimo e questo bastò a terrorizzare i genitori quel tanto da convincerli a farla partire con noi: ci avrebbero raggiunto non appena avessero messo da parte abbastanza soldi per farlo.
«Dai, vieni!» incoraggiai la bimba, che stava ancora imparando ad usare il mojent. Nexra, così si chiamava, mi guardò dubbiosa per un istante, prima che la piattaforma avanzasse di scatto, rischiando di farla cadere. La presi al volo, ridacchiando alla sua espressione contrariata.
«RS, fra cinque minuti dobbiamo avviarci, controlla la tua borsa!» mi gridò mio padre, dal giardino. La madre di Nexra mi sorrise, allungando braccia per prendere la bambina, mentre il fratello maggiore stava ancora piangendo fra le braccia del padre.
Purtroppo, eravamo riusciti a racimolare i soldi soltanto per un altro passeggero e la prescelta era stata lei. Suo fratello non aveva ancora accettato che avrebbe dovuto separarsi dalla sorella minore, e mi sentii male pensando che queli sarebbero stati i loro ultimi minuti insieme prima di chissà quanto tempo.
Selezionai la lista che avevo creato la sera precedente dal mio collegamento e la feci apparire, controllando di aver spuntato tutto. La chiusi dopo poco, sicura di non aver dimenticato nulla e la portai al piano di sotto, caricandola sul mojent con me. La lasciai a mio padre, tornando al piano di sopra dove i miei zii si aggingevano a dare gli ultimi saluti a mia cugina in corridoio.
Presi la sua valigia, che avevo appoggiato nella mia stanza, e mi guardai un'ultima volta intorno. Filiphe era in un angolo della stanza, con gli "occhi" robotici puntati nel vuoto come sempre. L'avevamo spento, quindi era appoggiato a terra, e pensai che perfino lui mi sarebbe mancato. Mi strofinai gli occhi con una mano, cercando di frenare le lacrime che premevano per uscire: avrei voluto chiudermi in quella stanza e non uscire più. Guardai il mio letto, spoglio da ogni coperta, le mensole magnetiche vuote. Così conciata, quella camera non sembrsva neanche più la mia ed avvertii una forte stretta al petto quando mi voltai, uscendone per quella che speravo non essere l'ultima volta.
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